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lunedì 23 aprile 2018

La moltiplicazione delle geometrie (2): la geometria proiettiva


Oggi la geometria proiettiva non gioca un ruolo importante in matematica, ma, alla fine del diciannovesimo secolo, divenne sinonimo di geometria moderna. La geometria proiettiva ha le sue origini nelle regole della prospettiva, che gli artisti del Rinascimento studiarono e utilizzarono in modo sistematico per rappresentare il mondo reale il più fedelmente possibile. Ciò portò subito al problema di rappresentare un mondo tridimensionale su una superficie piana (la tela). I primi artisti che dedicarono la loro attenzione al problema della prospettiva furono Filippo Brunelleschi (1377-1446) e poi Leon Battista Alberti (1404-1472) con l'opera Della pictura del 1435. Degli stessi argomenti si occuparono poi Leonardo da Vinci (1452-1528), autore del Trattato della pittura (opera perduta nella sua versione originale), e Piero della Francesca (1410-1492), autore del De prospectiva pingendi (scritto nella tarda maturità dell'autore, tra gli anni sessanta e ottanta del Quattrocento) e Albrecht Dürer (1471-1528), il grande artista tedesco che favorì la diffusione delle teorie sulla prospettiva nell'Europa centro-settentrionale.

La prospettiva centrale fu inventata intorno al 1415 a Firenze da Filippo Brunelleschi; si diffuse in Europa durante il XV e XVI secolo, dando origine a un numero considerevole di trattati e capolavori artistici. Essa consiste di una proiezione centrale, da un punto di vista o origine O, su un piano P (il piano della tela): l'immagine di un punto dello spazio M diverso da O è l'intersezione della retta (OM) con P.

La proprietà principale di questa proiezione è di preservare l'allineamento dei punti e di trasformare un fascio di rette parallele, di direzione non parallela al piano del dipinto, in un fascio di rette concorrenti. L’Alberti chiamò l'insieme di questi M’ una “sezione". La cosa interessante è che guardare la sezione crea a O l'illusione di guardare l'oggetto scelto, perché dalla sezione provengono all'occhio gli stessi raggi luminosi che provengono dall'oggetto. Alberti sollevò inoltre una domanda molto importante: se si cambia la posizione dello schermo davanti all'occhio, si ottiene una sezione differente dalla precedente; tuttavia le due sezioni "provengono" dallo stesso oggetto; quali proprietà geometriche hanno in comune queste due sezioni, che sono figure piane?

La geometria proiettiva nasce proprio come lo studio delle "proprietà delle figure che rimangono inalterate (invarianti) nella proiezione". I primi geometri proiettivi trovarono che nella proiezione, mentre le lunghezze, le aree e gli angoli non erano conservati, c'erano delle proprietà di punti e linee che erano inalterate o invariate.

Il primo invariante proiettivo è il rapporto incrociato (birapporto) di quattro punti collineari. Il birapporto è una quantità fondamentale nella geometria proiettiva ed è paragonabile alla nozione di "distanza" nella geometria tradizionale. La distanza tra due punti è un valore numerico che descrive una relazione significativa tra quei punti, perché la "distanza" è invariante nella geometria metrica. Tuttavia, nella geometria proiettiva, questa quantità non rimane invariante ed è quindi inutile. Il birapporto è un'alternativa che descrive una relazione tra quattro punti collineari e rimane invariata anche nella proiezione.

Il birapporto di una quaterna di punti distinti sulla retta reale, con coordinate z1, z2, z3, z4 è dato dalla relazione:


Se A, B, C e D sono punti collineari, il birapporto si può indicare in modo analogo con:



In cui ciascuna delle lunghezze è assegnata in riferimento a una determinata orientazione della retta. Questa grandezza è una invariante proiettiva, nel senso che non viene modificata dalla proiezione centrale (e, banalmente, parallela), che invece non conserva le distanze, o il rapporto di due distanze. In particolare, se quattro punti giacciono su una retta r nel piano reale, allora il loro birapporto è una quantità ben definita, in quanto non dipende dalla scelta dell’origine o dell’unità di misura.

Come scrissi in un limerick:

Quattro punti ordinati su una retta
stabiliscono tra loro un’intesa perfetta, 
un birapporto di vicinato, 
che rimane immutato 
per qualsiasi proiezione che li riassetta.

