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mercoledì 31 agosto 2016

Sulle proprietà aerodinamiche dell’addizione


In tutti i tentativi di dimostrare che 2 + 2 = 4 non si é mai tenuto conto della velocità del vento.

L’addizione di interi è in effetti possibile solo in condizioni meteorologiche sufficientemente stabili, in modo che il primo 2, una volta che è stato collocato, resti al suo posto fino a quando sia collocata la crocetta, poi il secondo 2, poi il piccolo muro sul quale sedersi e contemplare e, finalmente, il risultato. Fatto ciò, il vento può soffiare, ma due e due sono diventati quattro. 

Ma, non appena il vento si alza, il primo numero cade a terra. E, si provi a osservare, lo stesso succede al secondo. Qual è allora il risultato di:


La matematica attuale non è in grado di fornire una risposta. 

Ora, se il vento infuriava, il primo numero sarebbe volato via, poi la crocetta, e così via. Ma supponiamo che sia calato dopo la crocetta, allora ci troveremmo di fronte all’assurdità 2 = 4. Il vento non soffia solo fino a un certo punto, esso soffia dappertutto. Il numero uno, un numero particolarmente leggero, per il quale un refolo è già abbastanza per spostarlo, può allora capitare in un calcolo al quale non appartiene, anche contro il volere della persona che sta facendo l’operazione. Ciò fu previsto dal matematico russo Dostoievski quando osò dire di avere una debolezza per 2 + 2 = 5. 

Le regole della notazione decimale provano anche che gli Indiani devono aver affrontato il nostro assioma più o meno coscientemente. Lo zero rotola via abbastanza facilmente, è sensibile al soffio più leggero. Ecco perché non viene preso in considerazione quando si trova a sinistra di un numero: 02 = 2, poiché lo zero vola via sempre prima della fine del calcolo. Ha senso solo sulla destra. Perché lì i numeri precedenti possono tenerlo al suo posto e impedire che voli via. Così 20 = 2, almeno finché il vento non superi la velocità di diversi metri al secondo. 

Trarremo ora da queste osservazioni alcune conclusioni pratiche: non appena si sappia in anticipo che il tempo peggiora, è buona cosa dare alla propria addizione una forma aerodinamica. È altresì consigliato scriverla da destra a sinistra, così come il iniziare il più possibile vicino al centro del pezzo di carta. Quando il vento fa slittare un calcolo in esecuzione, si può quasi sempre afferrarlo prima che raggiunga il margine. Utilizzando questo metodo sarà sempre possibile, anche durante una tempesta equinoziale, ottenere risultati come il seguente:



Raymond Queneau 
Membro del Corpo dei Satrapi del Collège de 'Pataphysique 
Membro della Société Mathématique de France

(da Contes et propos, 1981, miscellanea pubblicata dopo la morte di Queneau (in it. Racconti e ragionamenti, Il melangolo, 1993), ma contenente testi, come questo, anteriori alla fondazione dell'Oulipo nel 1960).

sabato 23 agosto 2014

Nuovi Ossimorica e Adynata

Vi ricordate gli Ossimorica e gli Adynata (o impossibilia) proposti da Umberto Eco nel “Secondo diario minimo” (1992)? Erano alcune delle materie cacopediche oggetto di studi nel "Progetto per una Facoltà di Irrilevanza Comparata". Ecco alcuni esempi: 

Ossimorica
Enologia musulmana, Istituzioni di rivoluzione, Lingue ugro-romanze, Dinamica parmenidea, Oceanografia tibetana, Oftalmologia gastrica, Istituzioni di oligarchia popolare. 

Adynata
Storia degli Stati Uniti nell'epoca ellenistica, Letteratura sumera contemporanea, Ippica azteca, Urbanistica tzigana, Filatelia assiro-babilonese, Storia dell'agricoltura antartica. 


Dopo più di vent’anni, con l’esperienza derivante dall’osservazione del dibattito scientifico-sociale italiano, è possibile aggiungere nuove voci. Io aggiungo quelle che trovate in calce. E voi? 

Macroeconomia dell'annuncio,
Produzione scientifica vannoniana, 
Chirurgia omeopatica, 
Diritto penale ad personam,
Sismomanzia ex-post, 
Istituzioni di medicina alternativa, 
Immunoterapia autistica, 
Statistica del dato singolo, 
Scienze della comunicazione a vanvera (con elementi di giacobbologia applicata), 
Turbochimica aerea, 
Storia della meritocrazia universitaria italiana, 
Paleontologia creazionista, 
Elementi di gestione delle discariche abusive, 
Liberismo sociale e proletario, 
Otopatie del retto, 
Diritto costituzionale circense, 
Fisica quantistica nell’età della Controrifoma,
Zootecnia vegana.

lunedì 10 febbraio 2014

Le radici di Boris Vian

Ci sono radici di tutte le forme: 
la puntuta, la rotonda, la difforme. 
Quella dell’altea è angelica, 
c’è una Racine (1) che è classica 
e la mandragora è diabolica: 
anche se è invadente 
non ci si può fare niente. 
Ma la radice che io adoro 
che si estrae senza fatica, 
è la radice quadrata, la mia preferita. 
Una radice di aspetto peggiore 
è quella dell’albero motore. 
Il drogato fa fuoco e fiamme 
per quella dell’albero a camme. 
Se ha la radice della manioca 
qualcosa a che fare con la tapioca, 
evitiamo con grande attenzione 
(di mangiare) quelle del dente di leone (2). 
Ci sono delle radici a mazzi cedute,
i ravanelli, le carote, le  rape barbute. 
Quella dell’erica voi conoscete 
dalla quale si creano pipe discrete. 
C’è la radice della canna per pescare: 
coltivatela, su, chi ve lo sta a vietare? 
Ma la radice che io adoro 
che si estrae senza fatica, 
è la radice quadrata, la mia preferita. 

Il y a des racines de tout' les formes 
Des pointues, des rond' et des difformes 
Cell' de la guimauve est angélique 
Il y a une Racin' (1) qui est classique 
Et la mandragore est diabolique 
Mêm' s'il nous bassin' on n'y peut plus rien 
Mais la racine que j'adore 
Et qu'on extrait sans effort-eu 
La racin'carrée, c'est ma préférée 
Une racine qu'a un aspect louche 
C'est cell' de l'arbre de couche 
Le drogué vend son âme 
Pour cell' de l'arbre à cames 
Si la racine du manioc a 
De quoi fair' du tapioca 
Evitons tout' not' vie 
(de bouffer) Celle du pissenlit (2) 
Il y a des racin' qui s'vend' en bottes
Le radis, l'navet ou la carotte 
Vous connaissez celle de la bruyère 
Dans laquell' on taille des pip' en terre 
Il y a la racin' de canne à pêche 
Cultivez-la donc, qu'est-ce qui vous empêche? 
Mais la racine que j'adore 
Et qu'on extrait sans effort-eu 
La racin'carrée, c'est ma préférée. 

(1) Jean Racine ("radice") è stato il più grande drammaturgo classico del Seicento francese. 
(2) Manger les pissenlits par la racine significa essere morto e sepolto. 

