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sabato 31 luglio 2021

Poesia del ‘900 e scienza (4): “E ora arriva Einstein con un’idea”


Relatività, particelle e onde

La formulazione della teoria della relatività di Albert Einstein impose una diversa concezione del mondo e le certezze logico-matematiche che avevano permesso la visione deterministica e ottimista del positivismo ottocentesco e delle “sorti magnifiche e progressive” della scienza. Non era più possibile una rappresentazione della realtà rigorosamente definita nei suoi contorni oggettivi. Il “tempo” divenne, nel campo della fisica, una quarta dimensione di un continuum spazio-temporale in cui le distanze e gli intervalli temporali variavano al mutare del sistema di riferimento. Altri scienziati apportarono contributi fondamentali: Max Planck elaborò la teoria della quantizzazione dell’energia, Wolfgang Pauli formulò il principio di esclusione, Paul Dirac intuì l’esistenza dell’antimateria, Erwin Schrödinger fondò la meccanica ondulatoria e Karl Heisenberg teorizzò il principio di indeterminazione, per il quale certe grandezze non si possono misurare contemporaneamente. I paradigmi scientifici fino ad allora utilizzati furono sconvolti e mutarono definitivamente. La rassicurante visione univoca della realtà non esisteva più ed emerse la consapevolezza di una molteplicità di prospettive. Ciò si riflette nell’ultima strofa della poesia di Eugenio Montale Non chiederci la parola che squadri da ogni lato (da Ossi di seppia, 1923), in cui l’uomo sembra ormai potersi definire solo per negazione:

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Queste scoperte rappresentarono il fondamento da cui emersero i nuovi movimenti culturali che si affermarono all’inizio Novecento. Anche nella letteratura, il tempo, che era stato sempre rappresentato come un’entità esattamente quantificabile, progressiva e misurabile, e lo spazio, che era stato definito con precisione analitica, non erano più veritieri. Il tempo acquistò una dimensione sempre più interiore e aveva valore solo nella misura in cui era vissuto dalla coscienza dell’autore o del personaggio, allo stesso modo lo spazio, ben lontano dalle rappresentazioni naturalistiche, assunse solo una valenza simbolica, con contorni sfuggenti. Sempre Montale si farà interprete di questi sentimenti in Tempo e tempi (da Satura, 1971):

Non c'è un unico tempo: ci sono molti nastri
che paralleli slittano
spesso in senso contrario e raramente
s'intersecano. È quando si palesa
la sola verità che, disvelata,
viene subito espunta da chi sorveglia
i congegni e gli scambi. E si ripiomba
poi nell'unico tempo. Ma in quell'attimo
solo i pochi viventi si sono riconosciuti
per dirsi addio, non arrivederci.


Nei primi decenni del Novecento la molteplicità e la commistione delle forme letterarie, sia nella prosa che nella poesia, diventarono sempre più frequenti e necessarie per dare espressione alla scoperta di una realtà esterna e interiore estremamente complessa. 

Gli atteggiamenti nei confronti di Einstein rappresentano una sorta di indicatore di queste nuove prospettive. Drinking Song (1928) di Thomas Hardy vede il fisico tedesco come il culmine del processo di eliminazione dell'illusione umana iniziato con Copernico: 

And now comes Einstein with a notion —
Not yet quite clear
To many here —
That's there's no time, no space, no motion,
Nor rathe nor late,
Nor square nor straight,
But just a sort of bending-ocean.

