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giovedì 5 aprile 2018

I tristi matematici di Enzensberger

I matematici

Radici radicate in nessun luogo,
illustrazioni per gli occhi chiusi,
sezioni, fasci, pieghe, fibre:
questo mondo di tutti il più bianco
con i suoi fasci, tagli e coperture
è la tua terra promessa.

Altezzoso ti perdi
nel soprannumerario, in quantità
di vuoti, magri, estranei
in sé densi e oltre le moltitudini.

Conversazioni spettrali
tra scapoli:
la congettura di Fermat,
l'obiezione di Zermelo,
il Lemma di Zorn.

Da illuminazioni fredde
già abbagliato da bambino,
ti sei allontanato
scrollando le spalle,
dai nostri sanguigni piaceri.

Incappato senza parole,
inconsapevolmente,
guidato dall'angelo dell'astrazione,
sui campi di Galois e le aree di Riemann,
in ginocchio nella polvere di Cantor,
attraverso le stanze di Hausdorff.

Poi, a quarant'anni, ti siedi
o teologo senza Geova,
calvo e con il mal di montagna
in abiti stagionati
di fronte alla scrivania vuota,
bruciato, o Fibonacci,
o Kummer, o Godel, o Mandelbrot,
nel purgatorio della ricorsione.

In: Hans Magnus Enzensberger: Zukunftsmusik. Suhrkamp Verlag, Frankfurt / M. 1993

Che cosa ha Enzensberger contro i matematici? Persi in astrazioni definite spettrali, altezzosi, sradicati fin da bambini, sciatti, vecchi prima del tempo, raggrinziti dal sole della loro passione, privi di moglie, di parola e di Dio? Che cos’è questa litania ripetuta di nomi di matematici antichi e moderni, creatori di paesaggi che sembrano gironi di un Purgatorio (della ricorsione)? Eppure Enzensberger, instancabile costruttore di ponti tra le due culture, proprio a Gödel aveva dedicato un omaggio, e sulla matematica aveva scritto un pregevole e fortunato libro, Il Mago dei Numeri. Viene il dubbio che lo scrittore tedesco stia parlando anche di altri, consanguinei nello spirito, vicini nell'immaginazione: i poeti come lui stesso. Nel Purgatorio che li ha chiamati, e che si sono scelti, il fuoco brucia con fiamma che non consuma.



Die Mathematiker

Wurzeln, die nirgends wurzeln,
Abbildungen für geschlossene Augen,
Keime, Büschel, Faltungen, Fasern:
diese weißeste aller Welten
mit ihren Garben, Schnitten und Hüllen
ist euer gelobtes Land.

Hochmütig verliert ihr euch
Im Überabzählbaren, in Mengen
Von leeren, mageren, fremden
In sich dichten und Jenseits-Mengen.

Geisterhafte Gespräche
Unter Junggesellen:
Die Fermatsche Vermutung,
der Zermelosche Einwand,
das Zornsche Lemma.

Von kalten Erleuchtungen
schon als Kinder geblendet,
habt ihr euch abgewandt,
achselzuckend,
von unseren blutigen Freuden.

Wortarm stolpert ihr,
selbstvergessen,
getrieben vom Engel der Abstraktion,
über Galois-Felder und Riemann-Flächen,
knietief im Cantor-Staub,
durch Hausdorffsche Räume.

Dann, mit vierzig, sitzt ihr,
o Theologen ohne Jehova,
haarlos und höhenkrank
in verwitterten Anzügen
vor dem leeren Schreibtisch,
ausgebrannt, o Fibonacci,
o Kummer, o Gödel, o Mandelbrot,
im Fegefeuer der Rekursion.

venerdì 28 agosto 2009

L’inno alla stupidità di Enzensberger


Solo i piccoli librai mettono in evidenza libretti preziosi come questo, che ho trovato a Salsomaggiore. Hans Magnus Enzensberger (del quale ho già parlato per una sua poesia in omaggio a Gödel), in 64 pagine ripercorre la storia del concetto di intelligenza, critica ferocemente la possibilità di misurarla (IQ) e il dispotismo della psicometria, deride il sogno che possa diventare una proprietà delle cose (AI). Il testo (Nel labirinto dell’intelligenza, Einaudi, Torino, 2008) si conclude così:

Sicché al termine della nostra breve guida attraverso il labirinto dell'intelligenza si prospetta una conclusione elementare: in effetti non siamo abbastanza intelligenti per sapere che cosa sia l'intelligenza. Per questo motivo anche il poeta farà bene a occuparsi piuttosto della sua eterna antagonista, dedicando alla stupidità alcuni versi pindarici:

Potenza celeste che ti nascondi nelle pieghe dell'encefalo,
dote senza fondo elargita al genere umano
in saecula saeculorum,

tu sei innumere come la via lattea
e molteplice come l'erba.

Potente gemella dell'intelligenza,
mano nella mano
celebri con essa una triste tiritera.

Si, è forte, come tu ci ispiri in sempre nuove guise,
come scemenza femminile e come idiozia maschile,
come sprizzi dagli occhi iniettati di sangue del picchiatore
e muovi passetti con aristocratica boria tossicchiante,

come ci fiati addosso con l'alito cattivo di una musa sbronza
e come polisillabo delirare nel seminano filosofico.

Cosa sarebbe l'uomo d'azione senza di te, stupidità granitica, totale e idiota,
che corri ardente per le sue vene come una overdose di amfetamina,

e cosa il ricercatore senza l'idea fissa che insegue
per i bianchi corridoi del suo istituto come la pantegana nel labirinto?

Senza contare la storia universale : di chi mai si ricorderebbe,
se non dei vincitori, nella sua ottusità napoleonica?

Sicché a noi sarà trasmesso lo stolido orgoglio del vincitore
e il rancore sordo del perdente, solo di quando in quando addolcito
dallo sproloquio ispirato dei sacerdoti delle sette,
dei comici e dei bevitori coatti. Stupidità,

tu spesso diffamata, che nella tua scaltrezza
ti fingi più stupida di quello che sei, protettrice di tutti i menomati,

solo agli eletti concedi il tuo dono più raro,
la benedetta semplicioneria dei sempliciotti.

Essi sono le pagine bianche nel tuo grande libro
che a nessuno di noi tu dissigilli (*)

(*) Hans Magnus Enzensberger, Hymne an die Dummheit, in Kiosk. Neue Gedichte, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1995.

domenica 17 maggio 2009

Enzensberger, Gödel e l’ipocrisia borghese



Hans Magnus Enzensberger (1929), scrittore, poeta, traduttore, editore tedesco, è un acceso fautore dell’incontro tra la cultura scientifica e quella umanistica. Presso il pubblico italiano è conosciuto soprattutto per il suo libro per ragazzi Il mago dei numeri (Einaudi, 1997), in cui Roberto, un ragazzino che odia la matematica, è condotto alla scoperta del paese incantato dei numeri da Teplotaxl. un diavoletto rosso dalla grande capacità affabulatoria e dalle mille risorse creative. Così il mondo della matematica, compresi concetti ostici come i numeri triangolari o i diversi tipi di infinito, raccontato come una fiaba, smette di essere ostile per il giovane protagonista e per il lettore, anche se questi è un adulto. I cinefili ricordano poi che Enzensberger è citato in Caro Diario di Nanni Moretti come esempio di intellettuale che rifiuta la cultura televisiva di massa.

Come poeta, Enzensberger, che in Germania molti considerano uno dei più grandi dei nostri tempi, possiede uno stile assai conciso e accessibile, con forti interessi sociali, spesso trattati con sarcasmo e ironia. Nella sua poesia Blues della classe media, ad esempio, un elenco di luoghi comuni è utilizzato come pretesto per una feroce critica all’attuale assetto politico ed economico. La frase "non possiamo lamentarci", ripetuta all’interno dell’opera come il ritornello di una canzone, rafforza il senso dell’assoluto conformismo predominante, cui si contrappone la domanda finale:

Blues della classe media

Non possiamo lamentarci.
Abbiamo da fare.
Siamo sazi.
Mangiamo.

Cresce l’erba,
il prodotto sociale,
l’unghia delle dita,
il passato.

Le strade sono vuote.
Le chiusure sono perfette.
Le sirene tacciono.
Passa.

I morti hanno fatto il loro testamento.
La pioggia è cessata.
La guerra non è stata dichiarata.
Non è urgente.

Noi mangiamo l’erba.
Noi mangiamo il prodotto sociale.
Noi mangiamo le unghie.
Noi mangiamo il passato.

Non abbiamo nulla da nascondere.
Non abbiamo nulla da perdere.
Non abbiamo nulla da dire.
Abbiamo.

L’orologio è caricato.
La vita è regolata.
I piatti sono lavati.
L’ultimo autobus sta passando.

È vuoto.

Non possiamo lamentarci.

Cosa aspettiamo ancora?

Se le sue idee politiche hanno trovato, com’è logico che sia, diversi critici ed estimatori, pochi invece hanno messo in dubbio le sue straordinarie capacità di trattare con proprietà unita a chiarezza i temi filosofici e scientifici che caratterizzano la parte più recente della sua opera. Anche Gödel, cui Enzensberger dedica un poetico omaggio dopo aver corrisposto direttamente con lui sull'argomento, dimostra come la logica matematica possa essere spunto per le riflessioni di un uomo intelligente e sensibile, non semplicemente un letterato. Nella poesia, le scoperte di Gödel sull’incompletezza dei sistemi formali sono accostate, sulla scorta delle riflessioni di Hans Albert, all’episodio delle avventure del celebre nobile fanfarone che riuscì a tirarsi fuori da una pozza di fango tirandosi per i capelli. Così gli spacciatori di certezze, bugiardi patologici come il Barone di Münchhausen, devono essere smascherati a partire dalle loro stesse, inevitabili, contraddizioni.

Omaggio a Gödel

Il teorema di Münchhausen*
(cavalli, palude e codino)
è delizioso, ma non dimenticare:
Münchhausen era un bugiardo.

Il teorema di Gödel sembra a prima vista
Piuttosto insignificante, ma ricorda:
Gödel ha ragione.

"In ogni sistema abbastanza complesso
si possono formulare proposizioni
che all'interno del sistema stesso
non si possono né provare né refutare,
a meno che il sistema
non sia di per sé incoerente".

Si può descrivere il linguaggio
nel linguaggio stesso:
in parte, ma non completamente.
Puoi analizzare il tuo cervello
col tuo stesso cervello:
ma non del tutto.
E così via.

Per giustificare se stesso
ogni possibile sistema
veve trascendersi
E quindi distruggersi.

Essere "sufficientemente" ricco o no:
la coerenza è
o un difetto
o una contraddizione.

(Certezza = Contraddizione)

Ogni possibile cavaliere,
come Münchhausen
o te stesso, è un sottosistema
di una palude sufficientemente ricca.

E un sottosistema di questo sottosistema
è il proprio codino,
questa specie di leva
per riformisti e bugiardi.

In ogni sistema sufficientemente ricco,
Quindi anche nella nostra palude
si possono formulare proposizioni
che all'interno del sistema stesso
non si possono né provare né refutare.

Prendile in mano queste proposizioni
E tira!


* "Il Münchhausen-Trilemma è un termine coniato dal filosofo Hans Albert (1904-1973) per definire l'impossibilità di provare alcuna verità assolutamente certa. È definito trilemma perché pone tre possibilità, di cui nessuna riesce a soddisfare l'assoluta certezza necessaria a fondare una conoscenza, ed il suo nome proviene ironicamente dal Barone di Münchhausen, che si dice sia riuscito a tirarsi fuori da una pozza di fango tirandosi per i capelli. Albert pose il problema in questi termini:

- Ogni affermazione, per essere assolutamente certa, deve essere giustificata, ma, a loro volta, queste giustificazioni devono essere giustificate. Questo processo, tuttavia, non ha fine, dato che ogni giustificazione dovrebbe essere giustificata, arrivando ad una situazione per cui le giustificazioni dovrebbero moltiplicarsi all'infinito;

- Esiste un principio autoevidente, o accettato dal senso comune, o ritenuto vero per il principio di autorità. In questo caso, però, l'intenzione di fondare una conoscenza assolutamente certa viene a crollare e si cade nel dogmatismo

- Qualsiasi affermazione viene provata tramite un'argomentazione circolare e, quindi, errata.

Questo trilemma scardinò l'idea classica dell'esistenza di una verità assoluta, eliminando anche il problema della giustificazione delle teorie. Albert non fu tuttavia uno scettico assoluto: egli accettò l'impossibilità da parte dell'uomo di giungere ad una conoscenza assolutamente certa, ma contemporaneamente affermò la possibilità di avvicinarsi il più possibile ad essa in modo asintotico, ovvero in base al controllo critico, infatti nessuna attività conoscitiva può pretendere di sottrarsi alla critica razionale". (modificato, da Wikipedia)