Visualizzazione post con etichetta Einstein. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Einstein. Mostra tutti i post

giovedì 19 agosto 2021

Poesia del ‘900 e scienza (5): “Siamo parte di un'interazione”

 


La realtà come processo

Forse l'esposizione più influente della modernità scientifica è stata Science and the Modern World (1925) del filosofo, logico e matematico Alfred North Whitehead (1861-1947), che concepiva la realtà come un processo nel quale non è possibile operare una distinzione tra soggetto e oggetto; e ciò in rapporto all'insieme di collegamenti dati dagli oggetti esterni che costituiscono il campo del possibile e dell'esistente. 

“Il progresso della scienza ha ora raggiunto un punto di svolta. Le fondamenta stabili della fisica sono andate in pezzi: così per la prima volta la fisiologia si sta affermando come un effettivo corpo di conoscenza, distinto da un cumulo di rottami. I vecchi fondamenti del pensiero scientifico stanno diventando incomprensibili. Tempo, spazio, materia, materiale, etere, elettricità, meccanismo, organismo, configurazione, struttura, schema, funzione, tutti richiedono una reinterpretazione. Che senso ha parlare di una spiegazione meccanica quando non si sa che cosa voglia dire meccanica?

Nella stessa opera, Whitehead parlava della necessità di “ampliare lo schema scientifico in un modo che sia utile alla scienza stessa”:

“Il punto di fronte al quale ci troviamo è che il campo del pensiero scientifico è ora, nel ventesimo secolo, troppo ristretto per analizzare i fatti concreti che gli stanno davanti. Questo è vero anche in fisica, ed è particolarmente urgente nelle scienze biologiche. Quindi, per comprendere le difficoltà del pensiero scientifico moderno e anche i suoi riflessi sul mondo moderno, dovremmo avere in mente un’idea di campo di astrazione più ampio, un'analisi più concreta, che si avvicini di più alla completa concretezza della nostra esperienza intuitiva”.

Whitehead sosteneva che la realtà consiste di processi piuttosto che di oggetti materiali, e che i processi sono meglio definiti dalle loro relazioni con altri processi, rifiutando così la teoria secondo cui la realtà è fondamentalmente costituita da pezzi di materia che esistono indipendentemente l'uno dall'altro. 

Per la filosofia del processo di Whitehead, sviluppata in Process and reality (1929) "è urgente vedere il mondo come una rete di processi interconnessi di cui siamo parti integranti, in modo che tutte le nostre scelte e azioni abbiano conseguenze per il mondo che ci circonda".

Il suo pensiero (per molti aspetti influenzato dal suo amore per i Romantici, in particolare per The Prelude di Wordsworth) fu da molti poeti interpretato come legittimazione di una poesia di processo, che riflette un nuovo mondo quasi caotico, di difficile interpretazione.


"La rosa nella polvere d'acciaio", l’immagine prodotta dalle forze elettromagnetiche che Ezra Pound (1885-1972) descrisse nei suoi primi, controversi, saggi, sembrava incarnare il misterioso flusso di energie verso un disegno che egli vedeva nell'arte primitiva; e fornire un modello per l'immagine come "nodo o cluster radiante". Poco dopo tale modello divenne il “vortice”, che Pound derivò sia da una lettura dei presocratici sia dalle scienze moderne (in particolare, dall’opera di Helmholtz sui vortici in idrodinamica, sviluppata da Lord Kelvin per la sua teoria degli atomi-vortice). Ciò che il vocabolo consentiva era un'idea di stile dettato dalle energie dei materiali coinvolti, producendo la poesia come un campo di attività in cui gli elementi esistono in relazione dinamica e organica tra loro. A Pound è attribuita la coniazione del termine Vorticismo. Nel suo saggio "Vortex", pubblicato nel 1914, sottolinea la relazione del vorticismo con il movimento, notando: "Il vortice è il punto di massima energia. Rappresenta, in meccanica, la massima efficienza. Usiamo le parole 'massima efficienza' nel senso preciso, come sarebbero usate in un libro di testo di Meccanica”.

Anche il matematico, filosofo, semiologo, logico e scienziato statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914), uno dei padri del pragmatismo, fu un punto di riferimento. Secondo Peirce, nel mondo non esiste alcuna necessità, e anzi esso è immerso nel dominio del caso (del clinamen epicureo e lucreziano). Solamente il metodo scientifico può accogliere la correzione e perciò accetta la sua fallibilità. Il fallibilismo fu un elemento prioritario del pensiero di Peirce, anticipando quello di Karl Popper, allo stesso modo del concetto dell'evoluzione, tipico della sua epoca. Non solo argomentò contro il determinismo in The Doctrine of Necessity Examined (1892), ma per scrittori successivi, come la poetessa, attivista, femminista americana Muriel Rukeyser (1913-1980), funse da pensatore fondamentale in relazione alla nozione di un campo interpretativo in cui il poeta, la poesia e il lettore interagiscono tutti insieme. Nel saggio The Life of Poetry (1949), vero e proprio inno d’amore per la poesia, Rukeyser illustrò questa poetica della connessione, affermando che il poeta, lo scienziato e il matematico cercano "un sistema di relazioni" e che lo scambio di energie è centrale sia per la poesia che per la scienza (Secondo Henri Poincaré, i matematici non studiano oggetti, ma relazioni fra oggetti; per loro, dunque, è indifferente sostituire alcuni oggetti con altri, a condizione che le relazioni non cambino. A loro non importa la materia, importa solo la forma).