E ora arriva Einstein con un’idea -
non ancora molto chiara
a molti qui -
che non c'è un tempo, non c'è uno spazio, non c'è movimento,
né presto né tardi,
né quadrato né dritto,
ma solo una sorta di oceano piegato

In St. Francis Einstein of the Daffodils, William Carlos Williams descrisse il clima primaverile di aprile con fiori, giardini e frutteti, il tutto con un titolo che combina il santo di Assisi con lo scienziato più famoso della sua epoca. L’autore, in questo caso meno sperimentale del solito, spiega nel sottotitolo che la poesia fu scritta in occasione del viaggio che Einstein fece negli Stati Uniti nel 1921. Lo scienziato teorico e il poeta visionario stavano cercando ciascuno di cogliere qualche nuova metafora del mondo. Einstein stava cambiando la fisica nel tempo in cui Williams e i modernisti stavano cercando di cambiare l'arte. Williams elaborò questo tema con descrizioni vivide dell’arrivo di una nuova stagione, ricca di promesse. Einstein giunge a New York sotto “il braccio morto” della Statua della Libertà, "alto come una viola” ed emerge “trionfante” dal mare come una Venere dalla conchiglia. Lui è la nuova nascita della Primavera.

… April Einstein
through the blossomy waters
rebellious, laughing
under liberty's dead arm
has come among the daffodils
shouting
that flowers and men
were created
relatively equal.
Old fashioned knowledge is
dead under the blossoming peach trees.

Einstein, tall as a violet
in the lattice arbor corner
is tall as a blossomy
pear tree! The shell
of the world is split
and from under the sea
Einstein has emerged
triumphant, St. Francis
of the daffodils! ...

… Einstein d’Aprile
attraverso le acque fiorite
ribelle, ridente
sotto il braccio morto della libertà
è arrivato tra i narcisi
urlando
che fiori e uomini
sono stati creati
relativamente uguali.
La conoscenza antiquata è
morta sotto i peschi in fiore.

Einstein, alto come una viola
nell'angolo del pergolato
è alto come un fiorente
pero! La conchiglia
del mondo è divisa
e da sotto il mare
Einstein è emerso
trionfante, San Francesco
dei narcisi! ...


In
Einstein, pubblicato in sole 150 copie numerate nel 1929, l’americano Archibald MacLeish presenta una giornata di meditazione che ricapitola le fasi principali della lotta fisica e spirituale di Einstein per comprendere l'universo fisico, dall'empirismo classico all'empatia romantica, fino alla moderna, introspettiva, fisica analitica. MacLeish lo considera un Prometeo solitario, alle prese con i segreti dell'universo. In versi sciolti, elaborati, evocativi, con inserti di prosa epigrammatica e con una ricca trama di immagini spaziali, la poesia narra la ricerca di Einstein della conoscenza.

… The Virgin of Chartres whose bleaching bones still wear
The sapphires of her glory knew a word—
That now is three round letters like the three
Round empty staring punctures in a skull.
And there were words in Rome once and one time
Words at Eleusis.
Now there are no words
Nor names to name them and they will not speak
But grope against his groping touch and throw
The long unmeaning shadows of themselves
Across his shadow and resist his sense.
    (Einstein hearing behind the wall of the Grand Hotel du Nord the stars discovers the Back Stair)

Why then if they resist destroy them. Dumb
Yet speak them in their elements. Whole,
Break them to reason.
He lies upon his bed
Exerting on Arcturus and the moon
Forces proportional inversely to
The squares of their remoteness and conceives
The universe.
Atomic.
He can count
Ocean in atoms and weigh out the air
In multiples of one and subdivide
Light to its numbers.
If they will not speak
Let them be silent in their particles.
Let them be dead and he will lie among
Their dust and cipher them—undo the signs
Of their unreal identities and free
The pure and single factor of all sums—
Solve them to unity.
Democritus
Scooped handfuls out of stones and like the sea
Let earth run through his fingers. Well, he too,
He can achieve obliquity and learn
The cold distortion of the winter's sun
That breaks the surfaces of summer.
    (Einstein on the terrasse of The Acacias forces the secret door) …