Boris Vian (1920-1959) è stato un genio poliedrico: scrittore anticonformista, poeta, inventore di parole, commediografo, jazzista, cantante a autore di canzoni, traduttore, critico, inventore e ingegnere. Il suo capolavoro letterario fu l’originalissimo e surreale La schiuma dei giorni (1947). Fu anche l’autore della splendida canzone antimilitarista Le déserteur (scritta nel 1954 subito dopo la guerra d’Indocina) e membro del Collège de Pataphysique.

lunedì 12 novembre 2012

La naissance de l’Oulipo


L’Oulipo (Ouvroir de la Littérature Potentielle) fu fondata da Raymond Queneau e François Le Lionnais e una decina di altri letterati e matematici al ristorante Le vrai Gascon di Parigi il 24 novembre 1960 (22 As, giorno di St. Lautréamont, secondo il calendario ‘patafisico perpetuo). All'approssimarsi del cinquantaduesimo genetliaco della meritoria congrega, ho deciso di scrivere qualche verso celebrativo in francese, che l’amica Tania Sofia Lorandi, artista ed esperta ‘patafisica, ha riveduto e corretto a tal punto che la pa(ta)(ma)ternità dell’operina è attribuibile a entrambi. Qual è la contrainte? Beh, il fatto che l’abbia scritto in francese non vi sembra abbastanza? 

Cheval Parthénon 
reste à la maison 
et joue bien au Go 
avec le Queneau. 

Couteau à la main,
arrivait soudain 
une Reine Aztèque 
suivie de Perec. 

«Roubaud a la clé 
disait Le Lionnais 
pour gagner le lot 
contre le Queneau!» 

Perec se dit «Merdre! 
Pas envie de perdre : 
il faut écrire, quoi, 
Le Go, mode d’emploi?» 

«Nous en avons marre 
de ce jeu bizarre.
Quittons donc le Go, 
créons l’Oulipo» 

Cheval Parthénon, 
à Bens hennissons,
disons «Tout va bien, 
fous ces Oulipiens!»




giovedì 2 agosto 2012

Matematica teologica: una rassegna

La matematica pura è scienza sottile, di grande astrazione, dove la materia sembra quasi scomparire di fronte all’emergere dell’idea, della pura relazione tra enti, che non sappiamo se creati dall’uomo oppure esistenti prima e indipendentemente da lui. Ancora oggi è aperto il dibattito, che forse non si chiuderà mai, rispetto al fatto se la matematica si inventa o si scopre. Essa è, tra tutte le scienze, sin dalle sue origini, quella che più avvicina l’uomo all’idea di assoluto, più ancora della stessa cosmologia. Non sorprende pertanto che la matematica sia stata spesso accostata all’idea di Dio, spesso confondendo l’idea dell’infinito matematico, che è un’idea tutto sommato quantitativa, con ciò che si esprime nel linguaggio corrente con “illimitato”, “incondizionato”, “eterno”, sulle orme della celeberrima prova ontologica di Anselmo d’Aosta. 

La "teologia matematica" è un esempio di queste speculazioni di confine, talmente singolari da attirare l’interesse dei ‘patafisici, che diedero spazio alla loro fantasia con alcuni dissacranti calcoli “teologici”, come quello della superficie di Dio ad opera di Alfred Jarry, che nel 1911 “dimostrò” con riga e compasso che Dieu est le point tangent de zéro et de l’infini. Ma la burla attribuita al dottor Faustroll non emerge improvvisa, perché i tentativi di trattare le questioni religiose con l’ausilio della matematica sono stati numerosi. In questo articolo ne fornisco alcuni esempi di epoca moderna, per i quali sono in parte debitore alla splendida raccolta di bizzarrie che scrisse il matematico e logico Augustus de Morgan con il titolo di Budget of Paradoxes, pubblicato postumo nel 1872. 

La rassegna incomincia con il matematico scozzese John Craig (1663-1731), che era un amico di Newton, membro della Royal Society dal 1711, ma, soprattutto un uomo dal forte senso religioso. Prima ancora di essere ordinato prete anglicano nel 1708 e vicario a Salisbury, aveva pubblicato due opere sul nuovo calcolo differenziale (fu il primo in Inghilterra a utilizzare la notazione leibniziana dy e dx, invece di quella con i puntini di Newton) e una sul moto dei fluidi, che lo avrebbe condotto a una accesa polemica con Johannes Bernoulli, risolta con l’accettazione da parte di Craig delle idee dello svizzero. Avrebbe anche dato alle stampe un’interessante fascicolo sul calcolo delle flussioni, fortemente influenzato dalle idee dell’amico e collega (1718), ma è ricordato soprattutto per la strana opera Theologiæ Christianæ Principia Mathematica, pubblicata nel 1699, che all’opera più famosa di Newton (Philosophiae naturalis principia mathematica, del 1687) si ispirò per il titolo. 

Nel suo volume in-quarto, basandosi sull’ipotesi che i dubbi su un fatto storico crescono con il quadrato del tempo trascorso, Craig presenta una formula che, a suo dire, descrive come la probabilità che un fatto storico venga ritenuto vero dipende dal numero dei testimoni originari, dalla catena di trasmissione attraverso testimoni secondari, dal tempo trascorso e dalla distanza dal luogo dell’evento. Con la sua formula, il prete matematico cerca di rispondere alla domanda “quanto tempo ci vorrà prima che l’evidenza del cristianesimo muoia del tutto?” Craig ricava che la fede nella vicenda terrena di Gesù Cristo raggiungerà lo 0 nell’anno 3144. In quell’anno ci sarà la seconda venuta del Figlio di Dio, secondo il verso 18:8 del vangelo di Luca: “Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra”

L’opera ricevette scarsa attenzione dai contemporanei, anche se De Morgan (pag. 130) sostiene che fu tradotta all’estero e seriamente considerata. Diversi matematici hanno lamentato l’uso impreciso da parte di Craig del concetto di probabilità e delle basi sulle quali egli derivava la sua formula. 

De Morgan, sulla scorta di quanto affermato dall’orientalista di Cambridge, Samuel Lee, pensava che le idee di Craig fossero abbastanza vicine, consapevolmente oppure no, a quelle dei teologi maomettani che avevano discusso del fatto che il Corano non è supportato da miracoli. Essi sostenevano che, poiché l’evidenza dei miracoli cristiani si fa sempre più debole con il passare del tempo, giungerà un giorno in cui non si potrà più assicurare che ci siano mai stati: da qui la necessità di un altro profeta come Cristo e di altri miracoli. 

Per valutare correttamente l’opera di Craig è necessario ricordare che il successo dei Principia di Newton spinse molti ingegni a speculare sull’applicazione di una trattazione quantitativa a fenomeni o concetti che fino ad allora stati considerati solo qualitativamente. Craig imitò il titolo di Newton, ed evidentemente pensava di aver compiuto un passo in avanti, ma non fu il solo a spingersi troppo oltre il ragionevole. 

Un altro talento britannico che osò avventurarsi nei rarefatti territori della teologia fu Richard Jack (1710/5-1759). Docente privato di matematica a Newcastle-upon-Tyne nel 1737, si trasferì prima a Edimburgo e infine a Londra intorno al 1750. Nel 1742 pubblicò un trattato di elementi di sezioni coniche, che fu ben accolto. Il 22 settembre 1745 partecipò come volontario lealista alla battaglia di Prestonpans, che vide l’inopinata sconfitta delle truppe reali di Giorgio II durante la sollevazione giacobita del Bonnie Prince Charlie che voleva ristabilire gli Stuart sul trono britannico. Sulle cause della sconfitta fu celebrato un processo al comandante delle truppe reali rosso-vestite, Sir John Cope, durante il quale Jack fu chiamato come teste a difesa, dimostrandosi “confuso”, “smemorato” e “inaffidabile”. 

