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martedì 27 giugno 2023

Antonio Garbasso, contro la separazione tra scienza e umanesimo

 


Non è vero che nel nostro paese il pregiudizio crociano e gentiliano contro le scienze fosse incontrastato e che la separazione tra le ”due culture”, con il primato assegnato a quella umanistica, non ebbe oppositori. Poche figure, abbastanza isolate, si spesero per difendere l’idea che il sapere è unico. Del matematico e filosofo Federigo Enriques ho già parlato in un’altra occasione, ma ci fu anche il fisico e politico (fascista) Antonio Garbasso, del quale penso sia utile conoscere le idee. Certo, è poco consolatorio constatare che entrambi provenivano dall’ambito scientifico (come del resto, più tardi, a suo modo, l’ingegner Carlo Emilio Gadda), e che nessuna voce si levò tra i letterati, ma almeno qualcuno ci fu.

Il vercellese Antonio Garbasso (1871-1933) aveva studiato all’Università di Torino, laureandosi in Fisica nel 1892. Formatosi in Germania con Hertz ed Helmholtz, dopo aver insegnato fisica a Pisa, a Torino e a Genova, nel 1913 ottenne la cattedra di fisica sperimentale dell’Università̀ di Firenze, dove contribuì̀ a far potenziare l’Istituto di Fisica di Arcetri. Fra gli allievi di Garbasso vi furono Lo Surdo, Occhialini, Rasetti e Ronchi. Il ‘Laboratorio di ottica pratica e meccanica di precisione’ fu inaugurato ad Arcetri nel 1918 e diverrà poi Istituto Nazionale di Ottica del CNR.

Per i suoi interessi sulla natura e propagazione della luce accolse con entusiasmo i lavori di Bohr sull’emissione degli spettri a righe e dal 1913 si fece promotore della concezione quantistica che ancora restava ostica per scienziati formati con una mentalità classica della meccanica.

Nel 1914 si dedicò all’effetto scoperto nel suo laboratorio da Antonino Lo Surdo e contemporaneamente da Johannes Stark in Germania (effetto Stark-Lo Surdo). Fu il suo ultimo lavoro scientifico, rimasto l’unico sull’argomento fino al 1931.

Garbasso fu protagonista di uno dei pochissimi tentativi italiani di teorizzazione critica e storica rispetto al dialogo fra le «due culture». Con una serie di saggi e di conferenze scritte negli anni ’10, e che sarebbero stati raccolti postumi nel volume Scienza e poesia (1934), egli offriva una prospettiva critica ed estetica che, anche se di carattere divulgativo, si conciliava con un certo razionalismo e con un paradigma di integrazione fra epistemologia e arti.


Garbasso fu convinto sostenitore della necessità di una seria divulgazione scientifica, per la quale era necessario costruire un ponte di dialogo e di comunicazione fra letteratura, filosofia e scienza, in un esercizio critico e storico capace di rendere conto della «totalità» della cultura, richiamando ognuna di queste discipline alla vocazione più propria della tradizione italiana. A questo proposito il suo nazionalismo conservatore lo portò a nutrire un interesse particolare per la tradizione italiana come, ad esempio, quella degli storici fiorentini, «naturali e positivi», quali «il Guicciardini e il Machiavelli», che è una vocazione di scambio pluridisciplinare e di interazione culturale. Uno dei problemi che affliggeva la cultura italiana di inizio secolo era, secondo Garbasso, il rifarsi della speculazione nazionale all’idealismo tedesco, filosofia del tutto estranea alla nostra tradizione culturale più profonda. Per l’idealismo tutta la realtà̀ è misura e proiezione, morale e epistemica del singolo, ma mentre «un idealista può̀ concedersi, senza peccare contro la logica, di scegliere la sua filosofia; un realista non può̀. A noi spetta, logicamente, un compito solo, di continuare la tradizione dei padri».

Secondo il fisico piemontese, “l’arte e la storia è la scienza e la filosofia sono una cosa sola e una cosa armonica e una cosa nostra”, perché “davanti al problema dell’Universo le attitudini che il pensiero umano può assumere si riducono in sostanza a due: o si ammette insieme a quella del soggetto la realtà del mondo esterno, o si afferma che lo spirito costruisce la natura. Si è realisti nel primo caso, e nel secondo idealisti”.

“Il fisico matematico, quali si siano le sue tendenze filosofiche particolari, o magari la convinzione o il proposito di non essere filosofo, appartiene però, a ragion veduta, ad una delle grandi famiglie nelle quali si suddivide il popolo degli uomini che non furon nati a vivere come bruti, ma a cercare virtude e conoscenza.

Chi assume di chiudere la legge di un fenomeno naturale in una formula matematica, cioè quantitativa, assume infatti, implicitamente, se anche non se ne renda conto, che la formulazione abbia valore per tutti e per tutti abbia il medesimo valore. Implicitamente il fisico matematico nega la costruzione individuale, o, in altri termini, è realista”.

Garbasso, dedicò a proposito alcune lezioni pubbliche alla Commedia di Dante discutendo di quelle conoscenze astronomiche, di cromatica e di meccanica presenti nel testo dantesco, e sottolineando, contro Croce, che Dante aveva «lo spirito scientifico; uno spirito non dissimile, in fondo, da quello di Galileo». Analogamente, mise in risalto una regola generale che caratterizza «tutti i nostri grandi Italiani, nel Medioevo e nel Rinascimento, Dante e Francesco d’Assisi, Galileo e Niccolò̀ Machiavelli, [che] ebbero tutti un tratto spirituale in comune che è il senso profondo della realtà̀».


La scienza poi possiede un proprio valore estetico:

“Il contrasto tra ciò che è bello e ciò che è vero, è di origine dottrinale, è non deriva dalla realtà delle cose. Che l’attività scientifica e l’estetica sieno essenzialmente distinte è appena un pregiudizio di pochi pensatori unilaterali, il quale non ha radici, da quella in fuori, profondissima senza dubbio, della loro personale ignoranza specifica.

Gli scopi invece delle arti figurative e della scienza sono identici come sono identici i mezzi. Perché artisti e scienziati cercano di intendere l’universo esteriore e per intenderlo e per farlo intendere procurano di darne una rappresentazione. Che questa poi si concreti in un quadro o in un modello meccanico, o in un’equazione differenziale, tocca la forma e non altera la natura logica del procedimento”.

Garbasso anticipò poi alcune questioni sociologiche molto generali che sarebbero state riprese da vari commentatori durante il Novecento. Cinquanta anni prima di C.P. Snow, propose una delle sue più note argomentazioni polemiche, sottolineando come:

“Una persona mezzamente colta, che si terrebbe disonorata quando non fosse capace di distinguere la maniera di Sandro Botticelli da quella di Paolo Veronese, o quando dovesse confessare di non conoscere l’Evolution créatrice o l’altra merce simile di fabbrica nazionale, trova invece naturalissimo di non sapere come si muovano in cielo i pianeti, o come si determini la figura della terra.”

Con un argomento che ritornerà̀ anche nelle memorie del fisico Carlo Bernardini, Garbasso deplorerà̀ il fatto che «i nostri grandi giornali danno notizia ai loro lettori di ogni giovinetto scrittore di novelle e di ogni pittore futuristeggiante; ma nessuno pubblicò regolarmente una rivista delle novità̀ scientifiche o tecniche».

A questo proposito, lamentandosi sia della cronica carenza di fondi destinati alla ricerca scientifica in Italia, che della sua marginalizzazione nei programmi scolastici del Regno, Garbasso esprimette a più̀ riprese la preoccupazione per il mutamento sostanziale dell’impianto pedagogico operante nella scuola italiana. Confrontando l’organizzazione didattica tedesca, austriaca e francese, dove esisteva «una letteratura matematica, fisica e meccanica, dedicata espressamente ai filosofi, ai medici e ai naturalisti», in Italia di inizio secolo venne invece ridotto «ad un terzo il programma d’algebra e di geometria nel Liceo, e gli sviluppi matematici furono sostituiti con una serie di lezioni su la cultura ellenica. Se il corso è fatto con coscienza, i giovinetti retori della terza Italia vi impareranno almeno, che certi ministri della pubblica istruzione non avrebbero potuto entrare nella scuola di Platone ateniese».

