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venerdì 13 agosto 2021

Almidano Artifoni tra le rocce erranti (dell'Ulysses di Joyce)

 


The Wandering Rocks (Le rocce erranti), decimo episodio dei diciotto dell'Ulysses di James Joyce (1922), racconta le attività dei cittadini nelle strade di Dublino tra le tre meno cinque e le quattro del pomeriggio del 16 giugno 1904. Composto da diciannove brevi scene quasi disarticolate, che mostrano collettivamente quasi tutti i personaggi dell’opera, questo episodio è sia un intermezzo tra le due metà sia una miniatura del tutto. Limitato spazialmente dai percorsi paralleli di due illustri personaggi, il reverendo John Conmee e l’Earl of Dudley, viceré d’Irlanda, che raffigurano la Chiesa e lo Stato coloniale che stringono idealmente la città di Dublino, l’episodio fu pensato come simbolo dell’ambiente ostile, tuttavia ogni personaggio è un protagonista, per cui si respira un’atmosfera corale.



L'episodio è l'unico dell’Ulysses senza un diretto parallelo omerico. Le Rocce Erranti compaiono nell'Odissea solo di terza mano, nel racconto di Ulisse ai Feaci del presagio di Circe sulle due vie di ritorno a Itaca: il percorso attraverso le "Rocce Erranti, o Vagabonde", "le cui onde ribollenti, sotto alti possenti venti, / portano sballottando relitti di navi e uomini” e il percorso tra Scilla e Cariddi. Poiché Ulisse opta per quest'ultima strada, che Joyce ha tracciato nell'episodio 9 (Scilla e Cariddi, appunto), The Wandering Rocks allude alla strada non intrapresa nell'epopea di Omero. Sebbene l’Ulysses qui diverga dalla trama dell'Odissea, Omero fornisce ancora l'ispirazione fondamentale per l’episodio, con i due percorsi dei potenti che, come confini mobili (rocce erranti), minacciano lo spazio intermedio, Dublino.



La sesta scena vede Stephan Dedalus mentre parla (in italiano, anche nell’originale) con il maestro di canto dall’altisonante nome di Almidano Artifoni. Pare che la decisione di Stephen di non intraprendere quella che potrebbe essere, secondo Artifoni, una redditizia carriera vocale sia legata alla sua convinzione che "il mondo è una bestia" (il travagliato giovane avrebbe detto che è un inferno).

Questa è la traduzione della scena di Enrico Terrinoni, per l’edizione che ha curato per Newton Compton (Roma, 2015). In corsivo sono le parole in italiano nell’originale di Joyce:


Ma! fece Almidano Artifoni.
Lanciò uno sguardo oltre le spalle di Stephen verso la zucca bitorzoluta di Goldsmith.
Due vetture cariche di turisti passavano lentamente, le donne sedute davanti, aggrappate vistosamente al corrimano. Visi pallidi. Le braccia degli uomini cingevano vistosamente le loro sagome rachitiche. Dal Trinity guardarono il colonnato cieco della bank of Ireland, dove tuuuubavano i piccioni.
Anch’io ho avuto di queste idee, disse Almidano Artifoni, quand’ero giovine come Lei. Eppoi mi sono convinto che il mondo è una bestia. E peccato. Perché la sua voce… sarebbe un cespite di rendita, via. Invece, Lei si sacrifica.
Sacrifizio incruento, disse Stephen sorridendo, facendo lentamente dondolare di qua e di là il bastone di frassino, tenendolo con levità per un punto mediano.
Speriamo, disse benevolmente la rotonda faccia baffuta. Ma, dia retta a me. Ci rifletta.
All’altezza della petrosa mano severa di Grattan, che imponeva l’alt, un tram per Inchicore scaricò in maniera sparsa i soldati di una banda del reggimento scozzese degli Highlanders.
Ci rifletterò, disse Stephen, abbassando lo sguardo sulla massiccia gamba dei pantaloni.
Ma, sul serio, eh? disse Almidano Artifoni.
La sua mano pesante strinse con vigore quella di Stephen. Occhi umani. Scrutarono curiosamente un istante e di colpo si voltarono verso il tram per Dalkey.
Eccolo, disse Almidano Artifoni con amichevole fretta. Venga a trovarmi e ci pensi. Addio, caro.
Arrivederla, maestro, disse Stephen, togliendosi il cappello non appena la mano fu libera. E grazie.
Di che? disse Almidano Artifoni. Scusi, eh? Tante belle cose!
Almidano Artifoni, tenendo in mano come segnale uno spartito arrotolato a manganello, trotterellò coi suoi calzoni pesanti dietro al tram per Dalkey. Invano trotterellò, facendo segno invano tra la ressa degli scozzesi con le ginocchia nude, intenti a introdurre furtivamente i loro strumenti musicali attraverso i cancelli del Trinity.

Più tardi, troviamo un cenno al baffuto insegnante di musica italiano nella diciassettesima scena (“Almidano Artifoni superò Holles Street procedendo oltre il cantiere di Sewell”) e nell’ultima, dove il corteo del Viceré d’Irlanda, passando per Landsdowne Road, incontra il saluto distratto, doveroso, ipocrita degli astanti “e il saluto dei pantaloni resistenti di Almidano Artifoni, inghiottiti da una porta che si chiudeva”. Quella porta che si chiude segna anche la fine dell’episodio.