Forse in cerca di riscatto, il suo secondo libro, del 1747, era molto ambizioso. Si trattava infatti di The Mathematical Principles of Theology, or the Existence of God geometrically demonstrated (“I principi matematici della teologia, o l’esistenza di Dio dimostrata geometricamente”), nel quale “è provata l’esistenza di Dio dall’Eternità all’Eternità, (…) che Dio è infinito in Saggezza, Potere e Conoscenza”, e così via. 

Il pretenzioso volume è organizzato nel modo degli Elementi di Euclide, con gli esseri rappresentati da cerchi e quadrati. Ma queste figure sono simboli logici, non geometrici. In realtà il testo tradisce entrambe le discipline dichiarate nel titolo, non essendo né un libro di matematica, né di teologia, ma soltanto di stravaganze logiche. L’erudito De Morgan (pag. 150) avanza il sospetto che Jack abbia copiato le idee di un altro stravagante scrittore, il francese Jean-Baptiste Morin, che aveva dato alle stampe nel 1636 a Parigi l’opera Quod Deus sit, mundusque ab ipso creatus fuerit in tempore, ejusque providentia gubernetur. Selecta aliquot theoremata adversos atheos, etc., nella quale si cercava more geometrico di provare l’esistenza di Dio, senza tuttavia l’utilizzo di diagrammi del tutto inutili e fuorvianti. 

Forse tornato in sé dopo l’assoluta mancanza di riscontri al suo libro, Jack tornò a occuparsi di geometria tradizionale con un libro sull’opera di Euclide pubblicato tre anni prima di morire. 

Arrivare a Dio attraverso gli Elementi di Euclide non fu il sogno solamente di Richard Jack. Ci provò anche il matematico napoletano Vincenzo Flauti (1782-1863), che volle formalizzare la prova ontologica in un curioso volume intitolato Teoria dei miracoli. Anche Flauti non era uno sprovveduto: insegnò all'Università di Napoli dal 1803 al 1849, contribuì alla divulgazione in Italia della geometria descrittiva di Monge, e scrisse trattati e memorie di geometria, nei quali fece uso dei metodi sintetici. Difese accanitamente i metodi dei geometri antichi, ripudiando la geometria analitica e fu autore di una notevole edizione degli Elementi (1810) che ottenne fosse resa obbligatoria in tutte le scuole del Regno di Napoli. Poiché era stato un sostenitore dei Borboni, nel 1860 fu escluso dalla ricostituita Accademia delle Scienze di Napoli, di cui in precedenza era stato segretario. 

Purtroppo non sono riuscito a trovare notizie sulla Teoria dei Miracoli, neanche l’anno di pubblicazione. Il testo non compare nel catalogo OPAC SBN del Servizio Bibliotecario Nazionale, che pure contiene 105 risultati riferiti al Flauti. 

Non propriamente teologica, ma meravigliosamente imbecille per l’uso bizzarro della matematica, è infine l’opera pubblicata a Londra nel 1839 da un certo E. B. Revilo, dal titolo The creed of St. Athanasius proved by a mathematical parallel. Before you censure, condemn, or approve; read, examine, and understand (“Il Credo di Sant’Atanasio dimostrato da un parallelismo matematico: Prima di censurarlo, condannarlo o approvarlo, leggi, esamina e capisci”). Il libro esamina tutti i passi del cosiddetto Credo di Sant’Atanasio, simbolo liturgico una volta utilizzato nelle chiese dell’Occidente, dalla forte impronta trinitaria. Ad ogni proposizione l’autore accompagna una sorta di “spiegazione matematica”, che della disciplina utilizza tuttavia solo i simboli. L’infinito è rappresentato da ∞, come al solito, mentre P, F, S, sono interi finiti; le tre persone della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, sono indicate rispettivamente con ∞P, (u ∞)F e, ∞S, dove la frazione finita u rappresenta la natura umana. Ecco un paio di esempi: 

CREDO 
Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio ed altra quella dello Spirito Santo. Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divinità, uguale gloria, coeterna maestà. 

CORRISPONDENZA MATEMATICA 
È stato dimostrato che ∞P, (u ∞)F e, ∞S insieme corrispondono a ∞, e che ciascuno vale ∞, e che ogni grandezza dell’essere rappresentata da ∞ sempre è esistita, esiste ed esisterà per sempre. Perciò non può essere creata, o distrutta, e tuttavia esiste”. 

CREDO 
Uguale al Padre nella divinità, inferiore al Padre nell'umanità. 

CORRISPONDENZA MATEMATICA 
(u ∞)F è uguale a ∞P in quanto ne condivide ∞, ma è inferiore a ∞P in quanto tocca u, perché u non è infinita. 

Secondo De Morgan, l’autore sembra proprio credere in ciò che dice. Il fatto sconcertante è che dietro lo pseudonimo di E. B. Revilo si nasconde, scritto al contrario, Oliver Byrne (1810? –1890?), un eccentrico scrittore matematico che si definiva anche ingegnere civile, militare e meccanico, nonché ispettore dell’insediamento della regina Vittoria nelle isole Falkland. 

Byrne è stato autore anche di The first six Books of the Elements of Euclid; in which coloured diagrams and symbols are used instead of letters (1847), libro che gode ora di un rinnovato interesse perché la sua concezione grafica innovativa anticipa gli esperimenti delle avanguardie artistiche del primo Novecento. Nel 2010 la casa editrice d’arte Taschen ha ripubblicato l’opera in un’edizione facsimile. Byrne è oggi rivalutato per tutta la sua opera, al punto che il Credo di Sant’Atanasio pare non tanto l’opera di un folle letterario, ma un’intelligente, singolare, estrema presa in giro di un anticipatore di Jarry. 

Circa a metà dell’Ottocento venne il turno del sacerdote francese Joseph Gratry (1805-1872), che tentò una dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio, forse retaggio dai suoi studi giovanili all’Ecole Polytechnique di Parigi prima di prendere i voti. Cappellano all’Ecole Normale Superieure, poi professore di etica alla Sorbona e membro dell'Académie Française, a suo modo Père Gratry era un modernista: fu nel 1870 un fiero avversario del dogma dell’infallibilità papale e si interessò alle iniquità della società del suo tempo, come lo schiavismo negli Stati Uniti. 

Gratry era convinto che l'esistenza di Dio può essere dimostrata in modo rigoroso dal potere della ragione. Utilizzò a questo scopo, nel libro De la connaissance de Dieu (1854-55), la dimostrazione per induzione, vale a dire “Uno dei due procedimenti della geometria, che corrispondono ai due procedimenti generali della ragione (l'induzione e la deduzione). E' il procedimento infinitesimale, applicato non più all'infinito geometrico astratto, ma all'infinito sostanziale che è Dio”. Basandosi sul principio formulato da Leibniz, secondo il quale “le regole del finito vanno bene anche per l’infinito, e viceversa”, il sacerdote sosteneva che l’infinito può creare qualche cosa dal nulla, cioè dallo zero. 