Al riguardo, Garbasso critica quei filosofi contemporanei che pretendono di essere «i moderatori supremi del movimento scientifico contemporaneo», ma, zavorrati da una preparazione inadeguata ricevuta nelle facoltà̀ filologiche, sanno poco o nulla di matematica, fisica o scienze. Soprattutto «hanno posto in oblio, i filosofi, [...] che i magni spiriti della Grecia erano sapienti prima di essere savi; che Talete Milesio trovò la teoria delle proporzioni e costruisse un telemetro [...] che il divino Platone risolse il problema della duplicazione del cubo [...]. I filosofi filologizzati non lo rammentano più, ma presso i Greci, per un mirabile simbolo, anche gli Dei si occupavano di Geometria». Per Garbasso bisognava inoltre andare contro la leggenda sulla incapacità̀ dei giovani italiani di capire la matematica e la fisica, e a qualsiasi presunta distinzione programmatica fra intuizione e ragione:

“Che le attitudini dello scienziato da una parte e quelle dell’artista dall’altra siano essenzialmente distinte è così essenzialmente falso che nel nostro Rinascimento i precursori della scienza moderna furono tutti quanti artisti e grandi artisti. Se poi un filosofo ci viene a raccontare che il meccanico e il fisico non ha quasi bisogno di intuizione mentre ne ha bisogno l’artista, tanto peggio per il filosofo e per la sua filosofia”.

All’entrata in guerra dell’Italia si arruolò come volontario. Da sottotenente del Genio ritornò col grado di Maggiore per avere creato il servizio ‘fonotelemetrico’ che permetteva di individuare la postazione di batterie lontane.

Fu Presidente della Società Italiana di Fisica dal 1912 al ’14 e dal 1921 al ’25, membro della settima Conferenza generale Pesi e Misure nel 1927, presidente del Comitato di Fisica del CNR. In questa carica incoraggiò e sostenne l’invio dei giovani più promettenti verso i più notevoli centri di ricerca e studio europei e ristabilì il contatto tra la fisica italiana del primo dopoguerra e le grandi correnti della ricerca sperimentale e teorica.

«Cattolico, ma non scolastico», Garbasso era informato del dibattito epistemologico in corso a livello internazionale, compendiato in Fisica d’oggi, filosofia di domani (1910) che sottolineava come la conoscenza scientifica, dopo il periodo del «materialismo infantile» dei positivisti di fine Ottocento, riacquistava un interesse particolare per il discorso filosofico grazie soprattutto ai nuovi problemi della fisica, con particolarmente riferimento agli studi di Helmholtz, Mach, Poincaré́, Boltzmann, Duhem, Enriques.

Dopo la guerra si dedicò alla vita pubblica, secondo una concezione del mondo che definiva naturale e positiva, romana, italiana e toscana. Aderì al fascismo, pur opponendosi alla riforma Gentile dell’istruzione perché trascurava le discipline scientifiche:

“Un ministro della Pubblica Istruzione rese facoltativo, or sono alcuni anni, l’insegnamento delle matematiche nel liceo, e alle matematiche sostituì un corso di lezioni sulla cultura ellenica; gli era sfuggito senza dubbio che Euclide e Tolomeo sono classici greci quanto Tucidide ed Aristofane (per citare due nomi a caso), e che anzi essi hanno avuto sulla civiltà contemporanea una più grande influenza che non abbiano avuto Tucidide ed Aristofane.

D’altra parte, nella civiltà contemporanea sono fusi con gli elementi greci e latini anche quelli che furono aggiunti dal Rinascimento, principalissimo il metodo delle scienze sperimentali. E le scienze sperimentali, come scuola di una logica più complessa della aristotelica, sono dunque indispensabili alla formazione spirituale dell’uomo moderno”.


Fu sindaco e poi primo podestà di Firenze dal 1920 al 1928. In queste vesti contribuì alla nascita delle società calcistica Fiorentina: lui, un piemontese.

venerdì 11 novembre 2022

Ai confini del Cielo e della Terra: l’incisione di Flammarion




Un uomo, vestito con una lunga tunica e con in mano un bastone, si trova ai margini della Terra, dove essa incontra il Cielo. Si inginocchia e passa la testa, le spalle e il braccio destro attraverso il cielo costellato di stelle, scoprendo un meraviglioso regno di nuvole, fuochi e soli che volteggiano oltre i cieli. Ha viaggiato per giorni alla luce di un sole splendente, ha passato le sue notti sotto un firmamento solcato di stelle. Accovacciandosi per esplorare un’apertura, la sutura dove cielo e terra s'incontrano, il viaggiatore spinge la testa attraverso la volta celeste e fuori nel cielo al di là. Cortine di fiamme sostituiscono il sole del suo vecchio mondo. In questo Empireo lacerato, i corpi planetari si muovono come un meccanismo a orologeria: un macchinario cosmico che ruota in aderenza a leggi ancora da scoprire, naturali o divine.

Pubblicata in L'atmosphère: météorologie populaire (1888) dell'astronomo, divulgatore e scrittore di fantascienza Camille Flammarion (1842–1925), questa immagine ha lasciato perplessi gli appassionati delle sue opere, sia per la sua oscura provenienza che per il simbolismo criptico. Con il suo pastiche di stile visivo rinascimentale e la didascalia medievale - "Un missionario del Medioevo racconta di aver trovato il punto in cui il cielo e la terra si toccano" - (p. 162) si pensava che l'illustrazione avesse avuto origine secoli prima che Flammarion pubblicasse il suo libro.

L'artista rimane sconosciuto, ma i primi interpreti credevano che fosse un contemporaneo del cambio di paradigma che l'opera sembra rappresentare: quando l'antica cosmogonia lasciò il posto alla Rivoluzione scientifica. Heinz Strauss e Heinrich Röttinger datarono l'incisione alla metà del Cinquecento. Nel 1957, l'astronomo Ernst Zinner affermò che l'immagine risaliva al Rinascimento tedesco, ma non riuscì a trovare alcuna versione pubblicata prima del 1906. Erwin Panofsky, scrivendo nel 1963, trovò il suo stile indicativo del Seicento. Ulteriori indagini, tuttavia, rivelarono che l'opera era un composto di immagini caratteristiche di diversi periodi storici e che era stata realizzata con il bulino, strumento utilizzato per l'incisione su legno solo dalla fine del XVIII secolo. Ernst H. Gombrich, parlando a nome del Warburg Institute, era convinto che l'incisione dovesse essere un omaggio più recente al Rinascimento.

L'immagine fu fatta risalire a non prima del libro di Flammarion da Arthur Beer, astrofisico e storico della scienza tedesca a Cambridge e, indipendentemente, da Bruno Weber, curatore di libri rari presso la biblioteca centrale di Zurigo. Secondo Weber e l'astronomo Joseph Ashbrook, la rappresentazione di una volta celeste sferica che separa la Terra da un regno esterno è simile alla prima illustrazione nella Cosmographia di Sebastian Münster del 1544, un libro che Flammarion, un fervente bibliofilo e collezionista di libri antichi, potrebbe aver posseduto.


Flammarion era stato apprendista all'età di dodici anni presso un incisore a Parigi e si ritiene che molte delle illustrazioni per i suoi libri siano state incise dai suoi stessi disegni, probabilmente sotto la sua supervisione. Pertanto, è plausibile che lo stesso Flammarion abbia creato l'immagine, anche se, come la maggior parte delle altre illustrazioni nei libri di Flammarion, l'incisione non ha alcuna attribuzione. Essa non compariva nell’opera analoga sull’atmosfera che l’astronomo francese aveva pubblicato nel 1872, ed è presumibile che sia stata realizzata tra le due edizioni. Sebbene a volte indicato come un falso o una bufala, Flammarion non designò mai l'incisione come una xilografia medievale o rinascimentale e l'interpretazione errata dell'incisione come opera più antica si verificò solo dopo la morte di Flammarion.

Più misterioso della sua provenienza è il potenziale significato dell'opera. L’uomo curvo è stato variamente descritto come un missionario, uno scettico, un ebreo errante, un ricercatore, un viaggiatore, un dotto che contempla meraviglie divine, un pellegrino o un astronomo frustrato legato alla Terra. Parte della difficoltà qui deriva dalla polifonia simbolica dell'immagine: aspetti dell'universo tolemaico si mescolano con un ophan - la struttura a ruote, la "ruota in mezzo a una ruota” che assomiglia a un giroscopio, che Ezechiele (1:15–21) e Daniele (7:9) hanno intravisto nella loro visione del trono/carro di Dio - stratificando iconografia biblica, astrologica ed esoterica.

