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sabato 22 settembre 2018

Vite parallele delle due signorine Dickinson nella botanica


Nel XIX secolo la botanica era tra le scienze più popolari in Gran Bretagna e sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Uomini, donne e bambini delle classi alte e medie erano coinvolti in una frenetica caccia alle piante, e le zone verdi erano piene di persone che catalogavano muschi, identificavano felci, pressavano fiori e assemblavano erbari. Questa popolarità aveva diverse cause. Innanzitutto, era un’attività semplice, specialmente nei decenni in cui il sistema linneano cominciò a essere diffuso, perché facilitava il riconoscimento della maggior parte dei vegetali comuni. Inoltre, essa era salutare, perché offriva un sano esercizio all'aperto e opportunità rispettabili in cui incontrare membri del sesso opposto, sulla base di un interesse comune per un'attività dignitosa. In molti modi, la botanica era vista come un'estensione naturale del crescente interesse della classe media per il giardinaggio. Essa era economica, in quanto richiedeva solo strumenti poco costosi: una scatola di latta in cui venivano poste le piante appena colte, una piccola lente per l'identificazione, un libro o due con cui identificare e classificare le specie e una scorta di carta pulita usata per asciugare, premere e montare gli esemplari raccolti. Infine, era considerata una pratica devota, perché lo studio della natura era un aspetto fondamentale della teologia naturale, e si pensava che lo studio dell’opera del creatore potesse confermare sia la sua esistenza sia la sua bontà.

Tutte queste qualità ne facevano un passatempo adatto alle donne, perché era considerato poco femminile uccidere o sezionare gli animali. Inoltre, le piante si potevano studiare senza dover osservare gli animali copulare o uccidersi a vicenda. La botanica era associata alle tradizionali abilità femminili come la coltivazione, la disposizione e la pittura dei fiori. Come affermava il Young Lady's Book, un manuale di condotta della metà del secolo, "c'è qualcosa di particolarmente adatto alla tenerezza femminile nella cura dei fiori".

Questi fattori di successo costituivano, tuttavia, un problema per il piccolo ma influente gruppo di botanici dell’epoca che desideravano intraprendere carriere a tempo pieno. Le stesse qualità che rendevano popolare la botanica, per alcuni studiosi minacciavano la sua posizione come scienza vera e propria. Uno dei temi dominanti nella botanica vittoriana fu la lotta tra un'élite prevalentemente maschile, che stava cercando di ridefinire la botanica come una scienza seria, "filosofica" e la vasta maggioranza che voleva semplicemente migliorare la propria comprensione del mondo vegetale e godersi la bellezza dei fiori. La forte associazione tra botanica e genere femminile era indubbiamente un'altra ragione per la sua relativamente bassa considerazione nei consigli delle società scientifiche dominati dagli uomini. Il processo di professionalizzazione della botanica nel corso del secolo, accompagnato dallo sviluppo di orti botanici in cui lo scopo scientifico prevaleva su quello ornamentale o ci conviveva splendidamente (pensiamo ai Kew Royal Gardens presso Londra), creò una maggiore esclusione delle donne dalla cultura scientifica, che le portò a essere relegate nei circoli dei dilettanti e della scienza popolare. La progressiva ascesa di una professione riconoscibile di "scienziato", insieme alla lenta trasformazione della botanica in scienza, portò anche la “classe operaia” dei raccoglitori, classificatori e collezionisti di piante, soprattutto di genere femminile, a essere gradualmente esclusa dallo studio.


Di questa situazione, in cui il pregiudizio di genere accompagnò in modo determinante lo sviluppo scientifico, furono testimoni loro malgrado, su entrambe le sponde dell’Oceano, due geniali signorine, una poetessa americana e una botanica e illustratrice inglese, che il caso volle che si chiamassero entrambe Dickinson.

Non molti sanno che Emily Dickinson (1830 - 1886) era un’esperta giardiniera, collezionista e botanica prima di diventare un’affermata poetessa. E, per quanto la sua poesia sia molto originale e persino "moderna" in molte delle sue caratteristiche stilistiche, Dickinson era una donna che viveva in una società governata da rigidi stereotipi e convenzioni. Nata a Amherst, Massachusetts, da una famiglia borghese di tradizioni puritane, manifestò sin dalla giovinezza un carattere contraddittorio e complesso. Infatti, non si sa ancora per quale motivo, a venticinque anni decise di trascorrere una vita solitaria e appartata nella sua camera, nella quale si recluse. La Dickinson incominciò a studiare botanica all'età di nove anni e a dodici aiutava la madre a coltivare le piante annuali e perenni nel giardino del loro cottage: rose, ciclamini, lobelie, tulipani e altre ancora. Fu però solo quando iniziò a frequentare il college femminile di Mount Holyoke nella sua tarda adolescenza, più o meno nel periodo (1847) in cui è stato scattato l'unico suo dagherrotipo autentico, che unì il rigore scientifico allo zelo dell’appassionata.