Il cognome Artifoni significava qualcosa di importante per Joyce, perché si trova anche in Stephen Hero, una lunghissima opera autobiografica che Joyce scrisse tra il 1904 e il 1907 e che non completò perché persuaso che mancasse di controllo artistico e forma. Joyce lo riscrisse come "un'opera in cinque capitoli" con un titolo, Ritratto dell’artista da giovane, o Dedalus (1916), inteso a dirigere l'attenzione sulla figura centrale, Stephan Dedalus. Giuntoci in due frammenti disomogenei, forse parzialmente distrutto dallo stesso Joyce, il manoscritto di Stephen Hero fu ritrovato dopo la sua morte e pubblicato postumo nel 1944. L’edizione italiana, nella traduzione di Carlo Linati, porta il titolo Le gesta di Stephen (Mondadori, 1993). Charles Artifoni è in Stephen Hero l’insegnante di italiano di Stephen all’University College di Dublino (allora retto dai Gesuiti):

“Stephen scelse come materia opzionale l'italiano, in parte per il desiderio di leggere Dante in un modo serio e in parte per sfuggire la ressa delle lezioni di francese e tedesco. Nessun altro al college studiava italiano, così un mattino sì e uno no Stephen veniva al college alle dieci e saliva alla stanza di Padre Artifoni. Padre Artifoni era un moretto intelligente che veniva da Bergamo…”

Sappiamo dalla biografia di Joyce che il suo insegnante di italiano si chiamava in realtà padre Charles Ghezzi s.j., trasformato in Artifoni. Ghezzi compare in altri racconti di Joyce, con il nome sempre cambiato, ma con le stesse fattezze.

E Almidano Artifoni? Era un personaggio reale? Possiamo con certezza rispondere affermativamente, ma egli non era né un gesuita, né un musicista. Era un uomo che aveva fatto del bene a Joyce, al punto da meritarsi le citazioni che sono state riportate.

Il bergamasco Almidano Artifoni (1873-1950, dopo essersi diplomato alla Scuola superiore di Commercio di Genova, fu per cinque anni insegnante alla Berlitz School di Amburgo in Germania, arrivando a diventarne il direttore. Nel 1900 si trasferì a Trieste, per aprirvi la locale filiale della Berlitz. Qualche anno più tardi divenne molto importante nella vita dello squattrinato James Joyce (giunto a Trieste nell’ottobre 1904 con la compagna Nora Barnacle incinta), che tolse dalle ristrettezze assegnandogli un posto di insegnante di inglese presso la sede distaccata di Pola, e poi nella sede centrale della stessa Trieste, dove successivamente diede lavoro anche al fratello di Joyce, Stanislaus, che aveva raggiunto James nel capoluogo giuliano.

Nel 1907 Artifoni lasciò la direzione della Berlitz School nelle mani di altri due insegnanti, anche se continuava a presentarsi come direttore. Insegnò ragioneria alla Scuola Superiore di Commercio Revoltella e aiutò Joyce a ottenere il ruolo di insegnante d’inglese nello stesso istituto tra il 1910 e il 1913. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il vero Artifoni rimase a Trieste lavorando come esperto contabile per il Tribunale.

E lo pseudo-Artifoni maestro di canto che compare nell’Ulysses? Era il maestro napoletano Luigi Denza, compositore di Funiculì funiculà, insegnante alla London Academy of Music, il quale nel 1904 aveva presieduto la giuria del prestigioso concorso di canto dublinese Feis Ceoil, a cui Joyce aveva partecipato vincendo la medaglia di bronzo. Si disse che avesse rinunciato alla finale a causa della richiesta di cantare un pezzo leggendo la musica.  Joyce era infatti un melomane appassionato, aveva una bella voce tenorile e prese qua e là lezioni da diversi maestri. Durante il soggiorno triestino era stato allievo di Romeo Bartoli quando si iscrisse al Conservatorio di Musica di Trieste nell’ottobre del 1908 con l’intenzione di esercitare la voce per dedicarsi a una carriera da professionista. Bartoli gli confermò di essere dotato di una voce piuttosto buona e gli promise che sarebbe stato pronto a salire su un palco entro due o tre anni. Si sa, inoltre, che Joyce diede a Bartoli delle lezioni di inglese ed è possibile che i due scambiassero le proprie prestazioni professionali. In realtà la “carriera” di Joyce si sarebbe limitata alla performance resa nel quintetto tratto da Der Meistersinger di Wagner al concerto di fine anno del Conservatorio, il 3 luglio 1909.

Insomma, Artifoni, uno e trino, vero o prestanome, rappresentò per lo scrittore irlandese una figura positiva (“Occhi umani”) che volle ricordare nelle sue opere e, soprattutto, nel suo capolavoro.


mercoledì 8 agosto 2012

Canis Major

The great Overdog, 
That heavenly beast 
With a star in one eye, 
Gives a leap in the east. 

 He dances upright 
All the way to the west, 
And never once drops 
On his forefeet to rest. 

 I'm a poor underdog, 
But to-night I will bark 
With the great Overdog 
That romps through the dark. 

Robert Frost, da West-Running Brook (1928)


Il gran Cane Superiore 
quell'animale celeste 
con una stella in un occhio
fa un balzo dall’est. 

Lui danza in piedi
lungo la strada dell’ovest, 
e mai una volta si abbassa 
a riposare sulle zampe davanti. 