Ecco il testo che accompagna questa incisione in L'atmosphère:
“Che il cielo sia sereno o nuvoloso, ci sembra sempre avere la forma di un arco ellittico; lungi dall'avere la forma di un arco circolare, sembra sempre appiattito e depresso sopra le nostre teste, e gradualmente allontanarsi verso l'orizzonte. I nostri antenati immaginavano che questa volta azzurra fosse davvero ciò che l'occhio li avrebbe portati a credere che fosse; ma, come osserva Voltaire, questo è ragionevole come se un baco da seta prendesse la sua tela per i limiti dell'universo. Gli astronomi greci lo rappresentavano come formato da una solida sostanza cristallina, e così recentemente, come Copernico, un gran numero di astronomi pensava che fosse solido come una lastra di vetro. I poeti latini collocarono le divinità dell'Olimpo e la maestosa corte mitologica su questa volta, al di sopra dei pianeti e delle stelle fisse. Prima di sapere che la Terra si muoveva nello spazio e che lo spazio è ovunque, i teologi avevano installato la Trinità nell'empireo, il corpo glorificato di Gesù, quello della Vergine Maria, la gerarchia angelica, i santi e tutti gli ospiti celesti (…) Un missionario ingenuo del medioevo ci racconta addirittura che, in uno dei suoi viaggi alla ricerca del paradiso terrestre, raggiunse l'orizzonte dove si incontravano la terra e il cielo, e che scoprì un certo punto dove essi non erano uniti tra loro, e dove, chinando le spalle, passò sotto il tetto del cielo”.

L'idea del contatto di un cielo solido con la Terra appare ripetutamente nelle prime opere di Flammarion. In
Les mondes imaginaires et les mondes réels ("Mondi immaginari e mondi reali", 1864), cita una leggenda di un santo cristiano, Macario il Romano, che fa risalire al VI secolo. Questa leggenda include la storia di tre monaci (Teofilo, Sergio e Igino) che "volevano scoprire il punto in cui il cielo e la terra si toccano". Dopo aver raccontato la leggenda, osserva che “i monaci speravano di andare in cielo senza lasciare la terra, per trovare 'il luogo dove il cielo e la terra si toccano', e aprire la misteriosa porta che separa questo mondo dall’altro. Tale è la nozione cosmografica dell'universo: è sempre la valle terrestre coronata dal baldacchino dei cieli." Nella leggenda di San Macario, tuttavia, i monaci non trovano il luogo in cui terra e cielo si toccano. Flammarion racconta un'altra storia:
“Questo fatto ci ricorda la storia che Le Vayer racconta nelle sue Lettere. Sembra che un anacoreta, probabilmente parente dei Padri del deserto d'Oriente, si vantasse di essere arrivato fino alla fine del mondo e di essere stato costretto a piegare le spalle, a causa dell'unione del cielo e della terra in quel luogo lontano”.
Flammarion ha anche menzionato la stessa storia, quasi con le stesse parole, nella Histoire du Ciel ("Storia del cielo", 1872):
"Ho nella mia biblioteca", interruppe il vicesceriffo, "un'opera molto curiosa: le lettere di Le Vayer. Ricordo di aver letto lì di un buon anacoreta che si vantava di essere stato 'fino ai confini della terra' e di essere stato obbligato a chinare le spalle, per l'unione del cielo e della terra a questa estremità”.
Le Lettere a cui si fa riferimento sono una serie di brevi saggi dell’erudito e filosofo François de La Mothe Le Vayer (1588-1672). Nella lettera 89, Le Vayer, dopo aver menzionato l'opinione sprezzante di Strabone sul racconto di Pitea di una regione dell'estremo nord dove terra, mare e aria sembravano mescolarsi in un'unica sostanza gelatinosa, aggiunge:
“Quel buon anacoreta, che si vantava di essere stato fino alla fine del mondo, disse ugualmente che era stato costretto a chinarsi, a causa dell'unione del cielo e della terra in quella lontana regione”.
Le Vayer non specifica chi fosse questo "anacoreta", né fornisce ulteriori dettagli sulla storia o sulle sue fonti. Il commento di Le Vayer è stato ampliato da Pierre Estève nella sua Histoire générale et particulière de l'astronomie ("Storia generale e particolare dell'astronomia", 1755), dove interpreta l'affermazione di Le Vayer (senza attribuzione) come un'affermazione che il viaggiatore fenicio Pitea "era arrivato a un angolo del cielo, e fu costretto a chinarsi per non toccarlo”.

La combinazione della storia di San Macario con le osservazioni di Le Vayer sembra essere dovuta allo stesso Flammarion. Appare anche nel suo Les terres du ciel ("Le terre del cielo"):
“Riguardo ai confini (della Terra) ... alcuni monaci del X secolo della nostra era, più audaci degli altri, dicono che, facendo un viaggio alla ricerca del paradiso terrestre, avevano trovato il punto dove il cielo tocca la terra, ed era stato anche costretto ad abbassare le spalle!”
La prima versione a colori pubblicata fu realizzata da Roberta Weir nel 1970 a Berkeley. Quell'immagine a colori ha generato la maggior parte delle variazioni moderne che sono seguite da allora. L'LP di Donovan del 1973, Cosmic Wheels, ha utilizzato una versione estesa in bianco e nero sulla copertina interna (un artista ha aggiunto elementi che estendevano l'immagine per adattarla alle proporzioni della copertina del disco). Essa conteneva la notazione "Get Out Your Cosmic Crayons Kids and Color In" (Tirate fuori i vostri pastelli cosmici bambini e colorate).


Il libro in edizione limitata
Back Beyond (2021, solo 1500 copie firmate) di Cat Stevens / Yusuf Islam, con i suoi disegni per bambini tratti da Teaser and the Firecat (1971) riporta in copertina una versione personalizzata dell’incisione di Flammarion.




domenica 7 agosto 2022

Boccioni e l’etere, tra scienza e occultismo

 


A cavallo tra XIX e XX secolo, con
etere si intendeva l’imponderabile mezzo che si pensava riempisse lo spazio e serviva come veicolo per la trasmissione delle onde elettromagnetiche. Sebbene la Relatività Speciale di Einstein del 1905 avesse smontato gli argomenti meccanici dell’ipotesi dell'etere, dimostrando che le equazioni di Maxwell erano valide anche senza l’esistenza di questo misterioso fluido, la teoria del fisico tedesco fu accettata solo gradualmente tra gli scienziati e non fu resa popolare fino al 1919, quando Eddington trovò la conferma della curvatura dello spazio in occasione di un'eclisse e poi divulgò la relatività einsteiniana in tutto il mondo. Così, l’etere continuò a incombere nell’immaginazione popolare per tutti gli anni Dieci e Venti, anche dopo che la maggior parte dei fisici l’aveva descritto come un’idea fallace. Per il pubblico non specialista, l’etere era virtualmente sinonimo di spazio. 

La scoperta dei raggi–X, fatta da Röntgen nel 1895, dimostrava che esisteva un mondo invisibile e che non si trattava di speculazioni mistiche o filosofiche, ma di un fatto scientifico accertato. Le pubblicazioni del fisico tedesco sulle sue scoperte diedero il via ad una massiccia serie di pubblicazioni scientifiche e divulgative, oltre che, a livello popolare, ad articoli sulla stampa, poesie, disegni e canzoni. L’immediato impatto dei raggi–X fu quello di rendere trasparente la materia solida, rivelando forme precedentemente invisibili e suggerendo una nuova relazione, più fluida, di quelle forme con lo spazio intorno ad esse. Questa idea fu centrale per i pittori cubisti francesi e per i futuristi italiani. Severini, Carrà, Balla, Russolo e Boccioni dichiararono nell’Aprile del 1910, nel Manifesto tecnico della pittura futurista, “Chi può credere ancora all'opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici? Perché si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X?” E, più oltre: “La scienza d'oggi, negando il suo passato, risponde ai bisogni materiali del nostro tempo; ugualmente, l'arte negando il suo passato, deve rispondere ai bisogni intellettuali del nostro tempo”

Sia i raggi–X che le onde hertziane della telegrafia senza fili attirarono l’attenzione del pubblico su una nuova immagine dello spazio, piena di onde vibranti. Nello stesso periodo cambiavano le idee sulla costituzione della materia. Se i raggi–X avevano reso trasparenti gli oggetti, la loro intima solidità e stabilità fu messa in discussione dall’identificazione da parte di J.J. Thompson nel 1897 dell’elettrone in movimento e dall’annuncio che i nuovi elementi radioattivi scoperti dai coniugi Curie nel 1898 emettevano continuamente energia. 

Come i raggi–-X, l'onnipresente etere fu uno dei dogmi principali del credo del primo modernismo. All’alba del nuovo secolo, gli artisti si trovarono di fronte a una nuova concezione sia dello spazio sia della materia, e l’etere giocava un ruolo centrale nel nuovo paradigma della realtà fisica. 