Così argomentava: «i geometri e gli algebristi pongono e devono porre questa formula: Una quantità, per quanto grande sia, aggiunta all’infinito, non aggiunge nulla; e questa: Una quantità, per quanto grande sia, paragonata all'infinito, è nulla. L’algebra pone queste formule che sono verificate dalla geometria: ∞+A=∞ e A/∞=0. È ciò che esprime un testo della Santa Scrittura: “Il mio essere davanti a te è nulla, o mio Signore!” Ed è ciò che afferma sant’Agostino: “Perché paragonare all’infinito una cosa finita, per quanto essa sia grande?”» 

 «Quando (…) le formule algebriche ci insegnano che una grandezza finita, grande a piacere, moltiplicata per 0 dà comunque sempre 0, ciò corrisponde all’assioma Ex nihilo nihil, nulla viene dal nulla”. Ma, se invece di moltiplicare per una quantità finita, si considera l’infinito, la formula diventa: l’infinito moltiplicato per 0 dà tutte le grandezze finite. Alla stesso modo, nessuna forza finita può creare o produrre nulla, ma l’onnipotenza infinita può creare o produrre dal nulla». 

Così, se un numero qualsiasi A viene diviso per zero, si ha l’infinito. Se si moltiplica per 0 si ottiene 0/0, che è un valore indeterminato, che rappresenta un valore qualunque. Gratry crede di dimostrare come un qualsiasi numero possa essere tratto dallo 0 per opera dell’infinito. Analogamente, Dio può creare dal nulla qualsiasi cosa. In realtà, come rilevò lo scrittore e filosofo Barthélemy-Prosper Enfantin, la dimostrazione di Père Gratry parte dall’ipotesi errata che Dio possegga già A, ossia una quantità determinata! 

Concludo questa rassegna osservando che la logica matematica applicata alla teologia fu oggetto dell’interesse e della speculazione anche di ingegni come George Boole, uno dei padri della disciplina, e di Kurt Gödel, il più grande logico del Novecento, il formulatore dei fondamentali teoremi di incompletezza. Ma questa è un’altra storia, della quale magari mi occuperò in futuro.

martedì 31 luglio 2012

Centenario dell’austronautica


Alla presenza dell’Arciduca Francesco Ferdinando, il 31 luglio 1912, esattamente cento anni fa, dalla base rutena di Sanok veniva lanciato con un gigantesco cannone appositamente costruito il primo uomo nello spazio, il tenente Josef Fazekas. Iniziava l’era dell’austronautica. 

Le cronache del tempo riportano che le operazioni di sparo furono ostacolate da un forte temporale, ma la perizia balistica degli addetti al pezzo fece in modo che tutto andasse per il meglio. Il tenente Fazekas, l’eroico dragone di Debrecen, raggiunse una quota di 20 km e poi iniziò una rapidissima discesa direttamente sulla base. Un sistema di colossali tappeti elastici impedì che l’austronauta si sfracellasse al suolo, ma i continui rimbalzi fecero sì che poté toccare terra solo dopo 36 ore, frastornato e felice. Raccontò che la visione della Terra da quell’altezza era indimenticabile e, visto che c’era, segnalò allo Stato Maggiore un movimento sospetto di truppe russe al di là del confine. L’Arciduca lo nominò colonnello direttamente sul campo, prima di allontanarsi con l’ennesima contessina disponibile. 

Fazekas fu in seguito ricevuto a Corte dall'Imperatore Francesco Giuseppe, che gli assegnò un vitalizio e la contea di Svitto, dimenticando, forse per l’età avanzata, che gli Asburgo non possedevano più quei territori alpini dai tempi di Guglielmo Tell. 

Un secondo lancio era previsto per l’agosto 1914, ma il destino volle diversamente, per l’Arciduca, per l’Impero e per l’Europa intera. Il “Colonnello Volante”, il ”Nuovo Icaro dei Carpazi” sarebbe morto di spagnola nel 1918, all'età di soli 35 anni.


Con l’Austria–Ungheria, nel novembre 1918, scomparve anche l’effimera gloria di Fazekas e dell’appena nata scienza austronautica.

lunedì 16 luglio 2012

Teatro laconico

Progenitore e maestro forse insuperato di tutti i raccoglitori di bizzarrie letterarie, Americo Scarlatti (pseudonimo e quasi anagramma del “dottore bibliotecario” Carlo Mascaretti, 1855-1928) pubblicò nei primi due decenni del Novecento una serie di volumi intitolati Et ab hic et ab hoc, nei quali registrò tutte le stranezze, intenzionali e soprattutto involontarie, in cui si imbatteva nella sua attività di instancabile e divertito bibliofilo dell’insensato e dell’eccentrico. 

In uno dei capitoli del compendio degli Et ab hic et ab hoc edito da Salani nel 1988 con la prefazione di Guido Almansi, lo Scarlatti si occupò del cosiddetto Teatro laconico, costituito da tragedie di un verso per atto, o persino di un solo verso in cinque atti. 

Un verso che contiene un intero dramma comparve nel 1913 sulla rivista dei futuristi fiorentini Lacerba, di cui mi sono occupato parlando di Luciano Folgore e dell’Almanacco Purgativo, trionfo dei versi maltusiani. Sono passati più di settant’anni e posso riportare l’intera opera senza i problemi che assillavano lo Scarlatti, che sosteneva che “per poterne dare un saggio, come la legge sulla proprietà letteraria consente, anche limitandomi a riportarne un verso solo, sono costretto, contrariamente alla legge stessa, a riprodurre il dramma intero!” L’opera è senza titolo, ma il nostro compilatore si ritenne autorizzato a immaginare che fosse UCCIDILA

Personaggi: MARITO e MOGLIE 

Atto unico – Scena unica 

Il MARITO alla MOGLIE che sopraggiunge:  
D’onde vieni?
La MOGLIE abbassa confusa lo sguardo. Il MARITO feroce: 
                     So tutto!
La MOGLIE con impeto: 
                                   Io l’amo!
Il MARITO cava il revolver e spara: 
                                                 Muori!

Si tratta indubbiamente di un capolavoro, che esprime in un verso conciso e armonioso un’intera tragedia. Tuttavia il pregio dell’opera, la cui trama descrive una terrificante realtà anche dei giorni nostri, cioè l’uomo geloso che uccide la moglie o la compagna, non risiede certo nell'originalità. Secondo Americo Scarlatti, “tali bizzarrie comico-drammatiche sono derivate direttamente dal teatro di Vittorio Alfieri, il quale nel suo stile energico e conciso giunse a chiudere un'intiera scena del Filippo in tre soli versi, di cui rimane celebre il primo pel dialogo tra Filippo e Gomez in esso concentrato”:

 – Udisti?
               – Udii.
                          – Vedesti?
                                           – Vidi.
                                                      – Oh rabbia!...

Anche in una scena dell’Antigone troviamo concisione ed tono icastico, nel dialogo tra Creonte e Antigone:

– Scegliesti?
                   – Ho scelto.
                                   –  Emon?
                                                  –  Morte!
                                                                 – L’avrai!

