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martedì 1 novembre 2022

Alfonso Ceccarelli, falsario punito

 


Medico di Bevagna, nel perugino, Alfonso Ceccarelli (1532-1583) si è meritato tanti epiteti negativi da parte degli storici ed eruditi per la sua irrefrenabile attività di falsario che ha avuto nefaste conseguenze sul loro lavoro per secoli. Ludovico Muratori lo definì semplicemente “impostore”, per Girolamo Tiraboschi fu “il più grande falsario del suo secolo e non solo, ma di tutti i tempi”.

Ceccarelli diede subito prova della sua inclinazione già nelle prime opere: nel breve saggio De Clitumno flumine celeberrimo (1564) citava Flavio Vopisco, che mai si era occupato dell’argomento e il geografo Gabinio Leto, inesistente. Nello stesso anno pubblicò un piccolo trattato sul tartufo nero e la sua diffusione regionale, dal titolo Opusculum de tuberibus, tuttora considerato il primo libro di micologia che sia stato stampato, privo tuttavia di rilevanza scientifica. Divenne intimo con la famiglia Monaldeschi di Orvieto, cui riservò uno dei falsi più importanti: una storia famigliare poi data alle stampe. Tra il 1564 e il 1569 lavorò alacremente, in archivi e biblioteche pubbliche e private, a raccogliere i materiali (bolle, diplomi, testamenti, cronache, atti pubblici e privati) per i suoi progetti e allestì una sorta di laboratorio privato per la contraffazione di documenti e testi: pergamene, coloranti, falsi sigilli, elenchi e prontuari cronologici di papi, imperatori, re, vescovi, famiglie rilevanti, cui affiancava l’invenzione pura e semplice di autori e opere mai esistiti ma destinati a diventare fonti autorevoli. Confezionava così testi ”antichi” ricchi di fantastiche ricostruzioni storiche, inframezzate con alcune notizie vere ed altre false, a volte verosimili, tanto che spesso è difficile distinguere le une dalle altre.

Tra il 1569 e il 1572 preparò falsi a favore dei Podiani di Rieti e dei Cybo di Massa; nel 1574 si trasferì a Roma, a casa di Ersilia Cortese, nipote di Giulio III, diventò medico della famiglia Boncompagni e quindi anche di Gregorio XIII; attingendo all’ampio arsenale di materiali storico-archivistici, autentici e falsi, accumulato negli anni precedenti e arricchito da biblioteche e archivi delle famiglie romane, si lanciò in una frenetica attivitâ di redazione di documenti, testi e compilazioni genealogiche, completamente o parzialmente falsi, a favore di casate nobili, o aspiranti tali, di Roma e di mezza Italia: intere comunitâ (ad esempio Teano, Pesaro, Gubbio), grate per gli incrementi di prestigio storico derivanti dalle sue mirabolanti “scoperte”, gli conferirono la cittadinanza onoraria.

L’inventivo medico di Bevagna si dilettava anche di astrologia e compilava richiestissimi oroscopi, anche sul papa regnante; una sua falsa profezia, attribuita al monaco irlandese Malachia, vescovo di Armagh, sulla successione dei papi da Celestino II alla fine dei tempi, circola in Europa da allora e viene citata dalla stampa ad ogni conclave (Francesco sarebbe però l'ultimo papa). Il colpo da maestro fu il falso diploma di Teodosio che confermava la Donazione di Costantino, base del potere temporale del Papato, ma che venne accolto con comprensibili cautela e scetticismo, dopo che l’umanista Lorenzo Valla aveva dimostrato la falsità di tale documento già nel secolo precedente.

Al vertice di questa brillante camera di falsario, Ceccarelli compì un azzardo irreparabile; falsificò alcuni testamenti che coinvolgevano forti interessi patrimoniali di famiglie importanti e le parti lese lo denunciarono: seguirono in pochi mesi l’arresto, la scoperta del suo laboratorio di falsi, il processo, il vano memoriale di difesa, la condanna a morte, la decapitazione (9 luglio 1583). Si è scritto, ma la sentenza di condanna non ne fa cenno, che prima di essere giustiziato gli era stata mozzata la mano destra. Alla condanna seguì la confisca dei beni, compresa la copiosa raccolta di lettere e documenti ora conservati nella Biblioteca apostolica vaticana.

La sua tecnica falsificatoria era semplice ed efficace: per diplomi, bolle e brevi modificava e adattava originali autentici; per atti privati creava copie fittizie, autenticate, di originali dichiarati perduti o inaccessibili; altre volte alterava testi genuini e li faceva circolare in altri scritti. II suo capolavoro era perö la creazione di autori fittizi di opere fittizie: una volta creati e collocati nella nota biblioteca di una famiglia autorevole, i documenti erano utilizzati per fini truffaldini sotto forma di estratti (eventualmente autenticati), poi puntualmente citati in storie e compilazioni a loro volta “autorità" per ulteriori lavori dello stesso falsario o per i malcapitati storici degli anni seguenti. Nacquero così il geografo Gabino Leto, Fanusio Campano, autore nel 1453 di un fantomatico Libro delle famiglie illustri d'Italia, Giovanni Selino, che avrebbe scritto nel 1393 un De memorabilium mundi, e tanti altri. Sono ben 51, compresi molti di cui menziona solo il nome o il titolo dell’opera, gli autori inventati dalla fertile fantasia di Ceccarelli: per un po’ di tempo eruditi d'ogni parte d'Italia impazzirono a cercare riscontri di tanti autori sconosciuti. La cultura storica e la competenza paleografica del Ceccarelli erano discrete, ma modeste le competenze su lingua, istituzioni, cronologia dell'età medievale. Tuttavia, questo vale anche per i “clienti” e gli eruditi suoi contemporanei.

L’elenco dei falsi, confezionati in poco meno di vent’anni, è imponente; tra i principali le Memorie di Rieti, il Simulacro delta illustrissima famiglia Boncompagni. le storie delle famiglie Crescenzi, Caposucchi e Conti, l'Historia Ecclesiastica Ecclesiae mediolanensis, il Simolacro dell'antichissima e nobilissima casa Cybo, gli annali in volgare di Lodovico Monaldeschi (a stampa, nel 1580, col titolo di Historia di casa Monaldesca), i tre volumi de La serenissima nobiltà dell'alma città di Roma, una specie di summa della sua attività falsaria in campo storico-genealogico e tanti altri. Rimasti inediti, salvo la storia dei Monaldeschi, i falsi di Ceccarelli finirono nelle biblioteche e archivi, pubblici e privati, di Roma e di altre città e famiglie nobili italiane e contaminarono per anni e talvolta per secoli la storiografia locale.


I danni arrecati alla verità storica da questo audace e geniale falsario furono moltissimi: da lui attinsero senza sospetti molti autori di storie municipali; i suoi falsi alterarono, almeno per un certo tempo, la storia ecclesiastica di Ferrara, Milano, Bologna e Genova, che si videro attribuiti vescovi mai esistiti. Esemplare il caso del
Liber instrumentorum del notaio Saladino de Castro di Sarzana (1293-95), repertorio di atti e strumenti ricco di notizie sulla vita civile, religiosa, economica della Lunigiana nel secolo XIII (compreso un inesistente vescovo di Genova, Eustachio Savinis). Passato indenne tra la maglie dell’erudizione storica locale del Seicento all’Ottocento, nel Novecento fu largamente utilizzato dagli studiosi del “giornale storico della Lunigiana” e solo nel 1958 una puntuale analisi storica, paleografica, diplomatica e linguistica lo ha relegato tra i falsi conclamati.

Il primo erudito a svelare i suoi imbrogli fu, nel 1642, Leone Allacci, nello stesso libro in cui denunciava i falsi etruschi di Curzio Inghirami; due anni dopo Ferdinando Ughelli definiva sogni di una testa malata le fonti citate da Ceccarelli, ma poi bisogna aspettare Muratori e Tiraboschi per vederlo inserito a pieno titolo nella categoria degli "impostori"; è suggestivo ricordare le giustificazioni dei suoi falsi nel Libello supplice inviato al giudice durante il processo: in favore della Chiesa, “pro confirmatione veritatis” è lecito produrre passi non solo da libri veri e canonici ma anche "apocrifi”, i falsi privilegi imperiali sono “non contro la verità" ma “per la verità”. Insomma, gli errori, e quindi i falsi, “in fide et in credendo in favorem fidei Christianae et Ecclesiae Catholicae Romanae” (con evidente riferimento al diploma confermativo della Donazione di Costantino) erano irrilevanti. Il giudice papale non la pensò così e firmò la condanna al patibolo.

