Il livornese Pietro Coccoluto Ferrigni (1836-1895), in arte Yorick figlio di Yorick, è stata una delle figure più originali del panorama letterario dell’Ottocento. Enfant prodige, dotato di grande memoria, laureato in legge, giornalista in grado di affrontare con competenza ogni argomento, brillante conferenziere, poeta e faceto umorista, traduttore dal francese e dallo spagnolo, fu anche patriota, militare e volontario garibaldino. Nella secondà metà del secolo divenne una delle firme più prestigiose e amate del panorama giornalistico italiano, per la padronanza perfetta della lingua, l’eleganza dello stile, l’arguzia sempre sottile, la finezza di giudizio.
Nel 1856 assunse il nome di Yorick ispirato dal personaggio dell'Amleto di Shakespeare; qualche anno più tardi, dopo la lettura del Viaggio sentimentale e de La vita di Tristam Shandy di Laurence Sterne (che si firmava Yorick), decise di modificare il proprio pseudonimo in Yorick figlio di Yorick.
La sua fama è legata soprattutto ad alcuni versi stravaganti, che ne fanno uno dei principali scrittori volontari di nonsense (ché ce ne sono anche stati di involontari) nel nostro paese. Le sue rime più note sono senza dubbio quelle di Parole per musica, scritte nel 1881 per la Strenna dell’Associazione della Stampa periodica in Italia:
Quando talor frattanto,
forse, sebben così;
giammai piuttosto alquanto
come perché bensì;
Ecco repente altronde,
quasi eziandio perciò,
anzi, altresì laonde
purtroppo invan però!
Ma se per fin mediante,
quantunque attesoché,
ahi! sempre, nonostante,
conciossiacosaché!
Ideato per mettere in ridicolo le insulsaggini di certi libretti d’opera, il componimento, conosciuto anche con il titolo di Mistero, non è tuttavia originale. Esso è largamente ispirato da un'analoga bizzarria francese pubblicata due anni prima sull’Intermédiaire, “à propos de chansons plus ou moins étranges”:
Toute ainsi comme,
De même, parce que,
Car aussi bien que;
Si toutefois pourtant,
Peut-être nonobstant,
En toujours, néanmoins!
La versione di Yorick è senz’altro migliore di quella francese, sia per l’armonia del verso, sia per la collocazione delle parole, che rende il componimento una vera e propria poesia senza senso.
Il Ferrigni era un vero maestro nello scrivere versi dall’apparenza seriosa e in realtà talmente assurdi da muovere al riso. Ne sono prova quelli che scrisse su un metro allora in voga tra gli ultimi romantici:
Una nave che salpa dal porto
Saltellando con passo scozzese,
è lo stesso che prendere un morto
per pagarlo alla fine del mese.
Salto di Socrate,
bacio di Giuda,
la donna è nuda…
Waterloò!
Tornando poi a infierire contro i librettisti d’opera, Yorick figlio di Yorick trasse questa “cavatina” basata sui controsensi:
Io ti amavo e non ti aborro
Quanto odiar può un cor gentile,
mentre immobile trascorro
un sentier che più non è.
Ah perché dovrà un covile
L’ampio arcano mio svelare?
Dell’aurora al tramontare,
deh! Conducimi con te.
E il tramontare dell’aurora fa ricordare i versi strampalati di un altro toscano, Gervaso Cerchiai, il quale, nella prima metà dell’Ottocento, recitava per strada, con lo scopo di far ridere gli amici, ottave come queste:
L’altra mattina, verso mezzanotte,
levavan certi frati il pozzo nero,
e una civetta nelle occulte grotte
cantava un’aria del Marin Faliero.
Intanto Aristodemo in una botte,
bestemmiando, domava un suo destriero,
e dai cassetti di un armadio vecchio,
mi venne una postema in un orecchio.