Ovviamente tale laconismo alfieriano ha solleticato ben presto l’estro degli umoristi. Una delle prime parodie, giuntaci anonima, fa così dialogare una REGINA e il suo CONSIGLIERE:

REGINA:                                                                                                           Sallo?
CONSIGLIERE:                                                                                                          Sollo!
REGINA:               Sallo il re?
CONSIGLIERE:                    Sallo.
REGINA:                                        Sassi ovunque?
CONSIGLIERE:                                                     Sassi, Sassi per tutta Roma e tutta Atene!

Cinque atti in verso solo costituiscono invece la stravagante prestazione del letterato salentino Leonardo Antonio Forleo (1794-1859), autore di questa ROSMUNDA

ATTO PRIMO 
ALBOINO e ROSMUNDA 

 ALBOINO:
                    Bevi!

ATTO SECONDO 
ROSMUNDA e ALBOINO 

ROSMUNDA (tra sé):
                              Morrai!

ATTO TERZO 
ROSMUNDA e ALMACHILDE 

ROSMUNDA:                  
                                            Deh!...schiavo!

ATTO QUARTO 
ALMACHILDE e ROSMUNDA  

ALMACHILDE:                                        
                                                                    È spento!

ATTO QUINTO 
ROSMUNDA e ALBOINO morto 

ROSMUNDA (sollevando al cielo una ciocca di capelli dell’estinto):
                                                                                     Oh padre!

Simili componimenti, a metà strada tra la presa in giro e l’esercizio di stile, ebbero un discreto successo, aprendo la strada a opere dall'intento esclusivamente umoristico, come fece il commediografo e poeta bolognese Alfredo Testoni (1856-1931), autore tra l’altro della celebre commedia Il Cardinale Lambertini, che ogni bolognese degno di questo nome deve aver visto almeno una volta nella vita. Il Testoni concentrò in un sonetto un’intera commedia, intitolata LA FELICITÀ CONIUGALE

PRIMO ATTO. – Scena prima. – LUI: Profonda
ferita ho qui nel cor! Non ho più pace
quando la guardo! Ohimè – Scena seconda. –
LEI: (da sola) È simpatico, mi piace!

SECONDO ATTO. – LUI: (Presso a lei) M’infonda
una speme nell’anima! – LEI: (tace).
LUI: Vuole un po’ di bene a me? Risponda!
LEI: Tanto! – LUI: Tesor! (molto vivace)

TERZO ATTO. – (Sala in Municipio. Arriva 
il SINDACO che dice sorridente):
Vi unisco, o Sposi! (Voci): Evviva! Evviva!

QUARTO ATTO, ultimo. – (Un luogo solitario).
LUI: Mia tu sei, nevvero, eternamente?
LEI: (sorridendo) Sì! (Cala il sipario).

Purtroppo la nostra lingua non consente le acrobazie verbali del francese, le cui omofonie consentono opere laconiche per noi inarrivabili. Un anonimo autore d’Oltralpe è riuscito ad esempio a comporre una tragedia mettendo in fila nel loro ordine le lettere dell’alfabeto francese, dimostrandosi così un vero plagiario per anticipazione delle opere di alcuni oulipiani. Il titolo è, ovviamente, LA TRAGEDIA DELL’ALFABETO:

Personaggi:
L’ABBÉ PÉQU (a, b, p, q)
Il principe ENO (n, o) amante di 
ACHIKA (h, i, k)
UVÉ (u, v) carnefice.

All'alzarsi della tela, l’abbé PÉQU è inginocchiato ai piedi di ACHIKA. Entra ENO e lo trova in quella posizione compromettente. 

ENO: a, b, c, d! (Abbé, cédez!).
PÉQU: con disprezzo: e, f! (effe)
ENO: j, h, i, k, l, m, n, o. (J’ai ACHIKA, elle aime ENO).
     L’abate non si muove. 
ENO: p, q, r, s, t! (PÉQU est resté!). Corre verso la porta e irritato chiama: u, v! (UVÉ!). Compare il carnefice. 
ENO, mostrandogli PÉQU e facendo un gesto espressivo: z! (zet…).
(Cala la tela

In realtà mancano g, w, x e y, e l’esclamazione effe di PÉQU non ha significato nel contesto, a meno che voglia indicare un sospiro di disappunto, ma non si può criticare una tale opera per delle quisquilie. 

Sempre restando in Francia, un’opera laconica davvero imperitura porta la firma nientedimeno che del grandissimo Paul Verlaine (1844-1896). Egli la compose in occasione di un concorso bandito dal giornale Comédie per un “dramma rapido”. L’opera, dal titolo TROPPA FRETTA è così compiuta da poter essere tradotta in qualsiasi lingua senza perdere in bellezza. Ciò nonostante, non è mai stata rappresentata: 

Dramma in un atto e in prosa 

SCENA I 

Quando s’alza la tela un signore e una signora sono in scena, ma abbracciati. 

SCENA II 

Un altro signore s’avvicina senza far rumore e uccide entrambi con una revolverata. I cadaveri rimangono uno accanto all’altro coi visi rivolti a terra. Il signore va a sollevarne uno e fa un movimento di sorpresa. Va poi a sollevare l’altro e si mostra anche più stupito. 

IL SIGNORE: Perbacco! Ho sbagliato!

(cala la tela


Scende il sipario anche sulle note di Americo Scarlatti dedicate al teatro laconico, ma quest’ultimo ha avuto una degnissima continuazione nell'opera di Achille Campanile (1899-1977), uno dei maggiori umoristi italiani, che, tra gli anni ’20 fino alla morte negli anni '70, rappresentò con le sue opere in modo ironico e surreale il costume e la vita della società italiana. Le sue Tragedie in due battute, rappresentate per la prima volta intorno al 1925, sono certamente il risultato di un approccio innovativo sulla scena teatrale, figlio del futurismo, ma sicuramente personale, capace di anticipare certi aspetti del teatro dell’assurdo di Beckett e Ionesco, anche se lui stesso rifiutò questa parentela. Ne scrisse nel corso degli anni più di seicento, e alcune di esse sono entrate nei modi dire degli italiani. Si tratta di piccoli atti, effettivamente composti da pochissime battute, che della tragedia hanno solo il nome e che furono concepiti più per la lettura che la scena, anche per i numerosi commenti inseriti nelle note di rappresentazione, che talvolta costituiscono l'intero contenuto dell’opera. Il gioco di parole la fa da padrone. Ne presento alcuni esempi. 