Non è certo chi sia esattamente il responsabile della scoperta dell'invarianza del birapporto, ma è noto che Pappo d'Alessandria (IV sec.), considerato da molti come l’artefice dei primi teoremi veramente proiettivi, sapeva della sua esistenza. Se in realtà l'abbia scoperto proprio lui non è sicuro. Pappo ha scritto un commento sul libro perduto di Euclide sui porismi [teoremi incompleti] ed è in quel commento che è nota la prima registrazione dell'invarianza del birapporto.

Altre proprietà invarianti per proiezioni e sezioni sono, ad esempio: per tre punti, l’appartenenza ad una retta (essere allineati), oppure, per quattro punti non allineati, l’appartenenza ad uno stesso piano (individuato da tre di essi).

Dopo gli architetti e pittori italiani, un nuovo impulso allo studio delle proiezioni venne dal francese Gérard Desargues (1591-1661), che è considerato da molti il vero fondatore della geometria proiettiva. Desargues era un ingegnere e architetto militare che si interessò al concetto di proiezione durante il suo lavoro di progettista di piazzeforti. Il suo lavoro più notevole fu il Brouillon projet d'une atteinte aux evenemens des rencontres du Cone avec un Plan, (“Bozza di un saggio su quello che si ottiene sezionando un cono con un piano), un originale studio sulle coniche in cui queste, anche quelle aperte come la parabola e l'iperbole, sono in sostanza considerate come trasformazioni proiettive del cerchio. L’opera fu pubblicata nel 1639 solo in una cinquantina di copie, distribuite tra colleghi e amici. Desargues aveva studiato l’opera di Apollonio sulle coniche e si sforzò di semplificare le sue idee, elaborando nuovi metodi per dimostrare molti teoremi sulle attraverso l'uso della proiezione. Proprio in virtù di quest'opera, Fermat, suo contemporaneo considerava Desargues “il vero fondatore della teoria delle sezioni coniche". Desargues fu l’autore del teorema sui triangoli omologici che prende il suo nome.

Ciò che vediamo è la proiezione del triangolo ABC su un triangolo A'B'C’ in un altro piano. Per comprendere questa figura, bisogna pensarla in tre dimensioni. Il punto O è il punto di prospettiva. Un osservatore nel punto O non vedrebbe entrambi i triangoli. Da quel punto, il triangolo A'B'C 'è esattamente nascosto dietro l'ABC. Chiamiamo P1 il piano in cui giace ABC e P2 il piano in cui si trova A'B'C. Il lato AB si trova in P1 mentre A'B' si trova in P2, ma sappiamo che si intersecano perché entrambi giacciono nel piano di BOA. Il punto in cui si intersecano è chiamato Q. Questo punto Q deve trovarsi sulla linea di intersezione dei piani P1 e P2. Con logica simile, i punti R e P sono contrassegnati come le intersezioni delle linee AC con A'C' e di BC con B'C'. Proprio come Q, questi punti devono trovarsi sulla linea di intersezione dei due piani. Quindi tutti e tre giacciono su una singola linea retta, e sono collineari. Ciò che è ancora più affascinante di questa configurazione è che ognuno dei dieci punti della figura può essere scelto come punto di vista. Con alcune manipolazioni attente, questa configurazione può essere ricostruita in base a quale di essi sia il punto di vista.


Nonostante il giudizio positivo di Fermat, l’opera di Desargues non ebbe l’apprezzamento della comunità matematica del tempo, che ne criticò il linguaggio colloquiale, privo di formule e di tecnicismi. Solo dopo cento anni la grandezza del Brouillon sarebbe stata riconosciuta.

Desargues non era l'unico geometra proiettivo del Seicento. Altri due matematici che scrissero opere sull'argomento erano Blaise Pascal (1623-1662) e Philippe de La Hire (1640-1718). Pascal, influenzato da Desargues, si concentrò sulla semplificazione delle proprietà delle sezioni coniche. Egli produsse un saggio che purtroppo è andato perduto, ma era stato letto da Leibniz, che lo definì "così brillante che non poter credere che fosse stato scritto da un uomo così giovane". L’opera conteneva un risultato che da Pascal prese in seguito il nome: il Teorema di Pascal, cioè: "Le tre coppie di lati opposti di un esagono inscritto in una conica si tagliano in tre punti situati su una stessa retta." Sebbene la dimostrazione esatta di Pascal di questo teorema non sia nota, la figura seguente illustra una delle molte prove che sono state proposte da allora, cioè quella che diede Charles Brianchon nel 1806.