La chimica Mary Lyon (1797-1849), fondatrice del college nel 1837 e sua prima direttrice, era lei stessa un grande amante dei vegetali. Sebbene incoraggiasse tutte le sue ragazze a raccogliere, studiare e conservare i fiori locali negli erbari, l'erbario della Dickinson è un capolavoro di insolita diligenza e bellezza poetica: 424 fiori della sua regione del Massachusetts, che Dickinson celebrò come "bellissimi bambini di primavera", organizzati con una notevole sensibilità alle proporzioni nella pagina e alla cadenza cromatica, attraverso sessantasei pagine in un grande album rilegato in pelle. Sottili etichette di carta corredano gli esemplari con il loro nome, in genere quello comune, ma in sessantacinque casi classificato con il genere e la specie, secondo il sistema linneano.





In una lettera del 1845 alla sua amica Abiah Root, Dickinson chiedeva: "Hai già fatto un erbario? Spero che lo farai, se non l’hai ancora fatto: sarebbe un tale tesoro per te; la maggior parte delle ragazze ne fa uno. Se lo fai, forse posso fare delle aggiunte con i fiori che crescono qui intorno.” Emily esplorava i vicini boschi e prati per raccogliere nuovi fiori. Più tardi, una volta abbandonato il college, si sarebbe presa cura dei fiori nel suo giardino di due acri e nel giardino d'inverno che suo padre aveva costruito nell'angolo sudorientale della loro casa. Il suo carattere introverso, e il bisogno di estraniarsi dal mondo, fecero sì che stringesse pochi legami affettivi e professionali nella sua vita. Anche se non mancava qualche profonda amicizia: si legò a Susan Gilbert con la quale scambiò numerose lettere e Samuel Bowles, direttore del giornale Springfield Daily Republican.

Dal punto di vista sentimentale sembra che Emily Dickinson abbia vissuto alcuni grandi amori platonici, perché si innamorò di un reverendo sposato, Charles Wadsworth, e sembrerebbe anche dello stesso Bowles. Fece pochi viaggi nella sua vita, durante i quali però incontrò alcune personalità importanti nel mondo culturale, come lo scrittore e filosofo Ralph Waldo Emerson.

L'erbario originale è conservato nella Emily Dickinson Room presso la Houghton Rare Book Library di Harvard, ma è così fragile e delicato che persino agli studiosi è vietato esaminarlo, e il libro in facsimile fuori stampa è così costoso che questo capolavoro all'incrocio tra poesia e scienza è praticamente sparito dall'immaginazione popolare. Ma, in una esemplare testimonianza delle tecnologie digitali come fattore di attiva gestione culturale, Harvard ha digitalizzato l'erbario di Dickinson nella sua totalità.





Anche se durante la sua vita fossero state stampate solo alcune delle poesie di Emily, molte persone ricordavano di averne ricevuto una, spesso nascosta in un raffinato bouquet che lei aveva coltivato e sistemato personalmente. Questi interessi possono essere rintracciati anche nella sua opera letteraria. In effetti, più dei due terzi delle lettere liriche di Dickinson a familiari e amici scelti, e un terzo delle sue poesie straordinariamente personali citano i fiori, selvatici o coltivati. C’è persino una poesia in cui accenna una critica alla sua passata attività classificatoria.

Tra le sue poesie più curiose troviamo, infatti, Arcturus, scritta nel 1859, in cui Dickinson prende in giro la pretesa della scienza di classificare qualsiasi fenomeno naturale e inserirlo in una casella determinata, oltre a cancellare la magia del cielo riempiendolo di punti dai nomi strani. L'unica tutela è confidare che, una volta giunti colà dopo “la breve mascherata del Tempo” si possa ritrovare l'incanto della natura vista con gli occhi di bambina (traduzione di Giuseppe Ierolli)

"Arcturus" is his other name -
I'd rather call him "Star"!
It's very mean of Science
To go and interfere!

I slew a worm the other day,
A "Savan" passing by
Murmured "Resurgam" - "Centipede"!
"Oh Lord, how frail are we"!

I pull a flower from the woods -
A monster with a glass
Computes the stamens in a breath -
And has her in a "Class"!

Whereas I took the Butterfly
Aforetime in my hat,
He sits erect in "Cabinets" -
The Clover bells forgot!

What once was "Heaven"
Is "Zenith" now!
Where I proposed to go
When Time's brief masquerade was done
Is mapped, and charted too!

What if the "poles" should frisk about
And stand upon their heads!
I hope I'm ready for "the worst" -
Whatever prank betides!

Perhaps the "kingdom of Heaven's" changed.
I hope the "Children" there
Wont be "new fashioned" when I come -
And laugh at me - and stare!

I hope the Father in the skies
Will lift his little girl -
"Old fashioned"! naughty! everything!
Over the stile of "pearl"!

"Arturo" è l'altro suo nome -
Io lo chiamerei piuttosto "Stella"!
È proprio destino per la Scienza
Andare ad impicciarsi!

Ho ucciso un verme l'altro giorno,
Un "Sapiente" che passava di lì
Mormorò "Resurgam" - "Centipede!"
"Oh Signore, quanto siamo fragili!"

Strappo un fiore dai boschi -
Un mostro con la lente
Computa gli stami in un batter d'occhio -
E lo mette in una "Classe"!

Mentre io acchiappavo Farfalle
Un tempo nel mio cappello,
Lui siede diritto nei "Laboratori" -
Le corolle del Trifoglio dimenticate!

Ciò che una volta era "Cielo"
È "Zenit" adesso!
Dove mi proponevo di andare
Quando la breve mascherata del Tempo fosse finita
È in mappe di terra, e di mare pure!

Chissà se i "poli" gira e rigira
Non si trovino sottosopra!
Io spero d'esser pronta per "il peggio" -
Accada quel che accada!

Forse il "regno dei Cieli" è cambiato.
Spero che i "Bambini" di lassù
Non siano "all'ultima moda" quando arriverò -
E non ridano di me - e non mi squadrino!

Spero che il Padre nei cieli
Sollevi questa piccola fanciulla -
"Fuori moda"! capricciosa! e tutto il resto!
Oltre la soglia di "perla"!


A metà dell’Ottocento in molti pensavano che ogni fiore o pianta avesse un significato simbolico, compresa l'educatrice, autrice e editrice Almira H. Lincoln Phelps (1793-1885), grande divulgatrice di chimica, botanica e geologia, che, dopo Familiar Lectures on Botany (1829), scrisse Symbolical Language of Flowers (1852), testi che la Wilkinson possedeva, in cui spiegava che "oltre ai rapporti scientifici che devono essere osservati nelle piante, i fiori possono anche essere considerati emblematici degli affetti del cuore e delle qualità dell'intelletto". La Phelps considerò il suo elenco di significati floreali come punto di partenza. Raccomandava ai suoi lettori di compilare elenchi basati sui loro sentimenti e associazioni. In Gran Bretagna, i libri dedicati alla “florigrafia” incominciarono a invadere il mercato dopo l’ascesa al trono della Regina Vittoria nel 1837, che si diceva fosse appassionata di “linguaggio dei fiori”.

Una caratteristica particolare dell'erbario di Dickinson è la sua scelta della pagina iniziale: il gelsomino tropicale - non una pianta originaria della flora tradizionale del suo tempo e luogo, ma una specie esotica, nativa, forse, della foresta selvaggia della sua immaginazione, la stessa dalla quale fiorirono i suoi versi di rottura della tradizione e di amori proibiti. Per Dickinson il gelsomino significava "passione" mentre dare a qualcuno una pianta rampicante di gelsomino significava: "Tu sei l'anima della mia anima". Spesso Dickinson si riferiva a questi significati nelle poesie poste nei bouquet che inviava.


I fiori preferiti di Dickinson erano la genziana, la corona imperiale, il geranio, la rosa e la monotropa (fiore fantasma) che l’amica Mabel Todd dipinse per adornare la copertina della prima edizione delle sue poesie nel 1890. Emily Dickinson si paragonò una volta a un giglio dorato ("rosso come i suoi capelli ramati").

I fiori sono anche al centro di quello che molti considerano il romantico "mistero" della vita di Emily Dickinson. Fu Samuel Bowles, l'editore di The Springfield Republican, che le regalò una pianta di gelsomino che lei curò per decenni. Inoltre, fu Bowles a chiamare Emily con l’appellativo di "Daisy", la sua "Regina". In quei tempi ella indossava l'abito bianco che avrebbe potuto significare il suo matrimonio con la Musa, la sua stessa consacrazione come artista. Questi riferimenti compaiono nella poesia The daisy follows soft the sun, "La margherita segue lieve il sole", che si crede sia stata scritta per un uomo, un amante immaginato, oppure reale, ma impossibile da raggiungere.

The Daisy follows soft the Sun
And when his golden walk is done
Sits shyly at his feet
He—waking—finds the flower there
Wherefore—Marauder—art thou here?
Because, Sir, love is sweet!

We are the Flower—Thou the Sun!
Forgive us, if as days decline
We nearer steal to Thee!
Enamored of the parting West
The peace—the flight—the Amethyst
Night's possibility!

La Margherita segue lieve il Sole -
E quando il suo dorato percorso è concluso -
Siede timidamente ai suoi piedi -
Lui - svegliandosi - trova là il fiore -
Per quale ragione - Predona - sei qui?
Perché, Signore, l'amore è dolce!

Noi siamo il Fiore - Tu il Sole!
Perdonaci, se quando i giorni declinano -
Ci avviciniamo furtive a Te!
Innamorate dell’Occidente che se ne va -
Della pace - del volo - dell'ametista -
Delle possibilità della notte! 

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La storia di Margaret Rebecca Dickinson (1821-1918) è anch'essa paradigmatica della trasformazione della botanica da passatempo a scienza. Favorita dalle capacità di disegno e pittura e dal ritmo più lento della vita, poté produrre illustrazioni di fiori meravigliosamente dettagliate e accurate. 

Era nata il 22 luglio 1821 a Newcastle-upon-Tyne. Suo padre aveva una manifattura di tabacco. Quando egli morì, il 20 marzo 1870, lasciò la sua tenuta di Norham alla moglie, che purtroppo morì a sua volta l’anno seguente. La casa e la terra finirono in eredità a Margaret e alla sorella Rebecca Ann. La Dickinson rimase a Norham fino alla sua morte. Aveva altre due sorelle due fratelli, i quali ereditarono il commercio del tabacco. 

Margaret Rebecca Dickinson seguì la sua passione per le piante in un periodo in cui la botanica non era ancora riconosciuta come scienza, ma era considerata come attività ideale per le donne. Tuttavia, la gamma di esemplari che raccolse durante i suoi lunghi viaggi - che la portarono non solo nel Kent ma anche in Scozia e nel Galles settentrionale e in Irlanda - suggerisce una dedizione più appassionata e informata di quella della semplice hobbista di sesso femminile. In quanto nubile, poté dedicare la maggior parte del suo tempo alla ricerca. Le sue meticolose raccolte e le sue belle opere d'arte rendono difficile considerarla una dilettante, sia come collezionista che come illustratrice.

Quale che sia lo status che le accordiamo, la Dickinson fu una delle più competenti tra coloro che animarono l'attenzione verso la flora nativa e aprirono la strada per futuri studi scientifici. Nel periodo vittoriano, i fiori selvatici che caratterizzano opere d'arte, design e letteratura, sono spesso mostrati con cura amorevole per i dettagli. I Preraffaelliti, in particolare, li rappresentarono con precisione nei loro dipinti. Anche dopo che la sua vera fase preraffaellita era finita, John Everett Millais dipinse la veronica quasi fotograficamente, in Little Speedwell's Darling Blue (1891-92), mostrando la sua piccola nipotina che guarda con atteggiamento riflessivo la pianta nella sua mano.


Disegni come il motivo del caprifoglio di William Morris del 1876 divennero molto popolari. E nella poesia, anche le caratteristiche del tasso, considerata pianta funeraria, potevano ora essere meglio apprezzate: il poeta Coventry Patmore (1823-1896), nel molto vittoriano poema in prosa dedicato alla moglie The Angel in the House (sic), descrisse un'immagine allegra di un pettirosso che si nutre delle sue "gocce di rugiada cremisi". 


Gli esempi abbondano anche nei romanzi. Charlotte Brontë, in Jane Eyre, ad esempio, ricorda la ricerca di elfi tra "foglie e campanelle di digitale.
” (…) per quanto riguarda gli elfi, dopo averli cercati invano tra le foglie e le campanelle di digitale, sotto i funghi e sotto l'edera di terra che tappezzava i vecchi angoli del muro, alla fine avevo capito la triste verità era che se n'erano andati tutti dall'Inghilterra in un paese barbaro, dove i boschi erano più selvaggi e più fitti, e la popolazione più scarsa; (…) 
Rebecca Dickinson era una botanica di talento, che raccolse esemplari di piante provenienti da tutta la Gran Bretagna e li illustrò con dettagli preziosi in centinaia di disegni ad acquerello. Visse la maggior parte della sua vita nel Nord dell’Inghilterra, e lavorò al suo erbario di più di mille esemplari principalmente tra il 1846 e il 1874. Tra i suoi reperti più importanti c'erano molte rare orchidee del Kent. Quando morì, nel 1918, alla veneranda età di 98 anni, lasciò alla Natural History Society of Northumbria sia gli esemplari raccolti, sia gli acquerelli, ora visibili nel suo erbario e negli archivi del Museo Hancock di Newcastle-upon-Tyne. Ci sono 468 immagini della collezione di Margaret Dickinson nella galleria online del museo. Il testo di accompagnamento fornisce una breve descrizione dell'illustrazione con il nome della pianta registrato da Dickinson e il suo equivalente moderno. La Dickinson registrò ulteriori dettagli sugli esemplari di piante in un catalogo di manoscritti che accompagna la sua collezione di immagini. 




In un altro periodo, il lavoro di Dickinson avrebbe potuto essere meglio conosciuto, e considerato un valido contributo allo Zeitgeist. La sua occasione poteva arrivare durante la vita, quando la botanica iniziò a trovare il suo posto nello studio della storia naturale. Ma, ironia della sorte, quando divenne riconosciuta come una scienza, la botanica divenne un campo esclusivo degli uomini. Analogamente, la giovane Beatrix Potter trovò difficile essere presa sul serio tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta del secolo. Il direttore dei Giardini di Kew in quel periodo non era nemmeno disposto a guardare i suoi disegni botanici molto accurati. Non sorprende che Margaret Rebecca Dickinson  rimase in gran parte sconosciuta e di lei non si possieda neanche un ritratto.

giovedì 2 luglio 2015

Il ritratto sbagliato di Legendre


L’opera del grande matematico Adrien-Marie Legendre (1752–1833) è assai nota, ma della sua vita si sa poco, perché era una persona estremamente riservata. Di lui disse Poisson, celebrandolo ai funerali: 
 “Il nostro collega ha spesso espresso il desiderio che, nel parlare di lui, ci si riferisca solamente alle sue opere, che sono, in verità, tutta la sua vita.” 
Non sorprende pertanto che si conoscano pochi dettagli della sua giovinezza. Più sorprendente, quasi incredibile, è il fatto che per quasi cent’anni, fino al 2005, ci si sia sbagliati sulle sue fattezze. Il famoso ritratto che ha accompagnato articoli, saggi, voci di enciclopedie sull’opera di Legendre per tutto questo tempo non è infatti il suo. Si tratta invece del ritratto di un politico suo omonimo e contemporaneo, Louis Legendre, che partecipò attivamente alla Rivoluzione Francese, ma che di Adrien-Marie non era neppure parente. 


L’errore è stato rivelato solo con l’avvento della rete che, attraverso i suoi potenti motori di ricerca, ha facilitato grandemente l’arte di raccogliere informazioni. È stato così che due studenti dell’Università di Strasburgo, attorno al 2005, si resero conto che lo stesso ritratto accompagnava le biografie di due persone diverse. La loro scoperta fu messa sul sito del dipartimento di matematica alsaziano e l’errore fu confermato e attivamente discusso dalla rete dei blogger francesi che si occupano di matematica. 

Scoperto l’errore, ci si chiese subito di chi fosse il ritratto: del matematico o del politico? Fu ancora la collaborazione in rete che consentì infine di individuare una raccolta del 1833 di ritratti dei contemporanei realizzati dal litografo François-Séraphin Delpech (1778–1825). Sotto ogni ritratto è presente il cognome e una firma. La firma che compare sotto il ritratto, Legendre, è diversa da quella di Adrien-Marie, che si firmava LeGendre (come si può vedere in calce a una lettera del 1829 indirizzata a Jacobi), ma tale differenza non è stata notata per lungo tempo. Il libro contiene ritratti di matematici come Lagrange, Monge, Carnot e Condorcet. Tutti erano figure pubbliche, noti anche al di fuori dell’accademia. Poiché nel 1791 Legendre aveva fatto parte del comitato per l’unificazione dei pesi e delle misure, è facile capire come il ritratto possa aver tratto in inganno i matematici che anni più tardi vi si imbatterono. 


Louis Legendre (ca. 1755–1797) era un macellaio di Parigi che, durante la Rivoluzione, prese parte alla presa della Bastiglia e agli eventi successivi. Fu eletto deputato alla Convenzione Nazionale come membro della corrente radicale dei montagnardi, tra i quali militavano Danton, Marat, Robespierre e Saint-Just. Contribuì alla caduta dei girondini e votò per l’esecuzione del re. Lo troviamo in un ritratto di gruppo del 1793, estremamente somigliante al ritratto realizzato dalla mano di Delpech. 


Sistemato Louis, restava da cercare il vero ritratto di Adrien-Marie Legendre: se mai fosse esistito, perché la sua riservatezza potrebbe averlo indotto a non posare mai davanti a un artista, e la fotografia non era ancora stata inventata. Le ricerche, diventate febbrili, hanno raggiunto un risultato nel 2008, quando si è scoperta nella biblioteca dell’Institut de France di Parigi una rara collezione di 73 caricature di membri dell’Istituto, realizzata da Julien-Léopold Boilly (1796–1874) e mai conclusa. La raccolta era stata in mani private fino al 2001, quando fu donata all’Istituto dall’ultimo proprietario, che l’aveva comprata due anni prima a un’asta di Christie’s. 


Uno degli acquerelli mostra i volti di Legendre e Fourier, con i corpi solo abbozzati a matita. I nomi dei due matematici sono scritti sotto il disegno. Sembra che l’artista si sia divertito a mettere in contrasto le personalità dei due: Fourier è grasso e allegro, Legendre magro e arrabbiato. Fourier assomiglia ai ritratti già conosciuti, quindi si può pensare che ciò valga anche per Legendre. 

Una caricatura è quindi la sua unica immagine che possediamo.

sabato 11 ottobre 2014

Escher e Malta: dilatazioni e strani anelli

Tra il 1935 e il 1936, più o meno alla fine dei tre lustri durante i quali aveva a lungo viaggiato e vissuto in Italia, M. C. Escher (1898–1972) passò per due volte a Malta, sempre come passeggero di navi mercantili in transito, per il tempo necessario alle operazioni di carico e scarico delle merci. Del primo, breve, soggiorno, ci è giunto uno schizzo del 27 marzo 1935 che raffigura la piccola città portuale di Senglea e alcune navi. 


Nell'ottobre successivo, da questo disegno Escher trasse una xilografia in cui la località è rappresentata come una penisola interamente urbanizzata, con alti palazzi e chiese abbarbicati su un colle cinto da una imponente muraglia. In primo piano un battello all'ancora, con alcune barche che fanno la spola tra il natante e il molo.


Poco più di un anno più tardi, il 18 giugno 1936, tornato a Malta, Escher disegnò di nuovo lo stesso scorcio della città portuale, che doveva affascinarlo in modo particolare. Quella veduta, affascinante, movimentata e piena di armonia, servì nel 1945 come soggetto per lo studio di una dilatazione. 


L'opera si intitola Balcone e si caratterizza per il fatto che il centro dell'immagine è ingrandito quattro volte rispetto alla periferia. L'effetto sull'occhio è quello di una grande bolla in corrispondenza del balcone centrale, come se esso fosse gonfiato da dietro. In questo modo si possono notare dei dettagli che, senza l'ingrandimento, non si sarebbero potuti vedere, come ad esempio un piccolo alberello in un vaso sulla terrazza. Il paragone con il disegno preparatorio, in cui l'immagine non è ancora deformata, permette di riconoscere il quinto balcone dal basso come l'oggetto della dilatazione applicata dall'artista. 


Lo spazio acquistato dal centro doveva essere in qualche modo compensato da una riduzione delle distanze nelle sue prossimità: in effetti, lo spazio tra i quattro balconi sottostanti risulta alquanto compresso rispetto alla realtà. Escher crea questo effetto ottico con rigore matematico. Negli schemi è possibile decifrare il procedimento adottato. Nel primo si vede un quadrato suddiviso in quadrati più piccoli e un cerchio tratteggiato che definisce il bordo della dilatazione. Le linee verticali PQ e RS e quelle orizzontali KL e MN diventano poi delle curve. Infatti, nel secondo schema, che rappresenta la dilatazione avvenuta, si vede che i punti A, B, C, D sono proiettati sul margine della bolla e assumono le posizioni A', B', C', D'. Tutte le linee centrali sono incurvate verso il bordo della circonferenza. 



Ritroviamo il porto e gli edifici di Senglea in una delle opere più celebri dell'artista olandese, l’inquietante litografia quadrata (32×32 cm) Galleria di stampe, realizzata nel 1956, ben vent'anni dopo il primo viaggio a Malta. Essa mostra un giovane all'interno di una galleria, mentre guarda la stampa di una veduta del porto mediterraneo (con la stessa nave della xilografia del 1935). Man mano che i suoi occhi seguono gli edifici da sinistra verso destra e poi verso il basso, egli scopre tra di essi quella stessa galleria in cui si trova. Una macchia circolare al centro della litografia contiene il monogramma di Escher e la sua firma. 


La migliore spiegazione di come fu realizzata l’opera si trova nell’ormai classica biografia scritta dal matematico e amico Bruno Ernst, Lo specchio magico di M. C. Escher (Taschen, 1978, ed. it. 1990). “Galleria di stampe nacque dall’idea che sarebbe dovuto essere anche possibile realizzare una dilatazione a forma di anello” Per ottenere questo effetto, Escher assunse, come scheletro di questo quadro, “un reticolo che marcasse una dilatazione chiusa, (...), la quale non ha un inizio né una fine”. La realizzazione di questa idea gli provocò “alcune forti emicranie”, ma il risultato è uno di quelli che Douglas Hofstadter chiama strange loops, strani anelli, “un quadro di un quadro che contiene se stesso. Oppure è il quadro di una galleria che contiene se stessa? o di una città che contiene se stessa? (…) Il concetto di Strani Anelli contiene quello di infinito: un anello, infatti, non è proprio un modo per rappresentare un processo senza fine in modo finito?” (D. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach, Adelphi, 1984, pp. 13-14). 



All’inizio, egli “cercò di realizzare la sua idea servendosi di rette [primo schema], ma poi, intuitivamente, scelse linee curve [secondo schema]. I piccoli rettangoli originari rimangono in questo modo ‘rettangolari’” Dopo un certo numero di successivi miglioramenti, Escher giunse al reticolo mostrato nella figura. Se si percorre il perimetro da A a D, i quadrati che formano il reticolo si espandono di un fattore 4 in ogni direzione. Procedendo in senso orario attorno al centro, il reticolo si piega su se stesso, ma si dilata di un fattore di 44 = 256.


Il secondo ingrediente necessario all’artista era un normale disegno, non distorto, della stessa scena: una galleria in cui si tiene una mostra di stampe, una delle quali mostra un porto con edifici prospicenti, e uno di questi edifici è la galleria stessa, ma ridotta di un fattore 256. Per realizzare questo scopo e rendere giustizia ai diversi gradi di dettaglio che gli servivano, Escher fece quattro studi preparatori, uno per ciascuno degli angoli della litografia. Ciascuno di essi mostra una porzione del precedente, ma dilatato di un fattore 4. Dal punto di vista matematico, i quattro studi di Escher corrispondono a un singolo disegno che è invariante per uno scalamento di un fattore 256. Quadrato dopo quadrato, egli adattò la griglia quadrata dei suoi studi alla griglia curvilinea, realizzando così l’opera. 



Escher ottenne il suo reticolo con metodi grafici, e dovette poi adattare i vari particolari del disegno allo schema, apportando lievi correzioni. Il suo metodo lasciava poi necessariamente un “buco” centrale, che egli pensò di riempire con il suo monogramma e la firma. Sempre Hofstadter (cit., p. 777) commenta “Sebbene la macchia assomigli a un difetto, forse il difetto risiede nelle nostre aspettative, perché in realtà Escher non avrebbe potuto completare quella parte di quadro senza essere incoerente rispetto alle regole secondo le quali stava dipingendo il quadro. Quel centro del vortice è, e deve essere incompleto. Escher avrebbe potuto renderlo arbitrariamente piccolo ma non avrebbe potuto liberarsene. (…) Escher ha quindi dato una parabola pittorica del Teorema di Incompletezza di Gödel.” 

 Conversando con Bruno Ernst, Escher, dopo aver dichiarato di aspirare più alla meraviglia che alla bellezza, comunque la si intenda, rifiutò tuttavia di considerarsi un artista matematico: “Due eminenti signori, il Prof. Van Dantzig e il Prof. Van Wijngaarden, cercarono una volta, invano, di convincermi di aver rappresentato una superficie di Riemann. Dubito che abbiano ragione – sebbene sia vero che una delle particolarità di questo tipo di superficie sembra essere che il centro rimane vuoto. In ogni caso, Riemann è al di là delle mie conoscenze, così come la matematica teoretica, per non parlare della geometria non euclidea. Volevo semplicemente occuparmi di una dilatazione o rigonfiamento, che dir si voglia, di forma chiusa o anulare, senza un inizio o una fine”
Nonostante la ritrosia del grande artista, altri eminenti Professori di matematica olandesi hanno deciso di tornare a studiare La Galleria di stampe. Nell’aprile 2003, sul numero 4 di Notices of the AMS, B. de Smit e H. W. Lenstra Jr. hanno cercato di trovare una superficie matematica ideale che si avvicinasse il più possibile al reticolo di Escher, stabilendo che si tratta di una superficie riemanniana ellittica nel campo dei numeri complessi. Essa contiene una copia di se stessa, ruotata in senso orario di 157, 6255960832… gradi e scalata di un fattore di 22, 5836845…! Essa realizza il desiderio di Escher di realizzare una mappa conforme che conservasse gli angoli. La figura qui sopra illustra questo reticolo ideale. Come si vede, anche gli eminenti Professori hanno conservato la macchia centrale: non si possono fare Strane Ciambelle senza buco.

mercoledì 15 gennaio 2014

Immagini della matematica


Fino a qualche tempo fa era impensabile che un libro di matematica, anche se di divulgazione, potesse essere pieno di figure. Ciò avveniva per due ragioni principali. La prima era culturale: la matematica, materia astratta e mentale per eccellenza, era considerata difficilmente “percepibile” dai sensi, pertanto molto era affidato alle capacità “immaginative” del lettore a partire dalle rappresentazioni simboliche. Facevano eccezioni solo alcuni settori come la geometria (limitatamente allo spazio euclideo) o la teoria dei grafi. La seconda ragione era puramente tecnica: solo con l’introduzione di programmi sempre più sofisticati di computer graphics è stato possibile rappresentare, in modo efficace ed esteticamente valido, forme e strutture impossibili da realizzare (e da vedere”) con i tradizionali mezzi del disegno. 

Da qualche anno la situazione è completamente mutata, e finalmente anche la matematica, come le altre discipline scientifiche, può giovarsi dello strumento dell’immagine, valorizzandone tutta la potenzialità esplicativa e didattica. La matematica smette così di apparire come un noioso elenco di formule, o, per molti, un incomprensibile geroglifico di simboli, e mostra i suoi colori con rappresentazioni davvero affascinanti, che rendono accessibili o avvicinabili anche i concetti complessi emersi negli studi più recenti. Iniziata sugli schermi dei computer, la matematica per immagini si è diffusa in pochi anni a livello planetario ed è approdata recentemente sulla carta. 

Funzione zeta di Riemann

Un esempio è fornito da Immagini della matematica, edito congiuntamente da Springer e Raffaello Cortina nella seconda metà del 2013. Il libro è la traduzione italiana (di Daniela Della Volpe) di un testo pubblicato originariamente in tedesco nel 2010, curato dall’austriaco Georg Glaeser e dal tedesco Konrad Palthier. Il volume rappresenta un meritorio tentativo, da parte di matematici attivi nella ricerca, di sperimentare canoni di comunicazione diversi da quelli usuali. In 15 capitoli, esso consente un’esperienza visiva di tutti i principali temi della matematica antica e moderna, dai modelli di poliedri alle curve e nodi, dalla geometria e topologia delle superfici alle pavimentazioni e agli impacchettamenti, ecc. L’ultimo capitolo, Forme e processi in natura e nella tecnologia, fornisce alcuni esempi di applicazione della matematica nelle scienze naturali, nella fisica dei fluidi, ecc. 

Sezioni di un toro che sono ovali di Cassini
Ogni immagine è accompagnata da un breve testo esplicativo e dall’indicazione della fonte originale (cartacea o elettronica) alla quale è possibile risalire per eventuali approfondimenti. Forse è proprio nei testi che si può ravvisare l’unico punto di debolezza dell’opera, in quanto talvolta appaiono troppo “tecnici” per un pubblico non specialista. Poiché ogni argomento-scheda può essere letto in modo indipendente, Immagini della matematica costituisce un validissimo strumento di consultazione e di ausilio per chi, come divulgatore, insegnante o studente, si occupa a vari livelli di questa fantastica e sempre nuova disciplina. 

Superficie minima di Costa

Mi piace segnalare che l’edizione italiana è stata proposta e sollecitata agli editori dal mondo accademico e della ricerca, principalmente dal Centro matematita, il Centro Interuniversitario di Ricerca per la Comunicazione e l'Apprendimento Informale della Matematica, al quale fanno riferimento ricercatori delle Università di Milano, Milano Bicocca, Pisa e Trento. Il Centro è noto presso insegnanti e divulgatori per l’utile progetto Immagini per la Matematica, nato con lo scopo di raccogliere e mettere a disposizione in rete immagini per la matematica e suggerire percorsi che consentano il loro utilizzo per raccontare argomenti della disciplina. 

Glaeser Georg, Polthier Konrad 
Immagini della matematica 
ISBN: 978-88-6030-619-7 
Raffaello Cortina Editore 
Pagine: XIII-338 p., ill., brossura 
Anno: 2013 
Prezzo di copertina: 36 €

Superficie Breather