PREMIO LETTERARIO 

Personaggi: 
IL POETA 
L'AMICO 

La scena si svolge dove vi pare. All'alzarsi del sipario tutti i personaggi sono in scena. 
IL POETA: Ho scritto nove sonetti e un'ode saffica. 
L'AMICO: Cosicché, in totale, quanti componimenti poetici ci saranno nel tuo nuovo - e speriamo ultimo - volume? 
IL POETA: Dieci con l'ode. 
(Galoppo di cavalli in lontananza. Sipario) 

LO SCANDALO 

Personaggi: 
L'INQUILINO 
IL PADRONE DI CASA 

La scena si svolge nell'ufficio del PADRONE DI CASA. All'alzarsi del sipario, L'INQUILINO viene a fare un reclamo al PADRONE DI CASA. 
L'INQUILINO: (indignato, al PADRONE DI CASA) Signor padrone di casa, c'è nel casamento una signora che fa i bagni di sole su un balcone, in costume troppo succinto e in vista di tutti. Chiedo il vostro intervento acciocché facciate cessare questo intollerabile scandalo. 
IL PADRONE DI CASA: Ma, scusate, questa signora è giovane? 
L'INQUILINO: Sì. 
IL PADRONE DI CASA: È bella? 
L'INQUILINO: Sì. 
IL PADRONE DI CASA: E allora perché protestate? 
L'INQUILINO: Perché sono il marito. 
(Sipario) 

CAPRICCIO 

Personaggi: 
IL PICCINO 
SUO PADRE 

IL PICCINO: Papà, io non ho mai ammazzato nessuno. Potrei ammazzare il signor Giuseppe? 
IL PADRE: Va bene, ma il signor Giuseppe soltanto. 
(Sipario) 

SORPRESA 

Personaggi: 
IL MARITO 
LA MOGLIE 
L'AMANTE DELLA MOGLIE che non parla 

In una camera da letto, ai giorni nostri. 
IL MARITO: (giungendo improvvisamente, trova LA MOGLIE intenta a tradirlo con uno sconosciuto) Ah, infame, dunque non mentiva la lettera anonima, da me ricevuta un'ora fa: tu hai un amante! 
LA MOGLIE: E tu stai a credere alle lettere anonime? Andiamo! 
(Sipario)

mercoledì 27 giugno 2012

Formule complicate per numeri semplici

Capita certe volte che si facciano a qualcuno che sa di matematica delle domande sorprendenti o per lo meno inattese. È ciò che è capitato al matematico francese André Brouty, che insegna all'Ecole Nationale Supérieure des Télécommunications (ENST), la più prestigiosa scuola di ingegneria nelle telecomunicazioni di Francia. Un giorno un’amica, per festeggiare i 50 anni di un suo collega, gli ha chiesto una formula matematica il più possibile complicata che valesse 50! Ora, una formula può essere resa complicata all’infinito, non esiste una formula che sia la più complicata possibile. Brouty ha interpretato la richiesta facendo ricorso a quel senso estetico che non manca mai ai matematici, scrivendo tre formule sufficientemente complicate che potessero anche soddisfare l’occhio. Ne riporto una:



nella quale si trovano i principali simboli della matematica superiore. 
Ma come nasce questa formula? Procedendo per gradi, si scompone il numero in modo conveniente e si sostituiscono i componenti con formule note di cui si conoscono i valori. Brouty ha fatto così:



In cui cominciano ad apparire logaritmi ed esponenziali. Ormai sulla buona strada, il matematico francese si è poi occupato del 2 che compare davanti al logaritmo:

 
Il π è il limite di numerose serie e di integrali, il che porta a giocare a complicare ancor di più la formula. Ad esempio si può scrivere, con la formula di Wallis per in numeratore e con l’integrale di Gauss per il denominatore:

 e

 
Sistemato il 49, cioè la parte della formula che precede il segno –, ora si considera l’1. Come non ricorrere alla bellissima identità di Eulero?

 da cui:


 Con un tocco di classe finale, Brouty scrive il π secondo la formula di Leibniz per π/8:

 
E così Brouty ha terminato la sua mostruosa costruzione per il piacere dell’amica. Come ho detto, ne ha concepite altre due, ma le risparmio al lettore. 


Colui o colei che mi ha seguito fin qui di certo perdonerà una mia chiosa finale. A novembre compirò, ahimè, 57 anni. Partendo dalla prima parte della formula di Brouty, quella che vale 49, voglio esprimere l’8 che manca in qualche maniera complicata, per scrivere un’espressione della mia età:


E, poiché


Ancora dalla funzione gamma di Eulero esplicitata per n=2 ottengo:

 
Mentre l’esponente 3 può essere reso moltiplicando per 3 la serie telescopica di Mengoli, che converge a 1 per k→∞:


 L’8 da aggiungere al 49 lo esprimo pertanto così:

 
E il 57 infine diviene:

 
Non so il lettore, ma io mi sono divertito, proprio per l’inutilità dell’esercizio, oppure per la sua assoluta necessità ‘patafisica


Questo articolo è dedicato agli amici Patrizia Barchi, Carmelo di Mauro e Moreno Colaiacovo.


giovedì 8 marzo 2012

Introduzione alla Psicologia Cacopedica

(di Matteo Prati e Patrizia Barchi)


Sindrome da sonnolenza notturna

Si tratta di un disturbo molto diffuso nella popolazione sia maschile che femminile e raggiunge picchi di diffusione pari al 100 per cento. Generalmente insorge alla nascita e rimane presente fino alla vecchiaia inoltrata, per quanto nel corso degli anni si assista ad una risoluzione che tuttavia non diviene mai completa. L’individuo si presenta immobile, all’apparenza privo di vita e con gli occhi chiusi; scientificamente questo stato è definito «sonno». Il disturbo si manifesta ogni giorno, generalmente nelle ore notturne, ma si registrano anche occasionali manifestazioni per esempio nel pomeriggio, specialmente dopo pranzo (in tal caso l’individuo si definisce «in fase di abbiocco» anche se certi manuali psicopatologici parlano di homo pennichellicus). Nella fase acuta del disturbo, cioè quando la persona dorme bene, si può presentare un fenomeno complesso di immagini, sensazioni e percezioni definito dagli esperti «sogno». In particolare, se prima di addormentarsi il paziente ha ricevuto un’affettuosa buonanotte, con molta probabilità andrà incontro ad un «sogno d’oro», evenienza che depone per un decorso sfavorevole del disturbo; nel caso in cui il paziente non ricevesse nessun tipo di buonanotte, dormisse da solo o non avesse digerito, potrebbe andare incontro ad un sogno angoscioso, chiamato tecnicamente «incubo», evenienza questa che depone per un decorso favorevole del disturbo. Durante i sogni può presentarsi irrequietezza motoria, eloquio sconnesso (nomi propri di persona, bestemmie, mugolii), un minore controllo sfinterico, ed infine un fenomeno che altera la respirazione del soggetto chiamato tecnicamente «russamento». Da tenere presente che non si fa diagnosi di SSN nel caso in cui il sonno non si presentasse per almeno 48 ore consecutive; in questo caso si parla di «insonnia» e dunque l’individuo gode di ottima salute.

Disturbo di accrescimento normale

Il disturbo insorge nei primi anni di vita ed è possibile diagnosticarlo fino al compimento del ventesimo anno di età. La caratteristica fondamentale del disturbo consiste nell’adesione pressoché totale del paziente alle principali tappe evolutive. I casi in cui si fa diagnosi sono molteplici: quando un individuo cominciasse a parlare e camminare intorno al primo anno di vita; quando riuscisse ad acquisire il controllo sfinterico intorno ai due anni e mezzo; quando imparasse a leggere e a scrivere in prima elementare; quando raggiungesse la maturità sessuale intorno agli 11-12 anni; e infine quando negli anni successivi si manifestassero insicurezza sociale, contrasti familiari, demotivazione scolastica e fenomeni di coinvolgimento emotivo – chiamasi innamoramento – noi confronti dell’altro sesso, ebbene in tutti questi casi sarà corretto fare diagnosi specificandone il sottotipo (infanzia, pubertà, adolescenza). Paradossalmente gli esiti più preoccupanti del DAN si riscontrano nei genitori degli individui che ne sono affetti, ossessionati dal pensiero che il figlio non stia crescendo bene. Il DAN per questo rientra nella categoria dei disturbi cosiddetti «boomerang», in quanto i sintomi si presentano a carico dei familiari dei pazienti. Sommariamente la sintomatologia riguarda manifestazioni d’ansia (per esempio domandarsi se il figlio ha mangiato dopo che ha mangiato, se ha dormito dopo che ha dormito, se ha studiato dopo che ha studiato e così via), comparazione tra nuclei familiari, contrasti tra coniugi. Per porre la diagnosi è necessario escludere la presenza della sindrome di Peter Pan, ovvero il desiderio di rimanere bambini, nonché aspirazione velleitarie rispetto al proprio sviluppo che fa credere agli individui di essere più adulti di quanto non siano.