La risposta degli artisti all’etere prese forme distinte. Il futurista Umberto Boccioni cercò di dargli forma fisica come mezzo che riempie lo spazio. “Bisogna dipingere non il visibile ma quello che finora fu tenuto per invisibile, cioè quello che vede il pittore veggente”, dichiarò in una conferenza nel 1911. Per Boccioni, una di quelle cose che dovevano essere rivelate era lo stesso mezzo etereo vibrante.

“Le ultime ipotesi scientifiche, le incommensurabili possibilità offerteci dalla chimica, dalla fisica, dalla biologia e da tutte le scoperte della scienza, la vita dell’infinitamente piccolo, l’unità fondamentale dell’energia che ci dà la vita, tutto ci spinge a creare delle analogie nella sensibilità plastica con queste nuove e meravigliose concezioni naturali”. 

Come scrisse nel 1914: 
“Intorno a noi vagano energie che vengono osservate e studiate; dai nostri corpi emanano fluidi di potenza, di attrazione o di repulsione (le categorie: simpatia, antipatia, amore, non ci interessano); le morti sono prevedute a distanza di centinaia di chilometri; i presentimenti ci animano di forza o ci annientano di terrore. Le onde Hertziane portano a migliaia di chilometri attraverso gli oceani, attraverso i deserti, il febbrile pulsare delle razze. Il microbo è inseguito nelle insondabili profondità della materia, studiato nelle sue abitudini, fotografato e fissato nella sua infinitesima individualità. 

Gli elettroni roteano nell’atomo a diecine di migliaia, separati gli uni dagli altri come i pianeti del sistema solare e come questi aventi un’orbita e una velocità inconcepibili alla nostra mente, e l’atomo è già invisibile ai nostri occhi e ai nostri strumenti ottici ... Si tagliano i continenti, si sondano gli oceani, si scende nelle gole incandescenti dei vulcani... E noi artisti? Noi ci attardiamo a suddividere la natura in paesaggio, figura, ecc. ecc., a misurare la prospettiva di una strada, e tremiamo dal terrore di non essere compresi, applauditi.... tremiamo di dubbio se dobbiamo violentare una luce, sconvolgere una forma, costruire un’opera qualsiasi che si scosti dalle leggi estetiche tradizionali! 

Convinciamoci che se questo infinito, questo imponderabile, questo invisibile, diventa sempre più oggetto d’indagine e di osservazione è perché nei moderni qualche senso meraviglioso va destandosi nelle profondità sconosciute della coscienza.” 
Poeti importanti come Filippo Tommaso Marinetti, Guillaume Apollinaire e Ezra Pound videro l’idea di comunicazione ondulatoria come un nuovo modello per la loro pratica letteraria. Marinetti dichiarò che i futuristi erano gli inventori della “immaginazione senza fili”, e la poesia di Apollinaire del 1914 Lettre-Océan celebrava la nuova stazione di telegrafia senza fili (TSF) sulla Torre Eiffel con parole che si irradiavano come onde dal simbolo della torre al centro della pagina. Pound descrisse i poeti come “in cerca di nuove emozioni, nuove vibrazioni… sensibili alle facoltà ancora male comprese” e li invitò a scrivere “in nuove lunghezze d’onda”


Le caratteristiche dell’etere teorizzate da Maxwell e dai fisici che lo seguirono sembravano curiosamente contraddittorie. L’etere doveva avere sia la rigidità di un solido elastico (considerata necessaria per la trasmissione delle onde elettromagnetiche vibranti), sia la rarefazione che gli avrebbe consentito di “passare attraverso la materia più densa, così come fa l’acqua attraverso un setaccio”.

Dalla metà del XIX secolo in poi, l’etere fu anche proposto come la possibile origine della materia stessa. Lord Kelvin propose negli anni ‘60 che gli atomi potessero essere dei vortici rotanti nell’etere. Sir Oliver Lodge e altri, negli anni ‘90, sostennero una “teoria elettrica della materia” fondata sull’elettrone e la sua interazione con l’etere. Come dichiarò Lord Balfour sull’etere nel suo discorso del 1904 alla British Association for the Advancement of Science, “Sembra ora possibile che ci possa essere la cosa di cui tutto l’universo è interamente costituito”. Non solo, ma, con la scoperta della radioattività, divulgatori scientifici come Gustave Le Bon sostenevano che anche la materia poteva decadere di nuovo nell’etere, suggerendo un’immagine dello spazio come un regno fluido di continua coesione e diffusione. 

In modo molto simile all’idea molto popolare di una quarta dimensione dello spazio, con la quale era talvolta associato in quel periodo, l’etere poteva andar bene per tutte le esigenze. Ad esempio, il teosofo Rudolf Steiner (l’inventore della biodinamica) citava più volte il discorso di Lord Balfour del 1904 nel suo periodico Lucifer-Gnosis nel 1908, una rivista ben conosciuta da Kandinsky. Steiner paragonò il testo di Balfour agli scritti della fondatrice della teosofia Elena Blavatsky, il cui Iside Svelata del 1887 metteva in relazione l’antico “etere”, inteso come “Anima del Mondo” e “Luce Astrale”, con il moderno etere di cui parlavano scienziati come Balfour Stewart e Peter Guthrie Tait. 

Nel loro libro The Unseen Universe del 1875, Stewart e Tait avevano ipotizzato che l’etere potesse fungere da ponte verso un universo impercettibile, nel quale potesse fluire l’energia dispersa con l’entropia. “Infine”, sostenevano, “ciò che in genere chiamiamo etere, potrebbe non essere un mezzo, ma un mezzo più l’ordine invisibile delle cose, in modo che quando i movimenti dell’universo visibile sono trasferiti nell’etere, parte di essi sono trasportati come da un ponte, e lì sono utilizzati e immagazzinati”. Nell’ipotesi di Tait e Stewart di un etere come veicolo per l’accumulo di energia cosmica, la Blavatsky trovò supporto per la sua idea che “l’etere, o luce astrale” potesse anche accumulare impronte visive o “impressioni dagherrotipiche di tutte le nostre azioni”. Questa “grande galleria di immagini” contenente “le immagini di eventi” incorporata in quel mezzo onnipervasivo, universale, di memoria eterna, pensava, poteva spiegare la facoltà del “potere psicometrico” del chiaroveggente o la trasposizione di pensieri e immagini. 

Stewart e Tait, nell'edizione riveduta del loro libro (1876), fecero uno dei primi collegamenti tra l’etere e la quarta dimensione. Come tanti autori successivi, essi utilizzarono l’analogia della relazione di una dimensione più bassa con un’altra: “Proprio come i punti sono le estremità delle linee, le linee sono i limiti delle superfici, e le superfici sono i limiti di porzioni di spazio in tre dimensioni, così possiamo ipotizzare che la nostra materia (essenzialmente tridimensionale) sia banalmente l’involucro di un Invisibile costituito da quattro dimensioni”. Analogamente, l’inglese Charles Hilton, uno dei principali divulgatori di un iperspazio quadridimensionale e delle sue implicazioni, avrebbe proposto in A New Era of Thought del 1888 che l’etere era forse il limite o la superficie di contatto tra i mondi a tre e a quattro dimensioni. Per gli occultisti, in particolare, entrambe le costruzioni ipotetiche (l’etere e la quarta dimensione dello spazio) potevano corroborare con una patina scientifica o matematica le loro speculazioni su un mondo sconosciuto e invisibile. 

Nel periodo che stiamo considerando, le distinzioni tra scienza e occultismo non erano così nettamente delineate come avviene oggi (con alcune eccezioni: il matematico e filosofo William Kingdon Clifford, in una lunga recensione assai satirica del libro di Stewart e Tait, comparsa sul Fortnightly Review del giugno 1875, si chiedeva come mai, se erano possibili due eteri, "perché non quattro o cinque o sei? E allora perché solo due universi con il loro apparato di “mitologia cristiana – corpi spirituali, pieni di energia, angeli, arcangeli, incarnazione, demoni molecolari, miracoli e giudizi finali”?). Gli artisti come Boccioni, trovavano invece supporto per le loro teorie sia da fonti scientifiche che da fonti occultistiche, e le vibrazioni eteree, dai raggi X alle onde hertziane, erano un’area dove le due cose potevano facilmente marciare assieme. L’occultista francese Albert de Rochas, ad esempio, basò sugli scritti di Lodge sull’elettromagnetismo la sua teoria di proiezione delle emanazioni corporee come anche dei pensieri. 


Tra gli scienziati, i molto popolari Lodge e William Crookes, come l’astronomo e divulgatore francese Camille Flammarion, erano molto interessati alle implicazioni delle vibrazioni dell’etere con i fenomeni psichici come la telepatia. Nel discorso del 1897 tenuto alla Society for Physical Research, Crookes aveva presentato una “tabella delle vibrazioni” riprodotta di frequente negli anni successivi, indicando i vasti intervalli di onde vibranti nell’etere che sono invisibili all’occhio umano, il quale percepisce solamente la ristretta banda della luce visibile. Per gli occultisti, il modello vibratorio suggeriva anche che gli individui sensitivi potevano espandere la loro ricettività fino a percepire intervalli più grandi di vibrazioni: “se avessimo altre corde alla nostra lira, dieci o cento, o mille, l’armonia della natura si potrebbe trasmettere a noi in modo più completo di quanto sia oggi possibile, facendo sentire con tutte queste corde l’influsso della vibrazione” sosteneva Flammarion nel popolare libro del 1900 L’inconnu dedicato ai fenomeni paranormali: “L’ultima scoperta dei raggi Röntgen, così inconcepibile e così strana nella sua origine, dovrebbe illuminarci sulla limitatezza del campo delle nostre osservazioni abituali (…) Questo è in effetti uno degli esempi più eloquenti a favore dell’assioma che è antiscientifico sostenere che le realtà si fermano al limite delle nostre conoscenze e della nostre osservazioni”. Il testo di Flammarion, che aveva l’indicativo sottotitolo Manifestations de Mourants, Apparitions, Télépathie, Communications Psychiques, Suggestion Mentale, Vue à Distance, Le Monde des Rêves, La Divination de l'avenir riportava, come molti altri in quel periodo, un primitivo schema dello spettro elettromagnetico, sottolineando quanto piccolo fosse il campo della luce visibile. Oppure, come Crookes aveva dichiarato nella sua conferenza del 1898 alla British Association, “le vibrazioni dell’etere hanno poteri e attributi capaci di ogni cosa, anche la trasmissione del pensiero”

Nel Manifesto tecnico della pittura futurista dell’11 aprile 1910 Boccioni (con Carrà, Russolo, Balla e Severini), Boccioni considerava il pittore futurista un veggente, con accesso all'invisibile simile all'azione penetrante dei raggi X o alla visione di un medium spiritualista. Sia la scienza che l'occultismo, insieme all'influsso della pittura cubista francese nell'autunno del 1911, alimentarono la sua arte e la teoria futurista in via di sviluppo. 

Come molti altri all'inizio del secolo, Boccioni credeva fermamente nell'evoluzione della coscienza e sosteneva che i futuristi erano "i primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata", dotati di una "forza psichica che autorizza i sensi a percepire ciò che non è mai stato percepito prima." Egli attribuiva questo sviluppo alle "condizioni di esistenza alterate" prodotte dalla scienza contemporanea "con vapore, elettricità, carburanti per motori, onde hertziane e tutte le ricerche di chimica e biologia". In una conferenza del 1911 dichiarava: 
"Verrà un tempo in cui il quadro non basterà più: la sua immobilità sarà un anacronismo col movimento vertiginoso della vita umana. L'occhio dell'uomo percepirà i colori come sentimenti in sé: i colori moltiplicati non avranno bisogno di forme per essere compresi, e le opere pittoriche saranno emanazioni luminose, gas colorati, che sulla scena d'un libero orizzonte commuoveranno ed elettrizzeranno l'anima complessa d'una folla che non possiamo ancora concepire”
Le scoperte scientifiche come i raggi X e la radioattività sono parallele ai “fenomeni medianici” che tanto impressionarono Boccioni, compresa la “percezione delle emanazioni luminose dei nostri corpi. ... che sono già stati trovati sulla lastra fotografica”. La pittura della trasparenza ai raggi X che Boccioni aveva appreso dall'incontro con il cubismo nel 1911 gioca un ruolo nella smaterializzazione delle forme nel suo trittico del 1911, Stati d’animo. I quadri hanno come ambientazione una stazione ferroviaria ed evocano le emozioni delle persone nel momento della partenza. Nel dipinto Stati d'animo n.1 - Gli addii di quella serie, ad esempio, vedute trasparenti di vagoni ferroviari e coppie che si abbracciano si sovrappongono all'immagine centrale di una locomotiva. Lo spazio è composto in vorticosi e dinamici movimenti di linee di chiara ispirazione cubista, che vanno a scomporre e stilizzare lo spazio, i corpi e i vapori emessi dal treno. La composizione assume così l'aspetto di un vortice tumultuoso convergente verso il solo elemento statico del dipinto, il numero inciso sulla locomotiva al centro del quadro con il suo fanale rosso; inoltre è presente il volume di una caldaia in posizione frontale. Una coppia che si abbraccia è più volte raffigurata in vari punti della tela, sulla sinistra invece sono visibili i binari del treno ed un traliccio metallico, che rimanda all'evoluzione industriale. 


Sul modello della radioattività e delle teorie occultistiche riguardo alle emanazioni corporee, Boccioni dipinge atomi vibranti di materia che si smaterializzano in energia. Proprio come il popolare strumento di Crookes, lo spintariscopio, consentiva di vedere le emissioni di una scheggia di radio colpire uno schermo fluorescente, le pennellate divisioniste di Boccioni evocano il regno della materia atomica nel processo di trasformazione. L’idea di Bergson di una realtà come un flusso costante fu probabilmente una fonte per Boccioni, che citò l’affermazione di Bergson che “qualsiasi divisione della materia in corpi autonomi con contorni assolutamente definiti è una divisione artificiale”. Tuttavia, le discussioni sull’etere che compenetra (o addirittura compone) tutta la materia resero possibile pensare alla materia e allo spazio riempito di etere come gradazioni di un continuo. Come disse Boccioni nella lezione che tenne al Circolo Artistico nel 1911, “i corpi solidi sono solo atmosfera condensata”

Due opere, il dipinto Materia del 1912-1913 e la scultura Forme uniche di continuità nello spazio del 1913, servono particolarmente a dimostrare l'impegno di Boccioni nel rappresentare l'etere invisibile. Boccioni era profondamente interessato alla proiezione di stati d'animo per mezzo di vibrazioni e si riferiva in più occasioni alle onde hertziane. 

La figura al centro di Materia è l’amatissima madre dell’artista, Cecilia Forlani. Ė evidente anche dal titolo l’accostamento tra Mater e materia. La donna è seduta su un piccolo balcone del quale si scorge la balaustra in ferro battuto, mentre dietro di lei si estende la città, dove case e edifici sono resi con una tecnica vicino a quella cubista del 1909/1910. Il balcone che dipinge Boccioni è stato identificato con quello di via Adige 23 a Milano che ospitò il suo studio dal 1909 al febbraio 1913. La vista che si presentava da questa finestra era quella di una città sempre più moderna: Boccioni dipinge sia il mulino Besozzo-Marzoli del quale si riconosce una delle finestre binate, sia le ciminiere della centrale termoelettrica di piazza Trento. In questi ambienti era facile ravvisare folle di gente al lavoro con carri, cavalli e prime automobili. Per questo ai lati della madre sono raffigurate due figure in rosso acceso che rappresentano un cavallo e un lavoratore, i quali si fondono con il primo piano seguendo il principio della percezione simultanea. 


La madre pone le sue grandi mani in primo piano in una prospettiva distorta, una frammentazione delle percezioni, "l’irruzione dell’esterno verso l’interno”. Boccioni materializza l'”atmosfera" precedentemente immateriale e invisibile, creando “un nuovo tipo di corpo materiale che esiste tra un oggetto e l’altro”. Nei suoi scritti, Boccioni cita specificatamente “la teoria elettrica della materia, secondo la quale la materia è solo energia, elettricità condensata che esiste solo in quanto forza” e il suo dipinto testimonia la diffusa credenza che l’etere fosse qualcosa alla radice della materia. Se Boccioni rende la trama dell’etere materiale e palpabile, egli rappresenta l’etere tramite i segni delle sue onde vibratorie, tra le quali la luce visibile, che era citata in quel tempo come l’unica manifestazione dell’etere percepibile dall’occhio umano. 

Naturalmente, con la sua sensibilità futurista, Boccioni aggiunge altre bande di vibrazioni e così aggiunge al suo dipinto sprazzi di luce elettromagnetica, come gli inquietanti raggi simili a raggi X o i raggi ultravioletti che scendono da e sopra il soggetto dalla cima del dipinto. Questi raggi che articolano la superficie dipinta possono anche essere lette come le “linee di forza” futuriste e, data l’idea diffusa che le forze elettromagnetiche derivassero da vibrazioni dell’etere, come segni ulteriori dell’etere stesso. Descrivendo l’”atmosfera” dei quadri futuristi come “come il conduttore sensibile di forze dinamiche”, Boccioni sosteneva nel 1913 che “dev’essere chiaro… perché un infinità di linee e correnti sono emanate dai nostri oggetti, facendoli vivere in un ambiente che è stato creato dalle loro vibrazioni”

Le idee di Boccioni sulla materializzazione dell’etere invisibile erano basate sulle teorie scientifiche contemporanee, ma egli le ricavò, come si è visto, anche dalla letteratura occultistica sull’esteriorizzazione del pensiero e la materializzazione medianica. In una conferenza del 1911 aveva sostenuto “e così, se i corpi solidi danno origine a stati mentali per mezzo di vibrazioni di forme, allora noi possiamo disegnare quelle vibrazioni”. E nel suo saggio del 1914 Pittura scultura futuriste avrebbe dichiarato “Per noi il mistero biologico della materializzazione medianica è una certezza, una chiarezza nell’intuizione del trascendentalismo fisico e degli stati d’animo plastici”. Così, le vibrazioni eteree che si condensano attorno a sua madre in Materia sono presumibilmente quelle dello stato mentale della donna, compresa la memoria per immagini bergsoniana, come il cavallo sulla sinistra e l’uomo che cammina sulla destra. Allora queste tracce di memoria nell’etere possono essere considerate come corrispondenti alle “impressioni dagherrotipiche” della Blavatsky di una banca delle immagini cosmica ed eterea.

La volontà di Boccioni a rendere l'etere stesso palpabile come sostanza e come ultimo segno di continuità è più chiara nella sua scultura del 1913 Forme uniche di continuità nello spazio. Questa scultura riunisce nel tema della continuità l'impegno dell'artista per l'etere e la sua personale interpretazione della quarta dimensione dello spazio. Sebbene la filosofia bergsoniana sia alla base della convinzione di base di Boccioni nel continuum, il tema della continuità era centrale anche nella fisica vittoriana praticata da scienziati come Lodge. Nel suo libro del 1909 The Ether of Space, Lodge citava l'affermazione di Maxwell secondo cui "le vaste regioni interplanetarie e interstellari" dell'universo sono così "piene di questo meraviglioso mezzo... che nessun potere umano può rimuoverlo dalla più piccola porzione di spazio, o produrre il minimo difetto nella sua continuità infinita". Sembrerebbe che la continuità suggerita dalle proprietà spaziali della quarta dimensione e dall'etere siano alla base della materializzazione dell'invisibile in quest’opera. 


In Pittura scultura futuriste del 1914 Boccioni rivendica audacemente la quarta dimensione del futurismo, riformulandola in termini dinamici: 
"Se con l’intuizione artistica è possibile avvicinarsi al concetto di quarta dimensione, siamo noi futuristi che per primi ci avviciniamo. Infatti, noi con la forma unica che dà la continuità nello spazio creiamo una forma che è la somma degli svolgimenti potenziali delle tre dimensioni conosciute. Perciò non una quarta dimensione misurata e finita noi possiamo dare, ma una continua proiezione delle forze e delle forme intuite nel loro infinito svolgersi. Infatti, la forma unica dinamica da noi proclamata non è che il suggerimento d’una forma del moto che appare un istante per poi perdersi nell’ infinito succedersi della sua varietà.” 
L'artista potrebbe aver pensato a quella "forma dinamica unica" come a un'entità quadridimensionale che attraversa lo spazio tridimensionale, registrando una successione di apparenze diverse. Questo sarebbe l'analogo quadri-tridimensionale del modello di Hinton del passaggio di una spirale tridimensionale attraverso un piano bidimensionale, che si registrerebbe nel piano come il "movimento relativo" di un punto che segue un cerchio. In realtà quel punto sarebbe una successione di punti sulla spirale, definita quando la spirale si muove verticalmente nel suo “moto assoluto”. 


Eppure, l'obiettivo primario di Boccioni nella sua scultura sembra essere stato quello di incarnare la fisicità del mezzo di registrazione: in questo caso l'etere come controparte tridimensionale di un piano di registrazione bidimensionale. Come scrive altrove nel suo libro del 1914: 
“Noi vogliamo modellare l’atmosfera, disegnare le forze degli oggetti, le loro reciproche influenze, la forma unica della continuità nello spazio. Questa materializzazione del fluido, dell’etereo, dell’imponderabile; questa trasposizione nel concreto di quello che si potrebbe chiamare il nuovo infinito biologico e che la febbre dell'intuizione illumina, è forse letteratura? Tutte le ricerche umane nel nostro tempo non anelano forse verso questo imponderabile che è in noi, attorno a noi e per noi? Non dimentichiamo che la vita risiede nell’unità dell’energia, che siamo dei centri che ricevono e trasmettono, cosicché noi siamo indissolubilmente legati al tutto”. 
Se a un certo livello Boccioni ha legato l'"Infinito dispiegarsi" di forze e forme in Forme Uniche di Continuità a una quarta dimensione dello spazio, alla fine l'opera si pone anche come la sua materializzazione più riuscita dell'etere (con il suo particolare effetto di "trascinamento”) che distrugge definitivamente i confini chiusi della scultura. Come nel dipinto Materia, la scultura di Boccioni testimonia il suo impegno nell'inventare i nuovi linguaggi della forma e dello spazio che credeva fossero necessari alla scienza moderna. 

Militarista e interventista, questo giovane genio visionario partì volontario per il fronte nella Prima Guerra mondiale. Addetto alle bombarde alla periferia di Verona, venne disarcionato dalla sua cavalla da tiro, spaventata da un treno, batté la testa e, con un piede impigliato nella staffa, venne trascinato per parecchi metri. Il 17 agosto 1916 morì dopo una breve agonia, senza riprendere conoscenza. Aveva 34 anni.

lunedì 1 agosto 2022

Proletkult: scienza, arte e Rivoluzione

 


Kazimir Malevič, Bianco su bianco, (1918) 

L’energetica di Wilhelm Ostwald e il sistema di pensiero sull’organizzazione di Alexander Bogdanov influenzarono a tal punto l’arte dell’avanguardia russa nei primi cinque anni dopo la Rivoluzione che si può dire che formarono un paradigma per la pittura astratta russa tra il 1918 e il 1924 circa. 

Bogdanov e Ostwald erano ben noti prima della Rivoluzione. Dopo tale evento, quando gli artisti ebbero il compito di sviluppare un’arte nuova, razionale e demistificata, molti guardarono alle loro idee per un approccio scientifico che fosse esplicitamente congeniale al marxismo. Per Bogdanov la cultura, compresa la scienza, era un principio organizzativo della società, e inevitabilmente il prodotto del sistema sociale. Poiché pensava che una “egemonia culturale generale” della classe lavoratrice fosse cruciale per il successo delle rivoluzioni economiche e sociali, l’opera per sviluppare una cultura proletaria era per lui imperativo per sostenere la rivoluzione socialista. Prima dell'articolazione di Antonio Gramsci di una guerra culturale egemonica, Bogdanov era preoccupato che senza un'adeguata educazione socialista, le masse rivoluzionarie potessero inconsciamente tornare alle abitudini borghesi.

In Arte e classe lavoratrice (pubblicato nel 1918), Bogdanov sosteneva che l’arte è organizzata indipendentemente da ogni compito civile destinato all’artista e che il contenuto dell’arte è la vita nel suo complesso, senza limiti tematici. L’arte non solo difende gli interessi di una classe, ma piuttosto è necessariamente strutturata dalle sue origini di classe e adotta questo punto di vista a un livello fondamentale. La classe lavoratrice, secondo Bogdanov, non dovrebbe rifiutare l’arte del passato, ma comprenderla. Il proletariato deve possedere genuinamente la cultura del passato, compresa una consapevolezza analitica delle idee sottostanti. Pertanto, Bogdanov sosteneva un riesame delle arti e delle scienze per rivelare le loro contraddizioni e le promesse non mantenute come un necessario passo per lo sviluppo di arti e scienze nuove. Infine, Bogdanov immaginava un pensiero che fosse sostanzialmente liberato dal coinvolgimento emotivo, un pensiero più “oggettivo” che sarebbe servito nella costruzione di una nuova consapevolezza e quindi di una nuova arte. 

Bogdanov iniziò i suoi sforzi per avviare una nuova cultura proletaria prima della Rivoluzione, mentre era in esilio all'estero. Con Lunačarskij e Maxim Gorkij, lui stesso grande estimatore di Ostwald, diresse scuole per operai, prima nel 1909 a Capri (a casa di Gorkji) e l'anno successivo a Bologna. Sulla base di questa esperienza, dopo la Rivoluzione di febbraio e una settimana prima della Rivoluzione d'Ottobre a Pietrogrado, guidò l'istituzione del movimento della Cultura Proletaria (Proletkult). Per i successivi sei anni, il Proletkult organizzò scuole e seminari in tutto il paese. Nelle sedi si insegnava ai lavoratori a leggere, scrivere, a dipingere, a poetare e imparare la scienza, principalmente dal punto di vista organizzativo di Bogdanov. Gli studenti erano principalmente lavoratori; gli insegnanti erano spesso l'avanguardia letteraria e artistica prerivoluzionaria. 