… La Vergine di Chartres le cui ossa sbiancate ancora indossano
gli zaffiri della sua gloria conosceva una parola:
che ora sono tre lettere rotonde come i tre
fori rotondi e vuoti in un teschio.
E una volta c'erano parole a Roma e ancora
parole a Eleusi.
Ora non ci sono parole
né nomi per indicarle, ed esse non parleranno
ma brancoleranno al suo tocco incerto e proietteranno
le lunghe ombre senza senso di sé stesse
attraverso la sua ombra e resisteranno alla sua perspicacia.
    (Einstein udendo le stelle dietro il muro del Grand Hotel du Nord scopre il Segreto)

Perché allora se resistono distruggile. Sciocco
eppure, parla loro nei loro elementi. Interi,
rompili per ragionare.
È sdraiato sul suo letto
esercitandosi su Arturo e la Luna
forze inversamente proporzionali ai
quadrati della loro distanza e concepisce
l'universo.
Atomico.
Può contare
l’oceano di atomi e pesare l'aria
in multipli di uno e suddividere
la luce nei suoi numeri.
Se non parleranno
lascia che siano silenziosi nelle loro particelle.
Lascia che siano morti e egli giacerà tra
la loro polvere e li numererà - annullerà i segni
delle loro identità irreali e libererà
il puro e unico fattore di tutte le somme -
risolvili all'unità.
Democrito
scavò manciate di pietre e come il mare
lascia che la terra scorra tra le sue dita. Ebbene, anche lui
può raggiungere l'obliquità e imparare
la fredda distorsione del sole invernale
che rompe le superfici dell'estate. ...
    (Einstein sulla terrazza delle Acacie forza la porta segreta)

The Student (1932) di Marianne Moore mostra lo scienziato tedesco come l'incarnazione dell'apertura mentale scientifica:

… He might not say
it of the student who shows interest in the stranger’s resumé

by asking “when will your experiment be finished, Doctor Einstein?”
and is pleased when Doctor Einstein smiles and says politely
“science is never finished.” …

… Potrebbe non dirlo
dello studente che mostra interesse per il curriculum dello straniero

chiedendo "quando sarà finito il suo esperimento, dottor Einstein?"
ed è contento quando il dottor Einstein sorride e dice educatamente
“la scienza non è mai finita”. …

La scienza e la tecnologia fornivano nuove metafore per la comunicazione poetica: telegrafia, telefonia, radio e televisione hanno suggerito le possibilità di una trasmissione delle idee più rapida e meno mediata; così come fece la relativa pseudoscienza dello spiritualismo, sempre importante nel modernismo con il nuovo vigore fornitogli dalle “realtà invisibili”. Nella Lettre–Ocean di Apollinaire (1914) il testo, affiancato dalla sigla TSF (telegrafo senza fili), è disposto a partire da un centro di irradiazione da cui si dipartono parole come onde hertziane. 


Mentre in Italia si scontava l’arretratezza scientifica (tranne rare eccezioni) e il prevalere culturale e politico dell’idealismo nella sua declinazione crociana, oltremanica le cose andarono diversamente. Il poeta più importante nella diffusione delle idee scientifiche all'interno del modernismo anglofono fu indubbiamente Ezra Pound, che firmò alcuni dei suoi saggi “Helmholtz” e che utilizzò nel corso della sua carriera un vocabolario derivato dalla scienza, dall'ingegneria alla medicina. La scienza per Pound serviva a due scopi: rafforzare l'autorità culturale del critico e fornire metafore che potessero spiegare o dare energia a un nuovo stile. 

I poeti modernisti erano tutti affascinati dalle forme d'onda come modello per il trasferimento delle energie. Nel 1912 Pound aveva dichiarato che “L'uomo è – la parte sensibile di lui – un meccanismo… piuttosto come un apparecchio elettrico, interruttori, cavi, ecc.”. L'idea di "immaginazione senza fili" di F. T. Marinetti è ripresa nell'entusiasmo di Pound per le trasmissioni radiofoniche come modalità di comunicazione diretta. Nel Canto 38, Pound raffigura Marconi che incontra (e in un certo senso soppianta) il papa.

… Marconi knelt in the ancient manner
like Jimmy Walker sayin’ his prayers.
His Holiness expressed a polite curiosity
as to how His Excellency had chased those
electric shakes through the a’mosphere. …

… Marconi si inginocchiò alla maniera antica
come Jimmy Walker* che dice le sue preghiere.
Sua Santità espresse una cortese curiosità
su come Sua Eccellenza avesse inseguito quelle
scosse elettriche attraverso l'atmosfera. …

(*) sindaco di New York tra il 1926 è il 1932

L’inglese William Olaf Stapledon, ispiratore di molti scrittori di fantascienza, tra il 1912 e il 1926 pubblicò poesie, prima di dedicarsi completamente ai romanzi. La sua opera maggiore in questo campo fu la raccolta Astronomical Posters, 23 poesie filosofiche e scientifiche riguardanti soprattutto il rapporto dell’uomo con le immensità cosmiche, Le poesie furono dattilografate, ma mai date alle stampe tutte insieme. Poem 2 è un esempio perfetto del suo stile:

Children suppose that chairs and tables
are an audience to their play;
and we, children always,
must still pretend
that the stars
care.
And yet we know them globes of gas,
immense and fervid,
but vapid.
We call them fixed,
and ancient.
And yet they fly like dust on the wind;
and each in its phases
is a cloud changing,
and like a man must end.
Not always was the heaven this wide
fire-pricked void.
Once was a closer, glimmering darkness,
whence the stars
crystallised.
In that beginning the sun was not,
life was not spawned,
nor anywhence
looked mind.
Nor Russell, Wells, nor Freud, nor Bernard Shaw
gospelled as yet through dark suburbia.

I bambini immaginano che sedie e tavoli
siano il pubblico alla loro recita;
e noi, bambini per sempre,
dobbiamo ancora pensare
che le stelle
ci guardano.
Tuttavia sappiamo che esse sono globi di gas,
immense e ferventi,
ma insulse.
Le diciamo fisse
e antiche.
Ma volano come polvere nel vento;
e ciascuna nelle sue fasi
è una nube che cambia,
e come un uomo deve finire.
Non sempre fu il cielo questo vasto
vuoto punteggiato di fiamme.
Una volta era una più chiusa, baluginante tenebra,
dalla quale le stelle
si cristallizzarono.
In quell’inizio il sole non era,
la vita non era seminata,
né da qualche parte
guardava la mente.
Né Russell, Wells, né Freud o Bernard Shaw
predicavano ancora tra le buie periferie.


Quando insegnava letteratura all’Amherst College, Robert Frost conobbe il premio Nobel Niels Bohr, che vi tenne due conferenze nel 1923 sulla struttura atomica e la fisica quantistica. Scrisse allora
For once, then, something ("Per una volta, allora, qualcosa") interpretando poeticamente l’evanescenza delle particelle atomiche, o della Verità stessa.

Others taunt me with having knelt at well-curbs
Always wrong to the light, so never seeing
Deeper down in the well than where the water
Gives me back in a shining surface picture
Me myself in the summer heaven godlike
Looking out of a wreath of fern and cloud puffs
Once, when trying with chin against a well-curb,
I discerned, as I thought, beyond the picture,
Through the picture, a something white, uncertain,
Something more of the depths—and then I lost it.
Water came to rebuke the too clear water.
One drop fell from a fern, and lo, a ripple
Shook whatever it was lay there at bottom,
Blurred it, blotted it out. What was that whiteness?
Truth? A pebble of quartz? For once, then, something.