Compulsione pneumodinamica

Si tratta di un disturbo che compare appena un individuo emette i primi vagiti e si protrae per tutto l’arco della vita; dalla «culla alla tomba» – from the cradle to the grave – così di solito viene identificato dai maggiori esperti in campo internazionale. A chi osservasse un paziente dall’esterno, il disturbo si presenta con un iniziale ingrandimento e successiva riduzione della gabbia toracica, fenomeno che si realizza ogni quattro-cinque secondi; inoltre, dalla bocca oppure dal naso è possibile osservare, in specie d’inverno, delle nuvolette di vapore che segnalano appunto il disturbo in atto – l’uomo respira. Il disturbo è diffusissimo e per questo gode di un certo credito la teoria che lo vede trasmissibile per imitazione, alla luce anche del fatto che ad oggi rimangono completamente inesplorate le eventuali cause genetiche. Questi pazienti possono andare incontro ad un’alterazione della sintomatologia in più occasioni della vita; si segnala un’alterazione della frequenza compulsiva in occasione di sforzi fisici (corse, coito, saliscendi etc.) e a questo proposito l’individuo emette rantolii con annessa agitazione toracica, fenomeno chiamato tecnicamente «fiatone». Per ciò che attiene alla terapia, sono stati messi a punto vari sistemi capaci di favorire nei pazienti un maggiore controllo della malattia, tra questi citiamo la tecnica yoga e la meditazione zen; invero, una prognosi completamente favorevole del disturbo, stando anche alla più nutrita letteratura scientifica, deve ancora trovare conferma. Di sicuro, il morire rimane ad oggi il sistema più efficace per eliminare completamente ogni sintomo.


L’esperienza della Psicologia Cacopedica nasce con la costituzione del Centro Studi Patologie Inapparenti (CSPI) nel 2006, quando Matteo Prati (noto anche come Matto Guarito) assieme a Patrizia Barchi, che diverrà successivamente la segretaria del CSPI, decisero da far qualcosa per contrastare uno specifico problema che alligna nella psicologia, o meglio nella nosografia psichiatrica, cioè l’espansione delle categorie diagnostiche utilizzate dagli psichiatri per designare il disagio mentale; basti ricordare che nel 1880 esistevano soltanto sette categorie psicopatologiche (mania, melanconia, monomania, paresi, demenza, dipsomania, epilessia) contro le trecento attuali. Di fronte a tanta volontà classificatoria – che certamente paga: le case farmaceutiche, gli psicologi, gli psichiatri, gli psicoanalisti – venne da domandarsi se non fosse possibile l’elaborazione di nuove etichette diagnostiche da attribuire (per scherzo) a taluni «pazienti» prima che la medicina ufficiale potesse farlo sul serio e con intenti non semplicemente propagandistici. Così vennero fissati idealmente i passaggi da seguire per l’elaborazione di una voce diagnostica, a cui possibilmente lo psicologo cacopedico dovrà attenersi durante il proprio lavoro:

- per prima cosa è necessario partire da un comportamento qualsiasi, che non rimandi a nessuna condizione in particolare di un soggetto né che sia legato in maniera significativa a qualche comportamento o pensiero del medesimo;
- poi si tratta di trovare un’espressione che riesca a designare con efficacia solo fonica il comportamento in fase di patologizzazione;
- infine, evasa la parte descrittiva dei sintomi e dei segni fisici inapparenti, si procede con l’analisi a occhio all’individuazione dei legami tra il disturbo e la popolazione generale, attraverso caratteristiche come l’età, la cultura, il sesso.

Tra le prime diagnosi elaborate, che è corretto chiamare diagnosi potenziali – dunque quadri comportamentali atipici relativamente ai quali comincia a farsi sentire opportuna la stigmatizzazione medica – sono da menzionare la Sindrome da sonnolenza notturna (SSN), il Disturbo di accrescimento normale (DAN), il Disturbo da disoccupazione mentale (DDM), il Disturbo dell’inconscio (DI) e la Compulsione pneumodinamica (CPD). Più tardi sono stati identificate diverse altre patologie potenziali, come la Sindrome da marito pensionato (SMP), la Sindrome da risata insufficiente (SRI), il Disturbo del bisogno di culto (DBC), il Disturbo da indipendenza da sostanze (DIS), ecc.


In una fase successiva l’attività del CSPI è andata affinandosi nella direzione di rendere maggiormente sistematica la propria attività, attraverso il Manuale preventivo dei disturbi mentali il cui fine, oltre a fare il verso all’imponente e serio DSM (la bibbia ufficiale d’ogni psichiatra, per esteso: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), è quello di rappresentare un imprescindibile punto di riferimento per chi si avvicinasse alla psicologia cacopedica. Nel Manuale preventivo i disturbi cacopedici sono raccolti sulla base del quadro comportamentale preso in considerazione; accanto alle diagnosi potenziali, è prevista l’area delle Nuove Dipendenze Patologiche, in cui per esempio è inserita la Dipendenza dall’età anagrafica, nonché l’area della Psicopatologia letteraria, in cui è inserita la Sindrome del bibliofilo inappagato, elaborata da uno dei primissimi collaboratori del CSPI, Paolo Albani.

Nel corso degli anni le iniziative del CSPI si sono ampliate in maniera notevole, dal corso di Laurea in Psicologia Cacopedica alla Scuola elementare per diventare malati di mente di Patrizia Barchi, all’uscita di Come diventare malati di mente di Matteo Prati.