Praesidium dell'organizzazione nazionale Proletkult eletto alla prima conferenza nazionale, settembre 1918. Seduti da sinistra a destra: Fedor Kalinin, Vladimir Faidysh, Pavel Lebedev-Polianskij, Aleksei Samobytnik-Mashirov, I. I. Nikitin, Vasili Ignatov. In piedi da sinistra a destra: Stefan Krivtso, Karl Ozol-Prednek, Anna Dodonova, N.M. Vasilevskj, Vladimir Kirillov. 

Sebbene all’inizio fossero nominalmente indipendenti, le scuole furono presto finanziate dal bilancio del Commissariato dell'Educazione (Narkompros), guidato da Anatolij Lunačarskij, amico e cognato di Bogdanov. Sebbene ogni centro del Proletkult fosse abbastanza autonomo e non esistesse un programma scolastico “ufficiale” fino al 1921, quando Lenin intervenne personalmente, Bogdanov fu attivamente impegnato nelle scuole, suggerendo programmi e spiegando e pubblicando le sue idee sul riesame della scienza, arte e cultura in libri e periodici finanziati dal Proletkult. Anche dopo le denunce di Lenin, che vedeva con diffidenza questo sfogo di creatività rivoluzionaria, i laboratori del Proletkult continuarono a esplorare le idee organizzative e tektologiche di Bogdanov sull’arte e nelle questioni culturali; a Mosca questa sezione fu guidata dall'artista e teorico costruttivista Nikolai Tarabukin.

Immediatamente dopo la Rivoluzione, l'avanguardia artistica e l'organizzazione del Proletkult avevano due punti in comune: entrambi cercavano la creazione di una nuova arte, ed entrambi chiedevano la separazione dell'arte dallo stato. Nel suo rapido consolidamento all'interno della struttura del Ministero dell’Educazione, il Narkompros, l'avanguardia operò all'interno di un'organizzazione che forniva anche al Proletkult un supporto finanziario e politico affidabile, perché era guidato da Lunačarskij. Ciò portò inevitabilmente a un notevole conflitto di interessi. Non c'è da stupirsi che molte scuole del proletariato nutrissero inclinazioni d'avanguardia nella teoria e nella pratica dell'arte. Sebbene né il gusto personale di Lunacharsky né quello di Bogdanov fossero inclini al futurismo o al costruttivismo, entrambi gli uomini si trattennero dal sostenere uno stile o un approccio particolare per la nuova arte. 

Una delle esposizioni più articolate della filosofia di Bogdanov fu avanzata dal critico e teorico Nikolai Punin, che dirigeva la Sezione di arti visive di Pietrogrado del Narkompros. Le sue lezioni, lette agli insegnanti nell'estate del 1919, seguivano da vicino le idee e la terminologia di Bogdanov. Punin mise in risalto la cultura delle macchine, il pensiero sistemico, l'organizzazione, l'efficienza, il metodo, le immagini astratte e l'opera d'arte come una forma elevata di cognizione umana. 

L’artista pietroburghese Maria Ender descriveva l'intero mondo naturale come un flusso di energie: 
“Un albero è saturo di energia solare. I rami sono disposti lungo l'energia solare più intensa, le radici, lungo il percorso dei sali più intensi della forza terrestre. La foresta rivela la saturazione dello spazio in tre dimensioni; cattura le forze della vita. L'immagine del gelo sul finestrino è una corrente di forza catturata sul piano Voglio cogliere la direzione. Il corpo nasce dagli incontri dei vari movimenti. Non ci sono confini: la connessione delle cose. Le cose sono noduli di varie energie”. 

Maria Ender, Esperimento con una nuova dimensione spaziale (1920) 

Nel dicembre 1915, all'ultima mostra futurista di dipinti 0.10 (zero-dieci) a Pietrogrado (ora San Pietroburgo), Kazimir Malevič svelò una modalità radicalmente nuova di pittura astratta che abbandonava ogni riferimento al mondo esterno a favore di forme geometriche colorate fluttuanti su sfondi bianchi. Poiché il suo nuovo stile rivendicava la supremazia sulle forme della natura, lo chiamò "Suprematismo". In un volantino distribuito in occasione della mostra, Malevič scriveva: “Mi sono trasformato nello zero della forma, ho distrutto l'anello dell'orizzonte e sono fuggito dal cerchio delle cose, dall'orizzonte-anello che confina l'artista e le forme della natura." Poiché il suprematismo rifiutava le illusioni deliberate della pittura rappresentativa, Malevič lo vedeva come una forma di realismo ("nuovo realismo pittorico" era il suo termine) e diceva che il suo soggetto erano i componenti di base del linguaggio della pittura, come colore, linea e pennellata. Le unità di base di questo vocabolario visivo erano piani, allungati, ruotati e sovrapposti. Per Malevič, gli sfondi bianchi su cui sono erano rappresentato mappavamo lo spazio illimitato dell'ideale. 

Come un ricercatore, Malevič parlò sempre di questo evento come di una scoperta piuttosto che di un'invenzione, e trascorse il resto della sua vita cercando di spiegarne il significato. La sua conclusione visiva radicale nel suprematismo fu, infatti, raggiunta nel corso della sperimentazione di idee mistiche e simboliste, una ricerca di un modo per trasmettere nell'arte un ordine superiore di realtà. Pur essendo arrivato al suprematismo con altri fini, Malevič ne riconobbe il carattere storico radicale e, nel tentativo di spiegare il profondo significato del movimento per l'arte, reinterpretò ripetutamente il suprematismo come visione del mondo. 


Kazimir Malevič, Composizione suprematista (1916) 

Il suo incontro principale con le idee di Ostwald e Bogdanov può essere datato approssimativamente alla fine del 1918 o all'inizio del 1919, proprio nel momento in cui molti artisti stavano tentando di capire che cosa avrebbe potuto essere un'arte marxista, che cosa poteva rappresentare tale arte e come poteva essere rappresentata. In una conferenza al Proletkult nel 1920 Malevič disse al suo pubblico: "La nuova conclusione suprematista porta a nuovi sistemi, al di là del groviglio di oggetti, a una forza di movimento puramente energetica". L'energia di Ostwald offriva a Malevič un modo per continuare la sua ricerca prerivoluzionaria dell'invisibile e dell'immateriale, agganciandola alla "realtà" del concetto scientifico di energia. La nuova centralità per il suprematismo è facilmente evidente negli appunti di Malevič per una conferenza: “Lo sviluppo dell'energia primaria… Il dinamismo della forma di energia primaria. L'esplosione. L'accumulo di elementi in una fitta rete energetica come espressione di dinamismo.... Il colore come mezzo per esprimere un geometrismo dinamico della forma… Il bianco come massima espressione di energia geometrica”


Kazimir Malevič, Quadrato nero (1915) 

Durante questo periodo, i colori per Malevič erano indicatori dei livelli di energia, presenti nel mondo come movimento e forza universale. Come Oswald, Malevič sviluppò anche un'interpretazione socio-energetica dei colori, che riteneva fossero caratteristici di particolari gruppi sociali. Malevič era così preso da una visione del mondo termodinamica, che quando gli fu chiesto di suggerire un programma per la nuova scuola d'arte di Vitebsk alla fine del 1919, divise la facoltà in tre dipartimenti: statica, velocità e dinamica. Nel dipartimento di statica, dove gli studenti avrebbero dovuto studiare per due anni, le materie hanno un tono spiccatamente bogdanoviano: “Statica: geometria della forma. La composizione di forme contrastanti.... Costruzione. Sistema. Storia del sistema. Teoria dei sistemi”. E quando divenne direttore del Museo della Cultura Artistica di Pietrogrado nel 1923, pose lo studio dei "sistemi" dipinti (cioè i dipinti) come uno dei suoi obiettivi primari. 

Come Malevič, Ljubov Popova menziona per la prima volta l'energia alla fine del 1918 o all'inizio del 1919. "Struttura nella pittura = la somma dell'energia delle sue parti", scrisse in un commento per un catalogo, ma a differenza di Malevič, che cercò di interpretare la pittura già esistente, per la Popova l’interesse per l'energia era diretto al suo lavoro in corso. Il grande dipinto intitolato Costruzione pittorica (1920), alto più di un metro e mezzo, è diverso da qualsiasi opera precedente di Popova. Questa rappresentazione di uno spazio profondo in movimento violento, con spirali che salgono lungo una diagonale per l'intera altezza della tela, e frecce e zig-zag che colpiscono verso il basso tra grandi strisce colorate rotanti, è chiaramente un dipinto sull'energia: l'immagine di Popova del mondo energetico. "Il colore partecipa all'energia per il suo peso", scriveva, e "Energetica = direzione dei volumi + piani e linee o loro tracce + tutti i colori". 