Poesia come campo d’azione

Nell'opera di altri poeti questa idea diventa una teoria della poesia completamente elaborata. William Carlos William (1883-1963) riteneva che la fisica einsteiniana avesse aperto la strada a una nuova concezione della forma poetica, oltre che dello spazio-tempo. Nella conferenza The Poem as a Field of Action tenuta all’Università di Washington nel 1948, ne formalizzò il fondamento teorico: anche se i poeti hanno aperto l'immaginario del loro lavoro per includere i paesaggi industriali e altri nuovi soggetti, sostiene Williams, è lo stesso modo di far poesia che deve essere rivoluzionato. 

“Come possiamo accettare la teoria della relatività di Einstein, che influenza la nostra stessa concezione dei cieli intorno a noi di cui i poeti scrivono così tanto, senza incorporare il suo fatto essenziale – la relatività delle misurazioni – nella nostra categoria di attività: il poema. Pensiamo di stare al di fuori dell'universo? O che fa la Chiesa d'Inghilterra? La relatività vale per tutto, come l'amore, se vale per qualunque cosa al mondo”. (...)

Applicando la teoria della relatività di Einstein alla "relatività delle misurazioni", Williams sostiene che "le nostre poesie non sono realizzate in modo abbastanza sottile, la struttura, il modo posato della poesia non è in grado di far passare i nostri sentimenti"

Spring and All, "La primavera e tutto il resto" (1923) composta più di vent'anni prima di questa conferenza, è stata vista dalla critica come la prima raccolta di Williams a illustrare la sua idea del poema come campo d'azione. La raccolta è la precoce testimonianza di una fra le più inesauste e febbrili esperienze di poesia del Novecento, e mostra quanto l'esperienza di destrutturazione dell'arte cubista e la violenza inaudita della grande guerra appena conclusa avessero destrutturato la parola poetica, rendendo necessaria l'apertura di un inedito, incognito approccio. Cosi in By the road to the contagious hospital (Sulla strada per l’ospedale infettivologico):

Lifeless in appearance, sluggish
dazed spring approaches—

They enter the new world naked,
cold, uncertain of all
save that they enter. All about them
the cold, familiar wind—

Now the grass, tomorrow
the stiff curl of wild carrot leaf
One by one objects are defined—
It quickens: clarity, outline of leaf

But now the stark dignity of
entrance—Still, the profound change
has come upon them: rooted, they
grip down and begin to awaken


In apparenza senza vita, pigra
la primavera stordita si avvicina—


Entrano nudi nel nuovo mondo,
freddo, incerti di tutto
salvo che arrivare. Tutto intorno a loro
il vento freddo e familiare —

Ora l'erba, domani
il rigido ricciolo della foglia di carota selvatica
Uno per uno gli oggetti sono definiti —
Si anima: chiarezza, contorno di foglia

Ma ora la cruda dignità
dell’arrivo. Eppure, il profondo cambiamento
è giunto su di loro: radicati, essi
intuiscono e iniziano a svegliarsi.

La teoria di Williams è stata successivamente sviluppata da Charles Olson (1910-1970) come composition by field (composizione per campo), che si concentra sul movimento tra gli elementi in una poesia o tra più testi poetici, dove la poesia è concepita come un insieme di forze, uno spazio discorsivo con le proprie relazioni interne tra gli elementi. Ad esempio, la prima strofa di In Cold Hell, in Thicket (Nel freddo inferno, nel folto) recita:

In cold hell, in thicket, how
abstract (as high mind, as not lust, as love is) how
strong (as strut or wing, as polytope, as things
are constellated)
how strung, how cold
can a man stay (can men) confronted
thus?

All things are made bitter, words even
are made to taste like paper, wars get tossed up
like lead soldiers used to be
(in a child’s attic) lined up
to be knocked down, as I am,
by firings from a spit-hardened fort, fronted
as we are, here, from where we must go

God, that man, as his acts must, as there is always
a thing he can do, he can raise himself, he raises
on a reed he raises his

Or, if it is me,
what he has to say

 

Nel freddo inferno, nel folto, quanto
astratto (come le grandi menti, non come la libidine, come l’amore) quanto
forte (come pilastro o ala, come politopo, come
una costellazione di cose)
quanto teso, quanto freddo
può̀ restare un uomo (gli uomini) messo così
a confronto?

Ogni cosa si fa ostile, persino le parole
prendono un sapore di carta, si dispongono guerre
come soldatini di piombo erano
(nel solaio di un bimbo) allineati
per essere poi abbattuti, come me,
dai colpi di un fortino indurito di saliva, contrapposti
come siamo, qui, da dove dobbiamo andare

Dio, quell’uomo, poiché́ i suoi atti urgono, poiché́ c’è sempre
qualcosa che lui può̀ fare, può̀ sollevarsi, può̀ levarsi
su una cannuccia può̀ levare il suo

Oppure, se sono io,
quello che ha da dire

Come Williams, Olson vide lo spazio non euclideo della scienza moderna come una giustificazione delle sue procedure, suggerendo che il reale può in effetti essere una questione di forma: una disposizione dinamica di forze o percorsi. Il suo saggio del 1957, Equal, That Is, to the Real Itself, spiega l'implicazione di questa visione della poesia in termini di un campo metrico "riemanniano" in cui lo spazio testuale si piega intorno alla realtà.


Grovigli infiniti

In Italia queste idee sono giunte con considerevole ritardo, con una sola eccezione, rappresentata non da un poeta (casomai occasionale e non proprio modernista), ma da un saggista, prosatore e filosofo laureato in ingegneria. Pur essendosi nutrito di una solida cultura positivistica, Carlo Emilio Gadda (1893-1973) non accettava la purezza denotativa della lingua, inadeguata a rappresentare i sistemi complessi e il pluralismo delle concause destinate a tessere continue trame relazionali. All’immagine deterministica della «catena crudamente obbiettivante» egli contrappone «quella di una maglia o rete: ma non di una maglia a due dimensioni […] o a tre dimensioni […], sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti» (in Meditazione milanese, scritta alla fine degli ‘20 ma pubblicata solo nel 1974). Secondo Gadda, nessun oggetto esiste isolatamente, ma solo come punto nodale ove confluisce il complesso infinito delle relazioni di detto oggetto con innumerevoli altri:

Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola. I filamenti di questo grumo ci portano ad altro, ad altro, infinitamente ad altro. 

L’oggetto non è un'isola inaccessibile in una realtà composta di tanti elementi contigui, bensì «un nucleo o groviglio di relazioni attuali». Non può essere pensato indipendentemente dalle relazioni in cui è coinvolto, poiché non si può sceverare il nocciolo duro del suo essere, la parte immutabile che potesse entrare o meno in relazione con il mondo, e ne restasse comunque incolume. Non ci sono gli oggetti da un lato, le relazioni fra gli oggetti dall’altro. Le apparenze ottiche e la pigrizia mentale – «i grossi e bovini occhî imbambolati dalla luce del giorno e dalla sua falsa dialettica», – ci fanno vedere l’oggetto come se fosse definito nel recinto dei propri contorni, mentre esso è raggiunto ininterrottamente da altri oggetti, anzi da tutti gli altri oggetti, così come viceversa esso raggiunge loro: sicché l’essere reale dell’oggetto sta nella totalità di tutte le sue implicazioni. Discendono da queste premesse i principi più saldi della poetica gaddiana: la tensione enciclopedica del «pasticcio», espressione di una realtà caotica, ovvero della «baroccaggine» del mondo, e l’ostinata avversione alla tesi dell’unicità dell’io, «il più lurido dei pronomi», ancora in vita nonostante che la scienza abbia chiarito che «il cosiddetto ‘uomo normale’ è un groppo, o gomitolo o groviglio o garbuglio, di indecifrate (da lui medesimo) nevrosi» (I viaggi la morte, 1958).

La continuità, o addirittura l’equivalenza fra dentro e fuori è un pilastro centrale della poetica di molti artisti del Novecento. Si pensi all’errabondo e schizofrenico Dino Campana (1885-1932) di Pampa, per il quale la confusione fra oggettivo e soggettivo, la nevrosi, non fu una mera formula stilistica, bensì una intuizione vissuta sulla propria pelle.

(...) Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero!
Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane?
Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava incomprensibilmente il destino.
Poi la stanchezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi.
La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale in un silenzio profondo.
Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti
per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.

La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona.
Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense.
E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente
e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra:
il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito.
Mi ero alzato.
Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.


Relazioni intertestuali

Un risultato della teoria dei campi applicata alla poesia è un senso accresciuto delle relazioni intertestuali. Da Pound in poi, i poeti hanno prodotto testi in cui sono disseminate le parole di altri, lasciando al lettore una relazione dinamica tra i frammenti così dispersi, come nelle molteplici fonti di Pound nei Cantos, legate insieme nel vortice della storia o nei testi sparsi di Melville in Melville's Marginalia della poetessa visuale e pittrice americana Susan Howe (n, 1937). In Italia, la stessa tecnica sarà adottata da Balestrini, Sanguineti e Pagliarani. Una pratica così diffusa solleva domande fondamentali sui limiti dell'originalità nell'arte (e come non ricordare le considerazioni di Walter Benjamin sulla sua riproducibilità tecnica?).

Il californiano Robert Edward Duncan (1919-1988) fu, per educazione familiare, un esponente della tradizione esoterica occidentale. Sebbene associato a diverse scuole letterarie, Duncan fu influenzato soprattutto dalla tradizione modernista di Pound, Williams e Lawrence. Omosessuale dichiarato e precursore della cultura hippy, fu una figura chiave nel cosiddetto Rinascimento di San Francisco dei primi anni ‘50 che anticipò la Beat Generation e la controcultura del decennio successivo. 

Duncan ottenne un notevole successo artistico e critico soprattutto con la raccolta The Opening of the Field (L'apertura del campo, 1960). La sua poesia è modernista nella sua preferenza per l'impersonale, mitico e ieratico, ma romantica nel privilegiare l'organico, l'irrazionale e il primordiale, il non ancora articolato che si fa strada nel linguaggio come un salmone che risale la corrente:

Neither our vices nor our virtues
further the poem. "They came up
and died
just like they do every year
on the rocks.

The poem
feeds upon thought, feeling, impulse,
to breed itself,
a spiritual urgency at the dark ladders leaping.