Segnalo solo l’ultima iniziativa in ordine di tempo: a Milano è nato proprio in questi giorni il Centro di Ascolto Filosofico per studenti e persone in difficoltà mentali. Un filosofo cacopedico aiuterà in maniera individualizzata la persona nel suo percorso verso la vera e propria malattia di mente. L’obiettivo è quello di promuovere l’incapacità di filosofare sui problemi e sulle situazioni di disagio che la persona sta vivendo. In generale, saranno rinforzate e potenziate demotivazioni ontologiche e fenomenologiche, problemi in ordine a un sapere universale e definitivo, incapacità di svolgere indagini critiche e di riflettere sui principi fondamentali della realtà e dell’essere, l’impossibilità di farsi delle idee e di avere dei principi che possano ispirare le scelte e la linea di condotta delle persone, per non giungere mai a una serenità d’animo e a una risposta saggia sulla vita. Si può accedere al servizio in qualunque momento, basta il sentirne la necessità, perché il CAF è sempre aperto e rappresenta una possibilità concreta per aggravare e stabilizzare un problema filosofico. Il filosofo cacopedico cercherà di definire e capire adeguatamente il tipo di difficoltà filosofica, affinché possa trasformarsi in un problema irrimediabile nel futuro, ovvero cerca di intervenire tempestivamente nel presente per creare le possibilità di pensare male nel futuro.

venerdì 2 marzo 2012

L’uomo è fatto per mangiare carne

Un esercizio di Caco-liberismo*

È nota a tutti la tendenza del fagiolo a creare aerofagia, che è dovuta al fatto che alcuni zuccheri non sono scissi dagli enzimi digestivi e giungono pertanto non digeriti nell’intestino crasso, dove la flora batterica innesca quei disgustosi processi fermentativi che creano aria puzzolente che spesso esce dall’orifizio anale sotto il nome di peto o scoreggia. Problemi simili sono creati dalle cipolle, che inoltre causano alito cattivo in ragione dagli elementi chimici che le conferiscono il tipico odore. Non degradati nel sistema digerente, entrano nel flusso sanguigno. Quando il sangue ritorna ai polmoni per ottenere ossigeno attraverso la respirazione, l’odore fuoriesce dalla bocca provocando il tipico alito rivoltante. Questi grevi inconvenienti sono provocati anche dal cavolo, specie quando viene consumato sotto forma di crauti, e da decine di altri vegetali la cui citazione sarebbe tediosa per il lettore e inutile, tanto sono noti i loro effetti dannosi. Aggiungo solo, a titolo di chiosa di questa piccola rassegna, l’odore nauseabondo dell’urina di chi ha mangiato asparagi o l’alito pernicioso dei mangiatori d’aglio. È pertanto innegabile che il consumo di vegetali è responsabile di numerose affezioni a carico dell’apparato gastro-intestinale e, in genere, per tutto l’organismo.

Questa tesi trova ampia giustificazione nelle scienze biologiche. L’uomo si è evoluto dalla ferina animalità proprio nel momento in cui ha smesso di cibarsi esclusivamente di vegetali raccolti qua e là, mentre l’invenzione dell’agricoltura nel Neolitico è stata dettata più dalla necessità di far fronte alla carestia che colpiva i gruppi tribali in crescita demografica che dalla natura umana, intrinsecamente carnivora. Lo status della caccia è sempre stato elevato proprio per questi motivi, e non a caso esso è sempre stato passatempo dei nobili e delle persone di più elevato rango sociale, che hanno contribuito allo sviluppo della società umana in maniera assai più determinante che non il popolo di villici costretti a una dieta vegetariana.

No
Un discorso meritano le allergie e intolleranze alimentari. Se si esclude l’intolleranza al lattosio (che comunque non è presente nella carne), la principale intolleranza nota è provocata dal glutine (celiachia). Inoltre, la maggior parte delle allergie sono determinate dai vegetali: frutta a guscio, frutta, legumi (compresi i germogli di soia), ortaggi, semi di sesamo, semi di girasole, semi di cotone, semi di papavero e semi di senape. La carne non rientra direttamente tra le cause di questi disturbi. Le patologie che vengono erroneamente attribuite al consumo di carne sono invece da addebitare ad additivi e coloranti, cioè a sostanze artificiali introdotte nell’alimento più naturale e benefico per l’uomo, che si è evoluto proprio grazie al suo consumo. Non ci sono dubbi sul fatto che la maggior parte delle allergie e delle intolleranze alimentari sono causate dal consumo di vegetali.

Non sono poi da sottovalutare i negativi effetti del consumo di vegetali sullo sviluppo dei popoli: le Organizzazioni Internazionali hanno evidenziato che il maggior numero di decessi in età infantile e giovanile avvengono proprio nei paesi in cui è tradizionale una parca dieta a base di vegetali e cereali. A titolo di esempio, la mortalità in Somalia, paese a prevalente dieta vegetariana, è assai più elevata che tra i Danesi, che sono forti mangiatori di carne. Su questo sfortunato paese africano, voglio tra parentesi ricordare che un tempo Mogadiscio esportava carne in scatola verso l’Italia, prima che alla nostra onesta ed efficiente Amministrazione Fiduciaria si sostituissero dapprima la dittatura e poi il caos delle bande tribali e religiose, con gravi danni agli allevamenti zootecnici.

Considerazioni ecologiche suggeriscono poi che la produzione e il consumo di carne sono più rispettosi dell’ambiente di quanto non sia l’agricoltura. Infatti gli allevamenti, sia allo stato brado che industrializzati, occupano assai meno territorio delle coltivazioni. Così gli Americani, grandi carnivori, hanno a disposizione numerosi e vasti parchi nazionali in cui la natura si è conservata incontaminata, cosa che non succede ad esempio tra gli Indù, ai quali un assurdo divieto religioso vieta la carne, con conseguenti città sporche e caotiche e produzione esasperata di sostanze chimiche per l’agricoltura, e incidenti catastrofici per l’ambiente come successe a Bhopal. Quanto alla ridicola accusa che gli allevamenti bovini sarebbero una delle fonti principali della produzione di anidride carbonica e quindi contribuirebbero al riscaldamento globale, essa è facilmente demolita dalla considerazione che tutti gli animali superiori, compresi 8 miliardi di uomini, producono CO2 con la respirazione, e che anche i vegetali di notte ne producono immense quantità. Inoltre sarebbe utile conoscere la realtà su questo fenomeno oggi tanto invocato dagli ambientalisti: siamo davvero sicuri che l’attuale fase di riscaldamento, sempre che ci sia, non sia dovuta a una delle tante fluttuazioni climatiche alle quali è andato soggetto il nostro pianeta nel corso della sua storia? Al tempo degli antichi Greci e Romani è accertato che facesse caldo più di quanto avvenga ora, e non c’erano certo allevamenti bovini su grande scala. I miei lettori avranno già compreso che il consumo di vegetali è un pericolo per l’ambiente.

Giungendo alle conclusioni, sono lampanti i pericoli di una dieta vegetariana per la salute, la società e l’ambiente dell’uomo. Le lobbies degli agricoltori, assai agguerrite, stanno compiendo una straordinaria opera di disinformazione su queste tematiche, appoggiati da medici senza scrupoli e da organi di informazione prezzolati dagli ecologisti. Tuttavia i benefici di una dieta carnivora sono sotto gli occhi di tutti e prima o poi risulterà evidente come l’uomo è fatto per mangiare carne.

                                                                                                        Fabrizio Didietro

* Il caco-liberismo (da non confondersi con il caco-liberalismo) è una branca della cacopedia, il cui metodo di lavoro consiste nel partire da una premessa rovesciata per dedurne un sistema coerente. Nello specifico, il caco-liberismo si occupa di immaginare le soluzioni e le argomentazioni proposte dal quotidiano Libero per risolvere i principali problemi del paese e del mondo. L’obiettivo di questa scienza è prevenire e mandare a vuoto le idee dei corsivisti dell’organo di stampa, prima che le pubblichino per davvero. Si potrebbe dire che esso opera con gli stessi meccanismi di un vaccino preventivo, in grado di favorire la produzione di anticorpi specifici per una determinata infezione del pensiero.

Aggiornamento del 15 maggio 2012 
Su segnalazione di un amico, ecco un trafiletto in cui la realtà giornalistica conferma e copia l'intuizione patafisica: