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lunedì 12 dicembre 2022

La canzone di Perel’man

 


Il racconto breve Perel’man’s Song della poetessa, scrittrice, accademica e editrice sino-americana Tina S. Chang (1969) è apparso nel numero di febbraio 2008 della rivista Math Horizons. Utilizza una conversazione tra divinità che manipolano universi per informare poeticamente il lettore sulla Congettura di Poincaré. Questo è un esempio dell'uso della finzione matematica per dire, attraverso la metafora, ciò che altrimenti potrebbe essere troppo astratto per essere facilmente trasmesso ai non esperti.

La topologia delle varietà o superfici bidimensionali era ben nota già nel XIX secolo. Esiste infatti un semplice elenco di tutte le possibili superfici lisce compatte orientabili. Qualsiasi superficie di questo tipo ha un genere ben definito g ≥ 0, che può essere descritto intuitivamente come il numero di fori; e due di tali superfici possono essere poste in una regolare corrispondenza biunivoca l'una con l'altra se, e solo se, hanno lo stesso genere.

Ad esempio, una sfera ha genere 0: non ha "buchi". Più rigorosamente, ogni curva chiusa tracciata su di essa la separa in due calotte sferiche; un toro ha invece genere 1: è possibile tagliare il toro lungo una curva chiusa che segue una delle due circonferenze generatrici, ottenendo in ogni caso un cilindro connesso; ogni altro taglio supplementare otterrebbe due superfici non connesse.


La domanda corrispondente nelle dimensioni superiori è molto di più difficile. Henri Poincaré fu forse il primo a tentare di fare uno studio simile sulle varietà tridimensionali. L'esempio più basilare di tale varietà è la sfera unitaria tridimensionale, cioè il luogo di tutti i punti (x,y,z,w) nello spazio euclideo quadridimensionale che hanno distanza esattamente 1 dall'origine:


Poincaré notò che una caratteristica distintiva della sfera bidimensionale è che ogni semplice curva chiusa nella sfera può essere deformata continuamente in un punto senza lasciare la sfera. Nel 1904, fece una domanda corrispondente nella dimensione 3. In un linguaggio più moderno, può essere formulata come segue:

Domanda. Se una varietà tridimensionale compatta M3 ha la proprietà che ogni semplice curva chiusa all'interno della varietà può essere deformata continuamente in un punto, ne consegue che M3 è omeomorfa alla sfera S3?

Egli commentò, con notevole lungimiranza, “Mais cette question nous entraînerait trop loin”. Da allora, l'ipotesi che ogni 3-varietà chiusa semplicemente connessa sia omeomorfa alla 3-sfera è nota come Congettura di Poincaré. Da allora ha ispirato i topologi, e i tentativi di dimostrarla hanno portato a molti progressi nella comprensione della topologia delle superfici.

Detto in parole più semplici (ovviamente tralasciando particolari tecnici e essendo meno rigorosi), esiste un modo per dire con certezza se ci si trova su una sfera o meno, anche senza volare nello spazio per guardarla da lontano. Prendiamo una lunga corda e fissiamone un'estremità nel punto in cui ci troviamo. Quindi camminiamo sulla superficie per una grande distanza, allungando la corda mentre procediamo. Quando alla fine si torna al punto di partenza, prendiamo le due estremità della corda (quella che è rimasta in un punto e quella che abbiamo portato con noi) e le leghiamo in un cappio. Con un nodo del genere, stringendo si può rendere il cappio sempre più piccolo, e su una sfera si può sempre farlo, mantenendo la corda in superficie, ma se stessimo camminando su una ciambella (un toro) allora potrebbe non essere possibile. Immaginiamo di essere su una ciambella e di camminare attraverso il buco e tornare al punto di partenza. In questo caso non saremmo in grado di rimpicciolire il cappio senza tagliare la ciambella. (Possiamo anche camminare intorno al buco, nel qual caso il cappio non può diventare più piccolo del buco senza lasciare la superficie).

Il punto è questo: se abbiamo una superficie e sappiamo che è di dimensioni finite senza bordi, allora se ogni anello sulla superficie può essere ridotto alla dimensione del punto, deve essere una sfera (e, viceversa, non può essere una sfera se c'è un cappio che non può essere ridotto ulteriormente).

La Congettura di Poincaré è l'affermazione che la stessa cosa si può dire anche per gli spazi dimensionali superiori. In particolare, Poincaré affermò che qualsiasi spazio tridimensionale compatto in cui gli anelli possano essere rimpiccioliti in questo modo (cioè sia semplicemente connesso) debba essere la versione tridimensionale di una sfera, chiamata S3. (1) Da allora, l'affermazione è stata generalizzata a qualsiasi numero di dimensioni. Quindi, quando qualcuno oggi parla della Congettura di Poincaré intende dire che uno spazio compatto, n-dimensionale è equivalente alla n-sfera, Sn, se e solo se è un omeomorfismo equivalente.

Questo è stato un problema aperto molto famoso, elencato anche come uno dei problemi del millennio per i quali il Clay Institute ha offerto un premio di 1 milione di dollari. Tuttavia, ora è stato risolto. Sebbene questo programma di ricerca sia stato avviato da Richard Hamilton e anche molti altri geometri abbiano contribuito al programma, il passaggio finale è stato completato da Grigori Perel’man.

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La canzone di Perel’man

A Hamilton e Perel’man e a tutti gli altri matematici le cui ricerche hanno portato alla dimostrazione della Congettura di Poincaré.

C'era un universo amorfo, una varietà tridimensionale seduta radiosamente nella mano di un dio. Anche se questo dio era onnipotente, non era onnipresente, non poteva vedere l'essenza del suo universo. "Non ha singolarità (2), né buchi neri", osservò, sentendo la levigatezza della forma tra le mani. "Pensi che sia una sfera? Non sembra una bella sfera a tre dimensioni, ma forse è una ipersfera deformata e contorta che sembra semplicemente incomprensibile perché l'ho messa insieme in modo così casuale quando è stata creata."

Una dea lì vicino gettò da parte il suo universo e sbirciò da sopra la sua spalla curva. Tracciò pigramente degli anelli nel suo universo, poi li strinse in punti. Lo fece all'infinito. Controllò tutti i possibili anelli che riusciva a disegnare e nessuno si impigliava nel buco di una ciambella. Non ci volle tempo, perché vivevano fuori dal tempo, fuori dalla dimensione, in uno spazio inimmaginabile per l'uomo.

Lei ridacchiò per il suo fastidio quando riportò il suo universo tra le mani chiuse. "Beh, è semplicemente connesso (3)", concluse e prese il suo universo prima che potesse andare alla deriva.

Il suo era un universo toroidale increspato punteggiato di singolarità appuntite. Quando disegnò un anello attorno al buco della ciambella al centro, rimase come un arco luccicante attraverso il minuscolo cielo incapace di stringersi. Altri anelli che disegnava si contraevano in scintille d'oro.

"E come ciò risponde alla mia domanda?" chiese il dio, curioso di come i suoi anelli d'oro potessero far vedere che il suo universo era una 3-sfera. Queste dee onniscienti ma in qualche modo meno potenti spesso avevano assi matematici nella manica. Questa particolare dea inventava sempre nuovi universi con strane equazioni, per governarli.

La dea sorrise. "Qualsiasi varietà 3 chiusa semplicemente connessa è una sfera." Fece scivolare le mani tra le sue per accarezzare il suo universo. "Il tuo è liscio e tridimensionale e… semplicemente connesso" Tracciò un altro anello dorato. Scivolò lentamente attorno alle spire del suo universo e poi su una delle sue estremità simili a un sigaro finché non si strinse fino a diventare un punto sulla punta.

"E perché questo lo rende una 3-sfera?" disse dolcemente, scostandole la mano.

"Uno dei miei abitanti lo ha dimostrato." Lei rise. Toccò con il dito un punto del suo universo, "Perel’man è qui sul bordo di una galassia a spirale." Il suo universo era duro, increspato secondo le sue leggi e completamente invulnerabile al suo tocco. A giudicare dal luccicante arco dorato, non era semplicemente connesso. Né era liscio. Tirò via la mano prima che lei potesse raschiare una delle sue dita su una singolarità.

“Ah, uno dei tuoi abitanti lo ha dimostrato.” la assecondò, chiedendosi come un universo dettato da equazioni potesse avere degli abitanti intelligenti di cui parlare.