Né i nostri vizi né le nostre virtù portano
avanti il ​​poema. Sono cresciuti
e sono morti
proprio come fanno ogni anno
sulle rocce.

La poesia
si nutre di pensiero, sentimento, impulso,
per riprodursi,
un'urgenza spirituale che risale le scale oscure.

Il volume include brevi poesie liriche, una sequenza di poesie in prosa chiamata The Structure of Rime e il poema Poem Beginning with a Line by Pindar, che attinge materiali da Pindaro, Francisco Goya, Walt Whitman, Ezra Pound, Charles Olson e dal mito di Amore e Psiche in una fuga visionaria ed estatica alla maniera dei Canti pisani di Pound.

Il pittore, poeta, performer e editore londinese Allen Fisher (n. 1944), che ha lavorato come direttore di una fabbrica chimica, è più sistematicamente e materialmente interessato alla costruzione scientifica del mondo; egli legge la scienza moderna in senso lucreziano come una chiave per il flusso dell'esistenza, per connessioni e interazioni che nella sua astrazione non ha mai completamente umanizzato. È anche attento al modo in cui la tecnologia minaccia l’umano. Nei suoi primi lavori ha sperimentato tecniche di "randomizzazione", elaborando testi esistenti per allentare il significato e focalizzare l'attenzione sulla procedura; il suo lavoro successivo esplora l'ottica, i frattali, la gravitazione, la biologia, la genetica, la tecnologia, ordinando accuratamente questi campi (e dettagliando le sue fonti in elenchi di libri alla fine di ogni volume). In una certa misura eredita la teoria dei campi degli scrittori precedenti. In Place, XXXV scrive:

we are part of an interaction
ununified
electromagnetic and gravitational
fields contradict
birds sensitive to axis not polarity
fish
thru sea water see
through a moving conductor
flowing
past the lines of force
thru the magnetics
setting up a perpendicular current
a direction
of flow and field
contradicting reason

siamo parte di un'interazione
non unificata
elettromagnetica e gravitazionale
i campi contraddicono
uccelli sensibili all'asse non alla polarità
pesci
attraverso l'acqua di mare vedono
attraverso un conduttore in movimento
scorrere
oltre le linee di forza
attraverso il magnetismo
impostando una corrente perpendicolare
una direzione
di flusso e campo
che contraddice la ragione

Altrove Fisher impiega anche la teoria delle catastrofi e il "cambiamento di fase". Il risultato è un'estetica della frammentazione e del disordine che non cerca né un ordine superiore implicito che potrebbe organizzare il testo, né semplicemente rimane disperso. In Winging Step, il “Passo alato”, scrive con competenza di capillarità e della parte dell’ippocampo cerebrale connessa con la memoria del sé. 

Surface tension of droplets electric
pulse-pushed through perforations
generates liquid-bridge adhesive,
the shape of clouds, precisely recalled,
a clarity of directional signals in the right
entorhinal cortex correlated with the
performance of autobiographical memory, with
a specific neural representation in a network of regions
in support of spacetime cognition, where landscape
roughness and apparent quantum coherence
result in slow folding
unfolding and lucid harvesting of light.
How observations of leaves in rainfall and the structure of clouds
shape the memory that patterns knowing.

Tensione superficiale delle goccioline elettrica
pulsazione spinta attraverso perforazioni
genera adesione a ponte liquido,
la forma delle nuvole, ricordata con precisione,
una chiarezza di segnali direzionali nella corteccia
entorinale destra correlata con la
performance di memoria autobiografica, con
una specifica rappresentazione neurale in una rete di regioni
a sostegno della cognizione spaziotemporale, dove rugosità
e coerenza quantistica del paesaggio apparente
risultano in una piegatura lenta
dispiegamento e raccolta lucida della luce.
Come le osservazioni delle foglie sotto la pioggia e la struttura delle nuvole
modellano la memoria che modella la conoscenza.


Opera aperta

Ma in questa epoca di indeterminatezza, che senso ha l’opera di un autore, se è possibile darle mille interpretazioni diverse? Forse la domanda non è posta correttamente, come scrisse Umberto Eco in Opera Aperta (1962):

“Si potrebbe benissimo pensare che questa fuga dalla necessità sicura e solida e questa tendenza all'ambiguo e all'indeterminato, riflettano una condizione di crisi del nostro tempo; oppure, all'opposto, che queste poetiche, in armonia con la scienza di oggi, esprimano le possibilità̀ positive di un uomo aperto ad un rinnovamento continuo dei propri schemi di vita e conoscenza, produttivamente impegnato in un progresso delle proprie facoltà̀ e dei propri orizzonti. Ci sia permesso di sottrarci a questa contrapposizione così facile e manichea (...)

Avviene ad esempio che mentre apertura e dinamicità di un'opera richiamano le nozioni di indeterminazione e discontinuità, proprie della fisica quantistica, al tempo stesso i medesimi fenomeni appaiono come immagini suggestive di alcune situazioni della fisica einsteiniana. Il mondo multipolare di una composizione (...) in cui non esistano punti privilegiati ma tutte le prospettive sono egualmen­te valide e ricche di possibilità̀ appare molto vicino all'universo spazio-temporale immaginato da Einstein, in cui " tutto ciò̀ che per ciascuno di noi costituisce il passato, il presente, il futuro, è dato in blocco, e tutto l'insieme degli eventi successivi (dal nostro punto di vi­sta) che costituisce l'esistenza di una particella materiale è rappresentato da una linea, la linea d'universo della particella (...) Ciascun osservatore col passare del suo tempo scopre, per così dire, nuove porzioni dello spazio-tempo, che gli appaiono come aspetti successivi del mondo materiale, sebbene in realtà̀ l'insieme degli eventi che costituiscono lo spaziotempo esistesse già̀ prima di es­sere conosciuto” [De Broglie].