Io sono un povero cane inferiore, 
ma stanotte abbaierò 
con il gran Cane Superiore 
che se la spassa nell'oscurità.


giovedì 26 luglio 2012

Dimmi di Old King Cole (e di Kirkman)

Dimmi di un vecchio re britanno, alleato dei Romani, che i gallesi chiamano Coel Hen (Coel il Vecchio), forse vissuto ai tempi di Diocleziano, quindi prima ancora dell’Artù storico. 

Dimmi della leggenda che vuole il vecchio Coel padre di Elena, che sposò Costanzo Cloro e nel 272 mise alla luce Costantino il Grande (anche per gli appellativi è questione di punti di vista). 

Dimmi della vecchia Nursery Rhyme intitolata Old King Cole, che narra di un re godereccio che chiedeva la sua pipa, o il suo flauto (pipe), la sua tazza (bowl) e i suoi tre suonatori di violino (fiddlers three). 

Dimmi della prima versione a stampa, pubblicata da William King nelle Useful Transactions in Philosophy nel 1708–9: 

Good King Cole, 
And he call'd for his Bowle, 
And he call'd for Fidler's three; 
And there was Fiddle, Fiddle, 
And twice Fiddle, Fiddle, 
For 'twas my Lady's Birth-day, 
Therefore we keep Holy-day 
And come to be merry. 

Dimmi della versione più recente e popolare, che fa così: 

Old King Cole was a merry old soul 
And a merry old soul was he; 
He called for his pipe, and he called for his bowl 
And he called for his fiddlers three. 
Every fiddler he had a fiddle, 
And a very fine fiddle had he; 
Oh there's none so rare, as can compare 
With King Cole and his fiddlers three.

 

Dimmi di un meraviglioso cantante e pianista afroamericano che si chiamava Nathaniel Coles, ma fu presto chiamato Nat King Cole per la sua bravura. 

Dimmi di un gruppo musicale che si chiamava Genesis, che pubblicò nel 1971 un fantastico album intitolato Nursery Cryme, che citò Old King Cole in una sua canzone, The Musical Box

Play me Old King Cole 
That I may join with you, 
All your hearts now seem so far from me 
It hardly seems to matter now. (…)

 

Dimmi ancora, dimmi di un altro grande gruppo di quei fantastici anni ’70, i Queen, che parodiarono il povero Old King Cole e lo fecero diventare il Great King Rat di una loro immatura canzone (e titolo dell’album omonimo del 1973): 

Great King Rat was a dirty old man 
And a dirty old man was he 
Now what did I tell you 
Would you like to see?

 

Dimmi, poi, dimmi di Thomas Penyngton Kirkman (1806-1895), matematico inglese esperto in combinatoria e nella teoria dei gruppi, Kirkman di nome e di fatto, dato che era un pastore anglicano. Dimmi la poesia che pubblicò intorno al 1862 sull'Educational Times, un mensile londinese dedicato ai giochi e ai problemi matematici. Dimmi dei versi all'antica di The Revenge of Old King Cole che introducevano un problema combinatorio: 

"Full oft ye have had your fiddler's fling, 
For your own fun over the wine; 
And now"quoth Cole, the merry old king, 
"Ye shall have it again for mine. 
My realm prepares for a week of joy 
At the coming of age of a princely boy - 
Of the grand six days procession in square, 
In all your splendour dressed, 
Filling the city with music rare 
From fiddlers five abreast," (...) 

Dimmi infine del problema nascosto nei versi, delle 25 persone in marcia sistemate in cinque file il lunedì. Il martedì la seconda colonna si sposta di un posto verso l’alto, la terza colonna di due posti, la quarta di tre posti e la quinta di quattro posti. La stessa regola si applica per i giorni successivi, fino al venerdì: in nessuna delle disposizioni così costruite le stesse due persone si trovano nella stessa fila. La regola però non funziona più il sabato, così si è costretti a una disposizione speciale pur di fare in modo che due persone condividano la stessa fila in giorni sempre diversi. 

Dimmi adesso la soluzione: qual è la disposizione del sabato? 

Almeno questa, lettore, dimmela tu.

mercoledì 25 aprile 2012

Astronomy Domine

Immagine di Titano ripresa il 28 ottobre 2004 
dalla sonda Cassini
Lime and limpid green, a second scene
A fight between the blue you once knew.
Floating down, the sound resounds
Around the icy waters underground.
Jupiter and Saturn, Oberon, Miranda
And Titania, Neptune, Titan.
Stars can frighten.
...
Blinding signs flap,
Flicker, flicker, flicker blam. Pow, pow.
Stairway scare Dan Dare who's there?
Lime and limpid green
The sounds surrounds the icy waters underground
Lime and limpid green
The sounds surrounds the icy waters underground.

(Syd Barrett)

Astronomy Domine è la traccia che apre l’album The Piper at the Gates of Dawn, pubblicato nell’agosto del 1967. La canzone fu composta da Barrett tra il 1965 e il 1966 con l’aiuto dell’LSD. I riferimenti a pianeti e loro satelliti sono dovuti alla consultazione di diversi atlanti astronomici posseduti da Mike Leonard, nel cui appartamento londinese il gruppo si riuniva per provare.

Nel suo viaggio lisergico e spaziale, l’allora leader della band si paragona a Dan Dare, personaggio di un fumetto inglese di fantascienza che esordì nel 1950, pubblicato con il titolo Dan Dare, Pilot of the Future. Le vicende del pilota di astronavi erano ambientate negli allora lontani anni ‘90, ma l’atmosfera è quella del cinema di guerra britannico degli anni ‘50.

