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lunedì 14 gennaio 2019

Dialoghi in veste di fumetto sull'Universo e tutto quanto


Spesso di dice che un buon libro scientifico sollevi più domande di quante risposte dia, nel senso che i suoi contenuti, il suo linguaggio, il suo stile invitano a saperne di più su uno o più argomenti, innescando un circolo virtuoso di curiosità e sete di conoscenza. Un buon libro invita anche all'introspezione, al desiderio da parte del lettore di porsi in discussione riguardo alle idee e alle certezze precedenti, magari scoprendo lacune da colmare o semplicemente nuovi orizzonti inaspettati da esplorare. Probabilmente non cambia la vita, ma invita a guardarla con occhi diversi da prima. Insomma, un buon libro segna un limite in cui ci si rende conto che esiste un prima e un dopo la sua lettura, un limite che non limita, ma è invece un luogo di partenza, o di ripartenza.

In effetti Dialoghi. Conversazioni sulla natura dell’Universo di Clifford V. Johnson è un libro un po’ sui generis. In primo luogo perché si articola in una serie di 11 dialoghi senza titolo, continuando una tradizione millenaria che annovera tra i suoi esponenti Socrate, Platone, e Galileo. La parola “dialogo” etimologicamente è διά-λογος, composto da dià, "attraverso" e logos, "discorso" e indica l’interazione verbale tra due o più persone come strumento per esprimere pareri e discutere idee o sentimenti. La ragione o il significato affiorano nel rapporto o nella comunicazione tra parti. Soltanto che, in questo caso, la scienza è più mostrata che raccontata.

La seconda importante particolarità del libro è infatti che si tratta di un’opera a fumetti. I protagonisti non agiscono in un contesto astratto, ma sono illustrati con visi, atteggiamenti, sentimenti nel loro contesto. Nell'opera di Johnson i dialoganti sono in genere giovani, che agiscono in luoghi pubblici quali musei, Università, caffetterie, treni, talvolta riprendendo e ampliando il discorso in un capitolo successivo. Alcuni sono ricercatori, ma utilizzano un linguaggio colloquiale per illustrare concetti anche ostici attraverso parole, schemi ed esempi semplici. In Dialoghi lo stile è diretto come in una graphic-novel o, come sostiene il premio Nobel per la fisica Frank Wilczek nella prefazione, in un nuovo sottogenere che chiama “graphic-dialogue”. La sceneggiatura è molto efficace; forse l’unico neo è il disegno dei personaggi, ma lo stesso autore ammette di non essere un grafico professionista.


Gli argomenti dei dialoghi gravitano tra fisica, cosmologia e filosofia e investono le cosiddette questioni fondamentali: la natura dell’universo, la “teoria del tutto”, la relatività, la fisica quantistica, la teoria delle stringhe, le simmetrie, i buchi neri, lo spaziotempo, i limiti fisici e l’impossibilità, l’infinito, Dio, morte e vita, ecc, senza tralasciare aspetti importanti come il metodo scientifico, la curiosità, l’utilità e la bellezza della matematica Ce n’è per suscitare l’interesse e la curiosità di chiunque, soprattutto dei giovani e dei non specialisti. Per questo motivo lo consiglio in modo particolare agli studenti degli ultimi anni delle superiori, alle biblioteche scolastiche e agli studenti universitari, non necessariamente di materie scientifiche. I temi sono affrontati con il necessario rigore e sono aggiornati con le scoperte più recenti: l’autore Clifford V. Johnson, inglese di nascita ma operante negli Usa, è fisico, divulgatore e consulente scientifico di importanti produzioni televisive e cinematografiche.

L’opera, uscita nel 2017 presso la MIT Press di Cambridge, Massachusetts, tradotta in italiano da Andrea Migliori, è stata pubblicata dalle Edizioni Dedalo di Bari nel novembre 2018. Considerando anche la bellezza della veste editoriale, il prezzo di copertina di 25 € è assolutamente onesto (e online si trova a meno).

Clifford V. Johnson, Dialoghi. Conversazioni sulla natura dell'Universo, Edizioni Dedalo, Bari, 2018. pp. 248, prezzo di copertina € 25, ISBN: 9788822057051

lunedì 11 dicembre 2017

“Pietroburgo” e il paradosso di Banach-Tarski.

La copertina dell'edizione di Adelphi

Come far passare la voglia di costruire ponti


Il moscovita Andrej Belyj, pseudonimo di Boris Nikolaevic Bugaev (1880-1934), è stato un poeta e romanziere, teorico del movimento simbolista in Russia nei primi decenni del ‘900. La sua opera più nota è il romanzo Pietroburgo, inizialmente pubblicato a puntate tra il 1913 e il 1914 e poi in forma rivista e abbreviata nel 1922 (la prima edizione italiana comparve da Garzanti nel 1961, con traduzione e saggio introduttivo di Angelo Maria Ripellino, e fu poi riedita nel 2014 da Adelphi). Secondo Vladimir Nabokov (1899-1977), Pietroburgo fa parte dei quattro più grandi capolavori del ventesimo secolo, accanto a l’Ulisse di Joyce, a La Metamorfosi di Kafka e Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Nonostante tale prestigioso elogio, l’opera ha diviso la critica: a Trotsky non piacque, e altri non apprezzarono il suo stile modernista, le metafore insistite, l’atmosfera cupa e apocalittica. Per saperne di più invito a leggere la splendida recensione che scrisse Pietro Citati quando l’opera fu pubblicata da Adelphi.

La critica più recente (Citati lo accenna) ha messo in evidenza l’utilizzo frequente nel testo dell’immaginario matematico, il che non sorprende se si pensa che Belyj, oltre a essersi laureato in scienze naturali, era figlio di Nikolai Bugaev (1837-1903), allievo di Weierstrass e Liouville, fondatore della scuola matematica di Mosca, una delle più attive sullo scenario europeo del Novecento. Inoltre, suoi compagni di Università erano stati due studenti del padre: Nikolai Luzin (1883-1950), che avrebbe retto la scuola matematica moscovita per molti anni, e Pavel Florenskij (1882-1937), figura geniale del milieu spiritualista russo, matematico, prete ortodosso, scrittore, scienziato, filosofo e mistico. Anche Belyj fu a lungo influenzato da questo contesto, approdando all’antroposofia di Rudolf Steiner.

Una delle più ricorrenti immagini presenti in Pietroburgo è quella di una sfera che si espande e alla fine esplode. Ecco alcuni esempi, tratti dai pensieri del protagonista, Nikolaj Apollonovic Ableuchov:
“Il suo cuore prese a martellare e si espanse, mentre nel suo petto crebbe la sensazione di una sfera cremisi sul punto di rompersi in pezzi”
“la sua anima stava diventando la superficie di un’enorme bolla in rapida crescita, che si era gonfiata fino all’orbita di Saturno. Oh, oh, oh! Nikolaj Apollonovic fu percorso da brividi. Venti soffiarono sulla sua fronte. Tutto stava esplodendo”
Questa metafora è stata interpretata in vari modi, dall’ansia per una catastrofe imminente, personale o collettiva, a un simbolo della bomba che il protagonista si è impegnato a utilizzare per conto di un gruppo rivoluzionario contro il proprio padre, odiato e decrepito funzionario imperiale Apollon Apollonovic Ableuchov. Mancava, pensate un po’, un’ardita interpretazione matematica, che due ricercatori americani, Noah Giansiracusa e Anastasia Vasilyeva dello Swarthmore College (PA) hanno pubblicato il 16 ottobre scorso in un paper su ArXiv (From Poland to Petersburg: the Banach-tarski Paradox in Bely’s modernist novel).

Secondo i due autori, esiste un collegamento tra l’immagine della sfera in espansione e il cosiddetto paradosso di Banach-Tarski, che fu pubblicato una decina d’anni dopo la prima versione del romanzo (nel 1924). La sfera che si espande sarebbe in collegamento con il famoso, paradossale, teorema dei due matematici polacchi Stefan Banach e Alfred Tarski, di cui mi sono occupato in un articolo precedente, secondo il quale, applicando l’assioma della scelta, si può suddividere una sfera piena (una palla) nello spazio tridimensionale in 5 parti, in modo che sia possibile ricomporre con questi pezzi due sfere entrambe perfettamente identiche alla sfera iniziale prima della suddivisione. Una versione analoga dimostra che è possibile suddividere una sfera piccola (ad es. una pallina da golf) in modo tale che i pezzi ottenuti, una volta assemblati, possano ricomporsi in una sfera più grande, magari delle dimensioni di Giove.