Quello che differenzia la visione einsteiniana dalla epistemologia quantistica è in fondo proprio questa fiducia nella totalità̀ dell'universo, un universo in cui discontinuità̀ ed indeterminatezza possono in fondo sconcertarci con la loro improvvisa apparizione, ma che in realtà, per usare le parole di Einstein, non presuppongono un Dio che gioca a dadi, ma il Dio di Spinoza, che regge il mon­do con leggi perfette. In questo universo la relatività è costituita dalla infinita variabilità̀ dell'esperienza, dalla infinità̀ delle misurazioni e. delle prospettive possibili, ma l’oggettività̀ del tutto risiede nell’invarianza delle de­scrizioni semplici formali (delle equazioni differenziali) che stabiliscono appunto la relatività̀ delle misurazioni empiriche. (...) Il Dio di Spinoza che nella metafisica einsteiniana è soltanto un dato di fiducia extra sperimentale, per l'opera d'arte di­viene una realtà di fatto e coincide con l'opera. ordinatrice dell'autore. Questi, in una poetica dell'opera in movimento, può̀ benissimo produrre in vista di un invito alla libertà interpretativa, alla felice indeterminazione de­gli esiti (...), ma questa possibilità̀ cui l'opera si apre è tale nell'ambito di un campo di relazioni. Come nell'universo einsteiniano, nell'opera in movimento il ne­gare che vi sia una sola esperienza privilegiata non im­plica il caos delle relazioni, ma la regola che permette l'organizzarsi delle relazioni. L'opera in movimento, in­somma, è possibilità̀ di una molteplicità̀ di interventi personali ma non è invito amorfo all'intervento indiscrimi­nato: è l'invito (...) ad inserirci liberamente in un mondo che tut­tavia è sempre quello voluto dall'autore. L'autore offre insomma al fruitore un'opera da finire, non sa esattamente in qual modo l'opera potrà̀ essere portata a termine, ma sa che l'opera portata a termine sarà̀ pur sempre la sua opera, non un'altra, e che alla fine del dialogo interpretativo si sarà̀ concretata una forma che è la sua forma, anche se organizzata da un altro in un modo che egli non poteva completamente prevedere: poiché egli in sostanza aveva proposto delle possibilità̀ già̀ razionalmente organizzate, orientate e dotate di esigenze organiche di sviluppo”.


sabato 31 luglio 2021

Poesia del ‘900 e scienza (4): “E ora arriva Einstein con un’idea”


Relatività, particelle e onde

La formulazione della teoria della relatività di Albert Einstein impose una diversa concezione del mondo e le certezze logico-matematiche che avevano permesso la visione deterministica e ottimista del positivismo ottocentesco e delle “sorti magnifiche e progressive” della scienza. Non era più possibile una rappresentazione della realtà rigorosamente definita nei suoi contorni oggettivi. Il “tempo” divenne, nel campo della fisica, una quarta dimensione di un continuum spazio-temporale in cui le distanze e gli intervalli temporali variavano al mutare del sistema di riferimento. Altri scienziati apportarono contributi fondamentali: Max Planck elaborò la teoria della quantizzazione dell’energia, Wolfgang Pauli formulò il principio di esclusione, Paul Dirac intuì l’esistenza dell’antimateria, Erwin Schrödinger fondò la meccanica ondulatoria e Karl Heisenberg teorizzò il principio di indeterminazione, per il quale certe grandezze non si possono misurare contemporaneamente. I paradigmi scientifici fino ad allora utilizzati furono sconvolti e mutarono definitivamente. La rassicurante visione univoca della realtà non esisteva più ed emerse la consapevolezza di una molteplicità di prospettive. Ciò si riflette nell’ultima strofa della poesia di Eugenio Montale Non chiederci la parola che squadri da ogni lato (da Ossi di seppia, 1923), in cui l’uomo sembra ormai potersi definire solo per negazione:

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Queste scoperte rappresentarono il fondamento da cui emersero i nuovi movimenti culturali che si affermarono all’inizio Novecento. Anche nella letteratura, il tempo, che era stato sempre rappresentato come un’entità esattamente quantificabile, progressiva e misurabile, e lo spazio, che era stato definito con precisione analitica, non erano più veritieri. Il tempo acquistò una dimensione sempre più interiore e aveva valore solo nella misura in cui era vissuto dalla coscienza dell’autore o del personaggio, allo stesso modo lo spazio, ben lontano dalle rappresentazioni naturalistiche, assunse solo una valenza simbolica, con contorni sfuggenti. Sempre Montale si farà interprete di questi sentimenti in Tempo e tempi (da Satura, 1971):

Non c'è un unico tempo: ci sono molti nastri
che paralleli slittano
spesso in senso contrario e raramente
s'intersecano. È quando si palesa
la sola verità che, disvelata,
viene subito espunta da chi sorveglia
i congegni e gli scambi. E si ripiomba
poi nell'unico tempo. Ma in quell'attimo
solo i pochi viventi si sono riconosciuti
per dirsi addio, non arrivederci.


