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lunedì 3 maggio 2021

Sviluppo e affermazione della tettonica delle placche

La teoria della tettonica delle placche è stata introdotta dal geofisico e geologo canadese John Tuzo Wilson (1908-1993) in due fondamentali articoli del 1963 e del 1965. Nel 1963 (A possible origin of the Hawaiian Islands, in Canadian Journal of Physics) Wilson sviluppò uno dei concetti fondamentali della tettonica a zolle, con la sua ipotesi sull'origine dei punti caldi (in inglese hotspot), formazioni vulcaniche attive per lunghissimi periodi di tempo. Wilson ipotizzò che il magma traesse origine da una colonna di materiale ad alta temperatura, detta pennacchio (plume), del diametro di 100-250 km, localizzata in punto fisso all'interno del mantello terrestre. Il magma, risalito alla superficie, darebbe origine a un'isola. Lo spostamento delle placche sopra agli hotspot darebbe origine a una catena di vulcani allineati lungo il percorso della zolla, come una dorsale oceanica, ma asismica. Inoltre, interpretò le catene del Pacifico centrale come tracce del passaggio della zolla pacifica su un pennacchio di materiale in risalita dal mantello profondo.

Figura 1. Secondo l’idea di Tuzo Wilson, gli hotspot si trovano sopra un pennacchio stazionario del mantello. Attraverso il suo condotto largo circa 100 km, il magma alimenta i vulcani di superficie. Quando una placca si muove sopra questo pennacchio stazionario, l'attività vulcanica si estingue su un particolare vulcano e ne viene formato uno nuovo. I vecchi vulcani spenti si abbassano progressivamente, formando una lunga catena di montagne sottomarine come la catena delle Hawaii.

Nell’ancora più importante articolo su Nature nel 1965 (A New Class of Faults and their Bearing on Continental Drift), egli definì la natura delle placche e dei loro confini e discusse il movimento continuo delle placche rigide l'una rispetto all'altra. Nel testo, Wilson fece notare la significativa somiglianza tettonica tra l'Oceano Atlantico da una parte e il Golfo di California e il Mar Rosso dall'altra, considerati degli oceani in apertura al di sopra di una zona di risalita di una corrente di convezione nel mantello. 

Altrettanto correttamente indicò le fosse oceaniche come le zone dove la corrente convettiva discende nell'interno del pianeta. Lo studio dei fondi oceanici ha mostrato che in corrispondenza della dorsale si forma continuamente nuova crosta oceanica, senza che ciò̀ comporti un aumento della superficie totale della Terra. Le analisi dei carotaggi effettuati nei sedimenti oceanici hanno stabilito che l’età̀ dei più̀ antichi sedimenti è al massimo di 180 milioni di anni, mentre l’età̀ delle più̀ antiche rocce della crosta continentale è di circa 4 miliardi di anni. Come spiegare che la superficie della Terra si mantiene costante e che le rocce continentali e quelle degli oceani hanno età̀ così diverse? Si può̀ ipotizzare che la litosfera oceanica venga distrutta dopo una fase di espansione e di progressivo allontanamento dalla dorsale. Questo processo potrebbe spiegare l’età relativamente giovane della litosfera oceanica. Le ricerche oceanografiche hanno infatti evidenziato, ai margini dei continenti, l’esistenza delle profonde fosse oceaniche. Queste regioni sono interessate da frequenti e violenti fenomeni sismici con ipocentri anche molto profondi. In un articolo del 1949, quando cioè il modello della tettonica delle zolle non era ancora accettato, Hugo Benioff, del California Institute of Technology, aveva osservato che gli ipocentri dei sismi, registrati lungo una fascia larga 50 km della costa occidentale dell'America settentrionale diventavano progressivamente più profondi man mano che ci si avvicinava al continente. Benioff non solo aveva confermato l'osservazione fatta dal sismologo Kiyoo Wadati dell'Agenzia Meteorologica Giapponese nel 1935, ma ipotizzò anche che questi fenomeni fossero il risultato della subduzione di una placca litosferica sotto un'altra. Le fosse oceaniche sono quindi il luogo dove la crosta oceanica viene distrutta. Il piano di Wadati-Benioff, definito dall'allineamento degli ipocentri dei sismi che si creano lungo la linea di contatto delle due placche indica così un piano ideale, dove la litosfera oceanica sprofonda sotto la litosfera continentale. La pendenza media di questo piano è variabile: generalmente, tanto maggiore è l'inclinazione, tanto più la roccia che sprofonda è densa (e quindi fredda e vecchia, lontana dalla dorsale). 