"Beh, se non mi credi." lo schernì, “Puoi usare tutte le tue potenti abilità per plasmare quel tuo universo in una sfera. La prova è costruttiva”.

"OK" disse, sollevando la sua varietà tridimensionale nello spazio vuoto tra di loro. "Cosa stai suggerendo esattamente?"

"Prima devi trasformarlo con il flusso di Ricci (4)." iniziò.

"Questa è una delle equazioni della tua varietà adesso..." disse, ricordando che il tensore di Ricci misurava la curvatura dello spazio e dei volumi al suo interno.

"No, la mia è l'equazione di Einstein. Contiene anche il tensore di Ricci. ma è un'equazione d'onda. Il mio universo cambia con le increspature gravitazionali che emanano e si fondono..."

“e causando ogni sorta di singolarità!” obiettò lui.

"Hai paura delle singolarità?" scherzò lei.

"No…"

"Perché potremo creare delle singolarità, ma le taglieremo..."

"Ehi!" Il dio riprese l'universo tra le sue braccia protettive

. "Solo temporaneamente, rimetteremo insieme l'universo quando avremo finito." lei lo rassicurò. “Comunque, il flusso di Ricci è un'equazione parabolica, funziona come il calore, non come le onde. Dissipa la curvatura attraverso l'intero universo rendendolo omogeneo, così che alla fine dovrebbe sembrare un cilindro o una sfera che si restringe..."

"E le parti che hai tagliato via?!"

"Le rimettiamo e sembra ancora una sfera."

"E questo tuo abitante ha inventato tutto questo?"

"Oh. no. Perel’man ha dimostrato che le 3-varietà semplicemente connesse sono sfere, ma il flusso di Ricci è stato sviluppato da Hamilton, e in realtà è la somma totale del lavoro di oltre una ventina di abitanti diversi vissuti in tempi diversi. Anche il tensore di Ricci era complicato da capire per gli esseri tridimensionali."

"E allora cosa ha fatto questo Perel’man?"

"Ha aggiunto una canzone. Ascolta attentamente e sentirai cantare il tuo universo. Cambia la forma e la nota cambia."

Il dio sollevò il suo universo e ne suonò la nota. Ribolliva e si avvolgeva e la nota cantava su e giù scivolando dolcemente in una melodia che poteva controllare.

Poi plasmò il suo universo con il flusso di Ricci e la nota incominciò a salire. La nota suonava sempre più alta mentre le protuberanze si allargavano e le spire si tendevano in lunghi cilindri. Man mano che il suo universo si restringeva, si allungava in una rete di tubi sottili.

"Taglia quello!" la dea indicò un tubo che stava collassando in una corda tesa. "Taglia ciascuno prima che si sviluppi un singolo filo."

Il dio fermò il tempo, il suo universo congelato, timoroso di tagliare il filo. "La canzone di Perel’man dimostra che le singolarità simili a filamenti sono cilindri tridimensionali prima di collassare". disse la dea. “Puoi riparare facilmente la rottura con due tappi dopo il taglio."

Tagliò delicatamente il tubo e, quando sollevò le metà, i loro bordi erano sfere rotonde bidimensionali. Gli porse due palline e lui riempì i bordi sferici vuoti, levigando delicatamente prima di far ripartire il tempo per i due universi che ora teneva davanti a sé.

. La coppia di universi riprese il flusso di Ricci e i loro mezzi filamenti tornarono a posto. Entrambi cantavano ancora, sempre più alti, dossi che si allargavano e spire che si allungavano in nuovi fili.

Lui tagliò il filo sottile successivo e lei gli diede due nuove palline per rattoppare i nuovi pezzi e lui tagliò più fili su pezzi diversi e l'universo si è moltiplicato. Ad ogni taglio il successivo saltava su un registro più alto e poi cantato dolcemente verso l'alto.

"Ad Infinitum?" chiese, quando ebbero completato il loro centesimo taglio.

"No, se è una sfera a tre", disse, osservando gli universi che si svolgevano intorno a loro.

"E se non è una sfera a tre?" chiese mentre esaminava la millesima fetta sferica.