Fu invece involontario il nonsense del barone leccese Filippo De Raho, che nel 1859 pubblicò un inno in occasione del soggiorno in città di Ferdinando II di Borbone con il seguente incipit che ne fa piuttosto un seguace dell’Ingarrica:
Dall’occaso il sol sorgea…
E la mente corre allora a quell’episodio del film Ecce Bombo di Nanni Moretti, con la vana attesa dell’alba sul Tirreno, dove il sole non sarebbe mai sorto guardando verso il mare, o al Battiato esoterico di “Trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Ma sto divagando.
Tornando a Yorick, un esempio del suo spirito è fornito dai testi delle conferenze che teneva sui più disparati argomenti. Il 28 febbraio 1882, alla Mostra della Società di “Scoraggiamento” alle Belle Arti di Firenze, tenne una prolusione sui bottoni nell'arte, suddivisa in due parti: influenza dei bottoni sullo sviluppo dell'arte e influenza dell'arte sullo sviluppo dei bottoni. Il discorso si sviluppa attraverso una costante allusione erotica che diventa spesso scoperto gioco sui meccanismi della seduzione. Il Ferrigni procede con una arguta dissacrazione sul tema del corpo nudo e del corpo vestito, partendo dalla foglia di fico e raggiungendo vertici di irresistibile malizia: se Eva si fosse potuta abbottonare la foglia, forse il genere umano avrebbe evitato le conseguenze del peccato originale. Non è azzardato leggere in curiose dissertazioni come queste l’annuncio dello spirito futurista.
Concludo segnalando alcuni aneddoti curiosi che lo riguardano. Comincio con un paio di epigrammi, come il bellissimo “M'han domandato ieri cosa è una pelliccia. E' una pelle che ha mutato bestia”, e il giudizio su un uomo politico importante, che “Sapeva poco e quel poco che sapeva lo diceva male”. Al Ferrigni è attribuita una curiosa epigrafe di cui a Firenze si parlò a lungo: sulla tomba di Donatello fu apposta una scultura che lo rappresentava morente, come un uomo deperito, ma di un’età solo matura, al massimo di 50 anni, senza considerare che Donatello morì ottantenne. Alla base del monumento qualcuno scrisse le seguenti parole, che parafrasavano la Traviata di Verdi: “Gran Dio morir si giovane, io che ho vissuto tanto!”.
Da toscanaccio irriverente, quasi anticipatore dei personaggi della serie Amici Miei, Yorick conservò il suo spirito fino alla fine. Registrò un suo contemporaneo: "Assalito contemporaneamente da varie e pur gravissime malattie, mentre stava sul letto doloroso, scrisse una cartolina ad un amico in cui descriveva, scherzando, d'esser diventato bianco, rosso e verde, e finiva: Viva l'Italia!. Due giorni dopo moriva".
Nel 1856 assunse il nome di Yorick ispirato dal personaggio dell'Amleto di Shakespeare; qualche anno più tardi, dopo la lettura del Viaggio sentimentale e de La vita di Tristam Shandy di Laurence Sterne (che si firmava Yorick), decise di modificare il proprio pseudonimo in Yorick figlio di Yorick.
La sua fama è legata soprattutto ad alcuni versi stravaganti, che ne fanno uno dei principali scrittori volontari di nonsense (ché ce ne sono anche stati di involontari) nel nostro paese. Le sue rime più note sono senza dubbio quelle di Parole per musica, scritte nel 1881 per la Strenna dell’Associazione della Stampa periodica in Italia:
Quando talor frattanto,
forse, sebben così;
giammai piuttosto alquanto
come perché bensì;
Ecco repente altronde,
quasi eziandio perciò,
anzi, altresì laonde
purtroppo invan però!
Ma se per fin mediante,
quantunque attesoché,
ahi! sempre, nonostante,
conciossiacosaché!
Ideato per mettere in ridicolo le insulsaggini di certi libretti d’opera, il componimento, conosciuto anche con il titolo di Mistero, non è tuttavia originale. Esso è largamente ispirato da un'analoga bizzarria francese pubblicata due anni prima sull’Intermédiaire, “à propos de chansons plus ou moins étranges”:
Toute ainsi comme,
De même, parce que,
Car aussi bien que;
Si toutefois pourtant,
Peut-être nonobstant,
En toujours, néanmoins!
La versione di Yorick è senz’altro migliore di quella francese, sia per l’armonia del verso, sia per la collocazione delle parole, che rende il componimento una vera e propria poesia senza senso.
Il Ferrigni era un vero maestro nello scrivere versi dall’apparenza seriosa e in realtà talmente assurdi da muovere al riso. Ne sono prova quelli che scrisse su un metro allora in voga tra gli ultimi romantici:
Una nave che salpa dal porto
Saltellando con passo scozzese,
è lo stesso che prendere un morto
per pagarlo alla fine del mese.
Salto di Socrate,
bacio di Giuda,
la donna è nuda…
Waterloò!
Tornando poi a infierire contro i librettisti d’opera, Yorick figlio di Yorick trasse questa “cavatina” basata sui controsensi:
Io ti amavo e non ti aborro
Quanto odiar può un cor gentile,
mentre immobile trascorro
un sentier che più non è.
Ah perché dovrà un covile
L’ampio arcano mio svelare?
Dell’aurora al tramontare,
deh! Conducimi con te.
E il tramontare dell’aurora fa ricordare i versi strampalati di un altro toscano, Gervaso Cerchiai, il quale, nella prima metà dell’Ottocento, recitava per strada, con lo scopo di far ridere gli amici, ottave come queste:
L’altra mattina, verso mezzanotte,
levavan certi frati il pozzo nero,
e una civetta nelle occulte grotte
cantava un’aria del Marin Faliero.
Intanto Aristodemo in una botte,
bestemmiando, domava un suo destriero,
e dai cassetti di un armadio vecchio,
mi venne una postema in un orecchio.
Fu invece involontario il nonsense del barone leccese Filippo De Raho, che nel 1859 pubblicò un inno in occasione del soggiorno in città di Ferdinando II di Borbone con il seguente incipit che ne fa piuttosto un seguace dell’Ingarrica:
Dall’occaso il sol sorgea…
E la mente corre allora a quell’episodio del film Ecce Bombo di Nanni Moretti, con la vana attesa dell’alba sul Tirreno, dove il sole non sarebbe mai sorto guardando verso il mare, o al Battiato esoterico di “Trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Ma sto divagando.
Tornando a Yorick, un esempio del suo spirito è fornito dai testi delle conferenze che teneva sui più disparati argomenti. Il 28 febbraio 1882, alla Mostra della Società di “Scoraggiamento” alle Belle Arti di Firenze, tenne una prolusione sui bottoni nell'arte, suddivisa in due parti: influenza dei bottoni sullo sviluppo dell'arte e influenza dell'arte sullo sviluppo dei bottoni. Il discorso si sviluppa attraverso una costante allusione erotica che diventa spesso scoperto gioco sui meccanismi della seduzione. Il Ferrigni procede con una arguta dissacrazione sul tema del corpo nudo e del corpo vestito, partendo dalla foglia di fico e raggiungendo vertici di irresistibile malizia: se Eva si fosse potuta abbottonare la foglia, forse il genere umano avrebbe evitato le conseguenze del peccato originale. Non è azzardato leggere in curiose dissertazioni come queste l’annuncio dello spirito futurista.
Concludo segnalando alcuni aneddoti curiosi che lo riguardano. Comincio con un paio di epigrammi, come il bellissimo “M'han domandato ieri cosa è una pelliccia. E' una pelle che ha mutato bestia”, e il giudizio su un uomo politico importante, che “Sapeva poco e quel poco che sapeva lo diceva male”. Al Ferrigni è attribuita una curiosa epigrafe di cui a Firenze si parlò a lungo: sulla tomba di Donatello fu apposta una scultura che lo rappresentava morente, come un uomo deperito, ma di un’età solo matura, al massimo di 50 anni, senza considerare che Donatello morì ottantenne. Alla base del monumento qualcuno scrisse le seguenti parole, che parafrasavano la Traviata di Verdi: “Gran Dio morir si giovane, io che ho vissuto tanto!”.
Da toscanaccio irriverente, quasi anticipatore dei personaggi della serie Amici Miei, Yorick conservò il suo spirito fino alla fine. Registrò un suo contemporaneo: "Assalito contemporaneamente da varie e pur gravissime malattie, mentre stava sul letto doloroso, scrisse una cartolina ad un amico in cui descriveva, scherzando, d'esser diventato bianco, rosso e verde, e finiva: Viva l'Italia!. Due giorni dopo moriva".
Io m'illudo di averci a che fare (con questo post) per via di un mio precedente commento e mi sto inorgogliendo tutto!
RispondiEliminaDevo trovare una scusa per farlo sapere all'universo mondo e allora confesso che ascolto volentieri l'opera e trovo "certi libretti" semplicemente deliziosi. Ogni volta rabbrividisco a "Di quella pira l'orrendo foco / tutte le fibre m'arse, avvampò!... / Empi, spegnetela, o ch'io fra poco /col sangue vostro la spegnerò!"
Googlate, ci sono millanta video in Youtube e vedete se non vi vengono gli sgriccioli?
Alas, poor Yorick...
RispondiEliminaColapesce
I knew him, Horatio.
RispondiEliminacomplimenti per il blog. anselmo
RispondiEliminaAnselmo, un complimento da parte tua per me vale molto. Grazie, e torna.
RispondiEliminaGrazie, grazie, grazie!!!
RispondiEliminaMi hai riportato alla felice epoca di quando, bambina, mio padre (persona di buona cultura e grande spirito, oltreché un giocherellone) ci dilettava esattamente con tali poesiole, di cui peraltro non conoscevo l'autore. A me piaceva anche cercare di sostituire con altri avverbi, rispettando la metrica, un verso o due di "Parole per musica".
All'epoca era anche per noi lettura obbligata Achille Campanile, soprattutto "Ma che cos'è quest'amore" ("l'illustre e compianto Francesco Ilario Rossi" era quasi un amico di famiglia), che può essere stato l'ispiratore, nella scena d'amore in cui le parole vengono sostituite per "pruderie", del già da me citato "Rayuela" di J. Cortazar.
In epoca successiva, già ragazzina, mi sono spostata su P.G. Wodehouse.
Grazie ancora.
La perfida nera
Non che condivida quel qual certo senso di sdolcinatezza qual quel tanto di intrinseco wodehusiano del mio animo mi spinge a sarcasticare, ma che altresì vado ad esprimere a sprezzo di ogni mio rischio e pericolo, Perfidy (se posso chiamarti Perfidy, naturalmente, e non so perché):
RispondiEliminaSe ti do un bacino, non è che mi dai la baia, eh...?
Zeb
Niente baia. Perfidy fa benissimo. Mio moglie ogni tanto, memore del Mephisto di Tex Willer, mi chiama Perfido Quaqui. Il PQ vive in una nube di sabbia che si sposta nel deserto a ovest di Sonora e trascina con sè balle di cactus.
RispondiEliminaFa benissimo a far che, Perfidy?
RispondiEliminaTex non l'ho frequentato molto: preferivo Zagor, per Chico ovviamente... e quindi delle balle di cactus non sapevo niente, ma probabilmente potrei trovar lì la spiegazione di tanti misteri esistenziali... non solo miei e non solo io, a ben pensarci.
E quindi questo ci insegna a guardarci dal Filantropo Integrale, che non si sa mai quando come e perché può colpire...
Ho scritto fa invece di va! Un saluto dal Perfido Quaqui all'Oracolo della Notte. Woah!
RispondiEliminaSito delizioso ��
RispondiEliminaSto cercando il discorso del granduca di Toscana che ricordo come:” quinci ragion per cui vinci sovente guarì fatevi i ponti coi vostri denari” me lo diceva mia madre ,Che ora hal’Alzheimer
c'è qualcuno che sa una filastrocca lodigiana che diceva
RispondiEliminaE TOLTO DA UN FANFULLA
UN POLLO ANCOR FUMANTE...
maghobby@yahoo.it
Interessantissimo. Cercavo da tanto tempo questo testo e finalmente l'ho trvato
RispondiElimina