Figura 2. Quando una placca subsidente (solitamente composta da litosfera oceanica) si immerge sotto una placca sovrastante, si verificano terremoti superficiali al confine della placca e terremoti più profondi nella placca discendente. I terremoti profondi, con ipocentri che possono raggiungere i 650 km, formano il piano di Wadati-Benioff. 

Le fosse abissali formano una fascia che circonda l’Oceano Pacifico, a non grande distanza dalla costa, e sono caratterizzate da intensa attività vulcanica in una fascia più esterna rispetto al centro dell’oceano (arco vulcanico). Tuttavia, il vulcanismo associato alle fosse abissali è molto diverso da quello delle dorsali: mentre il secondo è dato da magmi basici, fluidi e non esplosivi, il primo dà luogo a fenomeni esplosivi alimentati da magma acido e ricco di vapori. Ciò accade perché non tutto il materiale creato nei pressi delle dorsali si immerge fondendo sotto la placca continentale con un lento movimento di subduzione che provoca grandi attriti che si manifestano come terremoti. La fusione graduale della crosta oceanica e dei sedimenti che la ricoprono produce grandi volumi di magma chimicamente diverso e più leggero, che risale verso la superficie e alimenta il vulcanismo degli archi vulcanici, insulari o continentali. I primi si formano quando le porzioni di crosta oceanica si immergono sotto altra crosta oceanica, mentre i secondi nascono quando porzioni di crosta oceanica subducono sotto la crosta continentale. Due classici esempi di arco insulare sono le Isole Marianne nell'Oceano Pacifico occidentale e le Piccole Antille nell'Oceano Atlantico occidentale. Le Ande rappresentano invece un esempio di arco continentale.

Figura 3. Un arco vulcanico è una successione di vulcani che si estende in linea su una vasta area (tipicamente diverse centinaia di chilometri), più o meno a forma di arco. I numerosi archi vulcanici che circondano la zolla del Pacifico formano la cosiddetta cintura di fuoco (fire belt), che si estende dalla Nuova Zelanda al Sud America attraverso le isole Aleutine. Anche le Piccole Antille nell’Atlantico formano un arco vulcanico.

Di gran lunga, furono le idee di Wilson sulle faglie trasformi che all’epoca ebbero il maggiore impatto. Le dorsali medio oceaniche sono interrotte da numerose fratture trasversali, più o meno perpendicolari all’asse della catena, che la disarticolano in un complicato insieme di segmenti spostati e in movimento rispetto a quelli contigui. Lungo queste spaccature risale continuamente dal mantello magma al alta temperatura che solidifica come roccia basaltica. Inoltre, in queste zone di frattura si verificano numerosi terremoti con ipocentro poco profondo. Per spiegare la natura e la geometria di tali spaccature, Wilson identificò e denominò un nuovo tipo di faglia, la faglia trasforme, cioè una faglia lungo il confine di una placca in cui il movimento è prevalentemente orizzontale. Essa termina bruscamente dove si collega a un altro confine di placca, un'altra faglia analoga, una dorsale che si allarga o una zona di subduzione. La maggior parte di tali faglie si trovano nella crosta oceanica, dove costituiscono la struttura laterale tra segmenti di confini divergenti, formando uno schema a zig-zag. Un numero minore di tali faglie si trova sulla terraferma, sebbene queste siano generalmente più conosciute, come la faglia di San Andreas e la faglia dell'Anatolia settentrionale. 


Figura 4. Se due placche scorrono una di fianco all'altra, si parla di faglia trasforme. Un esempio tipico è la faglia di San Andreas in California.

Negli anni immediatamente successivi altri studiosi diedero contributi fondamentali per fare della tettonica delle placche il paradigma unificante della tettonica crostale. Si studiò innanzitutto la geometria dei movimenti delle placche rigide, che furono descritti come rotazioni sulla superficie terrestre, da considerare con buona approssimazione sferica, sulla base del Teorema di Eulero del punto fisso. Ciò significa che una placca superficiale rigida può̀ essere spostata (traslata) ad una nuova posizione mediante una rotazione intorno ad una asse unicamente definito. Il moto relativo tra due placche adiacenti è completamente specificato dalla posizione (latitudine e longitudine) di un polo di rotazione (detto polo di Eulero) e di una velocità angolare. Considerando la superficie terrestre composta da una serie di blocchi crostali rigidi delimitati da dorsali, fosse e grandi faglie, si ipotizzò che non vi siano stiramenti, pieghe o distorsioni di alcun tipo all'interno un dato blocco. 

Figura 5.  Polo di rotazione su una sfera. La placca A ruota intorno alla placca B, con gli assi delle dorsali che cadono su cerchi massimi che si intersecano al polo di rotazione e le faglie trasformi oceaniche che sono situate lungo piccoli cerchi concentrici attorno al polo di rotazione. La velocità angolare delle placche aumenta con l'aumentare della distanza dal polo di rotazione.

I sismologi analizzarono i meccanismi dei terremoti sulle dorsali medio-oceaniche, nel solco che si trova in corrispondenza del loro asse (rift valley) e le loro estensioni continentali, utilizzando i dati di diverse reti sismografiche di lungo periodo, scoprendo che il meccanismo di ciascuno dei sismi che si trova su una zona di frattura risultava caratterizzato da una predominanza di faglie quasi verticali (strike-slip) che separano blocchi che si muovono orizzontalmente. Il senso del movimento strike-slip era in accordo con quello previsto per le faglie trasformi e con le ipotesi di crescita del fondale marino sulla cresta del sistema di dorsale medio-oceanica. 

In un articolo del 1968, Isacks, Oliver e Sykes (Seismology and the New Global Tectonic) sostennero che uno studio completo delle osservazioni della sismologia fornisce un forte supporto per la nuova tettonica globale, che si fonda sulle ipotesi di deriva dei continenti, espansione del fondo marino, faglie trasformi e subduzione della litosfera negli archi insulari. I fenomeni sismici sono generalmente spiegati come il risultato di interazioni in corrispondenza o in prossimità dei bordi di alcune grandi placche mobili di litosfera che si aprono sulle dorsali oceaniche, dove sorgono nuovi materiali superficiali, scivolano lungo le grandi faglie trasformi di scorrimento, e convergono negli archi insulari e nelle strutture ad arco dove i materiali superficiali discendono. Lo studio della sismicità mondiale mostrò che la maggior parte dei terremoti è limitata a cinture continue strette che delimitano ampie aree stabili.


Figura 6. Tipi di bordi di placca.

Seguirono altri anni in cui gli esperti di geoscienze si affrettarono a testare ulteriormente i nuovi concetti ed elaborarli, studiando il modello globale completo delle placche in geometria sferica, verificando la loro rigidità laterale, e quindi iniziando ad applicare il paradigma delle placche alle situazioni reali per comprendere la geologia continentale e dei confini continentali su scala globale. 

All'inizio degli anni '70, il termine "tettonica delle placche" era ben consolidato nel vocabolario delle scienze della Terra. Oggi, la litosfera terrestre viene divisa in sette placche grandi e alcune più piccole. Le placche si muovono lentamente a una velocità di pochi centimetri all'anno e cambiano dimensione. Le placche possono essere interamente costituite da rocce continentali, sia continentali che oceaniche, o interamente da rocce oceaniche.


Figura 7. Mappe di John Tuzo Wilson che illustrano l'attuale rete di margini di placca mobili, comprendente le catene primarie attive e gli archi delle isole in compressione (linee continue), faglie trasformi attive (linee tratteggiate chiare) e dorsali medie oceaniche attive in tensione (linee tratteggiate in grassetto) (Wilson, 1965). 

Figura 8. Carta aggiornata delle placche tettoniche e delle interazioni tra i loro margini.

Poiché certi oceani (come l’Atlantico) hanno dorsali in espansione, ma non fosse di subduzione, l’accrescimento della loro crosta oceanica comporta un allontanamento tra i continenti che li bordano, come sta avvenendo tra l’America settentrionale e l’Europa. Alcune placche sono invece circondate in gran parte da margini costruttivi, per cui la loro superficie tende ad aumentare (Africa, Antartide); altre tendono a mantenere la loro superficie, altre ancora tendono a ridurla. Il bilancio globale di produzione e consumo della litosfera è comunque in equilibrio, per cui l’estensione della superficie terrestre tende a non modificarsi. In questo complesso sistema, il movimento di ogni placca è condizionato da quello di tutte le altre.

Quando una placca che contiene un continente viene spinta a ridosso di una fossa oceanica, la litosfera continentale, più leggera, non può sprofondare. In questo caso è la crosta oceanica che forma la fossa ad infilarsi sotto la litosfera continentale lungo il piano di Benioff con un processo di subduzione. Il margine continentale, coperto da grandi volumi di sedimenti marini, viene deformato dal grande attrito contro la crosta oceanica. Spinte da forze enormi, queste masse rocciose, cui si aggiungono frammenti della crosta oceanica, finiscono per saldarsi al margine del continente. Contemporaneamente, la fusione della litosfera in discesa produce grandi volumi di magmi, che risalgono formando ammassi di rocce intrusive (batoliti) in profondità e alimentando un diffuso vulcanismo in superficie. Le forti pressioni e le alte temperature producono nella zona intensi fenomeni di metamorfismo regionale. Si instaura così un processo di orogenesi, che si manifesta con il sollevamento di una nuova catena montuosa (come nel caso delle Ande e delle Alpi).

Se invece la placca in subduzione contiene anch’essa un continente, si verifica una collisione: ciò genera una lunga catena montuosa nella zona di contatto. L’oceano che separava i due continenti si riduce fino a scomparire, e il suo fondale viene in gran parte riassorbito per subduzione. Alcuni frammenti del “pavimento” basaltico vengono però coinvolti nella collisione e si ritrovano lungo l’asse della catena montuosa che si sta formando, sotto forma di ammassi di rocce ultrabasiche, spesso metamorfosate, le ofioliti. Di tale scontro tra placche continentali sono testimonianza le montagne dell’Himalaya, generate dallo scontro tra la placca eurasiatica e quella indiana, che si era separata da quella africana spostandosi verso nord-est.

Quando il contatto avviene tra due placche oceaniche, una parte del materiale della zona in subduzione risale, formando un arco vulcanico (all’inizio sottomarino, ma che può poi emergere), il quale, con il tempo, può saldarsi al continente per formare una nuova fascia di crosta.

In alcuni casi fosse e dorsali possono diventare inattive, oppure possono svilupparsi margini distensivi dove prima non c’erano, innescando un processo di risalita magmatica e di fratturazione che porta alla nascita di un nuovo oceano, come sta avvenendo nella rift valley dell’Africa orientale, nel Mar Rosso e nella faglia di Sant’Andrea in California.

Sulla base del "Principio di uniformità" di Hutton, la tettonica a placche deve essere in corso da almeno tre miliardi di anni, se non di più. Tuttavia, l'inizio della tettonica a placche è ancora un argomento caldo di discussione scientifica. Alcuni credono che il meccanismo come lo vediamo oggi sia iniziato non prima del Neoproterozoico (da 1000 a 542 milioni di anni fa), documentato dalla prima apparizione di rocce formatesi ad alta pressione e bassa temperatura. Tuttavia, vi è un crescente consenso sul fatto che la tettonica a placche in generale sia iniziata molto prima. Durante gli ultimi 3 miliardi di anni i dati globali mostrano alcuni caratteri geologici e geochimici fondamentali, che possono essere un'espressione del raffreddamento del mantello terrestre e di corrispondenti cambiamenti nello stile convettivo e nella forza della litosfera, e possono testimoniare l'inizio e la propagazione graduali della tettonica delle placche. La tettonica delle placche primitive potrebbe addirittura essere iniziata subito dopo la solidificazione dell’oceano primordiale di magma, ma ciò è oggetto di dibattito. Indipendentemente da queste controversie, la tettonica a placche è in corso da un lungo periodo di tempo, in cui ha cambiato e continua a cambiare tuttora la faccia della Terra.

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Si conclude qui la mia piccola rassegna sull’evoluzione della tettonica delle placche, la più grande conquista della geologia del Novecento. Si trattò di una conquista collettiva, durata decenni, resa possibile non solo dalle intuizioni dei singoli, ma dalla collaborazione di un’intera comunità di esperti, parallela all’evoluzione di strumenti teorici e tecnologici senza i quali essa non avrebbe potuto procedere. Dal punto di vista pratico e concettuale è paragonabile alle grandi acquisizioni della fisica e della biologia, spesso più celebrate, ma, come queste ultime, è una dimostrazione di come la scienza oggi procede, si sviluppa e ampia gli orizzonti della nostra conoscenza.

giovedì 29 aprile 2021

Verso la tettonica delle placche

La teoria di Wegener della deriva dei continenti fu la scintilla che accese un nuovo modo di vedere la Terra che portò alcuni scienziati a cercare una spiegazione di come i continenti potessero muoversi. Robert Schwinner (1878-1953), un geologo e geofisico austriaco, aveva fatto rivivere una vecchia idea di von Humboldt secondo cui potrebbero esistere flussi di magma convettivi nel mantello e che i continenti stanno viaggiando loro in groppa. Il geologo e alpinista austriaco Otto Ampferer (1875-1947) ebbe un'idea simile e nel 1925 presentò il primo modello di correnti di convezione responsabili della deriva dei continenti (Fig.1). Già nel 1916 e, successivamente, nel 1928 il geologo olandese Frederik Molengraaf (1860-1942) identificò la dorsale medio atlantica come una struttura vulcanica e sostenne che poteva essere un luogo di espansione del fondo oceanico che stava separando i continenti su entrambi i lati dell'Atlantico. Ampferer seguì il suo esempio in un documento nel 1941 intitolato “Riflessioni sull’immagine del movimento dell’area atlantica”. Allo stesso modo, Arthur Holmes (1890-1965), un geologo britannico che si rese presto conto del grande potenziale della scoperta di Lord Rutherford del 1911 che la radioattività forniva un mezzo per misurare l'età dei minerali, aveva fornto una spiegazione per il motivo per cui i continenti potevano muoversi, ancora più avanzato delle teorie di Schwinner e Ampferer. Holmes suggerì che il calore intrappolato nel mantello terrestre causava correnti di convezione vaste e lente e che questa era la fonte di energia di cui Wegener aveva bisogno per far andare alla deriva i continenti. Nella prima edizione del suo libro Principles of Physical Geology, nel 1944, mostrò un disegno della convezione del mantello e scrisse: "Le correnti che scorrono orizzontalmente sotto la crosta porterebbero inevitabilmente i continenti con loro". Suggeriva anche che “le correnti (…) separano le due metà del continente originario, con conseguente costruzione di montagne dove le correnti scendono, e sviluppo del fondale oceanico sul sito della separazione, dove le correnti salgono". L'ultima affermazione si riferisce alle dorsali medio oceaniche; la loro scoperta fu un'altra pietra miliare nelle scienze della Terra che ha contribuito alla teoria della tettonica a placche, che ha progressivamente sostituito la teoria della deriva dei continenti. Ma quando, come e da chi è stata fatta la scoperta delle dorsali oceaniche?


Figura 1. Modello schematico che mostra le correnti di convezione responsabili della deriva dei continenti (Ampferer, 1925). Kontinentalscholle, continente; aufsteigende Strömung, corrente ascendente; absteigende Strömung, corrente discendente; Antrieb von innen, spinta dall'interno.

Nel 1850 Matthew Fontaine Maury (1806–1873), tenente della Marina degli Stati Uniti e oceanografo, ipotizzò una cresta nel mezzo dell'Oceano Atlantico mentre valutava i sondaggi acustici acquisiti con la nave di ricerca Dolphin. Presentò le sue scoperte in The Physical Geography of the Sea (1855, Fig. 2a). Pochi decenni dopo, la nave britannica HMS Challenger (1872–1876) partì per esplorare l'Oceano Atlantico. La prima carta batimetrica dell'intero Oceano Atlantico di Murray & Renard (1891), sintetizzata dai dati batimetrici acquisiti durante la spedizione HMS Challenger, rivela una struttura in mezzo all'oceano che può essere interpretata come una dorsale (Fig. 2b). Tuttavia, gli scarsi e rudimentali sondaggi acustici consentivano solo contorni generalizzati; doveva ancora essere realizzato un profilo più dettagliato della dorsale e del fondo oceanico. Per questo, bisogna tornare in Germania.

Fig. 2a. Prima mappa batimetrica, creata nel 1853 da Maury in collaborazione con la Marina degli Stati Uniti. 

Fig. 2b. Particolare dalla mappa del 1877 di Thomson basata sulle misurazioni della nave Challenger, che mostra la prima mappatura continua della dorsale medio-atlantica. 

Il chimico tedesco Fritz Haber (1868-1934), Premio Nobel per la chimica nel 1918 (ricevuto nel 1919) per il suo metodo per sintetizzare direttamente l’ammoniaca e paladino dell’uso dei gas tossici sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale, suggerì che la Germania avrebbe potuto alleviare i suoi debiti dopo la guerra estraendo oro dall'acqua di mare. Questo suggerimento era basato sul presupposto che l'oro fosse contenuto nell'acqua di mare in concentrazioni di 5-10 mg per tonnellata. Haber fu quindi segretamente incaricato del progetto. Nel 1925, la nave da ricerca tedesca Meteor partì in gran segreto per esplorare sistematicamente l'Oceano Atlantico dalla regione antartica ai tropici del Nord Atlantico. Furono esaminati enormi volumi di acqua di mare per ottenere informazioni sulla chimica e la temperatura dell'acqua e si condussero circa 67.000 sondaggi acustici. Dopo due anni di ricerca, Haber dovette riscontrare che il campione della crociera del Meteor aveva un contenuto medio di oro di 0,008 mg per tonnellata di acqua di mare e che quindi aveva fallito, essendoci meno oro di quanto si pensasse in precedenza. Tuttavia, per eterogenesi dei fini, la spedizione ebbe il merito di identificare con grande dettaglio una lunga dorsale che corre lungo il centro dell'Oceano Atlantico come illustrato nella prima carta batimetrica dettagliata dell'Atlantico meridionale (pubblicata da Maurer & Stock nel 1933). La cresta identificata in seguito divenne nota come dorsale medio atlantica. Si tratta di una dorsale medio-oceanica, cioè una catena montuosa sul fondo degli oceani terrestri, una chiave importante per la teoria della tettonica delle placche.

Fig. 3 Mappatura batimetrica dell’Atlantico eseguita dalla nave tedesca Meteor tra il 1925 e il 1927.

Molte furono le ipotesi sull’origine delle dorsali medio oceaniche, fino a quando il geologo americano Harry Hess (1906-1969), che condusse un'ampia mappatura dei fondali marini durante la Seconda guerra mondiale, pubblicò nel 1962 un articolo innovativo intitolato History of Ocean Basins, in cui sviluppava l’idea di espansione del fondale marino, precursore della tettonica delle placche. Hess riprese l'intuizione di Molengraaf secondo cui il fondale marino si forma sulla dorsale medio-oceanica e si sposta orizzontalmente dalla sua cresta verso una fossa oceanica, dove è subdotto nel mantello. La convezione nel mantello è la forza trainante di questo processo. Un anno prima, Dietz (1961) aveva proposto un concetto riferito alla "diffusione della teoria dei fondali marini"; la sua argomentazione non era tuttavia necessariamente indipendente (poiché il manoscritto di Hess circolava nei circoli scientifici dal 1959) e non era così dettagliata come quella di Hess. 

Lo studio del paleomagnetismo, cioè del campo magnetico del passato, è possibile attraverso l’analisi di molte rocce, che conservano “cristallizzata” nei minerali metallici la magnetizzazione esistente al momento della loro formazione. La ricerca paleomagnetica portò alla scoperta che la magnetizzazione conservata nelle rocce antiche era in genere diversa da quella del campo geomagnetico attuale, come se il polo magnetico si fosse spostato nel tempo. Ma le misure effettuate su rocce della stessa età di continenti diversi indicavano diverse posizioni del polo magnetico. Se ne dedusse che i continenti si erano spostati, scivolando e/o ruotando sulla superficie terrestre. Inoltre, in molte rocce di età diversa, la direzione di magnetizzazione risulta opposta a quella attuale come se, al momento della loro formazione, il polo Nord e il polo Sud si fossero invertiti. In molte rocce antiche si rilevarono numerose inversioni polarità. Si concluse che nel corso del tempo il campo geomagnetico è passato alternativamente da normale (orientato con il polo Nord) a inverso (orientato con il Polo Sud). Dagli anni '50 in poi, gli oceani del mondo sono stati ampiamente studiati con l’ausilio dei magnetometri. Sono state identificate anomalie magnetiche disposte in schemi lineari sul fondo marino subparallelo rispetto alle dorsali che si espandono nell'oceano, prima sul fondo del mare al largo della California (Fig. 4) e successivamente in altri bacini oceanici. Lawrence Morley (in un articolo inizialmente rifiutato da Nature) e Vine & Matthews (1963) sono stati i primi a riconoscere la loro importanza per fornire una spiegazione per questo modello lineare, che si è sviluppato a causa di numerose inversioni del campo magnetico terrestre. In pratica, la crosta oceanica non si è formata tutta insieme, ma in tempi diversi, e risultò tanto più antica quanto più ci si allontanava dalle dorsali. Ogni banda magnetica è stata magnetizzata conservando la polarità presente quando quel pezzo di fondale oceanico si è formato nella valle centrale sull'asse della dorsale medio-oceanica (fig. 5).

Figura 4. Anomalie magnetiche al largo della costa occidentale del Nord America. Le linee tratteggiate indicano i centri di diffusione sulle dorsali oceaniche.


Figura 5. Il profilo magnetico osservato per il fondo marino attorno a una dorsale medio-oceanica concorda strettamente con il profilo previsto dall'ipotesi Vine – Matthews – Morley.

Alla luce di queste nuove scoperte, era in arrivo una migliore comprensione di come il meccanismo sembra funzionare. Alcuni scienziati erano ancora scettici riguardo all'ipotesi delle correnti di convezione come motore principale della diffusione del fondo marino, e invece preferivano un'espansione generale della Terra, ma una rivalutazione della teoria di Wegener della deriva dei continenti stava diventando sempre più necessaria e apprezzata per la spiegazione dei movimenti orizzontali della crosta.

Il primo approccio computazionale in paleogeografia fu presentato da Edward Bullard (1907-1980), Jim E. Everett e Alan G. Smith (1937-2017) nel loro famoso articolo The fit of the continents around the Atlantic (1965), che mostrava un adattamento geometrico molto accurato dei continenti circumatlantici utilizzando il primo computer EDSAC 2 dell'Università di Cambridge. Essi usarono il vero "confine del continente", cioè il margine continentale invece delle linee costiere (Fig. 6). Questo adattamento divenne noto come "Bullard fit" (adattamento di Bullard), sebbene gran parte del lavoro fosse svolto dai coautori. Anche se erano interessati solo all'approccio cinematico e non stessero discutendo il meccanismo con cui i continenti si sono divisi e gli oceani si sono formati, l’articolo di Bullard, Everett & Smith può essere visto come una transizione tra le teorie della deriva dei continenti e quella attuale della tettonica delle placche. 

Figura 6. Bullard fit. Un fathom (braccio) è un'unità di lunghezza per misurare la profondità utilizzata dalla marina inglese e americana, pari a 6 piedi (1,8288 m).