Nei primi decenni del Novecento la molteplicità e la commistione delle forme letterarie, sia nella prosa che nella poesia, diventarono sempre più frequenti e necessarie per dare espressione alla scoperta di una realtà esterna e interiore estremamente complessa. 

Gli atteggiamenti nei confronti di Einstein rappresentano una sorta di indicatore di queste nuove prospettive. Drinking Song (1928) di Thomas Hardy vede il fisico tedesco come il culmine del processo di eliminazione dell'illusione umana iniziato con Copernico: 

And now comes Einstein with a notion —
Not yet quite clear
To many here —
That's there's no time, no space, no motion,
Nor rathe nor late,
Nor square nor straight,
But just a sort of bending-ocean.

E ora arriva Einstein con un’idea -
non ancora molto chiara
a molti qui -
che non c'è un tempo, non c'è uno spazio, non c'è movimento,
né presto né tardi,
né quadrato né dritto,
ma solo una sorta di oceano piegato

In St. Francis Einstein of the Daffodils, William Carlos Williams descrisse il clima primaverile di aprile con fiori, giardini e frutteti, il tutto con un titolo che combina il santo di Assisi con lo scienziato più famoso della sua epoca. L’autore, in questo caso meno sperimentale del solito, spiega nel sottotitolo che la poesia fu scritta in occasione del viaggio che Einstein fece negli Stati Uniti nel 1921. Lo scienziato teorico e il poeta visionario stavano cercando ciascuno di cogliere qualche nuova metafora del mondo. Einstein stava cambiando la fisica nel tempo in cui Williams e i modernisti stavano cercando di cambiare l'arte. Williams elaborò questo tema con descrizioni vivide dell’arrivo di una nuova stagione, ricca di promesse. Einstein giunge a New York sotto “il braccio morto” della Statua della Libertà, "alto come una viola” ed emerge “trionfante” dal mare come una Venere dalla conchiglia. Lui è la nuova nascita della Primavera.

… April Einstein
through the blossomy waters
rebellious, laughing
under liberty's dead arm
has come among the daffodils
shouting
that flowers and men
were created
relatively equal.
Old fashioned knowledge is
dead under the blossoming peach trees.

Einstein, tall as a violet
in the lattice arbor corner
is tall as a blossomy
pear tree! The shell
of the world is split
and from under the sea
Einstein has emerged
triumphant, St. Francis
of the daffodils! ...

… Einstein d’Aprile
attraverso le acque fiorite
ribelle, ridente
sotto il braccio morto della libertà
è arrivato tra i narcisi
urlando
che fiori e uomini
sono stati creati
relativamente uguali.
La conoscenza antiquata è
morta sotto i peschi in fiore.

Einstein, alto come una viola
nell'angolo del pergolato
è alto come un fiorente
pero! La conchiglia
del mondo è divisa
e da sotto il mare
Einstein è emerso
trionfante, San Francesco
dei narcisi! ...


In
Einstein, pubblicato in sole 150 copie numerate nel 1929, l’americano Archibald MacLeish presenta una giornata di meditazione che ricapitola le fasi principali della lotta fisica e spirituale di Einstein per comprendere l'universo fisico, dall'empirismo classico all'empatia romantica, fino alla moderna, introspettiva, fisica analitica. MacLeish lo considera un Prometeo solitario, alle prese con i segreti dell'universo. In versi sciolti, elaborati, evocativi, con inserti di prosa epigrammatica e con una ricca trama di immagini spaziali, la poesia narra la ricerca di Einstein della conoscenza.

… The Virgin of Chartres whose bleaching bones still wear
The sapphires of her glory knew a word—
That now is three round letters like the three
Round empty staring punctures in a skull.
And there were words in Rome once and one time
Words at Eleusis.
Now there are no words
Nor names to name them and they will not speak
But grope against his groping touch and throw
The long unmeaning shadows of themselves
Across his shadow and resist his sense.
    (Einstein hearing behind the wall of the Grand Hotel du Nord the stars discovers the Back Stair)

Why then if they resist destroy them. Dumb
Yet speak them in their elements. Whole,
Break them to reason.
He lies upon his bed
Exerting on Arcturus and the moon
Forces proportional inversely to
The squares of their remoteness and conceives
The universe.
Atomic.
He can count
Ocean in atoms and weigh out the air
In multiples of one and subdivide
Light to its numbers.
If they will not speak
Let them be silent in their particles.
Let them be dead and he will lie among
Their dust and cipher them—undo the signs
Of their unreal identities and free
The pure and single factor of all sums—
Solve them to unity.
Democritus
Scooped handfuls out of stones and like the sea
Let earth run through his fingers. Well, he too,
He can achieve obliquity and learn
The cold distortion of the winter's sun
That breaks the surfaces of summer.
    (Einstein on the terrasse of The Acacias forces the secret door) …

… La Vergine di Chartres le cui ossa sbiancate ancora indossano
gli zaffiri della sua gloria conosceva una parola:
che ora sono tre lettere rotonde come i tre
fori rotondi e vuoti in un teschio.
E una volta c'erano parole a Roma e ancora
parole a Eleusi.
Ora non ci sono parole
né nomi per indicarle, ed esse non parleranno
ma brancoleranno al suo tocco incerto e proietteranno
le lunghe ombre senza senso di sé stesse
attraverso la sua ombra e resisteranno alla sua perspicacia.
    (Einstein udendo le stelle dietro il muro del Grand Hotel du Nord scopre il Segreto)

Perché allora se resistono distruggile. Sciocco
eppure, parla loro nei loro elementi. Interi,
rompili per ragionare.
È sdraiato sul suo letto
esercitandosi su Arturo e la Luna
forze inversamente proporzionali ai
quadrati della loro distanza e concepisce
l'universo.
Atomico.
Può contare
l’oceano di atomi e pesare l'aria
in multipli di uno e suddividere
la luce nei suoi numeri.
Se non parleranno
lascia che siano silenziosi nelle loro particelle.
Lascia che siano morti e egli giacerà tra
la loro polvere e li numererà - annullerà i segni
delle loro identità irreali e libererà
il puro e unico fattore di tutte le somme -
risolvili all'unità.
Democrito
scavò manciate di pietre e come il mare
lascia che la terra scorra tra le sue dita. Ebbene, anche lui
può raggiungere l'obliquità e imparare
la fredda distorsione del sole invernale
che rompe le superfici dell'estate. ...
    (Einstein sulla terrazza delle Acacie forza la porta segreta)

The Student (1932) di Marianne Moore mostra lo scienziato tedesco come l'incarnazione dell'apertura mentale scientifica:

… He might not say
it of the student who shows interest in the stranger’s resumé

by asking “when will your experiment be finished, Doctor Einstein?”
and is pleased when Doctor Einstein smiles and says politely
“science is never finished.” …

… Potrebbe non dirlo
dello studente che mostra interesse per il curriculum dello straniero

chiedendo "quando sarà finito il suo esperimento, dottor Einstein?"
ed è contento quando il dottor Einstein sorride e dice educatamente
“la scienza non è mai finita”. …

La scienza e la tecnologia fornivano nuove metafore per la comunicazione poetica: telegrafia, telefonia, radio e televisione hanno suggerito le possibilità di una trasmissione delle idee più rapida e meno mediata; così come fece la relativa pseudoscienza dello spiritualismo, sempre importante nel modernismo con il nuovo vigore fornitogli dalle “realtà invisibili”. Nella Lettre–Ocean di Apollinaire (1914) il testo, affiancato dalla sigla TSF (telegrafo senza fili), è disposto a partire da un centro di irradiazione da cui si dipartono parole come onde hertziane. 


Mentre in Italia si scontava l’arretratezza scientifica (tranne rare eccezioni) e il prevalere culturale e politico dell’idealismo nella sua declinazione crociana, oltremanica le cose andarono diversamente. Il poeta più importante nella diffusione delle idee scientifiche all'interno del modernismo anglofono fu indubbiamente Ezra Pound, che firmò alcuni dei suoi saggi “Helmholtz” e che utilizzò nel corso della sua carriera un vocabolario derivato dalla scienza, dall'ingegneria alla medicina. La scienza per Pound serviva a due scopi: rafforzare l'autorità culturale del critico e fornire metafore che potessero spiegare o dare energia a un nuovo stile. 

I poeti modernisti erano tutti affascinati dalle forme d'onda come modello per il trasferimento delle energie. Nel 1912 Pound aveva dichiarato che “L'uomo è – la parte sensibile di lui – un meccanismo… piuttosto come un apparecchio elettrico, interruttori, cavi, ecc.”. L'idea di "immaginazione senza fili" di F. T. Marinetti è ripresa nell'entusiasmo di Pound per le trasmissioni radiofoniche come modalità di comunicazione diretta. Nel Canto 38, Pound raffigura Marconi che incontra (e in un certo senso soppianta) il papa.

… Marconi knelt in the ancient manner
like Jimmy Walker sayin’ his prayers.
His Holiness expressed a polite curiosity
as to how His Excellency had chased those
electric shakes through the a’mosphere. …

… Marconi si inginocchiò alla maniera antica
come Jimmy Walker* che dice le sue preghiere.
Sua Santità espresse una cortese curiosità
su come Sua Eccellenza avesse inseguito quelle
scosse elettriche attraverso l'atmosfera. …

(*) sindaco di New York tra il 1926 è il 1932

L’inglese William Olaf Stapledon, ispiratore di molti scrittori di fantascienza, tra il 1912 e il 1926 pubblicò poesie, prima di dedicarsi completamente ai romanzi. La sua opera maggiore in questo campo fu la raccolta Astronomical Posters, 23 poesie filosofiche e scientifiche riguardanti soprattutto il rapporto dell’uomo con le immensità cosmiche, Le poesie furono dattilografate, ma mai date alle stampe tutte insieme. Poem 2 è un esempio perfetto del suo stile:

Children suppose that chairs and tables
are an audience to their play;
and we, children always,
must still pretend
that the stars
care.
And yet we know them globes of gas,
immense and fervid,
but vapid.
We call them fixed,
and ancient.
And yet they fly like dust on the wind;
and each in its phases
is a cloud changing,
and like a man must end.
Not always was the heaven this wide
fire-pricked void.
Once was a closer, glimmering darkness,
whence the stars
crystallised.
In that beginning the sun was not,
life was not spawned,
nor anywhence
looked mind.
Nor Russell, Wells, nor Freud, nor Bernard Shaw
gospelled as yet through dark suburbia.