domenica 9 dicembre 2018

Newton ci rassicura: la fine del mondo non sarà prima del 2060


Siamo abbastanza abituati alle dichiarazioni di sventura, dagli scienziati che predicono la sesta estinzione di massa a causa degli effetti del cambiamento climatico, agli estremisti religiosi che proclamano l'apocalisse (o lo stesso riscaldamento globale) a causa dell’eccesso di peccato. È quasi impossibile immaginare questi due gruppi di persone d'accordo su qualcosa di diverso dal sinistro portento dei loro rispettivi messaggi. Ma, agli albori della rivoluzione scientifica non era affatto insolito trovare entrambi i tipi di ragionamento, o di irragionevolezza, nella stessa persona, assieme a credenze in magia, divinazione, astrologia, ecc. 

Anche in questo vortice di pensieri e pratiche eterodosse, Isaac Newton si distinse con una strana coesistenza di profezia biblica esoterica, credenze occulte e matematica rigida e formale, che non solo aderì al metodo scientifico induttivo, ma estese anche il suo potenziale, applicando assiomi generali in casi specifici. Ciò nonostante, mentre stava formulando il principio di gravitazione universale e le tre leggi del moto, ad esempio, egli cercava anche la Pietra Filosofale e tentò di trasformare il metallo in oro. Inoltre, il devoto Newton scrisse trattati teologici che interpretavano le profezie bibliche e predicevano la fine del mondo. 

Newton sembrava fiducioso delle sue predizioni in questo campo come lo era nel mondo razionale della scienza. In una lettera esposta nel 2015 all'Università ebraica di Gerusalemme, Newton descrive la sua idea: 
“Quindi i tempi e la metà dei tempi sono 42 mesi o 1260 giorni o tre anni e mezzo, calcolando dodici mesi per un anno e 30 giorni per un mese come è stato fatto nel calendario dell'anno primitivo. E, sostituiti agli anni dei regni vissuti i giorni delle Bestie di breve durata, il periodo di 1260 giorni, se datato dalla completa conquista dei tre re dell'800 d.C., terminerà l'anno 2060 d.C. Potrebbe finire più tardi, ma io non vedo alcuna ragione perché termini prima”. 
Secondo gli esperti, la lettera di Gerusalemme sarebbe stata scritta dopo il 1704, e la scrittura malferma suggerisce una data piuttosto tarda nella vita di Newton. Egli dimostra la sua fiducia nella frase finale, scrivendo che il suo intento, "anche se non è di assicurare" una risposta, dovrebbe in ogni caso "porre fine alle sconsiderate congetture di uomini fantasiosi che spesso predicono il tempo della fine". Ma come è arrivato a questo numero? Newton ha applicato un metodo rigoroso, questo è certo.

Per Newton, la profezia biblica prevede gli eventi divinamente ordinati del futuro. Era certo che l'interpretazione della profezia biblica fosse non indifferente, ma un dovere della più grande importanza. La profezia permetteva a Newton di vedere la storia in anticipo. Identificò anche un sistema malvagio e apostata (Babilonia) che i puri cristiani devono fuggire per evitare la distruzione e l'ira di Dio. 

Egli credeva sia in Dio che nella Bibbia come rivelazione divina. Pensava anche che Dio non fosse legato dal tempo come gli umani, permettendogli di vedere la "fine dall'inizio". Quindi, per usare le stesse parole di Newton, era convinto che "le sacre profezie" della Scrittura non fossero nient'altro che "storie di cose a venire". Allo stesso tempo, la profezia biblica è scritta in un linguaggio altamente simbolico che richiede un'interpretazione qualificata. Newton fece proprio questo obiettivo mentre tentava di scoprire il futuro del mondo con le parole dei profeti. 

Newton era preoccupato che il tracollo delle fallibili previsioni umane basate sulla profezia divina avrebbe messo in discredito la Bibbia. Ironia della sorte, in una delle due volte in cui Newton annotò la data del 2060, inveiva contro chi arrischiava date sulla fine del mondo. Newton potrebbe essere stato sbalordito se avesse saputo che la sua previsione sarebbe stata diffusa in tutto il mondo nel ventunesimo secolo. I suoi calcoli sulla data del 2060 erano infatti riflessioni private fatte su un pezzo di carta non destinato al pubblico. 


Come molti commentatori profetici della sua epoca, Newton credeva che i periodi profetici di 1260, 1290, 1335 e 2300 giorni rappresentassero effettivamente 1260, 1290, 1335 e 2300 anni, usando il "principio del giorno per anno". 

Per Newton questi periodi (in particolare i 1260 anni) rappresentavano l'arco temporale dell'apostasia della Chiesa (per Newton ciò significa la Chiesa cattolica). Così, cercò nella storia la probabile data in cui l'apostasia era iniziata formalmente (un segno per lui era la data in cui la chiesa papale otteneva il potere temporale). Da lì era semplice aggiungere il periodo di tempo alla data di inizio. Tuttavia, le cose sono raramente così semplici con Newton. Come già accennato, Newton raramente stabilì la data di fine per un periodo di tempo, una volta che aveva stabilito una data di inizio. C'è un piccolo numero di eccezioni, e la data 2060, trovata due volte nella lettera di Gerusalemme, è una di queste. La data 2060 è anche significativa perché, oltre alla rarità delle date di fine negli scritti di Newton, il calcolo che dà la data del 2060 compare abbastanza tardi nella sua vita e viene affermato con insolito vigore. 

Trovare la data di inizio era di grande importanza per Newton, poiché, una volta aggiunti i periodi profetici a questa data, era in grado di determinare quando i grandi eventi apocalittici della fine del mondo sarebbero accaduti. 

Ma da dove trasse i periodi profetici? Soprattutto da Daniele: il periodo di tempo di 1260 giorni appare in Daniele 7:25 (come "un tempo e tempi e la divisione del tempo" [= un anno, due anni e mezzo]), Daniele 12: 7 (come "un tempo, i tempi, e mezzo "[= un anno, due anni e mezzo anno]), Rivelazione 11: 3 (1260 giorni), Rivelazione 12: 6 (1260 giorni) e Rivelazione 13: 5 (42 mesi). Il periodo di tempo 1290 giorni appare in Daniele 12:11. Il periodo di tempo 1335 giorni appare in Daniele 12:12. Il periodo di tempo di 2300 giorni si trova in Daniele 8:14. Newton optò per il periodo più breve, ma si premurò di precisare che quella scelta indicava solamente un terminus post quem: “Potrebbe finire più tardi, ma io non vedo alcuna ragione perché termini prima”. Nonostante gli sforzi degli attuali governi mondiali, insomma, per un’altra quarantina d’anni, male che vada, possiamo stare tranquilli. 

L’operazione di Newton non comportò l'uso di nulla di "complicato" come i suoi calcoli infinitesimali, ma l'aritmetica piuttosto semplice che potrebbe essere eseguita da un bambino. A partire dal 1670, continuando fino alla fine della sua vita nel 1727, Newton considerò diverse date di inizio per l'istituzione formale dell'Apostasia, cioè la Chiesa romana. Le date di inizio considerate inizialmente furono il 607 e il 609, ma, invecchiando, Newton spinse il tempo della fine sempre più lontano nel futuro. Nel manoscritto di Gerusalemme, Newton fornisce per due volte l’anno 800 per l'inizio della "supremazia del Papa". L'anno 800 è significativo poiché è l'anno in cui Carlo Magno fu incoronato imperatore da papa Leone III a San Pietro a Roma. Poiché Newton credeva che i 1260 anni corrispondessero alla durata della corruzione della Chiesa, aggiunse 1260 a 800 d.C. e arrivò alla data 2060 per la "caduta di Babilonia", la cessazione della Chiesa cattolica. Sembra che Newton credesse che la caduta potesse forse iniziare un po’ prima della fine del periodo di 1260 anni e continuare per un breve periodo dopo. Qualunque sia la cronologia precisa, Newton pensava che qualche tempo dopo la caduta della chiesa corrotta (trinitaria, cattolica), Cristo sarebbe tornato e avrebbe istituito un regno di Dio di 1000 anni sulla terra. A pagina 144 delle sue osservazioni (1733), Newton citò Daniele 7: 26-27 come prova di ciò: 
"26 Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. 27 Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno".  
Newton sposò un'escatologia millenarista e così sostenne che Cristo sarebbe tornato sulla terra per stabilire il Millennio. 


Cosa credeva che sarebbe accaduto intorno al 2060? Newton era convinto che Cristo sarebbe tornato intorno a questa data e avrebbe stabilito un Regno globale di pace. Anche "Babilonia" (la corrotta Chiesa romana) sarebbe caduta, e il vero Vangelo sarebbe stato predicato apertamente. Prima della Seconda Venuta, gli ebrei sarebbero tornati in Israele secondo le previsioni fatte nella profezia biblica. Anche il Tempio sarebbe stato ricostruito. Un po’ prima, o attorno al tempo del ritorno di Cristo, la grande battaglia di Armageddon sarebbe avvenuta quando una serie di nazioni (la "confederazione di Gog e Magog" della profezia di Ezechiele) avrebbe invaso Israele. Cristo e i santi sarebbero quindi intervenuti per stabilire un regno di Dio di 1000 anni in tutto il mondo. Citando il profeta Michea, Newton credeva che questo Regno avrebbe inaugurato un periodo di pace e prosperità, un periodo in cui le persone avrebbero "trasformato le loro spade in vomeri e le loro lance in falci" e "le nazioni non avrebbero alzato la spada contro un’altra nazione, né avrebbero più conosciuto la guerra" (Michea 4: 3). Newton credeva che ci sarebbe stato un esito positivo alla guerra e alla distruzione che si sarebbe verificata alla fine dei tempi. Newton prese sul serio la visione profetica della pace mondiale trovata in Isaia 2 e Michea 4, una visione che vede Gerusalemme come l'inizio della pace. È quindi forse appropriato che la più grande collezione di documenti profetici di Newton si trovi ora a Gerusalemme. 

Newton non era uno "scienziato" nel senso moderno del termine. Era invece un "filosofo naturale". La filosofia naturale includeva non solo lo studio della natura, ma anche lo studio della mano di Dio sull'opera della natura. Newton aveva un’idea di filosofia naturale che vedeva la scoperta di Dio e dei suoi attributi come il suo fine principale. Per questo motivo, qualsiasi studio serio sulla filosofia naturale di Newton deve includere una comprensione delle sue opinioni teologiche. Per esempio, i famosi concetti di Newton sullo spazio e il tempo assoluti erano fondamentalmente basati sulla sua idea dell'onnipresenza di Dio e della durata eterna. È anche chiaro dai suoi manoscritti privati che Newton riteneva che il filosofo naturale ideale sarebbe stato anche un sacerdote della natura. Per Newton, non esisteva una barriera impermeabile tra la religione e ciò che ora chiamiamo scienza. Durante tutta la sua lunga vita, Newton si sforzò di scoprire la verità di Di,  sia nella Natura che nella Scrittura. Pur riconoscendo distinzioni disciplinari, Newton credeva che la verità fosse una. Quindi, lo studio di Newton sulla natura e le Scritture erano in un certo senso due metà di un tutto: la scoperta della mente di Dio. 

È importante notare che Newton non credeva che il mondo avrà una "fine" nel senso di cessare di esistere o di bruciarsi in fiamme sacre. La sua filosofia dei tempi della fine assomiglia a quella di un numero sorprendente di evangelici di oggi: Cristo ritornerà e regnerà per un millennio, la diaspora ebraica tornerà in Israele e, scrisse, creerà "un regno fiorente ed eterno". 

Come in molti hanno sostenuto, nonostante la concezione di Newton della sua opera scientifica come baluardo contro altre teologie, alla fine essa è diventata una base per una visione laica, che può tollerare forme di teismo accanto a posizioni decisamente agnostiche, e ha permesso agli scienziati di fare previsioni accurate per centinaia di anni. La fisica del XX secolo ci ha mostrato un universo molto più radicalmente instabile di quanto Newton abbia mai immaginato; le sue teorie sono, come dice Isaac Asimov, "non tanto errate quanto incomplete", ma ancora essenziali per la nostra comprensione di certi fenomeni fondamentali. Ma per quanto stimolanti e curiosi possano essere gli altri interessi di Newton, non c'è ragione per accreditare i suoi calcoli profetici più di quelli di qualsiasi moderna setta apocalittica.