Il teorema di Banach Tarski: la sfera iniziale viene suddivisa e poi ricomposta in due copie identiche a se stessa
Giansiracusa e Vasilyeva si chiedono se Belij possa essere stato influenzato da versioni originarie del teorema, giunte chissà come dalla Polonia a Mosca, o addirittura se la lettura di Pietroburgo possa aver ispirato Banach e Tarski. Essi stessi ammettono che la risposta è “probably not,” nondimeno si preoccupano di tracciare gli sviluppi storici che potrebbero aver creato queste coincidenze. La premessa contenuta nell’Abstract iniziale merita una citazione:
“Belij credeva nelle corrispondenze spirituali e nelle predizioni mistiche, così, allo stesso modo, esploriamo anche le (talvolta sorprendenti) coincidenze che uniscono Pietroburgo al paradosso di Banach-Tarski. Questo articolo è la vera storia, parte storia e parte mistero, di un legame improbabile tra matematica e letteratura”.
Belij durante il viaggio in Sicilia nel 1905
Dopo questa allarmante premessa, l’articolo procede affrontando il teorema da un punto di vista matematico, poi analizzando il contesto in cui nacque (il dibattito sui risultati di Cantor, sull’assioma della scelta e la nascita della cosiddetta Scuola Polacca) e l’ipotetico “ponte” che sarebbe stato rappresentato dalla forzata permanenza a Mosca di Waclaw Sierpinski (1882-1969), il quale, allora insegnante a Lublino e già famoso specialista degli insiemi cantoriani e paradossi geometrici, allo scoppio della Prima guerra mondiale (1914), si trovava in Russia con la famiglia. Poiché sia l’impero austriaco sia quello russo tentavano di utilizzare la questione polacca come arma politica, egli fu arrestato e internato in un campo di prigionia, ma poco dopo fu liberato grazie all'intervento dei matematici russi Dmitrij Egorov e Nikolaj Luzin (amico di Belij). Sierpinski trascorse così gli anni della guerra a Mosca, collaborando soprattutto con Luzin, fino a quando tornò in Polonia nel 1918.

Ora, il fatto che Luzin conoscesse sia Belij sia Sierpinski è un legame talmente lasco che Giansiracusa e Vasilyeva sono costretti ad ammettere che “le somiglianze (...) tra le sfere in espansione nell’opera di Belij e di Banach-Tarski sono semplicemente una coincidenza”, anche perché compaiono già nelle prime versioni di Pietroburgo, date alle stampe, come si è detto, prima dell’arrivo a Mosca di Sierpinski e, giova ripeterlo, assai prima del 1924, anno in cui comparve lo storico teorema di Banach e Tarski. Ce ne sarebbe abbastanza per alzare bandiera bianca e ritirarsi dopo un’onorevole sconfitta. Invece no. I due autori dell’articolo si fanno allora esperti in analisi del testo (per fortuna non in senso strutturalista: ci mancava anche quello), ma per riportare alcuni brani di Pietroburgo che presenterebbero somiglianze con il teorema e - udite! udite! - “alcune previsioni e coincidenze che riguardano Belij e che altri studiosi hanno notato”. Il brano più significativo è questo:
“Una bomba è una rapida espansione di gas. La sfericità dell’espansione evocò in lui un terrore primordiale, a lungo dimenticato. Nella sua fanciullezza era stato soggetto a deliri. Nella notte, una piccola bolla elastica si materializzava talvolta di fronte a lui e rimbalzava intorno - fatta forse di gomma, forse della materia di strani mondi. [...] Gonfiandosi orribilmente, spesso assumeva la forma di un grasso compagno sferico. Questo grasso compagno, essendo diventato una sfera molesta, continuava a espandersi, espandersi ed espandersi e minacciava di precipitare addosso a lui. [...] Ed esplodeva in pezzi. Nikolenka incominciava a gridare cose senza senso: di incominciare anche lui a diventare sferico, che era uno zero, che tutto in lui si stava azzerando - azzerandO - zerO - O - O”.
E allora? Dov’è la sfera che si decompone in cinque parti e si duplica? Dove sono queste parti composte da insiemi di punti, che in realtà non possiedono alcuna misura? Queste nuvole di punti senza numero, senza volume, sono riconoscibili nell’accenno allo zero che si ritrova nel brano citato? Non ci sono, ma esistono invece, nell’ultima sezione dell’articolo, delle “coincidenze cosmiche”:
- il rivoluzionario doppiogiochista che consegna al protagonista la piccola bomba preparata per assassinare il padre si chiama Lippanchenko. Ebbene, Belij dichiarò di aver modellato la sua figura su quella dell’agente provocatore Evno Fishelevich Azef, che aveva lavorato sia per gli zaristi e i rivoluzionari. Più tardi Azef si rifugiò a Berlino e, dopo la pubblicazione di Pietroburgo, assunse proprio lo pseudonimo di Lipchenko!
- il sole svolge un ruolo importante nel pensiero antroposofico, e Belij morì nel 1934 per un’insolazione contratta in Crimea!
- la sfera di Banach-Tarski viene suddivisa in cinque parti, e ci sono almeno cinque frasi nel romanzo (riportate) in cui si cita il numero cinque in un contesto geometrico!

Con l’argomentum numerologicum termina l’articolo di Giansiracusa e Vasilyeva e il vostro recensore si chiede se i due ci sono o ci fanno. Ci troviamo di fronte ad un livello infinitamente inferiore alla “manifesta ciarlataneria” che Sokal imputava agli strutturalisti francesi e ai loro seguaci americani. Posso augurarmi che si tratti di un gioco perverso, ma vedo nelle note che un articolo simile i due l’hanno già pubblicato sulla rivista Math. Intelligencer. Su queste basi, per questa volta, mi tocca dar ragione a quell’amico che continua a dire che tra scienza e umanesimo non esiste alcun ponte, nessun periglioso “passaggio a Nord-Ovest”, ma solo un abisso profondo e insuperabile come il Grand Canyon.



(scritto con la penna intinta nel veleno durante la prima nevicata d’inverno)

martedì 28 giugno 2016

La Puglia matematica di Sandra Lucente


Per scrivere un libro come Itinerari matematici in Puglia ci vogliono amore, coraggio e, diciamolo, una certa dose di ludico entusiasmo. Amore per la propria terra, innanzitutto, la Puglia, terra bellissima e ricca di tesori naturali e artistici, che è stata percorsa in lungo e in largo toccando località grandi e piccole, magari solo per raggiungere quel campanile, quel megalito o quel portale. Amore per la matematica, la cui storia e i cui principali settori, dalla geometria elementare ai frattali e alla topologia, sono presentati prendendo spunto dalle località visitate, perché, come dice l’autrice, “la matematica è il linguaggio dell’universo, così come di questa regione”. Ci vuole anche coraggio, perché narrare la matematica in un libro destinato al lettore non specialista è sempre un’operazione difficile e irta di pericoli, in quanto bisogna percorrere lo stretto sentiero che si inoltra tra la palude della banalizzazione e la scogliera dell’eccessivo tecnicismo. Per fortuna Sandra Lucente è ben conscia di queste difficoltà, essendo ricercatrice matematica all’Università di Bari con una lunga esperienza di divulgazione a vari livelli e con diversi tipi di destinatari. 

Dicevo anche dell’entusiasmo, in quanto un testo simile nasce come gioco, come divertimento, come scommessa della Lucente e dell’editore in un panorama editoriale depresso e conformista come quello italiano. Itinerari matematici in Puglia non sarà certo un best seller, ma l’intelligenza e la cura che lo caratterizzano ne fanno un prodotto editoriale destinato a una costante presenza sugli scaffali dei librai e nelle biblioteche delle scuole, pugliesi e non solo. 


Il lettore di queste note potrebbe ora chiedere: sì, va bene, ma come è fatto il libro? Si tratta del viaggio in Puglia di un curioso turista matematico, Paul, interessato non solo all’arte e alla natura della regione, ma anche alla sua cultura nel senso più generale (la storia, la gastronomia, le tradizioni). Paul non è un turista da comitiva o da viaggio organizzato, piuttosto è un turista di quelli di una volta, come i nobili e gli intellettuali europei (un nome per tutti: Goethe) che, a partire dal XVII secolo e fino al XX inoltrato, intraprendevano quel viaggio di formazione, studio e divertimento che prese il nome di Grand Tour. Le mete preferite di quei viaggi erano l’Italia e la Grecia, in cui si cercava di cogliere lo spirito classico. Quello di Paul dovrebbe essere un piccolo tour, essendo limitato a una sola regione, ma egli è curioso e non si accontenta di visitare solo le località più celebri. 

Paul è un matematico, e il suo sguardo non può fare a meno di cogliere la matematica che è presente in quello che vede, dalle frazioni continue che gli sono ispirate dal dolmen di Bisceglie, fino alla costruzione dei poligoni con riga non graduata e compasso che gli suggerisce lo splendido rosone traforato della concattedrale di Troia, con undici colonne a mo' di raggio. Accompagnato dal suo inseparabile taccuino quadrettato, Paul osserva, scrive schemi e disegna figure, che troviamo in fondo a ciascuno dei 30 capitoli del libro. Poi, il suo sguardo matematico è l’occasione di riflessioni e suggerimenti per esercizi e/o attività didattiche legati a quanto è stato visto di volta in volta. Il libro è strutturato come una guida, per cui i capitoli possono essere letti qua e là in modo non sequenziale, con la sola avvertenza che la matematica più moderna e più “complicata” si trova verso la fine. Ma è spiegata comunque bene.



Sandra Lucente
Itinerari matematici in Puglia
2016, Editrice Giazira Scritture, Noicattaro (BA)
pp. 167, € 15,00

sabato 2 agosto 2014

Non voler più niente, Perec

1967: hai trentun anni e pubblichi il tuo terzo libro. Lo intitoli Un uomo che dorme e, come spesso ti succede, parli molto di te. Racconti la storia di un tentativo non riuscito di raggiungere l’indifferenza totale da parte di uno studente, di cui non dici neanche il nome e al quale ti rivolgi per tutto il libro in un originale e straniante monologo in seconda persona singolare. La tua non è un’opera oulipiana o, se lo è, è molto sui generis. La contrainte non è stilistica, non è enigmistica, semmai è filosofica. Il tuo protagonista, che il giorno dell’esame decide di non muoversi dal letto, inizia una personale, assurda battaglia: 

«Non voler più niente. Aspettare finché non ci sia più nulla da aspettare. Vagare, dormire. Lasciarsi portare dalla folla, dalle vie. Seguire i canaletti di scolo, le inferriate, l'acqua lungo le sponde. Camminare lungo il fiume, rasente ai muri. Perdere tempo. Tenersi lontano da ogni progetto, da ogni smania. Essere senza desideri, senza risentimenti, senza ribellione (…) Un minuto dopo l'altro, un'ora dopo l'altra, un giorno dopo l'altro, una stagione dopo l'altra, qualcosa comincerà che non avrà mai fine: la tua vita vegetale, la tua vita azzerata». 

Lo studente, che forse sei tu stesso, non cerca un’atarassia che è saggezza, no, non si tratta di diventare il mistico (il greco myo significa «chiudere» e dalla radice my provengono sia il greco mysterion, sia il latino mutus), il filosofo stoico, il maestro zen: si tratta piuttosto di annullare ogni forma di partecipazione, di syn–pathia. Il tuo studente è, fondamentalmente, un nichilista che cammina: 

«Sei solo. Impari a camminare da uomo solo, ad andare a zonzo, a tirar tardi, a vedere senza guardare e a guardare senza vedere. Impari la trasparenza, l'immobilità, l'inesistenza. Impari a essere un'ombra e a guardare gli uomini come se fossero pietre. Impari a restare seduto, a restare coricato, a restare in piedi. Impari a masticare ogni boccone, a trovare in ogni briciola di cibo che porti alla bocca lo stesso identico neutro sapore. Impari a guardare i quadri esposti nelle gallerie come se fossero pezzi di muro, di soffitto, e i muri e i soffitti come se fossero tele di cui segui senza sforzo i dieci, mille sentieri, sempre ricominciati, labirinti inesorabili, testi che nessuno mai potrebbe decifrare, volti in decomposizione»

«Non chiedi niente, non esigi niente, non imponi niente. Senti senza mai ascoltare, vedi senza mai guardare: le crepe nei soffitti, i listelli del parquet, il disegno delle mattonelle, le rughe intorno agli occhi, gli alberi, l'acqua, le pietre, le automobili che passano, le nuvole che disegnano in ciclo le loro forme di nuvole». 

E, per quanto il tuo studente, che forse sei tu stesso, non voglia che il mondo entri dentro di sè, per quanto viva in un abbaino soffocante sotto i tetti, molto provinciale e molto bohemien, non è agorafobico: non ci può essere fobia di sorta, perché anche la paura è un sentimento che può dare vita al diagramma della sua esistenza, che deve invece restare immobile: 

«La tua indifferenza è piatta: uomo grigio per cui il grigio non evoca nessun grigiore. Non tanto insensibile, quanto piuttosto neutro. L'acqua ti attira, così come la pietra, l'oscurità al pari della luce, il caldo al pari del freddo. C'è solo la tua camminata, il tuo sguardo che si posa e scivola via, ignorando il bello e il brutto, il famigliare e il sorprendente, non recependo che le combinazioni di forme e luci, che continuamente si fanno e disfano dovunque, nell'occhio, sul soffitto, ai tuoi piedi, nel ciclo, nello specchio incrinato, nell'acqua, nella pietra, nella folla. Piazze, strade, giardinetti e viali, alberi e inferriate, uomini e donne, cani e bambini, attese, ressa, veicoli e vetrine, edifici, facciate, colonne, capitelli, marciapiedi, canaletti di scolo, lastricati di arenaria resa lucida dalla pioggia sottile, grigi, o quasi rossi, o quasi bianchi, o quasi neri, o quasi blu, silenzi, clamori, frastuoni, folla nelle stazioni, nei negozi, nei viali, strade brulicanti di gente, lungofiume brulicanti di gente, vie deserte delle domeniche d'agosto, mattine, sere, notti, albe e crepuscoli». 

«Non spezzerai il cerchio magico della tua solitudine. Sei solo e non conosci nessuno; non conosci nessuno e sei solo. Vedi gli altri accalcarsi, stringersi, proteggersi, abbracciarsi. Tu invece, lo sguardo vitreo, non sei che un fantasma trasparente, un cinereo lebbroso, una sagoma già restituita alla polvere, un posto occupato cui nessuno M avvicina. (…) Sei solo, nonostante il fumo che si appesantisce, nonostante Lester Young o Coltrane, sei solo nel calore ovattato dei bar, nelle strade deserte in cui risuonano i tuoi passi, nella complicità mezzo addormentata degli unici pochi bar rimasti aperti». 

I passi dello studente, che forse sei tu stesso, risuonano nelle notti interminabili e nei giorni caotici per le vie di una Parigi senza la quale il tuo racconto non avrebbe senso, una metropoli già allora affollata di ogni sorta di umanità, dai miserabili ai borghesi, e che presto, meno di un anno, avrebbe visto tanti giovani manifestare condividendo il tuo giudizio morale: 

«Li segui, li spii, li odi: mostri rintanati nelle loro stanze di servizio sotto i tetti, mostri in pantofole che strascicano i piedi vicino a putridi mercati, mostri con occhi glauchi da lampreda, mostri dai gesti meccanici, mostri farneticanti. 
Gli passi accanto, li accompagni, ti fai strada tra di loro: i sonnambuli, i bruti, i vecchi, gli idioti, i sordomuti col berretto tirato sugli occhi, gli ubriaconi, i rimbambiti che si raschiano la gola e cercano di trattenere il tremolio intermittente delle guance, delle palpebre; i provinciali persi nella grande città, le vedove, i furbastri, i vecchi decrepiti, i ficcanaso». 

«Ti vengono incontro, a piccoli passi, con quei loro sorrisi da buoni, i loro volantini, i loro giornali, le loro bandiere, i miserabili combattenti delle grandi cause imbecilli, le maschere ossute che partono in guerra contro la poliomielite, il cancro, i tuguri, la miseria, l'emiplegia e la cecità, i canzonieri tristi che chiedono l'elemosina per i loro compagni, gli orfani maltrattati che vendono centrini, le vedove rinsecchite che proteggono gli animali domestici. Tutti quelli che ti si accostano, ti trattengono, ti manipolano, ti sputano in faccia le loro meschine verità, le loro eterne domande, le loro opere buone, il loro cammino autentico. Gli uomini sandwich della fede autentica che salverà il mondo. Venite a Lui, voi che soffrite. Gesù ha detto Voi che non vedete pensale a coloro che vedono». 

«E poi tutti gli altri, i peggiori, i sempliciotti, i furbi, i contenti di sé, quelli che credono di sapere e sorridono con l'aria di chi se ne intende, gli obesi, i rimasti giovani, i formaggiai, i decorati; i festaioli un po' alticci, gli impomatati di periferia, i benestanti, i coglioni. I mostri forti del loro buon diritto, che ti prendono a testimone, ti squadrano, t'interpellano. I mostri con famiglia numerosa, con i loro bambini mostri, i loro cani mostri; le migliaia di mostri bloccati ai semafori; le stridule femmine mostro; i mostri coi baffi, col panciotto, con le bretelle, i turisti mostri rovesciati a mucchi davanti agli orridi monumenti, i mostri della domenica, la folla mostruosa». 

Il tuo giovane eroe alla fine si rende conto che la sua scelta è inutile, che è impossibile voler essere indifferenti alla vita che scorre e al tempo che la scandisce. Il romanzo si chiude con una sconfitta, ma forse è solo un passaggio necessario: 

«Non hai imparato niente, tranne che la solitudine non insegna niente, che l'indifferenza non insegna niente: era un'impostura, una fascinosa e ingannevole illusione. Eri solo, tutto qui, e volevi proteggerti; volevi tagliare per sempre i ponti tra te e il mondo. Ma tu sei così poca cosa, e il mondo un tal parolone: alla fine, il tuo non è stato altro che un errare in una grande città, e costeggiare chilometri di facciate, vetrine, parchi e lungofiume». 

 «L'indifferenza è inutile. Puoi volere o non volere, che importanza ha? (…) La tua neutralità non significa niente. La tua inerzia è altrettanto vana della tua rabbia». 

«Ogni giorno sgranato non ha fatto che erodere la tua pazienza, che mettere a nudo l'ipocrisia dei tuoi ridicoli sforzi. Bisognava che il tempo si fermasse completamente, ma niente e nessuno è così forte da poter lottare contro il tempo. Hai potuto barare, guadagnare qualche briciola, qualche secondo: ma le campane di Saint-Roch, l'alternarsi dei semafori all'incrocio tra la rue des Pyramides e la rue Saint-Honoré, l'immancabile caduta della goccia dal rubinetto dell'acquaio nel pianerottolo non hanno mai smesso di misurare le ore, i minuti, i giorni e le stagioni. Sei riuscito a far finta di dimenticartene, a camminare di notte e a dormire di giorno. Non l'hai mai ingannato del tutto». 


Georges Perec 
Un uomo che dorme 
Quodlibet, Macerata, 2009 
170 pp. 
ISBN 9788874622429.

domenica 11 maggio 2014

Macchie di Rorschach: la poesia di Marco Ferrazzoli


Ho scoperto le poesie di Marco Ferrazzoli grazie a Facebook, a dimostrazione che i social network sono solo degli strumenti di comunicazione, dove si possono trovare la pura chiacchiera o le bufale, ma anche le cose interessanti, che così possono circolare e creare cultura. Ho scritto all'autore, giornalista e attualmente Capo ufficio stampa del CNR, il quale, nel giro di pochi giorni, mi ha inviato la sua raccolta dal suggestivo titolo Macchie di Rorschach, edita da Terre Sommerse nel 2010. Come faccio tutte le volte che mi accosto a una raccolta poetica, cerco e leggo innanzitutto la poesia che le dà il titolo, in modo da avere un’indicazione, una cifra, di quello che leggerò: 

Come macchie di Rorschach 
in cui ciascuno vede ciò che vuole 
come fosfeni che coprono gli occhi 
per aver fissato troppo a lungo il sole 

Così sono le poesie, non dico le mie 
o i romanzi, i saggi, i film e le canzoni 
a cui chiediamo di dirci chi siamo 
e poi, non si sa come, ci riconosciamo 

Senza essere capaci di dircelo da soli. 

Questa riflessione sulla poesia mi ha subito ricordato un pensiero di Marcel Proust (in Il tempo ritrovato, 1927), che talvolta utilizzo quando voglio farmi passare per intellettuale: 

“In realtà, ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L'opera dello scrittore è solo una specie di strumento ottico offerto al lettore per consentirgli di discernere ciò che forse, senza quel libro, non avrebbe potuto intravedere in se stesso”. 

Sono poi passato a leggere con ordine la raccolta, che ho trovato scritta con parole semplici e profonde. Soprattutto è sincera, senza ammiccamenti al lettore, rivelando una grande capacità di indagine introspettiva: non occorre essere complicati per suscitare emozioni. Ho allora proposto a Marco una piccola intervista a distanza, che egli ha accettato di rilasciare. Il risultato è qui sotto, ed è curioso il fatto che mi sia trovato a intervistare un giornalista!
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In alcune tue poesie affermi che “la poesia è lavoro” (in Carmina et circenses), che il poeta è un artigiano sempre alla ricerca di perfezionare la sua opera (in N’est pas qu’un debut), e che tuttavia, Alla fine dei canti, la poesia non può alleviare il dolore: 

(…) 
“Così, alla fine dei canti sul foglio ritrovi soltanto 
quello che già sai 
e se una cosa riesci a comprendere è solo 
che mai, ma mai, 

con quattro parole anche giuste messe di fila 
il tuo male andrà via 
e all'ultima strofa ti chiedi a che serve, se serve 
questa cazzo di poesia”. 

Allora ti chiedo: perché scrivere versi? Da dove nasce l’impulso alla poesia? Si sceglie la poesia o si viene scelti da lei? 

Lo ammetto con profondo imbarazzo, ma in gran parte si viene scelti. La spinta a scrivere poesie nella mia vita è entrata piuttosto all’improvviso, in età matura, in un momento preciso e particolare: del tutto inattesa, considerato che la poeticità non fa parte della mia vita e nemmeno, a tutt’oggi, della mia scrittura. L’imbarazzo che denuncio deriva dal fatto che l’ispirazione è la molla con cui moltissimi ‘poetanti’ giustificano le loro esternazioni ombelicali: io soffro e l’umanità deve saperlo, “le trippe sul tavolo”, come le chiamava Ruggero Guarini! Per rifuggire da questo rischio, che mi fa orrore e quindi temo sempre di lambire, prima di pubblicare ho sottoposto i miei tentativi a diversi lettori, tra cui uno implacabile come Valentino Zeichen. Spero poi di tenermene a distanza con un uso continuo dell’ironia, dell’autoironia e del sarcasmo, che nelle cose che sto scrivendo ora si fa sempre più preponderante, guardando a modelli come Scialoja e Risi. E, per l’appunto, misurandomi per quanto riesco con le poesie altrui da lettore: un esercizio, questo, che quasi nessun autore fa, come l’asfittico mercato editoriale conferma. 


Tra i temi che tratti ci sono le domande fondamentali “sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Parli di dolore, di amori che finiscono, di educazione dei figli, di ricordi di gioventù, di solitudine e incomunicabilità. Lo fai senza filosofeggiare, con un linguaggio e situazioni tratte dal quotidiano. Ad esempio mi è molto piaciuta Misericordia corporale, che riporto per intero: 

L’infermiera canterina 
passa in corridoi, indifferente 
ai muri scrostati, ai malati, 
allo squallore delle cose 
e al dolore della gente 

Al piano superiore si sente 
un vagito: è il reparto maternità. 
Nella rianimazione, solo un tintinnio 
cantilenante. L’infermiera non lo sa 
ma è la metafora dell’umanità. 

C’è in questi versi semplici una profondità che spesso non trovo in opere piene di sperimentalismi stilistici o lessicali. Il tuo linguaggio poetico risulta da una scelta stilistica? Quali sono i tuoi poeti preferiti? Che cosa pensi delle avanguardie? 

Non mi pronuncio, né sulla profondità né sugli altri tuoi apprezzamenti, limitandomi a ringraziarti e assicurare che il mio imbarazzo di intervistato è ben superiore al tuo. Questa e altre cose che ho scritto credo risentano dell’impostazione che un mio affettuoso stroncatore ha definito ‘giornalistica’: scarso uso della metafora, osservazione e descrizione della realtà e, spero, una certa capacità di analisi e sintesi, frutto purtroppo anche dell’anagrafe. Per rispondere sulle fonti, sono molto banalmente legato alla poesia da antologia e considero complessivamente insuperati i classici del XIX e XX secolo, senza tante distinzioni di scuola: Gozzano, Carducci, Caproni, Montale, Saba, Ungaretti… E poi Luzi e Spaziani, che ho avuto l’onore di conoscere, Dario Bellezza e Antonio Santori, di cui sono stato amico. Tra i contemporanei, mi hanno regalato belle letture Piersanti, Ruffilli, Bertoni, Mencarelli, Rosadini. Per compensare l’omissione delle avanguardie in questo best of, comunque non acrimoniosa, faccio notare quella, intenzionale, di molti autori amatissimi dal grande pubblico, ma qui taccio perché si aprirebbe un discorso davvero politicamente scorretto.


Nei tuoi versi affiora il fatto di essere credente, anche se la tua fede non è dottrinaria o esclusiva, ma sofferta e piena di domande. Così, Dio può essere una scommessa, alla maniera di Pascal, “una scommessa / che per secoli gli uomini hanno giocato al ribasso” (da Rien ne va plus), ma, alla fine, “nella forza di credere possiamo crederci sempre / perché non dipende soltanto da noi, fortunatamente” (da In hoc signo). Io, che non sono credente, dissento, ma rispetto ovviamente il tuo pensiero, e sono pienamente convinto che nella poesia un autore debba esprimere tutto il suo essere, senza infingimenti, compresa la presenza o l’assenza di una fede in qualcosa che va oltre l’umano. Uno dei poeti che più mi ha colpito negli ultimi decenni è stato proprio un prete, David Maria Turoldo, che ha avuto il coraggio di scrivere che Dio non viene all'appuntamento

Ma quando declina questo 
giorno senza tramonto? 
All'incontro cercato 
nessuno giunge. 
E le pietre bevono 
il sangue di questo cuore 
ancora per miracolo vivo. 

Secondo te, è possibile trovare nella poesia quel dialogo tra credenti e non credenti, o tra credenti di fede diversa, che è spesso difficile o, come casi recenti dimostrano, si riduce a un giustapporsi di monologhi (e di trombonismi)? 

Dovendo scegliere, più la seconda che hai detto. Come Pasolini, non credo o non capisco la mitologia della ‘tolleranza’, che comunque presuppone la marcatura delle reciproche differenze, e credo invece molto nel semplice rispetto, che però non implica tentativi di sintesi forzate o convincimenti. Tanto più su un tema nel quale la distanza è inevitabilmente siderale e quindi, proprio per questo, paradossalmente non problematica. Una precisazione personale: come diceva di recente Renzo Arbore, con il passare degli anni più che credente mi definirei ‘speranzoso’. 

Un’ultima domanda. Doverosa, visto che ora fai il comunicatore ufficiale del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Riguarda il rapporto tra scienza e poesia. Nella raccolta c’è Dark room, in cui paragoni la nostra ricerca del sapere alla situazione di trovarsi in una stanza buia e cercare a tastoni l’uscita, imparando di volta in volta dall'esperienza: 

L’unica intelligenza concessa all'uomo 
è la curiosa, smarrita ignoranza 
con cui al buio tastiamo, cercando 
la porta d’uscita, la parete di una stanza. 

C’è, in quel pizzico di panico, più vita 
che nella fredda soddisfatta 
con cui percorriamo la tratta illuminata: 
illudendoci di trovarci al sicuro. 

Quando in tutto il creato non c’è muro 
né strada dei quali non dubitare 
così come non c’è mistero né scuro 
da cui non possiamo uscire e imparare. 

Trovo anche Almagesto, in cui auspichi “un universo con il cuore al centro”, “un cosmo a misura d’uomo” e attacchi, a mio giudizio ingenerosamente, Margherita Hack, “l’astrofisica scientista”, dicendo che lei riderebbe di questi tuoi desideri, lei dotata di telescopio mentre gli uomini vedono poco, “come se ci fosse un velo”. Sono d’accordo sul pericolo dello scientismo (che in certe sue manifestazioni assume i connotati di una religione, ma non è il caso dell’astronoma che da poco ci ha lasciato), ma non ritieni che sia meravigliosa questa immensità che la scienza ci ha rivelato? Tornando alla domanda più generale: ritieni che la scienza sia, come pensava Coleridge, un “serbatoio di metafore” per la poesia, oppure pensi che possa esistere un legame di complementarietà tra i due ambiti, come io ritengo, e che si possa fare poesia anche sulla scienza e con la scienza? 

Mi sono professionalmente avvicinato alla ricerca scientifica fornendole tutta la mia curiosa ignoranza socratica e continuo a considerarla un oggetto di comunicazione e informazione estremamente interessante. Ma in modo del tutto ‘laico’: pavento il rischio che l’impostazione ‘religiosa’ - ti sto citando - di taluni ricercatori e divulgatori ampli la spaccatura tra l’élite colta consapevole e la stragrande maggioranza scientificamente, e non solo, quasi analfabeta. Ricerca, tecnologia e innovazione sono quindi protagoniste della mia poesia alla pari di qualunque altro soggetto, poiché le considero nel loro potenziale di ‘notizia’ e ritengo che le criticità della loro comunicazione siano risolvibili solo con tale approccio. Questo tema nel corso degli anni mi ha ‘preso’ molto e ne sto scrivendo proprio ora, con l’idea di pubblicare qualcosa.


Questo è quanto. E non è poco. Un ringraziamento sentito va a Marco, sia per le sue risposte, sia, soprattutto, per aver donato emozioni e spunti di riflessione con la sua opera. 

Marco Ferrazzoli 
Macchie di Rorschach 
Terre Sommerse, Roma, 2010

mercoledì 15 gennaio 2014

Immagini della matematica


Fino a qualche tempo fa era impensabile che un libro di matematica, anche se di divulgazione, potesse essere pieno di figure. Ciò avveniva per due ragioni principali. La prima era culturale: la matematica, materia astratta e mentale per eccellenza, era considerata difficilmente “percepibile” dai sensi, pertanto molto era affidato alle capacità “immaginative” del lettore a partire dalle rappresentazioni simboliche. Facevano eccezioni solo alcuni settori come la geometria (limitatamente allo spazio euclideo) o la teoria dei grafi. La seconda ragione era puramente tecnica: solo con l’introduzione di programmi sempre più sofisticati di computer graphics è stato possibile rappresentare, in modo efficace ed esteticamente valido, forme e strutture impossibili da realizzare (e da vedere”) con i tradizionali mezzi del disegno. 

Da qualche anno la situazione è completamente mutata, e finalmente anche la matematica, come le altre discipline scientifiche, può giovarsi dello strumento dell’immagine, valorizzandone tutta la potenzialità esplicativa e didattica. La matematica smette così di apparire come un noioso elenco di formule, o, per molti, un incomprensibile geroglifico di simboli, e mostra i suoi colori con rappresentazioni davvero affascinanti, che rendono accessibili o avvicinabili anche i concetti complessi emersi negli studi più recenti. Iniziata sugli schermi dei computer, la matematica per immagini si è diffusa in pochi anni a livello planetario ed è approdata recentemente sulla carta. 

Funzione zeta di Riemann

Un esempio è fornito da Immagini della matematica, edito congiuntamente da Springer e Raffaello Cortina nella seconda metà del 2013. Il libro è la traduzione italiana (di Daniela Della Volpe) di un testo pubblicato originariamente in tedesco nel 2010, curato dall’austriaco Georg Glaeser e dal tedesco Konrad Palthier. Il volume rappresenta un meritorio tentativo, da parte di matematici attivi nella ricerca, di sperimentare canoni di comunicazione diversi da quelli usuali. In 15 capitoli, esso consente un’esperienza visiva di tutti i principali temi della matematica antica e moderna, dai modelli di poliedri alle curve e nodi, dalla geometria e topologia delle superfici alle pavimentazioni e agli impacchettamenti, ecc. L’ultimo capitolo, Forme e processi in natura e nella tecnologia, fornisce alcuni esempi di applicazione della matematica nelle scienze naturali, nella fisica dei fluidi, ecc. 

Sezioni di un toro che sono ovali di Cassini
Ogni immagine è accompagnata da un breve testo esplicativo e dall’indicazione della fonte originale (cartacea o elettronica) alla quale è possibile risalire per eventuali approfondimenti. Forse è proprio nei testi che si può ravvisare l’unico punto di debolezza dell’opera, in quanto talvolta appaiono troppo “tecnici” per un pubblico non specialista. Poiché ogni argomento-scheda può essere letto in modo indipendente, Immagini della matematica costituisce un validissimo strumento di consultazione e di ausilio per chi, come divulgatore, insegnante o studente, si occupa a vari livelli di questa fantastica e sempre nuova disciplina. 

Superficie minima di Costa

Mi piace segnalare che l’edizione italiana è stata proposta e sollecitata agli editori dal mondo accademico e della ricerca, principalmente dal Centro matematita, il Centro Interuniversitario di Ricerca per la Comunicazione e l'Apprendimento Informale della Matematica, al quale fanno riferimento ricercatori delle Università di Milano, Milano Bicocca, Pisa e Trento. Il Centro è noto presso insegnanti e divulgatori per l’utile progetto Immagini per la Matematica, nato con lo scopo di raccogliere e mettere a disposizione in rete immagini per la matematica e suggerire percorsi che consentano il loro utilizzo per raccontare argomenti della disciplina. 

Glaeser Georg, Polthier Konrad 
Immagini della matematica 
ISBN: 978-88-6030-619-7 
Raffaello Cortina Editore 
Pagine: XIII-338 p., ill., brossura 
Anno: 2013 
Prezzo di copertina: 36 €

Superficie Breather


martedì 28 maggio 2013

La lucida saggezza del Saggio sulla lucidità

«Come gli altri presidenti di seggio nella città, questo della sezione elettorale numero quattordici aveva chiara coscienza che stava vivendo un momento storico unico. Quando, già avanti nella serata, dopo che il ministero dell'interno aveva prorogato di due ore la fine della votazione, periodo cui fu necessario aggiungere un'altra mezz'ora affinché gli elettori che si accalcavano dentro l'edificio potessero esercitare il diritto di voto, quando infine i membri del seggio e i rappresentanti di lista, estenuati e affamati, si ritrovarono davanti alla montagna di schede che erano state rovesciate fuori dalle due urne, la seconda requisita d'urgenza al ministero, la grandiosità del compito che avevano davanti li fece rabbrividire di un'emozione che non esiteremo a definire epica, o eroica, come se i mani della patria, redivivi, si fossero magicamente materializzati in quei fogli di carta. Era passata la mezzanotte quando lo scrutinio terminò. I voti validi non arrivavano al venticinque per cento, distribuiti fra il partito di destra, tredici per cento, il partito di mezzo, nove per cento, e il partito di sinistra, due e mezzo per cento. Pochissimi i voti nulla, pochissime le astensioni. Tutte le altre schede, più del settanta per cento del totale, erano bianche». 

Nel racconto lungo (o romanzo breve) di José Saramago (1922-2010), Saggio sulla lucidità (Einaudi, 2005, poi Feltrinelli, 2011) una sorta di continuazione di Cecità, l’autore sviluppa la narrazione, come è uso fare, partendo da una premessa surreale. Nella capitale di un paese non precisato, i cittadini chiamati alle urne votano in massa scheda bianca: le schede intonse raggiungono il 74 per cento. Le elezioni sono annullate e la polizia usa metodi duri contro i cittadini, creando un clima di intimidazione. Si torna alle urne, e l’esito è ancor più sconcertante: il voto di protesta raggiunge l’82 per cento. Nell'unica occasione concessa loro da un sistema sedicente democratico, retto da un potere arrogante e sordo alle critiche crescenti, gli elettori manifestano così il loro totale dissenso verso i tre partiti in lizza, il p.d.d. (partito di destra), il p.d.m. (partito di mezzo), il p.d.s. (partito di sinistra). In questo modo reagisce il Presidente, il Napolitano di quella ignota repubblica: 

«Siete voi, sì, soltanto voi, i colpevoli, siete voi, sì, che ignominiosamente avete disertato dal concerto nazionale per seguire il cammino contorto della sovversione, della indisciplina, della più perversa e diabolica sfida al potere legittimo dello stato di cui si abbia memoria in tutta la storia delle nazioni » 

La cosa che più preoccupa il sistema politico è il fatto che non si tratta di assenteismo, magari dettato dal maltempo, da pigrizia o indifferenza. L’affluenza ai seggi è stata altissima. I cittadini sono andati a votare e hanno votato scheda bianca, sfiduciando così l’intera classe politica. Non è mio intento raccontare come prosegue la vicenda (c’è anche un uomo con la cravatta blu e i pallini bianchi), voglio solo sottolineare ancora una volta la lucida preveggenza e l’attualità della grande letteratura. 

lunedì 1 aprile 2013

Lo scettico redento, una conversione


Il Signore sceglie cammini imperscrutabili e inattesi per farci sentire la Sua presenza. Così, improvvisa come l’ennesimo cambio di fede di Magdi Allam, è giunta la Lieta Novella che il noto scettico e razionalista Silvano Fuso ha intrapreso un nuovo cammino di Fede sulle orme del Pescatore d’uomini. Non solo: egli ha voluto farci conoscere la maturazione di questa scelta in un libro, dal significativo titolo “Lo scettico redento”, che esce domani per Ichthys, la prestigiosa editrice apologetica dei Padri Giacobbiani di Genova. 

Scrive l’Autore sul risvolto di copertina: “Con questo nuovo libro spero di dare il mio piccolo contributo per rendere la realtà in cui viviamo libera dall'oppressione della ragione e dalla prepotenza della scienza di cui vediamo ogni giorno le gravi conseguenze. La nostra società non ha bisogno di scienza e razionalità, ma di fantasticherie, fede cieca, dogmatismo, olismo e slanci irrazionali. Solo abbandonando le catene della ragione, l’uomo sarà finalmente libero e potrà dare un nuovo corso alla sua esistenza.” 

E’ un invito che molti atei e agnostici, scettici e increduli, in realtà infelici in questo mondo dominato dal demone dello scientismo, sono pronti ad accogliere. La scienza non ha risolto i problemi dell’Uomo, anzi, vana hybris, lo ha reso più solo e triste. Nella gabbia d’acciaio della modernità, da cui sono nati i totalitarismi, la bomba atomica e i lazziali, la ragione esercita un potere fatto di presunte leggi di natura, di formule matematiche, di limiti invalicabili che imprigionano lo Spirito dell’umanità, che invece anela a credere, a stupirsi, a meravigliarsi. In mano a una casta di falsi pastori, gli scienziati, abbiamo perso l’approccio olistico alla realtà, la fede nel Miracolo, la giusta intolleranza nei confronti di chi la pensa diversamente, minacciati dalle scie chimiche e dai vaccini. Così, i segnali che ci giungono da altri mondi, i cerchi nel grano, le guarigioni miracolose, gli Ufi, non sono colti come segni della scintilla divina che è in noi, ma vengono derisi, sbeffeggiati. Così, ci vengono imposti cibi pieni zeppi di OGM cattivi, inutili cure che arricchiscono le multinazionali del farmaco, fragole-pesce e microchip sottopelle per controllarci e dominarci. 

Immerso in questo vortice, incapace di fermarsi come vascello senza vele in balia delle correnti, anche l’Autore ha contribuito a costruire la stessa gabbia in cui un giorno si è accorto di vivere. Ma il Signore è buono, e sa perdonare. Forse stimolato dalla lettura di Maestri come Zichichi, Paolo Brosio e Messori, meditando sul pensiero di Illuminati come Giacobbo e Celentano, l’Autore ha trovato il coraggio di esaminare a fondo la propria Anima e, come Prandelli dopo Spagna-Italia, di ammettere i propri errori. 

Anche chi scrive, dopo aver vissuto esperienze mistiche ed essere ritornato da Orione con nuove sconvolgenti verità, ha visto la stessa luce e può solo consigliare la lettura di questo vero e proprio manuale di Salvezza.

Silvano Fuso
Lo scettico redento 
Prefazione di don Riccardo Seppia 
Ichthys, Genova 
XII + 273 pp. 
Prezzo € 8,50

sabato 8 dicembre 2012

Il Teorema vivente di Cédric Villani

Attribuire un’etichetta a un libro come Théorème Vivant del matematico francese Cédric Villani non è facile. Si può infatti considerare un diario personale e professionale, che copre due anni di intensa ricerca culminati con il ricevimento della Medaglia Fields (la massima onorificenza per matematici di età inferiore ai quarant'anni), vissuti tra la Francia e gli Stati Uniti, con puntate in molti altri posti in tutto il mondo. Si può anche definirlo il racconto di un’impresa matematica (la dimostrazione non lineare dello smorzamento di Landau) e di come essa sia nata, si sia sviluppata attraverso difficoltà, entusiasmi, delusioni, incontri, problemi quotidiani, notti insonni, improvvise intuizioni, e un continuo lavoro di collaborazione fino al risultato finale. E Théorème Vivant è anche una cronaca epistolare, attraverso la riproduzione dello scambio di e-mail tra l’autore e il suo collega Clément Mouhot, con il quale ha raggiunto l’obiettivo e ha pubblicato l’articolo scientifico. 

Il libro è soprattutto la cronaca della nascita di una nuova dimostrazione matematica, che ha suggerito il titolo di Teorema vivente. Villani si è occupato in precedenza dell’equazione di Boltzmann, che fu argomento della sua tesi di dottorato: 

"Si trova di tutto nell’equazione di Boltzmann: la fisica statistica, la freccia del tempo, la meccanica dei fluidi, la teoria delle probabilità, la teoria dell’informazione, l’analisi di Fourier… Alcuni dicono che nessuno al mondo conosce meglio di me il mondo matematico generato da questa equazione.” (pp. 10-11) 

Egli è anche un esperto di trasporto ottimale, lo studio di come trasferire una distribuzione di massa da un luogo a un altro con il minor lavoro possibile (consiglio su questo argomento un articolo divulgativo di Alessio Figalli). Questo problema fu formalizzato per la prima volta da Gaspard Monge del 1781 (e Gaspard è il nome del computer di Villani a Lione) e fu sviluppato dal matematico ed economista russo Kantorovich intorno agli anni ’40. L’interesse per il trasporto ottimale nella comunità dell’analisi matematica si sviluppò soprattutto grazie ai lavori di Yann Brenier, il quale, alla fine degli anni ’80, stava studiando problemi legati alla meccanica dei fluidi e si trovò di fronte ad aspetti che lo portarono (in modo abbastanza inatteso) al problema di Monge-Kantorovich. Negli ultimi vent'anni si è scoperto che c’è una stretta relazione tra entropia, trasporto ottimale ed equazione del calore di un gas, che può essere studiata come una sorta di evoluzione che fa aumentare l’entropia nel modo più veloce possibile senza spendere troppa energia cinetica. Villani, del quale Brenier è stato relatore di tesi tutor all'École Normale Supérieure di Parigi, si è occupato del problema del trasporto ottimale nell'ambito della geometria non euclidea, scoprendo che, a seconda della variazione di entropia, è possibile stabilire il tipo di curvatura dello spazio, con importanti applicazioni in geometria. 

L’interesse di Villani sullo smorzamento di Landau si sviluppa quasi casualmente nel corso di una conversazione con Mouhot sulla regolarità del trasporto in un’equazione di Boltzmann disomogenea, che li porta a discutere del lavoro del giovane matematico sino-americano Yan Guo. Inizia così una lunga avventura intellettuale, descritta con dovizia di particolari, che può essere considerata un esempio di come procede la ricerca matematica, fatta di duro lavoro: 

“Tarda sera nel mio appartamento di Princeton, seduto per terra sulla moquette, circondato da fogli di appunti, davanti alla grande vetrata attraverso la quale i bambini, di giorno, osservano gli scoiattoli grigi. Rifletto e scarabocchio senza dir nulla.” (p. 73) 

(…) È il momento propizio per mettermi al lavoro. Preparo un thè, stendo i miei appunti. Ancora una montagna di problemi tecnici, che si stanno risolvendo man mano assieme a Clément. La parte più grande della dimostrazione, la sezione 10, è in corso di costruzione. C’è questo maledetto controllo del modo zero, ne ero sicuro, che mi avrebbe fatto dannare. E devo esporre i risultati tra dieci giorni! Dieci piccoli giorni perché tutto stia in piedi.” (p. 129) 

Fatta anche di sconforto e delusioni: 

“Buio! Ho bisogno di oscurità, di restare da solo nel buio. La camera dei bambini, imposte chiuse, benissimo. La regolarizzazione. Lo schema di Newton. Le costanti esponenziali. Tutto mi gira in testa. (…) Ho bisogno di lavorare da solo per riflettere. C’è fretta! (…) Un certo calcolo, sul quale facevo pieno affidamento, non va più bene, dovevo sbagliarmi. Grave oppure no?” (p. 91) 

“È sera. Apro la posta elettronica. Ho un balzo al cuore: un messaggio che arriva da Acta Mathematica, una rivista di ricerca matematica che in molti considerano la più prestigiosa di tutte. È là che io e Clément abbiamo presentato per la pubblicazione il nostro mostro di 180 pagine. Di sicuro la rivista mi scrive su questo argomento. Ma… l’abbiamo inviato meno di quattro mesi fa! Tenuto conto della lunghezza del manoscritto, è troppo poco perché i referenti abbiano espresso il loro parere e gli editori abbiano preso una decisione positiva. Una sola spiegazione: la rivista scrive per comunicare che l’articolo è stato rifiutato.” (p. 209) 

E di intuizioni improvvise, come in questa citazione di André Weil: 

“Ogni matematico degno di questo nome ha provato, anche se solo qualche volta, lo stato di lucida esaltazione nel quale un pensiero succede a un altro come per miracolo… Contrariamente al piacere sessuale, questa sensazione può durare per diverse ore, o persino diversi giorni.” (p. 135) 

O come quando Villani scopre come migliorare i punti oscuri che sono costati il rifiuto della rivista: 

“È l’illuminazione, là, con la mia matita, sul letto. Mi alzo e vado su e giù furiosamente per la camera, con gli appunti in mano, lo sguardo fisso sulle formule cabalistiche. Il destino dell’articolo si è appena ribaltato un’altra volta. Questa volta non si tratta di riparare un errore, ma di migliorare i risultati.” 

La vicenda raccontata nelle pagine di Théorème vivant si conclude con la pubblicazione dell’articolo definitivo su Acta Mathematica, 207, 1 (2011) 29-201, e con il conferimento a Villani della Medaglia Fields durante il Congresso Internazionale dei Matematici (ICM), tenutosi a Hyderabad in India nell'agosto 2010, per i suoi studi sull'equazione di Boltzmann, sul trasporto ottimale e sullo “smorzamento di Landau per l’equazione di Vlasov-Poisson”. 

Se non pare abbastanza, nel libro si ritrovano anche una buona divulgazione della matematica contemporanea, con le biografie di alcuni tra i suoi esponenti più eminenti (bellissimi i ricordi di John Nash e di Carlo Cercignani), la spiegazione di alcune delle sue conquiste, la storia di alcuni prestigiosi centri di ricerca. Sfogliando il libro prima di leggerlo si può rimanere intimoriti dalle pagine di formule e di dimostrazioni che sono intercalate nel racconto: esse sono fondamentali per il matematico che desidera seguire il percorso intellettuale e tecnico di Villani, ma possono essere considerate dal lettore non specialista delle misteriose illustrazioni senza che la comprensione generale del testo ne venga guastata. 

Insomma, un libro del genere lo poteva scrivere solo un personaggio geniale, poliedrico, originale come Cédric Villani, che ha voluto, proprio nella complicata e multiforme struttura del testo, far conoscere alcuni degli aspetti della sua personalità, parlandoci persino della sua passione per i manga e per la musica, del suo amore per la famiglia, riportando fiabe raccontate ai figli e descrivendo piccole vicende domestiche, Nelle pagine del libro fa solo capolino la rockstar della matematica come ogni tanto egli stesso ama descriversi ai media, ammaliati dal suo abbigliamento eccentrico, con abiti da dandy, cravatta a fiocco e spilla a forma di ragno. In fondo, anche un grande matematico è figlio del suo tempo, compresa una certa dose di egocentrismo. 

Cédric Villani 
Théorème vivant 
Ed. Grasset, Paris, 2012 
pp. 282 
Prezzo in Francia: 19 € 

(le traduzioni dal francese sono mie: abbiate comprensione)

martedì 20 novembre 2012

Riti di amore e matematica? Mah!


Cioè: c’è un matematico americano che si innamora di un cortometraggio di Yukio Mishima, se ne innamora e decide di ispirarsi per parlare di matematica.

 

A Parigi trova anche dei complici cinematografari. La bellissima storia di un samurai costretto dall'imperatore a uccidere i suoi amici, che decide di suicidarsi per non farlo, e la sua amata che decide per amore di seguirlo nella morte, diventa così la storia di uno che ha trovato la formula matematica dell’amore e per non farla cadere in cattive mani, decide di tatuarla sul corpo dell’amata, che è anche una bella figa.

Poi scrive un articolo su ArXiv per dire che l’ha fatto per amore della matematica e che lui vuole divulgarla, la matematica, uno spot e nessuna ricerca nuova: solo una sua formula del 2006 sugli "istantoni",  speciali soluzioni della teoria del campo quantistico nelle quali si minimizza l'"azione". La formula è abbastanza complicata da poter essere utilizzata nella lunga e cruciale scena del tatuaggio. Allora non si capisce che cacchio c’entrano gli "istantoni" con la formula dell’amore, che mi sembra una storia di quello di Ifix Tchen Tchen. Poi trova anche la maniera di fare proiettare il film al simposio annuale Matematica e Cultura del 2012 a Venezia, dove coinvolge persino Michele Emmer. Vuoi vedere il film? Devi pagare cinque euri per scaricarlo o ti compi il DVD e poi lui pubblicherà l’articolo completo in un libro per Springer Verlag. Io i cinque euri non li spendo e vi faccio vedere solo il trailer. Ma che c’entra la matematica?


Edward Frenkel (2012). Mathematics, Love, and Tattoos To be published by Springer Verlag arXiv: 1211.3704v1


Il mio primo articolo RIFIUTATO da Research Blogging!

venerdì 9 novembre 2012

Un’erudita disputa irlandese

L’irlandese Flann O’Brien (1911-1966) è uno degli scrittori più divertenti che abbia mai letto. Dopo aver presentato in un articolo precedente l’idiota erudito De Selby, uno dei protagonisti de Il terzo poliziotto (Adelphi, 1992), torno sulla sua esilarante critica al sapere nozionistico e fine a se stesso riportando un brano tratto da Una pinta d’inchiostro irlandese (Adelphi, 1993), nella bella traduzione di J. Rodolfo Wilcock. Il romanzo è costruito con un sistema a scatole cinesi, per cui c’è un romanzo che è dentro un romanzo a sua volta dentro un romanzo. L’originale uscì nel 1939 con il titolo originale At Swim-two-birds e non ebbe un grande successo commerciale. Le critiche furono piuttosto discordi: vi fu chi lo giudicò piacevole ma superficiale, mentre altri individuarono nella sua prosa singolare e scoppiettante, virtuosistica e surreale, la promessa di un rinnovamento della letteratura irlandese. Piacque a Dylan Thomas e James Joyce e, più tardi anche a Graham Greene e Anthony Burgess. 


Il seguente e imperfetto riassunto o sommario può dare un’idea approssimativa del livello erudito della conversazione che senza sforzo apparente tennero in quell'occasione i nostri tre galantuomini. 

Non tutti sanno, osservò Mr. Furriskey, che il coefficiente di espansione è identico per tutti i gas. Un gas si espande nella misura di un centosettantatreesimo del suo volume per ogni grado centigrado di aumento di temperatura. Il peso specifico del ghiaccio è 0,92, quello del marmo 2,70, quello del ferro (ghisa) 7,20, (battuto) 7,79. Un miglio equivale a 1,6093 chilometri, con un'approssimazione dell’ordine di un decimillesimo. 

Certo, Mr Furriskey, osservò Mr Paul Shanahan, con un calmo sorriso che metteva in mostra il candore dei suoi denti, ma colui la cui scienza si riduce alla conoscenza delle formule necessarie alla risoluzione di problemi algebrici o simili, merita di venir ucciso con un fucile, oppure con un moschetto leggero, ormai antiquato. L'utilità della scienza non può non essere che di carattere squisitamente pratico. Consideri lei questo fatto, che il sale in soluzione acquosa è un eccellente emetico e può venir somministrato senza pericolo alle persone che sono solite mangiare bacche velenose, oppure fanno consumo di cacodile, un composto maleodorante di arsenico e metile. Una chiave piatta, fredda, applicata sul collo, serve a fermare le emorragie nasali. Non c'è nulla di meglio di una buccia di banana per lucidare le scarpe marroni. 

Dire che il sale, in soluzione acquosa, è un piacevole emetico, obiettò argutamente Lamont, costituisce una trivialità che soltanto riguarda circostanze effimere e senza importanza, quali sono i sempre perituri plasmi del corpo umano. Il corpo è un recipiente troppo transitorio, sul quale non si possono eseguire che ricerche superficiali. Da un punto di vista soltanto il corpo è importante: perché offre alla mente un punto di partenza per la speculazione e la congettura. Mi permetto di raccomandarle, Mr. Shanahan, quella profilassi spirituale, assai più vera, che celano le matematiche di Mr. Furriskey. La possibilità di ragionare sulla base ordinata dell'aritmetica, quello è il vero passaporto dell'uomo per l'infinito. Dio è la radice di meno uno. Egli è una profondità troppo immane per lasciarsi circoscrivere da un cervello umano. Ma il Male è finito e comprensibile, e ammette il calcolo. Meno Uno, Zero e Più Uno sono i tre enigmi insolubili della Creazione.

Mr. Shanahan emise una risatina colta. L'enigma dell'universo, sarei in grado di risolverlo, se volessi, disse, ma alla risposta preferisco la domanda. Costituisce per gli uomini un pretesto inesauribile di erudite discussioni. 

Altri particolari degni di menzione, menzionò Mr. Furriskey con aria distratta per quanto raffinata, sono i seguenti: la grande piramide di Gizeh misura 150 metri d'altezza ed è considerata una delle sette meraviglie del mondo; le altre sei sono i giardini pensili di Babilonia, la tomba di Mausolo nell'Asia Minore, il colosso di Rodi, il tempio di Diana, la statua di Giove in Olimpia e il Faro di Faro edificato da Tolomeo Filadelfo circa trecentocinquanta anni prima di Cristo. L'idrogeno si congela a meno 253 gradi centigradi, ciò che equivale a meno 423 gradi nella scala di Fahrenheit. 

Nomi popolari o di uso corrente di alcune sostanze chimiche, osservò Mr. Shanahan, cremore di tartaro = bitartrato di potassio, gesso = solfato calcico idrato, acqua = ossido di idrogeno. Tocchi di campana e guardie a bordo di una nave: prima mezza guardia = dalle quattro di pomeriggio alle sei, seconda mezza guardia = dalle sei di sera alle otto, pomeridiana = da mezzogiorno alle quattro. Paride, figlio di Priamo, re di Troia, rapì la moglie di Menelao, re di Sparta, e questo provocò la Guerra di Troia. 

Il nome della moglie, disse Lamont, era Elena. Il cammello non è in grado di nuotare per via della curiosa distribuzione anatomica del suo peso: se la bestia viene immessa in acque profonde, la testa rimane sott'acqua. La capacità, nello studio dell'elettricità, si misura in farad; un microfarad equivale a un milionesimo di farad. Un carbonchio è un'escrescenza carnosa che somiglia ai bargigli di un tacchino. Sfragistica è lo studio delle impronte dei sigilli. 

Eccellente, osservò Mr. Furriskey con quel calmo sorriso che lo rendeva così simpatico a tutti coloro i quali avevano a che fare con lui, ma non bisogna trascurare il fatto che la velocità della luce in vacuo è di 298.000 chilometri al secondo. La velocità del suono nell'aria è di 332 metri al secondo, nello stagno di 2757 metri al secondo, nel legno di noce, di mogano e in altri legni pesanti di 3352 metri al secondo circa; nel legno di abete, di 6096 metri al secondo. Il seno di 15 gradi è uguale alla radice di sei meno la radice di due, il tutto diviso per quattro. Percentuali di una lira sterlina: 1 1/4 per cento, tre pence; 5 per cento, uno scellino; 12 1/2 per cento, mezza corona. Alcuni equivalenti metrici: un miglio è uguale a 1,6093 chilometri; un pollice è uguale a 2,54 centimetri; un'oncia è uguale a 28,352 grammi. Il simbolo chimico del Calcio è Ca e quello del Cadmio, Cd. Un trapezoide può essere definito come un quadrilatero che si può dividere in due triangoli mediante una diagonale. 

Qualche fatto curioso riguardante la Bibbia, menzionò educatamente Mr. Lamont: il capitolo più lungo è il Salmo 119 e quello più breve, il Salmo 117. Gli Apocrifi contengono 14 Libri. La prima traduzione inglese fu pubblicata nell'anno 1535 dopo Cristo. 

Alcune date notevoli della storia mondiale, osservò Mr. Shanahan, 753 a.C., fondazione di Roma per opera di Romolo, 490 a.C., battaglia di Maratona, 1498 d.C., Vasco de Gama circumnaviga il Sudafrica e raggiunge l'India, 23 aprile 1564, nasce Shakespeare. 

Fu allora che Mr. Furriskey sorprese e, infatti, deliziò i suoi compagni, per non parlare dei nostri due amici, con una piccola dimostrazione che allo stesso tempo confermava le risorse del suo ingegno e l'ansia sua generosa di diffondere i benefici del sapere. 

Con la punta del suo pregiato bastone di malacca, spazzò via le foglie morte ai suoi piedi e tracciò il disegno di tre quadranti o sfere d'orologio sulla terra fertile, nel seguente modo: 


Come leggere il contatore del gas, annunciò. In qualunque contatore del gas si possono osservare quadranti simili a questi che piuttosto rozzamente ho tracciato ai miei piedi. Per verificare il consumo di gas, bisogna procurarsi matita e carta e segnare i numeri più prossimi all'indice o lancetta di ciascun quadrante; per esempio, nel presente caso ipotetico, 963. A questa quantità bisogna aggiungere due zeri, così che diventa 96.300. Questa è la risposta al quesito e rappresenta il consumo di gas in piedi cubi. La lettura del contatore della corrente elettrica, per accertare il consumo in chilowattora, è più complicata della lettura precedente e richiederebbe l'aiuto di sei quadranti ai fini della dimostrazione, per i quali però non c'è spazio abbastanza nel tratto di terreno che ho sgomberato di foglie secche, anche ammettendo che i quadranti già esistenti potessero venir adattati allo scopo. 

Dopo di che questi tre scienziati o saggi dell'Oriente cominciarono a parlare tra di loro piuttosto rapidamente, spargendo nel frattempo una pioggia di perle di sapere e di erudizione, gioielli senza prezzo, carbonchi di valore incalcolabile di sofistica e di scienza scolastica, massime tomistiche, complicati teoremi di geometria piana e lunghi brani della Kritik der reinischen Vernunft di Kant. (…)