Ljubov Popova, Composizione pittorica (1920) 

I molti collegamenti con il Proletkult portarono i frutti migliori nella teoria e nel lavoro creativo del costruttivismo. Organizzati nel 1921 nelle discussioni tenute all'Istituto di cultura artistica di Mosca, i costruttivisti crearono un linguaggio visivo astratto e materiale che rifiutava l'illusione e i riferimenti soggettivi o spirituali. Gli artisti costruttivisti scelsero di adottare un vocabolario visivo che sentivano scientifico o "oggettivo" ed espressero interesse per l'energia, l'efficienza e le relazioni astratte, producendo un corpo di opere che era concreto, materiale ed esemplare delle metastrutture della tecnologia di Bogdanov. "Il costruttivismo è una nuova scienza", sostenne l'artista Georgij Stenberg: "Il costruttivismo è il mezzo di sviluppo culturale del mondo, che insegna che l'ingegneria è economica, efficiente e sociale". Non c'è espressione più concisa del modello sottostante al costruttivismo dello slogan comparso nel catalogo della mostra Konstruktivizem (Costruttivismo) da Stenberg e Medunetsky nel gennaio 1922: “Il Costruttivismo condurrà l’umanità a padroneggiare un massimo di valori culturali con il minimo dispendio di energia”

"Qui in Russia", scriveva Popova, "nel momento socio-politico in cui stiamo vivendo, l'obiettivo della nuova sintesi è diventato l'organizzazione come principio per qualsiasi attività creativa, compreso il design artistico". Come Bogdanov, immaginò una disciplina distinta e separata che "ricerca in modo speciale le leggi dell'organizzazione degli elementi - di tempi diversi o dello stesso tempo - e i sistemi della loro organizzazione"

Col tempo, Popova e Aleksandra Aleksandrovna Ėkster svilupparono un insolito stile diagrammatico, dove le linee rette e tratteggiate sembrano indicare un movimento o un processo misurato e organizzato all'interno di un sistema razionalizzato. 


Aleksandra Ėkster, Composizione (1921) 

 I costruttivisti si dedicavano alla creazione di oggetti d'arte che avrebbero organizzato il nuovo uomo sovietico in una direzione collettiva verso il socialismo. Cercavano di creare i progetti e gli oggetti dell'arte proletaria come fusione di essere umano, tecnica, scienza e vita quotidiana basati sul principio della concordanza delle parti, delle forme e dei materiali. 

Per i costruttivisti il concetto di “organizzazione” come metodo di combinazione di elementi attivi era un'idea e uno stimolo potente. I modelli tecnici dimostravano i modi pratici per gli artisti di costruire un complesso di "arte di produzione" al fine di adempiere al comando politico che richiedeva agli artisti proletari di fornire oggetti d'arte pratici e funzionali. 

Nel 1922 Alekseiy Gan pubblicò l'opera rivoluzionaria Costruttivismo, in cui inserì lo slogan "lavoro, tecnica e organizzazione!" Bogdanov parlava del “lavoratore-organizzatore”, i costruttivisti dell'“artista-organizzatore”: entrambi i modelli implicavano il lavoro collettivo. I costruttivisti vedevano il lavoro artistico collettivo come un percorso verso il socialismo. 

L'artista costruttivista era un "artista-organizzatore", un "artista-operaio", un membro del collettivo proletario, che organizzava e creava un oggetto d'arte organizzata nella produzione collettiva. Il prodotto dell'arte del lavoro costruttivista figurava come un complesso organizzato nel senso di Bogdanov. 

Il grande regista Ėjzenštejn promosse una stretta alleanza tra Proletkult e LEF (Fronte sinistro delle arti), un gruppo costruttivista di Mosca guidato da Osip Brik e Vladimir Majakovskij. Teorici come Nikolai Tarabukin e Boris Arvatov, che erano istruttori del Proletkult di Mosca, dipendevano fortemente da Bogdanov per i loro concetti di arte proletaria, creatività collettiva e riesame programmatico degli elementi strutturali dell'arte precedente. 

Altri pittori affrontarono il tema dell'energia in modo diverso: Vladimir Stenberg suggeriva una specie di plasma magnetico, Alexander Rodčenko, poi grande fotografo e autore di manifesti, realizzò una serie di dipinti che esplorano la luce come creatrice di forme. 


Alexander Rodčenko, Lilja Brik (Ritratto per un manifesto pubblicitario - Lengiz: Libri per tutti i campi della conoscenza (1924) 

Diversi altri astrattisti si rivolsero alla questione della luce e della luminosità. Sotto l'influenza dell'ingegnere missilistico e filosofo Konstantin Ciolkovskij, che conosceva personalmente, Ivan Kudriašev sviluppò uno strile di astrazione cosmica che chiamò pittura spaziale. Dalla metà degli anni '20 Kudriašev si interessò in particolare al movimento e ai lampi di luminescenza nello spazio cosmico. Dipinse forze dinamiche, dando titoli alle opere che si riferivano a percorsi di movimento attraverso lo spazio profondo. Sebbene non fosse direttamente associato alla termodinamica, Kudriašev rese esplicita la comprensione dell'astrazione condivisa da molti pittori russi dell'epoca: 
“La pittura nella forma definita nel mio lavoro cessa di essere una costruzione colore-forma astratta, [piuttosto lo è] diventando un'espressione realistica della percezione contemporanea dello spazio... Spazio, volume, densità, e la luce - e la realtà materiale - questo è qualcosa di sostanzialmente nuovo che oggi è stabilito dalla pittura spaziale." 

Ivan Kudriašev, Traiettoria orbitale di un pianeta che si lancia verso il Sole (1926) 

Kliment Redko si interessava allo stesso modo della rappresentazione della luminosità, trasmessa da aree di superficie di colore brillante. Per questi pittori, la rappresentazione degli effetti luminosi incarnava le recenti spiegazioni scientifiche della loro origine e dei loro meccanismi e sottolineava l'abbraccio degli artisti alla visione materialistica del mondo. "Un dipinto", scrisse Redko, "è un organizzatore di fenomeni atmosferici" e "L'aurora boreale è un indicatore di una nuova base scientifica di luminosità nell'energia della luce"


Kliment Redko, Sole di mezzanotte (Luci del Nord), 1925 

Malevič, tuttavia, che non andava d’accordo con Redko ed era sempre acutamente consapevole della mutevolezza delle idee, commentò sarcasticamente: 
“Dopo molti sforzi sono riusciti a svelare e definire la causa dell'aurora boreale; in una versione scientifica si dice che la causa principale di questo fenomeno sia l'azoto, il quale, presente negli strati superiori dell'atmosfera, assume a bassa temperatura una forma cristallina, rifrangendo i raggi solari o elettrici, ed emette un colore verde luce caratteristica dell'aurora boreale ... Di conseguenza viene confutata la definizione passata, cioè che la causa dell'aurora boreale è Dio che, diciamo, abbassa la barba che trasuda luce.... Se la nuova scienza dell'azoto, del radio e dell'etere considera la causa di molti fenomeni, scoprirà così tutta una serie di quei poteri che erano chiamati Dio dispersi in tutti i fenomeni. Non ci sono motivi per pensare che, dopo questa successiva scoperta dell'azoto come causa dell'aurora boreale, non si troverà un nuovo responsabile in futuro. Né Dio né l'azoto, né X saranno responsabili: l'azoto e Dio saranno un malinteso da parte delle scienze religiose e ... delle scienze materiali ... Oggi è Dio, domani Azoto, il giorno dopo una nuova X, e tutti i nomi e le X formeranno la somma totale delle incomprensioni”. 
 Un gruppo più giovane di pittori astrattisti, tra i quali proprio Redko, che si definivano “Il Metodo” o “Proiezionisti” furono i più fedeli seguaci di Bogdanov, i suoi più attenti allievi e, alla fine, gli ultimi rappresentanti della pittura astratta in Russia per un lungo periodo, ma di loro parlerò casomai un’altra volta. Il Prolekult era infatti diventato un corpo esterno alla dottrina del partito comunista e fu sciolto nel 1932 e io non voglio andare contro il compagno Segretario Josip Stalin, con il quale mi conviene concordare pienamente e sinceramente.