«Poi alla fine smettiamo di tagliare ed esaminiamo la forma collassata a cui si avvicina.» sussurrò, temendo che Perel’man potesse sbagliarsi.

“Ma è una sfera a tre perché è semplicemente connessa.” sorrise, immaginando che l'ultimo taglio fosse vicino.

"E tutti i pezzi." pregò, "dovrebbero diventare 3-sfere che si restringono fino all'estinzione..."

All'improvviso alcuni dei minuscoli universi si arrotondarono in 3 sfere in rapida riduzione. Le raggiunse, raccogliendo il loro flusso prima che potessero uscire dall'esistenza.

I loro occhi si incontrarono momentaneamente. prima che lei indicasse le successive tre parti che si assottigliavano e gli lanciasse sei palle.

Mentre il dio lavorava sempre più velocemente. spezzando nuovi fili e catturando nuove sfere, la nota salì più in alto di qualsiasi tono che la dea avesse mai sentito prima.

Alla fine, accadde: tagliarono il loro ultimo filo e l'ultima coppia di universi si arrotondò in identiche sfere tridimensionali.

Il dio li prese tra le mani e li strinse. Anche lui era immobile, stupito dai milioni di minuscole 3-sfere perfette che fluttuavano intorno a loro.

"Adesso vedi." disse senza fiato. prendendo un paio di sfere nelle sue mani "se rimuovi le palline con cui le abbiamo rattoppate e le unisci di nuovo insieme, puoi vedere che in realtà erano 3-sfere deformate prima che le spezzassimo a metà..."

Rimosse con cura le sfere corrispondenti dalle sfere gemelle e le unì le mani in modo che i bordi emersero vicino alla punta delle sue dita. Quindi, insieme, riformarono l'universo unito in un'unica luminescente 3-sfera tenuta tra le loro mani aperte.

"Incredibile" Il dio sollevò tutti i pezzi in aria all'unisono, rimettendoli al loro posto, aprendoli e fondendo insieme i bordi sferici.

Il suo universo, liberato dal flusso di Ricci, palpitò per alcuni battiti e poi si congelò in una perfetta sfera tridimensionale omogenea che fluttuava tra di loro.

Sedevano insieme, in uno spazio senza tempo, osservandone in silenzio la bellezza. Il dio disegnò un anello d'oro attorno al suo equatore e lo guardò scivolare su per le latitudini e scomparire con una scintilla al polo.

Liberandolo dalla matematica, lo riavvolse dolcemente nella sua forma originale. Ora poteva veramente vedere che era sempre stata una 3-sfera, una ipersfera deformata e contorta, ma ininterrotta.

Si rivolse alla dea..."... e cosa accadrebbe se mettessimo insieme i nostri universi."

"L'unione non sarà semplicemente connessa e non sarà una sfera." Avvicinò il suo universo per fonderlo con quello di lui. "Ma forse, se appianiamo le mie singolarità, possiamo farle confluire in una geometria che non abbiamo mai visto prima."

-o-

Note:

1 -Sfera tridimensionale, o 3-sfera - In matematica, una 3-sfera (detta anche ipersfera) è un analogo dimensionale superiore di una sfera. Può essere visto nello spazio euclideo quadridimensionale come l'insieme di punti equidistanti da un punto centrale fisso. Analogamente a come la frontiera di una palla in tre dimensioni è una sfera ordinaria (o 2-sfera, una superficie bidimensionale), la 3-sfera è una varietà tridimensionale che fa da frontiera alla palla 4-dimensionale. Una 3-sfera è una varietà 3-dimensionale compatta, connessa e senza bordo. Inoltre, è un insieme semplicemente connesso: ogni curva chiusa sulla sua superficie può essere ristretta ad un singolo punto senza lasciare la 3-sfera. Secondo la congettura di Poincaré, dimostrata  da Perel'man, la 3-sfera (a meno di omeomorfismo) è l'unica figura con queste proprietà.



2 - Singolarità - Il concetto di singolarità ha origine in matematica, dove indica in generale un punto in cui un ente matematico, per esempio una funzione o una superficie, "degenera", cioè perde parte delle proprietà di cui gode negli altri punti generici, i quali per contrapposizione sono detti “regolari”. In un punto singolare, per esempio, una funzione o le sue derivate possono non essere definite e nell'intorno del punto stesso "tendere ad infinito".