I dettagli di questa dimostrazione comportano spiegazioni più complicate di quanto sia conveniente qui. Per riassumere, il blu è la "conica" in cui è inscritto l'esagono ABCDEF. R, P e Q sono i tre punti collineari. Il lato AF si interseca con CD nel punto R, AB con DE in P, e BC con EF in Q.

Anche Philippe de la Hire fu influenzato da Desargues. Egli è noto soprattutto per l’opera Sectiones Conicae ("Sezioni coniche"), in cui manifestò l’opinione che i metodi di proiezione fossero molto più potenti dei metodi di Apollonio. Tentò così di dimostrare tutti i 364 teoremi del grande matematico greco, arrivando vicino a questo obiettivo, arrivando a 300.

È piuttosto curioso, guardando la storia della geometria proiettiva, vedere che, dopo i grandi progressi di Desargues, Pascal e La Hire, passò circa un secolo durante il quale l’argomento fu praticamente ignorato, probabilmente perché l’opera di Cartesio sulla geometria analitica distolse l'attenzione dalla "pura geometria" della proiezione verso modelli più analitici. La geometria analitica consentiva la costruzione di curve per rappresentare dati che era molto più adatta alla scoperta di "leggi" della natura.

L’interesse per le proiezioni si rifece vivo in epoca napoleonica, quando un altro costruttore di fortezze, Gaspard Monge (1746 - 1818) sviluppò la geometria descrittiva per l’insegnamento nelle scuole militari (e affrontò per primo il problema del trasporto ottimale per il materiale di scavo e di costruzione). L’idea fondamentale della geometria descrittiva è il metodo della doppia proiezione ortogonale, ancora in uso nel disegno geometrico, che consente di rappresentare su un piano un oggetto tridimensionale, per cui da due proiezioni su due piani ortogonali (pianta e alzata), uno dei quali ribaltato sull'altro, si ottengono le proprietà della figura spaziale e viceversa. Mostrando come questa tecnica consentiva di risolvere numerosi problemi di geometria piana, Monge riconsegnava alla geometria pura un proprio valore all'interno della cultura matematica del tempo, largamente dominata dai metodi dell’analisi.


Nelle sue opere, Monge pose inoltre le basi della teoria delle superfici sviluppabili, cioè di quelle superfici che si possono distendere su un piano senza tagli, né piegature, come avviene nel caso di un cilindro o di un cono.

L’opera di Monge fu proseguita dal suo allievo Jean-Victor Poncelet (1788-1867), considerato il fondatore della moderna geometria proiettiva, che dimostrò che le proprietà proiettive delle figure fornivano fondamenti di dimostrazione che erano almeno altrettanto potenti e certamente più intuitivi e apparentemente convincenti della procedura cartesiana di impostazione e risoluzione di equazioni tra numeri che rappresentano punti.

Prigioniero dei Russi dopo la disastrosa ritirata dell’Armata di Napoleone, Poncelet trascorse quasi due anni nel carcere di Saratov, durante i quali cominciò a ripensare agli insegnamenti di geometria ricevuti da Monge e dallo studio della Géométrie de position (1803), il libro in cui Lazare Carnot aveva sostenuto che si potesse fare geometria senza “i geroglifici dell’analisi”. Si chiese allora se esistesse un metodo per conferire la necessaria generalità ai metodi geometrici, in modo che le proprietà e le relazioni trovate per un sistema di figure restassero applicabili ai successivi stati del sistema, facendo attenzione alle particolari modificazioni che si sarebbero potute verificare. La sua risposta fu la cosiddetta “legge di continuità”, per la quale è possibile conservare le proprietà descrittive di una figura attraverso una serie di trasformazioni continue, almeno fino a un certo punto. Per Poncelet le proprietà interessanti non erano solo quelle descrittive, ma più in generale quella proiettive, che sono indipendenti dalle misure.

Tornato in Francia nel 1814, solo nel 1820 Poncelet presentò all’Académie una lunga memoria in cui esponeva sistematicamente il frutto delle sue ricerche e rivendicava ai metodi geometrici la stessa generalità e la stessa dignità di quelli analitici. Cauchy, pur riconoscendo l’originalità dell’opera di Poncelet, contestò aspramente il principio di continuità, che poteva condurre a “errori manifesti”. In realtà si trattava dello scontro tra due concezioni radicalmente opposte della matematica: in quegli anni Cauchy si stava sforzando proprio di eliminare dall'analisi ogni ricorso all'intuizione geometrica.

La memoria di Poncelet fu pubblicata nel 1822 con il titolo Traité des proprietés projectives des figures. Si trattava di un’esposizione della geometria proiettiva in cui l’autore ordinava non solo i suoi risultati, ma anche quelli dei geometri del passato, da Pappo, a Desargues, ai loro più recenti continuatori.

Poncelet, per eliminare quei paradossi geometrici che sembrano derivare dall’analisi algebrica, in conseguenza del suo principio di continuità, faceva uso di enti geometrici impropri, cioè del gruppo degli elementi che danno origine alle figure geometriche quando se ne considera la posizione all'infinito anziché a distanza finita.

Vi fu chi rabbrividì di fronte a questa apparentemente sfrenata moltiplicazione di enti, che, tuttavia, era stata praticata in aritmetica per secoli, come l’insieme iniziale di numeri naturali 1, 2, 3, ..., era stato integrato con zero, gli interi negativi, i razionali non integrali, gli irrazionali, i numeri immaginari e così via. Così, ai concetti consueti di punto, retta e piano si affiancarono quelli corrispondenti di punto improprio, retta impropria e piano improprio.

Il punto improprio è il punto all'infinito di una retta, che determina la sua direzione. Dato che due o più rette parallele fra loro hanno la medesima direzione, ne deriva che esse hanno in comune lo stesso punto improprio; in altre parole si dice che rette parallele fra loro si incontrano all'infinito nel loro punto improprio.


Analogamente, una retta impropria è la retta all'infinito di un piano, che determina la giacitura del piano stesso; due o più piani paralleli fra loro hanno in comune la stessa retta impropria, ovvero piani paralleli fra loro si incontrano all'infinito lungo la loro retta impropria.

Nel suo Traité, Poncelet studiò poi le proprietà generali delle coniche, che riconduceva a quelle dei cerchi, in quanto esse si possono pensare come ottenute dalle proiezioni dei cerchi. In questo contesto introduceva i due concetti di polo e polare di una conica. Per un punto P esterno a una conica (polo), la sua polare p rispetto ad essa è la retta passante per i punti di contatto delle tangenti condotte da P alla conica. Se P è interno alla conica, Poncelet chiamava “immaginari” questi punti di intersezione di una secante ideale, dove ciò che è ideale “è pensato provenire dalla prima figura con un movimento progressivo e continuo, senza violare le leggi del sistema.”


Le idee di Poncelet fecero da stimolo per il lavoro di altri importanti geometri, tra i quali Michel Chasles (1793-1880) e Jacob Steiner (1796-1863), che portarono la geometria proiettiva a livelli di grande potenza e complessità, con significative applicazioni nella meccanica. Nel corso dell’Ottocento, la geometria proiettiva contribuì con il suo approccio allo sviluppo delle matematiche in generale. Secondo molti storici delle matematiche, la geometria proiettiva ha costituito una rivoluzione molto più profonda e di vasta portata nel pensiero umano rispetto alla semplice negazione del postulato di Euclide.

mercoledì 12 febbraio 2014

Il problema del trasporto ottimale (nel piano)

Figlio di un venditore ambulante, Gaspard Monge nacque a Beaune nel 1746 durante l’Ancien Régime. A causa delle sue notevoli doti matematiche, le autorità militari lo ammisero come assistente in una scuola di formazione militare per il disegno geometrico, alla quale non avrebbe potuto iscriversi per le sue umili origini. Inventò da solo la geometria descrittiva, e l’utilità del metodo era così evidente che fu nominato professore all’età di 22 anni, a patto che la sua teoria fosse rimasta segreto militare, ad uso esclusivo degli ufficiali di più alto grado. Nel 1780 gli fu assegnata la cattedra di matematica all’Università di Parigi. 

Monge fu un ardente rivoluzionario, ministro della Marina, membro del Direttorio, si occupò della riforma del calendario, della riforma delle unità di misura, di lavori pubblici e di istruzione. Scampò per un pelo alla ghigliottina durante il Terrore e, tornato a Parigi, divenne docente all’École Normale e poi all’École Polytechnique, che aveva fondato. Era amico intimo di Napoleone che seguì anche durante la spedizione in Egitto. Dopo il 18 Brumaio, fu membro del Senato conservatore. La maggior parte della sua opera fu dedicata alla geometria, che trattò in diverse opere pubblicate a cura dell’École Polytechnique. Tra di esse Applicazione dell'algebra alla geometria (1805) e Applicazione dell'analisi alla geometria (1816). La quarta edizione di quest’opera, rivista da Monge poco prima della sua morte, contiene tra l’altro la soluzione di un'equazione differenziale alle derivate parziali del secondo ordine. Privato di ogni carica dopo la restaurazione, morì a Parigi il 28 luglio 1818. 

Oltre che al suo lavoro di geometra, la fama di Gaspard Monge si deve oggi soprattutto alla “memoria” del 1781 intitolata Mémoire sur la théorie des déblais et des remblais, il primo lavoro in cui ci si occupa di trasporto ottimale di una massa. Il problema affrontato è esposto dall’autore all’inizio dell’opera: 

«Quando si deve trasportare della terra da un luogo all’altro, è d’uso chiamare Déblai il volume di terra che di deve trasportare, e quello di Remblai allo spazio che essa deve occupare dopo il trasporto. Siccome il prezzo del trasporto di una molecola, a parità di tempo impiegato, è proporzionale al suo peso e allo spazio che si deve farle percorrere, e perciò il prodotto del trasporto totale deve essere proporzionale alla somma dei prodotti delle molecole moltiplicate per lo spazio percorso da ciascuna, ne consegue che, essendo il déblai e il remblai dotati di forma e posizione, non è indifferente che una certa molecola del déblai sia trasportata in un luogo o in un altro del remblai, esiste invece una certa distribuzione da seguire delle molecole dal primo al secondo, in modo che la somma dei prodotti sia minima possibile, e il prezzo del trasporto totale sia altrettanto minimo. […] È la soluzione a questo problema che mi propongo di trovare qui».


Con un linguaggio più semplice e conciso, la domanda è la seguente: dato uno scavo di terra (déblai), qual è la maniera migliore di estrarlo e trasportarlo in un posto dove possa essere utilizzato come materiale per una nuova costruzione (remblai)? Il problema è di grande importanza perché il trasporto è caro, e lo si vuole rendere il meno costoso possibile. Nonostante la sua intenzione dichiarata, Monge non diede una soluzione soddisfacente del problema. Alla fine della sua opera, non esitò a riconoscere di non aver risolto il problema pratico, ma si dichiarava comunque soddisfatto d’aver trovato qualche nuova proprietà delle superfici curve.

Il trasporto nel piano - Il testo è diviso in due parti, a seconda che il problema si ponga nel piano o in uno spazio a 3 dimensioni. In questa prima parte ci occuperemo solamente del problema nelle 2 dimensioni. 

Spostare della terra da un luogo all’altro del piano è un problema concreto, che nasceva da una effettiva esigenza nell’ambito delle costruzioni militari. Indichiamo con D1 il luogo del déblai, che supponiamo limitato da una curva giacente nel piano. Allo stesso modo, il remblai D2 è limitato da una curva. Per semplificare, Monge suppone che la densità del materiale sia costante e che D1 e D2 abbiano la stessa superficie. 

Per trasportare la terra da D1 a D2, bisogna inviare la “molecola di terra” situata in un punto (x,y) di D1 verso il punto F(x,y) di D2. F rappresenta una certa applicazione di D1 verso D2. Ciò significa che per ogni sottodominio D di D1, l’area di D (proporzionale alla massa del materiale) è uguale a quella di F(D). 

Il prezzo di un tale trasporto F è “proporzionale alla somma dei prodotti dei [pesi delle] molecole moltiplicati per lo spazio percorso”. La molecola situata nel punto (x,y) possiede un peso (proporzionale a) dxdy e viene trasportata per una distanza || F(x,y) – (x,y)||. In formula, il prezzo del trasporto è pertanto proporzionale a:

Il problema di Monge consiste perciò nel trovare il trasporto ammissibile che possiede il costo minore.

La prima grande intuizione del saggio, semplice e bella, oggi la chiameremmo un lemma:

«Le traiettorie seguite da due punti qualunque non possono incontrarsi tra le loro estremità».


La prova risiede nel fatto che la linea retta è il cammino più corto tra due punti. Se un trasporto invia il punto A su a e B su b e se i segmenti Aa e Bb si intersecano, si può modificare il trasporto decidendo di inviare la molecola A sulla molecola b e B su a; il prezzo del trasporto sarà minore perché la somma delle distanze Ab + Ba è minore di Aa + Bb. Si tratta di un’idea feconda. 

Consideriamo ora una retta che incontra prima il déblai e poi il remblai. Se le parti dei due domini che sono dallo stesso lato di questa retta hanno la stessa area, si dice che la retta è equisecante. Sulla figura di Monge, BDbd è una equisecante che taglia i déblais e i remblais in due parti BAD e bad che hanno la stessa area. Monge afferma che il trasporto ottimale deve necessariamente trasportare BAD su bad.


Sfortunatamente, questa affermazione è falsa, nel senso che non è così generale come sembra. Anche Monge lo sa e, otto pagine più avanti, si legge che “la soluzione precedente è illusoria”. Più precisamente, non è sempre valida. La prova si vede dalla figura: se un punto K di BAD è trasportato da un’altra parte, ad esempio in k, poiché le aree delle due parti sono le stesse, bisogna allora che un punto esterno a BAD, ad esempio L, sia trasportato all’esterno di bad in l. Monge conclude che Kk e Ll si incrociano, come nella figura, ma in realtà non è difficile trovare delle situazioni che smentiscono questo assunto. In ogni caso, questo secondo “lemma” è vero in molti casi interessanti, e possiamo procedere come se Monge avesse ragione. 

Una retta nel piano dipende da due parametri, come risulta dall’equazione generale esplicita y = mx + q. La condizione che una retta sia un’equisecante esprime una relazione tra m e q. Monge afferma che le equisecanti formano una famiglia che dipende da un solo parametro. 

La descrizione delle famiglia di rette a un parametro nel piano era ben nota a Monge. Supponiamo che si abbia una retta Δ(t) che dipende dal parametro t. Le due rette infinitamente vicine Δ(t) e Δ(t+dt) si incontrano in un certo punto p(t) che descrive una curva al variare di t. Questa curva è chiamata inviluppo della famiglia di rette Δ(t). Allo stesso modo, data una curva, si può considerare la famiglia delle sue tangenti in punti diversi: si tratta di una famiglia a un solo parametro. Nella figura, l’inviluppo è rappresentato a sinistra. La situazione ottimale, quella in cui la soluzione di Monge funziona, è quella in cui il déblai e il remblai si trovano dallo stesso lato rispetto all’inviluppo. La soluzione di Monge è allora molto semplice: per ogni equisecante, si trasporta BD su bd

Rimane da sapere come trasportare ciascuno degli intervalli BD sull’intervallo bd corrispondente. La sola restrizione è di fare in modo che la massa sia preservata. Lo si può fare in molte maniere, se non si impongono delle condizioni di continuità, ma Monge suggerisce di trasportare in maniera crescente, in modo che il punto B sia trasportato nel punto b, e il punto D in d

Se l’inviluppo penetra nel luogo del déblai o in quello del remblai, la dimostrazione non funziona più. Monge lo sa. Egli suggerisce di dividere il déblai e il remblai in parti scelte opportunamente (non dice come) e di applicare il metodo precedente alle singole parti. 

Le figure che seguono, che dovrebbero chiarire la situazione, sono tratte da una memoria di Charles Dupin pubblicata nel 1822. A sinistra si tratta di trasportare in modo ottimale la forma ovoidale superiore sul dominio a forma di fagiolo. Bisogna innanzitutto chiarire perché nella figura le traiettorie non sono segmenti: Dupin, per superare il suo maestro, considera un caso un po’ più realistico in cui il terreno non è perfettamente piano e le traiettorie sono allora ciò che noi oggi chiamiamo geodesiche invece che dei segmenti. Ciò nonostante, il problema trattato da Dupin è sostanzialmente lo stesso. Si osserva che le equisecanti si tagliano all’interno del déblai: l’inviluppo è mal posizionato.


A destra Dupin rappresenta il trasporto ottimale, che non è continuo. Esso presenta una discontinuità lungao una curva di rottura DD’D’’D’’’. Bisogna immaginare che il trasporto ottimale comporti in qualche modo la rottura del dominio ovoidale lungo questa curva. 

Riferimento principale: Étienne Ghys, «Gaspard Monge» — Images des Mathématiques, CNRS, 2012.