Tavola di Dan Dare

Il sogno psichedelico di Barrett e dei Pink Floyd nasce anche da una buona dose di cultura pop, ma i risultati appartengono alla storia della musica.


sabato 7 gennaio 2012

La canzone della derivata

Il grande Tom Lehrer (1928), matematico, musicista, parodista, feroce satirista liberal, pacifista e oppositore della guerra del Vietnam, è altrettanto noto negli Stati Uniti quanto sconosciuto in Italia. A lui Peppe Liberti su Rangle ha dedicato un articolo giusto un anno fa, al quale rimando per una conoscenza più approfondita del personaggio, mentre la sua discografia, con la possibilità di ascoltare tutte le sue canzoni e leggere i testi, si può trovare qui. Oggi mi limito a parlare di una sua bellissima parodia dedicata alla derivata, The Derivative Song, scritta nel 1951 sulla musica della canzone There’ll Be Some Changes Made di W. Benton Overstreet, uno standard che fu interpretato, tra gli altri, da Benny Goodman nel 1939 e poi da Billie Holliday.


Ho trovato sul sito dello Haverford College una pagina dedicata alla versione di Lehrer, nella quale sono contenuti il testo, che fu pubblicato sull’American Mathematical Monthly, vol.81, p. 490 (1974), il file mp3 della canzone originale con Lehrer al piano. Ecco il testo, seguito dal mio adattamento:

The Derivative Song:
You take a function of x and you call it y,
Take any x0 that you care to try,
Make a little change and call it delta-x,
The corresponding change in y is what you find nex',
And then you take the quotient, and now carefully
Send delta-x to zero and I think you'll see,
That what the limit gives us, if our work all checks,
Is what we call dy/dx, it's just dy/dx.

Nota: x0 si legge x nought.

La canzone della derivata
Considera una funzione di x, che y chiamerai,
prendi un qualsiasi x0, quello che vorrai,
fai un piccolo cambio, che delta-x sarà,
il corrispondente cambio in y avverrà,
poi prendi il quoziente e ora con attenzione
manda delta-x a zero, e non è opinione,
che ciò che ci dà il limite, se avrai controllato
è ciò che dy/dx, proprio dy/dx è chiamato.

Concludo con la simpatica interpretazione che Lehrer fornì il 19 marzo 1997 al Mathematical Sciences Research Institute (MSRI) di Berkeley, in occasione dell’ottantesimo compleanno del suo direttore emerito, il matematico e pianista canadese Irving "Kaps" Kaplansky (1917-2006), noto per numerose congetture in diverse branche delle matematiche e per aver composto A Song About Pi, con una melodia basata assegnando note ai primi 14 decimali di pi greco. Un altro matematico da conoscere, magari un’altra volta.


lunedì 14 novembre 2011

Mamma Oca e la scienza moderna


Mamma Oca è una vecchia palmipede che veste alla contadina, con un grembiule variopinto e il cappellaccio in testa, e che da secoli è conosciuta per la sua grande abilità di raccontare favole, filastrocche e nonsense ai bambini. Di origini francesi (il primo accenno all’esistenza di ma mère l'Oye è del 1626), è stata celebrata da Jacques Perrault il quale, nel 1695, riportò per iscritto una serie di fiabe nelle Histoires ou contes du temps passés, avec des moralités, meglio conosciute con il sottotitolo Contes de ma mère l'Oye, tra le quali ne troviamo alcune che sarebbero diventate immortali come Cenerentola, Il Gatto con gli stivali o Barbablù. Ben presto la sua fama ha varcato la Manica, giungendo in Inghilterra dove, con il nome di Mother Goose, si è specializzata nelle ninnenanne e filastrocche per bambini che là chiamano nursery rhymes e che spesso le vengono attribuite, anche se in realtà appartengono alla tradizione popolare e sono molto più antiche. La pubblicazione di Mother Goose's Melody, or, Sonnets for the Cradle (1765) da parte di John Newbery costituisce la prima raccolta scritta di molte di quelle poesiole tradizionali, ancora in uso al giorno d’oggi, come ad esempio Little Jack Horner, le cui origini si fanno risalire al regno di Enrico VIII (l’asterisco indica quando l’adattamento è mio):


*Il piccolo Giannuccio
sedeva in un cantuccio
mangiando il panettone:
ci mise dentro un dito,
ci estrasse un candito
dicendo “Sono un cannone!”

Il periodo di maggior successo della nostra beccuta contastorie è stato il secolo XIX, durante il quale la sua fama si è estesa in Germania, negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Nel 1803, in una raccolta attribuita a Mamma Oca, faceva il suo esordio un personaggio che avrebbe fatto carriera grazie a Lewis Carroll e al suo Alice nel paese delle meraviglie, l’uovo parlante Humpty Dumpty:


Humpty Dumpty sul muro sedeva,
Humpty Dumpty dal muro cadeva.
Tutti i cavalli e i soldati del re
non riuscirono a rimetterlo in piè.

Due anni dopo (1805), in Songs for the Nursery, veniva pubblicata per la prima volta la storiella di Little Miss Muffet che ha paura dei ragni:


*La signorinella Gina
sedeva su una panchina
mangiando siero e cagliata;
quando un ragnaccio sbucò
e accanto a lei si sistemò
e la povera Gina fu spaventata.

Nel 1842 James Halliwell-Phillipps, studioso scespiriano e raccoglitore filastrocche popolari, diede alle stampe Nursery Rhymes of England, in cui la nostra Mother Goose racconta la storia di Solomon Grundy:

Solomon Grundy,
Born on a Monday,
Christened on Tuesday
Married on Wednesday,
Took ill on Thursday,
Grew worse on Friday,
Died on Saturday,
Buried on Sunday.
That was the end of
Solomon Grundy.

Solomon Grundy,
nato di lunedì,
battezzato di martedì,
sposato di mercoledì,
ammalatosi di giovedì,
peggiorato di venerdì,
morto di sabato,
sepolto di domenica.
Questa è la fine di
Solomon Grundy.

Che a me ricorda molto una filastrocca italiana, anch’essa basata giorni della settimana, che mi racconta spesso mia moglie e che mi sembra più vicina allo spirito di Mamma Oca:


Lunedì chiusin chiusino
martedì bucò l'ovino
uscì fuor mercoledì
pio pio fe’ giovedì
venerdì fu un bel pulcino
beccò sabato un granino
la domenica mattina
avea già la sua crestina.

All’inizio del Novecento, Mamma Oca godeva di un indiscusso prestigio internazionale, tanto da informare di sé lo spirito e la memoria di ogni buon anglosassone e da essere celebrata in Francia da Maurice Ravel, il quale si ispirò principalmente ai racconti di Perrault per la suite in cinque parti Ma Mère l'Oye, inizialmente composta per pianoforte a quattro mani (1908) e poi adattata per orchestra (1920). Per la mia generazione Mother Goose è il titolo di un brano dei Jethro Tull, dal loro album capolavoro Aqualung (1971), nel quale gli incontri di una passeggiata in città ricordano al protagonista personaggi e situazioni delle filastrocche udite da bambino:



Nel Novecento la storia di Mamma Oca si mescola (o si contamina: è questione di punti di vista) con le vicende del mondo che cambia e ne viene influenzata. Le filastrocche per bambini della narratrice pennuta si modernizzano e si aprono alle novità scientifiche e tecnologiche della società moderna, come l’automobile o l’aeroplano.


La prima versione dell’era spaziale dei racconti di Mamma Oca è senz’altro la curiosa raccolta Space Child's Mother Goose, pubblicata presso Simon and Schuster nel 1958. I versi, fintamente infantili e molto scientifici, sono di Frederick Winsor, che morì proprio quell’anno all’età di 58 anni, e le illustrazioni, eleganti e intricate, sono di Marian Parry. Le filastrocche, in gran parte parodie di testi tradizionali, sono gradevoli come opere in se stesse, ma acquistano maggiore fascino se considerate dal punto di vista della matematica e della fisica, delle quali sono un simpatico esempio di narrazione umoristica. I temi trattati sono quelli che più appassionavano l’opinione pubblica in un periodo di grandi speranze riposte nell’esplorazione dello spazio, ma toccano argomenti vari, tra i quali la topologia e la fisica nucleare. Di seguito presento una piccola selezione:



Little Jack Horner
Sits in a corner
Extracting cube roots to infinity,
An assignment for boys
That will minimize noise
And produce a more peaceful vicinity.

*Il piccolo Giannuccio
sedeva in un cantuccio
estraendo radici cubiche a perdifiato.
Un compito per ragazzi
che riduce gli schiamazzi
e ci dà un più tranquillo vicinato.


Solomon Grundy
Walked on Monday
Rode on Tuesday
Motored Wednesday
Planed on Thursday
Rocketed Friday
Spaceship Saturday
Time Machine Sunday
Where is the end for
Solomon Grundy?

*Solomon Grundy
a piedi il lunedì,
in bici il martedì,
in auto di mercoledì,
con l’aereo di giovedì,
con il razzo il venerdì,
in astronave di sabato,
con la macchina del tempo la domenica.
Dove si fermerà mai
Solomon Grundy?


Three jolly sailors from Blaydon-on-Tyne
They went to sea in a bottle by Klein.
Since the sea was entirely inside the hull
The scenery seen was exceedingly dull.

*Tre allegri marinai di Blaydon-on-Tyne
andavano per mare in una bottiglia di Klein.
Finché tutto il mare non entro nell’imbarcazione
lo spettacolo non regalava alcuna emozione.



Little Miss Muffet
Sits on her tuffet
In a nonchalant sort of a way.
With her force field around her
The spider, the bounder,
Is not in the picture today.

*La signorinella Gina
siede su una panchina
con grande disinvoltura.
Col suo campo di forza attorno
il ragno che l’atterrì un giorno
oggi non è nella figura.


Flappity, Floppity, Flip!
The Mouse on the Möbius strip.
The strip revolved
The mouse dissolved
In a chronodimensional skip.

*Gira, giro, girotondino!
Sul nastro di Möbius il topolino.
Il nastro s’è avvolto,
il topo s’è dissolto
in un cronodimensionale saltino.


Probable-Possible, my black hen,
She lays eggs in the Relative When.
She doesn't lay eggs in the Positive Now
Because she's unable to Postulate How.

*Probabile/possibile, la mia gallina nera,
depone le uova nel Quando relativo.
Non depone uova nell’Adesso positivo
perché non sa concepire in che maniera.


lunedì 9 maggio 2011

American haikus


Le prime traduzioni di haiku in occidente furono pubblicate agli inizi dell’900 in Francia e in Inghilterra. Oltralpe, i resoconti di viaggio e le traduzioni curate da Paul-Louis Couchoud furono fonte di ispirazione per una generazione di poeti come Julien Vocance (1878-1954), che scrisse sulla sua esperienza di guerra del 1914-18 perle come questa:

Ils ont des yeux luisants
De santé, de jeunesse, d'espoir
Ils ont des yeux en verre.

Hanno degli occhi lucenti,
di salute, di giovinezza, di speranza.
Hanno occhi di vetro.

In Francia di haiku si occuparono, anche scrivendone, Rainer Maria Rilke, Jean-Richard Bloch, René Maublanc, Jean Paulhan e Paul Eluard. In Italia, vicine allo spirito degli haiku furono le poesie degli ermetici della prima e seconda generazione, come Giuseppe Ungaretti, Sandro Penna, Salvatore Quasimodo e Leonardo Sinisgalli, ma degli influssi giapponesi sull’ermetismo italiano dei primi decenni del Novecento, mediati sicuramente dai soggiorni parigini di Ungaretti e di altri prima della Grande Guerra, mi occuperò casomai un’altra volta.

Ezra Pound a Parigi nel 1913
Le prime traduzioni dal giapponese esercitarono un influsso sugli imagisti anglo-americani, cui si legò successivamente e per qualche tempo Ezra Pound. Nel 1913 egli pubblicò una breve poesia simile agli haiku, In a Station of the Metro:

The apparition of these faces in the crowd;
Petals on a wet, black bough.

L’apparire di questi volti nella folla,
petali su un umido, nero ramo.

La dichiarazione di Pound, di qualche anno successiva, “Non usare alcuna parola superflua, nessun aggettivo, che non riveli qualcosa” è molto vicina allo spirito degli haiku che, come ha indicato Roland Barthes (ne L’impero dei segni, 1970), “non descrive, ma si limita ad immortalare un'apparizione, a fotografare un attimo: è per questo che tra le sue caratteristiche peculiari troviamo la leggerezza e, soprattutto, una grande sintesi, che spalanca un vuoto ricco di suggestioni”. Questa idea si ritrova anche in numerose opere di T. S. Eliot e Amy Powell.

Dopo un periodo di relativo oblio, fu solo dopo la seconda guerra mondiale che rinacque nel mondo occidentale l’attenzione per gli haiku, soprattutto grazie ai saggi dell’inglese Reginald Horace Blyth sulla cultura giapponese e alla scoperta, non sempre pienamente compresa, del buddismo Zen. La prima traduzione in una lingua occidentale di un intero volume di haiku avvenne tuttavia in spagnolo. Nel 1956 il poeta e premio Nobel messicano Octavio Paz pubblicò la traduzione di Oku no Hosomichi, “La stretta strada per Oku”, celebre raccolta del grande maestro giapponese del Seicento Matsuo Bashō. Secondo Paz, l'introduzione dell’haiku ha rappresentato per la poesia occidentale “una critica della spiegazione e della reiterazione, che sono malattie della poesia”.


L’opera di divulgazione e di critica di Blyth stimolò la pubblicazione delle prime raccolte di traduzioni, che a loro volta incoraggiarono la composizione di haiku, soprattutto presso i poeti e gli scrittori della Beat Generation degli anni ’50 e ’60, affascinati dal buddismo giapponese. Scrittori come Jack Kerouac e Allen Ginsberg scrissero molti haiku, tutti piuttosto irregolari nella metrica. Come spiegò lo stesso Kerouac, “L’haiku americano non è esattamente come quello giapponese. L’haiku giapponese è strettamente disciplinato dalle diciassette sillabe, ma, poiché la struttura del linguaggio è diversa, non penso che l’haiku americano (brevi componimenti di tre versi intesi come completamente confezionati con il Vuoto del Tutto) debba preoccuparsi delle sillabe, poiché la lingua americana è d’altra parte qualcosa… che scoppia di cultura popolare. Soprattutto, un haiku deve essere molto semplice e privo di ogni trucco poetico e descrivere una piccola immagine, malgrado ciò deve essere arioso e grazioso come una Pastorella di Vivaldi”.

Kerouac compose haiku per tutta la vita, almeno a partire dalla metà degli anni ’50. Essi si trovano disseminati qua e là nelle sue opere, come ne I vagabondi del Dharma, il cui protagonista ne scrive alcuni. Molti degli haiku di Kerouac furono raccolti in Scattered Poems, City Light Books, 1971, pubblicato due anni dopo la sua morte. Qui ne presento alcuni, accompagnati dal mio adattamento:

Early morning yellow flowers,
Thinking about
The drunkards of Mexico.

Fiori gialli del primo mattino,
pensando
agli alcolisti del Messico.

No telegram today
Only more leaves
Fell.

Oggi nessun telegramma,
solo più foglie
che cadono.

Nightfall,
Boy smashing dandelions
With a stick.

Cala la notte,
un ragazzo spacca denti di leone
con un bastone.

Holding up my
Purring cat to the moon
I sighed.

Sollevando alla luna
il mio gatto che faceva le fusa
ho sospirato.

Drunk as a hoot owl,
Writing letters
By thunderstorm.

Ubriaco come una civetta,
scrivendo lettere
con una tempesta.

Empty baseball field
A robin
Hops along the bench.

Campo di baseball deserto.
Un pettirosso
saltella lungo la panchina.

All day long
Wearing a hat
That wasn't on my head.

Tutto il santo giorno
portando un cappello
che non era sulla mia testa.

Crossing the football field
Coming home from work –
The lonely businessman.

Attraversando il campo di football
torna a casa dal lavoro –
l’uomo d’affari solitario.

After the shower
Among the drenched roses
The bird thrashing in the bath.

Dopo l’acquazzone
tra le rose fradice
l’uccello si scrolla nel bagno.

Snap your finger
Stop the world -
Rain falls harder.

Fai schioccare le dita
ferma il mondo –
la pioggia cade più forte.

Nightfall,
Too dark to read the page
Too cold.

Al calar della notte
troppo buio per leggere la pagina,
troppo freddo.

Following each other
My cats stop
When it thunders.

Seguendosi l’uno con l’altro
i miei gatti si fermano
quando tuona.

Wash hung out
By moonlight
Friday night in May.

Bucato steso ad asciugare
alla luce della luna.
Venerdì sera di maggio.

The bottoms of my shoes
Are clean
From walking in the rain.

Le suole delle mie scarpe
sono pulite
dal camminare nella pioggia.

Glow worm
Sleeping on this flower -
Your light's on.

Lucciola
che dormi su questo fiore –
la tua luce è accesa.

A quiet Autumn night
And these fools
Are starting to argue.

Una quieta notte autunnale
e questi sciocchi
cominciano a discutere.

Every cat in Kyoto
Can see
Through the fog.

Ogni gatto a Kyoto
riesce a vedere
attraverso la nebbia.

A car is coming but
the cat knows
it’s not a snake.

Una macchina sta arrivando
ma il gatto sa
che non è un serpente.

In London-town cats
can sleep
in the butcher’s doorway.

A Londra i gatti
riescono a dormire
nell’entrata del macellaio.

Birds singing
in the dark –
Rainy dawn.

Uccelli che cantano
nel buio –
alba piovosa.

Catfish fighting for his life,
and winning,
splashing us all.

Pesce–gatto che combatte per la vita
e che vince,
bagnandoci tutti.

The low yellow
moon above the
quiet lamplit house.

La bassa e gialla
luna sopra
la quieta casa illuminata.

Unencouraging sign
- the fish store
is closed.

Segno scoraggiante –
la pescheria
è chiusa.

Nodding against
the wall, the flowers
sneeze.

Dondolandosi contro
il muro, i fiori
starnutiscono.

Straining at the padlock
the garage doors
at noon.

Chiudendo a forza con il lucchetto
le porte del garage
a mezzogiorno.

The moon,
the falling star –
look elsewhere.

La luna,
la stella cadente
– guardo altrove.

The rain has filled
the birdbath
again, almost.

La pioggia ha ancora
quasi riempito
la vaschetta per gli uccelli.

The sound in your mind
Is the first sound
That you could sing.

Il suono nella tua mente
è il primo suono
che hai potuto cantare.


E’ necessario dire che queste poesie non convinsero pienamente i critici. Al di là del mancato ma comprensibile rispetto della metrica, agli haiku di Kerouac si rimproverò una certa superficialità. Lo haiku tradizionale richiedeva un lungo periodo di apprendimento e di formazione, mentre Kerouac lo considerava come una forma di poesia “immediata”, che può essere scritta sulle ali di una spontanea ispirazione. Una sorta di scrittura automatica di tipo surrealista (“privo di ogni trucco poetico”), talvolta ispirata e deformata dall’alcol, prende il posto della paziente vergatura di ideogrammi sulla carta dei maestri giapponesi. Per riprendere la metafora della fotografia di Roland Barthes, direi che alle lunghe pose dell’haiku originale, Kerouac sostituisce la tecnica e i risultati delle fotografie fatte con una delle prime Kodak Instamatic.

Forse queste opere di Kerouac andrebbero allora viste alla luce di un altro grande amore dello scrittore americano, il jazz. Egli scrisse poesie sul be–bop, dedicandone una a Charlie Parker, cercando di catturare nei versi lo spirito libero e un po’ folle di questa forma d’espressione musicale. La forma “minimalista” dell’haiku diventa allora un modo per riprendere le brevi frasi musicali del bop, e l’improvvisazione poetica si affianca a quella musicale. Non è un caso allora trovare una trentina degli haiku di Kerouac nell’album Blues and Haikus, che egli pubblicò nell’ottobre 1959 (ma le registrazioni sono della primavera dell’anno precedente) assieme ai due sassofonisti jazz Al Cohn e Zoot Sims:


L’aneddotica musicale, sempre ricca di particolari curiosi e indiscreti, riferisce che, durante le registrazioni, il produttore Bob Thiele dovette mettersi a gridare per far capire a Kerouac i tempi corretti in cui doveva inserirsi con la voce recitante. Inoltre, Cohn and Sims uscirono di corsa dallo studio per andare in un vicino bar non appena la sessione si fu conclusa, senza neanche voler riascoltare il nastro appena inciso. In un angolo dello studio lo scrittore piangeva sconsolato, probabilmente ubriaco fradicio. Anche questo era il be–bop, anche questo era Kerouac.