In fisica, i punti singolari sono quelli in cui si verifica una singolarità matematica delle equazioni di campo, dovuta per esempio ad una discontinuità geometrica del dominio oppure al raggiungimento di un valore limite di un parametro. Benché le soluzioni singolari delle equazioni di campo restino molto utili per descrivere il comportamento fisico fuori della singolarità, esse perdono di significato fisico nei pressi del punto singolare. In pratica il comportamento fisico in tali intorni può essere descritto solo tramite teorie fisiche più complesse in cui la singolarità non si verifica. Un buco nero è una singolarità.

3 - Spazio connesso - In matematica uno spazio topologico si dice connesso se non può essere rappresentato come l'unione di due o più insiemi aperti non vuoti e disgiunti. In maniera poco formale ma abbastanza intuitiva, possiamo dire che la connessione è la proprietà topologica di un insieme di essere formato da un solo "pezzo".

Uno spazio topologico X è connesso per archi (o con terminologia equivalente, connesso per cammini) se per ogni coppia di punti x e y dello spazio esiste un arco che li collega.

Uno spazio topologico è detto semplicemente connesso (o 1-connesso, o 1-semplicemente connesso, se è connesso per cammini e ogni cammino tra due punti può essere continuamente trasformato in qualsiasi altro percorso simile preservando i due punti finali in questione.

Informalmente, un oggetto nel nostro spazio è semplicemente connesso se è costituito da un unico pezzo e non ha "buchi" che lo attraversano completamente. Ad esempio, né una ciambella né una tazza di caffè (con un manico) sono semplicemente collegate, ma una sfera di gomma cava è semplicemente connessa. In due dimensioni, un cerchio non è semplicemente connesso, ma lo sono un disco e una linea. Gli spazi connessi ma non semplicemente connessi sono detti non semplicemente connessi o moltiplicati.


Una sfera è semplicemente connessa perché ogni anello può essere contratto (sulla superficie) in un punto.

La definizione esclude solo i fori a forma di maniglia. Una sfera (o, allo stesso modo, una palla di gomma con un centro cavo) è semplicemente connessa, perché qualsiasi anello sulla superficie di una sfera può contrarsi in un punto anche se ha un "buco" nel centro cavo.

4 - Flusso di Ricci-Hamilton - Nei campi matematici della geometria differenziale e dell'analisi geometrica, il flusso di Ricci, a volte indicato anche come flusso di Ricci-Hamilton, è una particolare equazione alle derivate parziali per una metrica Riemanniana. Si dice spesso che sia analogo alla diffusione del calore e all'equazione del calore, a causa delle somiglianze formali nella struttura matematica dell'equazione. Tuttavia, non è lineare, e mostra molti fenomeni non presenti nello studio dell'equazione del calore.

Il flusso di Ricci, così chiamato per la presenza del tensore di Ricci nella sua definizione, è stato introdotto da Richard Hamilton, che lo ha utilizzato negli anni '80 del Novecento per dimostrare nuovi sorprendenti risultati nella geometria riemanniana. Successive estensioni dei metodi di Hamilton da parte di vari autori portarono a nuove applicazioni alla geometria, inclusa la risoluzione della congettura della sfera differenziabile di Simon Brendle e Richard Schoen.

Seguendo il suggerimento di Shing-Tung Yau che le singolarità delle soluzioni del flusso di Ricci potessero identificare i dati topologici previsti dalla congettura di geometrizzazione di William Thurston, Hamilton produsse negli anni '90 una serie di risultati che erano diretti alla risoluzione della congettura. Nel 2002 e nel 2003, Grigori Perel’man presentò una serie di nuovi risultati fondamentali sul flusso di Ricci, inclusa una nuova variante di alcuni aspetti tecnici del programma di Hamilton. I lavori di Hamilton e Perel’man sono ora ampiamente considerati come una dimostrazione della congettura di Thurston, compresa come caso speciale la congettura di Poincaré, che era un noto problema aperto nel campo della topologia geometrica sin dal 1904. I loro risultati sono considerati un pietra miliare nei campi della geometria e della topologia.


Il flusso di Ricci di solito deforma la varietà verso una forma più rotonda, tranne in alcuni casi in cui allunga la varietà oltre se stessa verso quelle che sono note come singolarità. Perelman e Hamilton, quindi, tagliano la varietà alle singolarità (un processo chiamato "chirurgia"), facendo sì che i pezzi separati assumano forme simili a sfere. I passi principali nella dimostrazione implicano il mostrare come si comportano le varietà quando vengono deformate dal flusso di Ricci, esaminare quale tipo di singolarità si sviluppano, determinare se questo processo chirurgico può essere completato e stabilire che l'intervento chirurgico non deve essere ripetuto infinite volte.

mercoledì 21 luglio 2021

Poesia del ‘900 e scienza (1): "Un mondo in cui non ci sono fatti"

 


La crisi del positivismo

Considerare il rapporto tra poesia e scienza nel XX secolo richiede l’analisi di numerosi aspetti, la cui trattazione richiede più di un articolo. Terminata l’epoca della poesia didattica (alla Erasmus Darwin, per esempio), non sono mancate naturalmente le poesie sulla scienza, le sue teorie, lo sviluppo storico e le sue figure di spicco; ma più importanti sono le relazioni tra la concettualizzazione della poesia e la scienza come campi, comprese le rispettive rivendicazioni di potere culturale, l'impatto dei modelli scientifici e delle tecnologie di comunicazione sulla poesia e l'uso di metafore basate sulla scienza. In questa serie mi occuperò soprattutto dell’impatto che hanno avuto la fisica la chimica, la matematica, l’informatica e, in un’ampia accezione, la tecnologia, sull’opera dei poeti angloamericani e italiani, affidando a una prossima serie l’analisi della ricaduta sulle opere in versi delle scienze della vita.

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I decenni finali del diciannovesimo secolo videro rapidi progressi nella scienza che sembravano sempre più spostare l'uomo dal centro dell'universo. La geologia e la scienza darwiniana suggerivano vaste scale temporali in cui la storia registrata era una puntura di spillo; le scienze sociali tracciarono storie di lingue e popoli; la psicanalisi descriveva gli umani come guidati da forze potenti e nascoste; la medicina e la psicofisica (Legge di Weber-Fechner, 1887) rappresentavano il corpo umano come un apparato altamente fallibile. In maniera ancora più importante, la fisica postulava nuove forze oltre la scala dell'umano, abbandonando il mondo meccanicistico della fisica newtoniana per un nuovo universo di forze ed energie invisibili: tra queste scoperte, che rivoluzionarono i tradizionali paradigmi con i quali si interpretava la realtà, vi furono i raggi–X (1895), la radioattività (1896, 1898), l’elettrone (1897) e la relatività (1905), che si andarono ad aggiungere alle onde elettromagnetiche e, in campo matematico, alle geometrie non euclidee e a quelle a n–dimensioni.

Come asserì l’astronomo, editore e divulgatore francese Camille Flammarion in L’inconnu, et les problèmes psychiques (1900), “L’ultima scoperta dei raggi Röntgen, così inconcepibile e così strana nella sua origine, dovrebbe illuminarci sulla limitatezza del campo delle nostre osservazioni abituali (…) Questo è in effetti uno degli esempi più eloquenti a favore dell’assioma che è antiscientifico sostenere che le realtà si fermano al limite delle nostre conoscenze e della nostre osservazioni”. Il testo di Flammarion riportava, come molti altri in quel periodo, un primitivo schema dello spettro elettromagnetico, sottolineando quanto piccolo fosse il campo della luce visibile.

Allo stesso tempo, si sviluppò una tradizione di critica delle affermazioni di verità della scienza. Le critiche potevano essere avanzate dall'interno della scienza stessa: per un empirista radicale come Ernst Mach, le idee scientifiche sono finzioni euristiche che ci dicono tanto sull'organizzazione e sui limiti della nostra percezione quanto sul mondo "reale". Henri Poincaré (1854-1912), matematico, fisico precursore della relatività ristretta e filosofo convenzionalista, in La scienza e l'ipotesi (1902), espresse l’idea che la scienza non ci può rivelare la vera essenza della realtà. La sua valenza conoscitiva è relazionale: non possiamo conoscere gli oggetti, ma solo le loro relazioni. Lo scienziato crea soltanto il linguaggio con cui enunciare un fatto e le sue relazioni con altri fatti; il fatto scientifico cioè, non è altro che il fatto bruto tradotto in un linguaggio convenzionale e quindi più comodo. In altre parti del testo lo scienziato francese criticava i concetti di spazio e tempo assoluti, affermando che essi non sono necessari alla meccanica. 

Poincaré chiamò “Principio del moto relativo” l’impossibilità fisica di osservare il moto assoluto. Due anni dopo lo avrebbe chiamato “Principio di Relatività”. In Scienza e metodo (1906), un’eterogenea raccolta di saggi su questioni di metodologia scientifica, Poincaré, fonte di ispirazione per molti modernisti, espose le proprie idee sulla creatività e sui processi mentali che, generano intuizioni creative. Egli considerava la creatività come la capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove che siano utili, sostenendo che il criterio intuitivo per riconoscere l'utilità della combinazione nuova è la bellezza, intesa non solamente in senso estetico, ma legata all'eleganza così come la intendono i matematici: armonia, economia, rispondenza allo scopo. La definizione di Poincaré era riferita alle scienze, ma abbracciava anche le arti e la tecnologia.

Le certezze del XIX secolo vacillavano, e si annunciava il crollo dei valori che ne avevano costituito il fondamento, valori essenzialmente borghesi e legati, tra gli altri, alla fiducia nel progresso lineare della scienza e della tecnologia. La fiducia che “ciò che è, è ciò che sembra” si dimostrava una credenza fallace, e il mondo scientifico, artistico e poetico si apriva al disincanto. Se, Nietzsche, proclamando la morte di Dio, sanciva che la religione cessava di essere il principio regolatore della società, altri fantasmi emergevano dall’opera di Freud, secondo il quale, per partecipare alla società civilizzata, l'uomo aveva dovuto mettere da parte molti impulsi “selvaggi” all'interno del sé. La civiltà si basava su una serie di tabù, che erano la fonte della moderna nevrosi. 

Le avanguardie artistiche e sociali ripudiarono i codici della società in cui vivevano. Il loro rifiuto della moralità convenzionale era basato sulla sua arbitrarietà, sul suo conformismo e sul suo esercizio del controllo sui sentimenti umani. Si impose una certa forma di nichilismo filosofico, ma il dubbio non era necessariamente la ragione più significativa per cui questo messa in discussione ebbe luogo. Una delle cause di questa iconoclastia fu il fatto che la cultura dei primi decenni del XX secolo, devastata anche dall’assurdo carnaio della guerra, stava letteralmente re-inventandosi giorno dopo giorno. Con così tante scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche in atto, il mondo stava cambiando così rapidamente che la cultura doveva ridefinirsi costantemente per stare al passo con la modernità e non apparire anacronistica. Fu un fiorire di movimenti, di -ismi, ciascuno dei quali più aggiornato e più anticonformista degli altri.

Gli artisti sperimentarono nuovi linguaggi che avrebbero potuto più appropriatamente esprimere il significato di tutti i nuovi cambiamenti che si stavano verificando. Il risultato fu una nuova arte, che contestava lo standard artistico secolare della mimesi, l'imitazione letterale o la rappresentazione dell'apparenza della natura, delle persone e della società. L'arte, secondo i modernisti, si preoccupava troppo delle raffinatezze e convenzioni irrilevanti che sminuivano il suo scopo principale: la scoperta della verità. 

Intanto, in Italia, Benedetto Croce, nella sua personale declinazione dell’idealismo, definiva i concetti utilizzati dalle scienze e dalla matematica come «finzioni» o «pseudoconcetti», aventi natura solo economica o pratica:

“La scienza, la vera scienza, che non è intuizione ma concetto, non individualità̀ ma universalità̀, non può̀ essere che scienza dello spirito, ossia di ciò̀ che la realtà̀ ha di universale: filosofia. Se fuori di questa si parla di scienze naturali, bisogna notare che queste sono scienze imperfette, o meglio, sono non sistema, ma complesso di conoscenze. (...) Ciò̀ che di scientifico è nelle scienze naturali, è filosofia: ciò̀ che vi è di naturale, è mero fatto. Allorché́ le discipline naturali vogliono costituirsi in scienze perfette debbono saltar fuori dalla loro cerchia e passare alla filosofia” (Estetica, 1904).

Forse l'attacco più influente alla scienza fu portato dal filosofo idealista inglese Francis Herbert Bradley. In Apparenza e Realtà (1883) Bradley sosteneva che il "reale" è rappresentato meglio dalla complessa immaginazione del poeta piuttosto che dalle relazioni fredde e astratte dello scienziato, che avanza la pretesa che gli atomi e le forze elettromagnetiche siano la realtà del mondo, mentre sono solo apparenza. T.S. Eliot, che studiò Bradley come studente ricercatore, condivideva la sua idea del mondo multiplo dei sensi così come il suo senso della frattura tra poesia e scienza (sebbene, in una tipica appropriazione inversa della scienza, Eliot abbia dichiarato che la miglior analogia per la creazione poetica era l'azione in chimica di un catalizzatore, una sostanza che permette ad altre di combinarsi rimanendo intatta essa stessa). 

In effetti, il mondo presentato dalla scienza, in particolare dopo Einstein, stava diventando così astratto e ipotetico da sembrare una specie di poesia. Usando geometrie multidimensionali, analisi statistiche delle particelle, postulando la materia con le proprietà della radiazione, con le misurazioni relativistiche, con le paradossali implicazioni della fisica quantistica, la fisica ha prodotto, come ha commentato il poeta americano Wallace Stevens, "un mondo in cui non ci sono fatti", in cui la scienza potrebbe essere vista come poesia. Nella sua indeterminatezza, secondo la poetessa e critica americana Lisa Steinman, “la nuova fisica sembrava sanare il divario tra il mondo soggettivo e quello oggettivo”. Si dovrebbe qui forse sottolineare il "sembrava", e il fatto che i poeti modernisti spesso hanno raccolto la loro scienza di seconda o terza mano dai libri di grandi divulgatori, da The Nature of the Physical World (1928) di Arthur Eddington e The Mysterious Universe (1930) di James Jeans; dagli scritti di Henri Poincaré a quelli di Bertrand Russell. 

La poesia di William Empson Letter I (scritta tra il 1928 e il 1935) è paradigmatica della sua opera in versi e dei rapporti con la scienza che la informavano. Scritta nel contesto universitario privilegiato di Cambridge, dove insegnava Arthur Eddington, essa sembra anticipare i buchi neri, usando l'idea di una stella morente, da cui nessuna luce sfugge, come metafora di una passione non corrisposta. Nella strofa finale la condizione dell'amante è paragonata a quella di una stella densa e morente che è estremamente calda, ma emette luce che non sarà mai vista da osservatori esterni. 


Our jovial sun, if he avoids exploding
(These times are critical), will cease to grin,
Will lose your circumambient foreboding;
Loose the full radiance his mass can win
While packed with mass holds all that radiance in;
Flame far too hot not to seem utter cold
And hide a tumult never to be told.

Il nostro sole gioviale, se evita di esplodere
(Questi tempi sono critici), smetterà di sorridere,
Perderà il tuo presagio circoscritto;
Libererà tutta la radiosità che la sua massa può vincere
Mentre, pieno di massa, trattiene tutto quello splendore;
Fiamma troppo calda per non sembrare del tutto fredda
E nascondi un tumulto che mai verrà detto.


Uno spazio chiuso in sé stesso, tale da rendere impossibile qualsiasi comunicazione. "Lettera I" usa la creazione poetica per testare i limiti dell'universo di Einstein, perseguendo una condizione estrema che era stata liquidata da Eddington come assurda finché il fisico Subrahmanyan Chandrasekhar ne dimostrò la possibilità teorica, anticipando la possibilità di quegli oggetti celesti che sarebbero stati chiamati
“buchi neri”. Empson, in quanto poeta, non era vincolato né dalla cultura istituzionale dell'astronomia britannica, né dalle leggi della fisica, che pure conosceva. La sua poesia non previde rigorosamente un buco nero, ma prese sul serio l'ipotetico estremo astronomico, secondo una tradizione che egli ammirava in John Donne: la capacità predittiva delle creazioni letterarie.