(da New Hampshire, 1923)

Gli altri mi prendono in giro perché mi chino sulle vere dei pozzi
sempre in sfavore di luce, quindi senza mai vedere
più in profondità nel pozzo rispetto a dove l'acqua
mi restituisce un'immagine in una superficie splendente
di me, me stesso nell’estivo paradiso divino
che guarda fuori da una corona di felci e sbuffi di nuvole.
Una volta, spingendo con il mento contro una vera,
ho scorto, come pensavo, al di là dell'immagine,
attraverso l'immagine, qualcosa di bianco, incerto,
qualcosa di più profondo e poi l'ho perso.
Dell’acqua è giunta per rimproverare l'acqua troppo limpida.
Una goccia è caduta da una felce ed ecco che un'increspatura
ha scosso qualunque cosa fosse là in fondo,
l’ha offuscato, cancellato. Cos'era quel candore?
Verità? Un ciottolo di quarzo? Per una volta, allora, qualcosa.

La consapevolezza di questa vera e propria rivoluzione gnoseologica permette di comprendere la complessità di pensiero che caratterizza i personaggi di Luigi Pirandello, la cui caratteristica è un radicale relativismo. L’autore coglie perfettamente il crollo delle certezze prima possedute affermando l’”universale ed eterno fluire della vita”. La personalità che crediamo coerente ed unitaria è solo un’illusione, infatti gli altri ci vedono secondo la loro particolare prospettiva, che è in realtà una costruzione fittizia, una maschera.  

La società appare artificiosa e di conseguenza in tutta l’opera pirandelliana si riscontra il rifiuto dei ruoli, delle regole e delle forme che essa impone, da quelli familiari a quelli economici. Poiché nella visione pirandelliana domina un radicale relativismo conoscitivo, ne deriva un’inevitabile incomunicabilità tra gli uomini, che finiscono col rimanere confinati in un senso di dolorosa solitudine, che li porta ad essere “nessuno”. 

È curioso notare che Pirandello non concordava con chi avvicinava il relativismo esistenziale dei suoi personaggi alla teoria della relatività di Einstein: in un’intervista del 1922 dichiarò “… ebbene, quei problemi erano unicamente miei, erano sorti nel mio spirito, si erano naturalmente imposti al mio pensiero. Solo dopo, quando i miei primi lavori apparvero mi fu detto che quelli erano i problemi del tempo, che altri, come me, in quello stesso periodo si consumavano su di essi. E oggi ancora io non conosco Einstein”. In seguito in due ebbero modo di incontrarsi fugacemente più volte. Nell’agosto del 1935 i due si videro a Princeton, dove il fisico tedesco insegnava e Pirandello era stato invitato a latere del suo viaggio negli Stati Uniti per accordi, poi rivelatisi infruttuosi, con le major hollywoodiane per gli adattamenti delle sue opere al cinema. Einstein una volta gli aveva detto “siamo parenti”, ma Pirandello condivideva a fatica l’associazione che si faceva tra il suo relativismo conoscitivo ed esistenziale e la teoria della relatività. In realtà, questo isomorfismo era uno specchio dei tempi, ma non era cercato. Il rendez-vous di Princeton fu segnato da una reciproca incomprensione, umana e politica.



giovedì 4 febbraio 2010

Stapledon, poeta cosmico


L’inglese William Olaf Stapledon (1886–1950) è stato ispiratore di molti scrittori di fantascienza, come Robert A. Heinlein, Isaac Asimov, Arthur C. Clarke e Greg Egan, solo per citarne alcuni. La sua biografia segnala tra il 1912 e il 1926 la pubblicazione di poesie, autonomamente e in opere collettive, e un testo di filosofia nel 1929, A Modern Theory of Ethics, ma più tardi passò alla narrativa.

Nel 1930 pubblicò il primo romanzo, Last and First Men, che è un vero testo fantascientifico (anche se l’opera di Stapledon può difficilmente essere incasellata in un genere), seguito da Last Men in London (1932), Odd John (1935), The Star Maker (1937). Sirius (1944), Death Into Life (1946) e The Flames (1947).

Last and First Men (pubblicato in italiano nel 1990 negli Oscar Mondadori con il titolo di Infinito), in un lasso di tempo di circa due miliardi di anni descrive la storia dell’umanità attraverso diciotto stadi di evoluzione, sulla Terra e altri pianeti. La storia è raccontata da uno degli Ultimi Uomini, che comunica attraverso la mente “docile ma scarsamente adeguata” di uno dei Primi Uomini (noi). Alcuni dei concetti introdotti dall’autore in questo romanzo sarebbero poi diventati il tema principale di molti libri di SF, come ad esempio l’ingegneria genetica o la trasformazione di altri pianeti per renderli adatti alla colonizzazione umana (terraforming).

Star Maker (Il costruttore di stelle nell’edizione italiana di Longanesi, 1975) può essere considerato per alcuni aspetti il seguito di Last and First Men, anche se la prospettiva della storia cessa di essere antropocentrica e diviene cosmica. Qui la storia è narrata da un gentiluomo inglese che intraprende un “viaggio astrale” fuori dal corpo che lo porta lontano dal nostro pianeta. Inizialmente spaventato, egli si rende pian piano conto di poter dirigere i suoi movimenti con la sola forza del pensiero. Dopo un grandissimo lasso di tempo incontra un altro spirito come lui, e insieme scoprono di poter combinare il potere delle loro menti per viaggiare ancor più velocemente nelle infinità dello spazio. Alla fine i due si fondono con innumerevoli altri, mentre osservano diverse forme di civiltà su diversi pianeti di lontani sistemi solari, alcune delle quali decisamente umane, altre talmente aliene da sfidare la comprensione. Ciascuno dei viaggiatori deve inoltre confrontarsi con gli errori e il dolore della propria stirpe quando incontrano lo Star Maker in persona, "il momento supremo del Cosmo".

Stapledon introdusse in questi romanzi diversi temi che si ritrovano nella maggior parte della sua opera, particolarmente il concetto di comunità come necessità per la realizzazione individuale e la generale consapevolezza dell’inadeguatezza della mente umana a scoprire la verità. Altre sue opere fantascientifiche degne di nota sono Odd John (la cui unica edizione italiana è l'introvabile Q.I. = 10000, Galassia, Udine, 1957), che narra di una razza di superuomini la cui qualità è di natura spirituale e intellettuale, e The Flames, che descrive le peripezie di esseri alieni, un tempo abitanti del Sole, la cui natura può essere liberata sulla Terra dal riscaldamento ad alta temperatura di rocce ignee. Death Into Life, che non può essere considerata SF in senso stretto, è invece un racconto speculativo di primissimo ordine, in cui l’autore esplora il dopo–vita di un equipaggio di un bombardiere della Seconda Guerra Mondiale esploso in volo.

Fino ai quarant’anni l’ambizione letteraria di Stapledon era quella di diventare poeta. La sua opera maggiore in questo campo fu la raccolta Astronomical Posters, 23 poesie filosofiche e scientifiche riguardanti soprattutto il rapporto dell’uomo con le immensità cosmiche, che doveva costituire la prima parte di un opera che avrebbe dovuto occuparsi anche dell’infinitamente piccolo. Le poesie furono dattilografate, ma mai date alle stampe tutte insieme. Qualcuna di esse fu poi inserita dall’autore in Last Men in London. Le poesie di Stapledon, di pregevole fattura e dalle profonde implicazioni filosofiche, costituiscono un’affascinante porta d’entrata al suo mondo fantastico, che si sarebbe espresso interamente nei successivi romanzi. Ne riporto qualche esempio:

Poem 2

Children suppose that chairs and tables
are an audience to their play;
and we, children always,
must still pretend
that the stars
care.
And yet we know them globes of gas,
immense and fervid,
but vapid.

We call them fixed,
and ancient.
And yet they fly like dust on the wind ;
and each in its phases
is a cloud changing,
and like a man must end.
Not always was the heaven this wide
fire-pricked void.
Once was a closer, glimmering darkness,
whence the stars
crystallised.
In that beginning the sun was not,
life was not spawned,
nor anywhence
looked mind.

Nor Russell, Wells, nor Freud, nor Bernard Shaw
gospelled as yet through dark suburbia.


I bambini immaginano che sedie e tavoli
siano il pubblico alla loro recita;
e noi, bambini per sempre,
dobbiamo ancora pensare
che le stelle
ci guardano.
Tuttavia sappiamo che esse sono globi di gas,
immense e ferventi,
ma insulse.

Le diciamo fisse
e antiche.
Ma volano come polvere nel vento;
e ciascuna nelle sue fasi
è una nube che cambia,
e come un uomo deve finire.
Non sempre fu il cielo questo vasto
vuoto punteggiato di fiamme.
Una volta era una più chiusa, baluginante tenebra,
dalla quale le stelle
si cristallizzarono.
In quell’inizio il sole non era,
la vita non era seminata,
né da qualche parte
guardava la mente.

Né Russell, Wells, né Freud, né Bernard Shaw
predicavano ancora tra le buie periferie.

Poem 15

If man encounter
on his proud adventure
other intelligence?

If mind more able,
ranging among the galaxies,
noose this colt and break him
to be a beast of draught and burden
for ends beyond him?
If man’s aim and his passion be ludicrous,
and the flight of Pegasus
but a mulish caper?

Dobbin! Pull your weight!
Better be the donkey of the Lord,
whacked on beauty’s errand,
than the wild ass of the desert
without destination.

Vision! From star to star the human donkey
transports God’s old street organ and his monkey.


Se l’uomo incontrasse
nella sua orgogliosa avventura
un’altra intelligenza?

Se una mente più capace,
vagando tra le galassie,
accalappiasse questo puledro e lo addestrasse
a essere un animale da tiro e da soma
per scopi a lui superiori?
Se l’intento dell’uomo e le sue passioni fossero ridicoli
e il volo di Pegaso
nient’altro che un balzo ostinato?

Ronzino! Fa la tua parte!
Meglio essere il somaro del Padrone,
bastonato per un compito di bellezza,
che il selvaggio asino del deserto
senza destinazione.

Visione! Da stella a stella il somaro umano
trasporta il vecchio organetto di Dio e la sua scimmietta.


Poem 17

If God has not noticed us ?
He is so occupied
with the crowded cycle of nature.

The sea’s breath,
by drenching the hills
and descending along the meadow brooklets
(whose backwaters
are playgrounds of busy insect populations),
returns seaward
to rise again.

Water beetles
skating on the stagnant skin of a backwater,
we get rumour of Oceanus,
of storm-driven worlds and island universes.
And we would annex them !
We would dignify the fiery currents of the Cosmos
by spawning in them!
But the minnow, death, he snaps us;
and presently some inconsiderable spate
will scour the cranny clean of us.

And long after man the stars
will continually evaporate in radiant energy
to recondense as nebulae
and again stars,
till here and there some new planet
will harbour again insect populations.


Se Dio non si fosse accorto di noi?
Egli è così occupato
con l’affollato ciclo della natura.

Il respiro del mare
inzuppando le colline
e scendendo lungo i ruscelletti del prato
(le cui acque stagnanti
sono terreni di gioco per popolazioni indaffarate d’insetti),
ritorna verso il mare
per risalire di nuovo.

Idrometre
che pattinano sulla superficie stagnante di una pozzanghera,
sentiamo voci di Oceano,
di mondi portati dalla tempesta e universi isolati
e vorremmo annetterceli!
Vorremmo nobilitare le impetuose correnti dell’Universo
con i nostri semi!
Ma il pesciolino, la morte, ci addenta improvvisa
e subito qualche piena trascurabile
liscerà via la nostra increspatura.

E, molto tempo dopo l’uomo, le stelle
evaporeranno continuamente energia radiante
per ricondensarsi come nebulose
e di nuovo stelle,
finché da qualche parte qualche nuovo pianeta
ospiterà di nuovo popolazioni d’insetti.