I bambini immaginano che sedie e tavoli
siano il pubblico alla loro recita;
e noi, bambini per sempre,
dobbiamo ancora pensare
che le stelle
ci guardano.
Tuttavia sappiamo che esse sono globi di gas,
immense e ferventi,
ma insulse.
Le diciamo fisse
e antiche.
Ma volano come polvere nel vento;
e ciascuna nelle sue fasi
è una nube che cambia,
e come un uomo deve finire.
Non sempre fu il cielo questo vasto
vuoto punteggiato di fiamme.
Una volta era una più chiusa, baluginante tenebra,
dalla quale le stelle
si cristallizzarono.
In quell’inizio il sole non era,
la vita non era seminata,
né da qualche parte
guardava la mente.
Né Russell, Wells, né Freud o Bernard Shaw
predicavano ancora tra le buie periferie.


Quando insegnava letteratura all’Amherst College, Robert Frost conobbe il premio Nobel Niels Bohr, che vi tenne due conferenze nel 1923 sulla struttura atomica e la fisica quantistica. Scrisse allora
For once, then, something ("Per una volta, allora, qualcosa") interpretando poeticamente l’evanescenza delle particelle atomiche, o della Verità stessa.

Others taunt me with having knelt at well-curbs
Always wrong to the light, so never seeing
Deeper down in the well than where the water
Gives me back in a shining surface picture
Me myself in the summer heaven godlike
Looking out of a wreath of fern and cloud puffs
Once, when trying with chin against a well-curb,
I discerned, as I thought, beyond the picture,
Through the picture, a something white, uncertain,
Something more of the depths—and then I lost it.
Water came to rebuke the too clear water.
One drop fell from a fern, and lo, a ripple
Shook whatever it was lay there at bottom,
Blurred it, blotted it out. What was that whiteness?
Truth? A pebble of quartz? For once, then, something.

(da New Hampshire, 1923)

Gli altri mi prendono in giro perché mi chino sulle vere dei pozzi
sempre in sfavore di luce, quindi senza mai vedere
più in profondità nel pozzo rispetto a dove l'acqua
mi restituisce un'immagine in una superficie splendente
di me, me stesso nell’estivo paradiso divino
che guarda fuori da una corona di felci e sbuffi di nuvole.
Una volta, spingendo con il mento contro una vera,
ho scorto, come pensavo, al di là dell'immagine,
attraverso l'immagine, qualcosa di bianco, incerto,
qualcosa di più profondo e poi l'ho perso.
Dell’acqua è giunta per rimproverare l'acqua troppo limpida.
Una goccia è caduta da una felce ed ecco che un'increspatura
ha scosso qualunque cosa fosse là in fondo,
l’ha offuscato, cancellato. Cos'era quel candore?
Verità? Un ciottolo di quarzo? Per una volta, allora, qualcosa.

La consapevolezza di questa vera e propria rivoluzione gnoseologica permette di comprendere la complessità di pensiero che caratterizza i personaggi di Luigi Pirandello, la cui caratteristica è un radicale relativismo. L’autore coglie perfettamente il crollo delle certezze prima possedute affermando l’”universale ed eterno fluire della vita”. La personalità che crediamo coerente ed unitaria è solo un’illusione, infatti gli altri ci vedono secondo la loro particolare prospettiva, che è in realtà una costruzione fittizia, una maschera.  

La società appare artificiosa e di conseguenza in tutta l’opera pirandelliana si riscontra il rifiuto dei ruoli, delle regole e delle forme che essa impone, da quelli familiari a quelli economici. Poiché nella visione pirandelliana domina un radicale relativismo conoscitivo, ne deriva un’inevitabile incomunicabilità tra gli uomini, che finiscono col rimanere confinati in un senso di dolorosa solitudine, che li porta ad essere “nessuno”. 

È curioso notare che Pirandello non concordava con chi avvicinava il relativismo esistenziale dei suoi personaggi alla teoria della relatività di Einstein: in un’intervista del 1922 dichiarò “… ebbene, quei problemi erano unicamente miei, erano sorti nel mio spirito, si erano naturalmente imposti al mio pensiero. Solo dopo, quando i miei primi lavori apparvero mi fu detto che quelli erano i problemi del tempo, che altri, come me, in quello stesso periodo si consumavano su di essi. E oggi ancora io non conosco Einstein”. In seguito in due ebbero modo di incontrarsi fugacemente più volte. Nell’agosto del 1935 i due si videro a Princeton, dove il fisico tedesco insegnava e Pirandello era stato invitato a latere del suo viaggio negli Stati Uniti per accordi, poi rivelatisi infruttuosi, con le major hollywoodiane per gli adattamenti delle sue opere al cinema. Einstein una volta gli aveva detto “siamo parenti”, ma Pirandello condivideva a fatica l’associazione che si faceva tra il suo relativismo conoscitivo ed esistenziale e la teoria della relatività. In realtà, questo isomorfismo era uno specchio dei tempi, ma non era cercato. Il rendez-vous di Princeton fu segnato da una reciproca incomprensione, umana e politica.