Questo articolo è dedicato all’amico Giuseppe Deliso, intellettuale e musicista, non alcolista.

mercoledì 27 aprile 2011

The ballad of skeletons


Allen Ginsberg (1926-1997), il più grande poeta della Beat Generation, recita dal vivo alla Royal Albert Hall di Londra la sua Ballad of Skeletons, accompagnato alla chitarra elettrica da Paul Mc Cartney. La bellissima performance ebbe luogo il 16 ottobre 1995, due anni prima della morte.




Said the Presidential Skeleton
“I won't sign the bill”
Said the Speaker skeleton
“Yes you will”

Said the Representative Skeleton
“I object”
Said the Supreme Court skeleton
“Whaddya expect?”

Said the Miltary skeleton
“Buy Star Bombs”
Said the Upperclass Skeleton
“Starve unmarried moms”

Said the Yahoo Skeleton
“Stop dirty art”
Said the Right Wing skeleton
“Forget about yr heart”

Said the Gnostic Skeleton
“The Human Form's divine”
Con Leonard Cohen, 1976

Said the Moral Majority skeleton
“No it's not it's mine”

Said the Buddha Skeleton
“Compassion is wealth”
Said the Corporate skeleton
“It's bad for your health”

Said the Old Christ skeleton
“Care for the poor”
Said the Son of God skeleton
“AIDS needs cure”

Said the homophobe skeleton
“Gay folk suck”
Said the Heritage Policy skeleton
“Blacks're outa luck”

Said the Macho skeleton
“Women in their place”
Said the Fundamentalist skeleton
“Increase human race”

Said the Right-to-Life skeleton
“Foetus has a soul”
Said Pro-Choice skeleton
“Shove it up your hole”

Said the Downsized skeleton
“Robots got my job”
Said the Tough-on-Crime skeleton
“Tear gas the mob”

Said the Governor skeleton
“Cut school lunch”
Said the Mayor skeleton
“Eat the budget crunch”

Said the Neo Conservative skeleton
“Homeless off the street!”
Said the Free Market skeleton
“Use 'em up for meat”

Said the Think-Tank skeleton
“Free Market's the way”
Said the Saving & Loan skeleton
“Make the State pay”

Said the Chrysler skeleton
“Pay for you & me”
Said the Nuke Power skeleton
“& me & me & me”

Said the ecologic skeleton
“Keep skies blue”
Said the multinational skeleton
“What's it worth to you?”

Said the NAFTA skeleton
“Get rich, free Trade”,
Said the Maquiladora skeleton
“Sweat shops, low paid”

Said the rich GATT skeleton,
"One World, Hi-Tech"
Said the underclass skeleton,
"Get it in the neck"

Said the World Bank Skeleton,
"Cut down your trees"
Said The IMF skeleton,
"Buy American cheese"

Said the Under-Developed Skeleton,
"We want rice"
Said the developed nation skeleton,
"Sell your bones for dice"

Said the Ayatola skeleton,
"Die writer, die"
Said the Joe Stalin skeleton,
"That's no lie"


Said the middle-kingdom skelton,
"We swallowed tibet"
Said the Dalai lama skeleton,
"Indigestion's what you get!"

Said the World Corp. skeleton,
"That's their fate"
Said the USA skeleton,
"Gonna save Kuwait"

Said the petro-chemicals skeleton,
"Roar bombers, roar!"
Said the psychedelic skeleton,
"Smoke a dinosaur"

Said the Nancy skeleton,
"Just say no!"
Said the rasta skeleton,
"Blow Nancy blow!"

Said the demogog skeleton,
"Don't smoke pot"
Said the alcoholic skeleton,
"Let your liver rot"

Con Joe Strummer dei Clash, 1981

Said the junky skeleton,
"Can't we get a fix?"
Said the Big Brother skeleton,
"Jail the dirty pricks!"

Said the Mirror skeleton,
"Hey good looking"
Said the electric chair skeleton,
"Hey, what's cooking?"

Said the talkshow skeleton,
"Fuck you in the face"
Said the family-value skeleton,
"My family-value makes"

Said the New York Times skeleton,
"That's not fit to print"
said the CIA skeleton,
"Can't you take a hint?"

Said the Network skeleton,
"Believe my lies"
Said the Advertising skeleton,
"Don't get wise"

Said the media skeleton,
"Believe you me"
Said the couch potato skeleton,
"What me worry?"

Said the TV skeleton,
"Eat sound bytes"
Said the newscast skeleton,
"That's all, goodnight!"

I legami di Ginsberg con la musica e i musicisti furono intensi. Egli registrò una mezza dozzina di album, tra i quali la musica che aveva composto per accompagnare le Songs of Innocence e le Songs of Experience di William Blake e due dischi conosciuti come First Blues. Con Philip Glass musicò alcune parti di Urlo, il suo poema più noto. Nel corso degli anni, Ginsberg è comparso sul palcoscenico con diversi musicisti o band, tra i quali Bob Dylan, The Fugs, i Clash e Patti Smith. Della Ballata degli Scheletri incise anche una versione con un eterogeneo insieme di musicisti che comprendeva Philip Glass, i chitarristi Lenny Kaye, noto per il sodalizio artistico con Patti Smith, e Marc Ribot, oltre a Paul Mc Cartney. Dalla canzone fu tratto nel 1996 anche un video, allo stesso tempo umoristico e commovente, diretto dall’allora esordiente regista Gus Van Saint.