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venerdì 23 settembre 2022

La Pietra di Pompey, o gli spagnoli nello stato di New York



Nell'estate del 1820 l'agricoltore Philo Cleveland iniziò i lavori per allargare un pezzo di prato nella sua fattoria nei pressi di Pompey, nello stato di New York. Stava dissodando la terra, abbattendo alberi e rimuovendo pietre, quando trovò una lapide incisa. Non ci prestò molta attenzione fino a diversi giorni dopo, quando la pioggia aveva pulito la pietra.

La lapide ha più o meno la forma di un ovale, lunga circa 14 pollici (360 mm), larga 12 pollici (300 mm) e spessa 10 pollici (250 mm) e composta da gneiss. Pesa circa 127 libbre (58 kg). Al centro della pietra è inciso un albero che viene scalato da un serpente. La pietra portava incise le strane parole "Leo De L on VI 1520". Incuriosito, Cleveland la portò nella bottega dei fabbri locali. La pietra divenne un'attrazione e i visitatori del negozio usarono chiodi e lime per pulire l'iscrizione. Dopo circa sei mesi fu spostata nel vicino villaggio di Manlius, e mentre era lì fu esaminata da diversi scienziati.

Nel 1823 un articolo pubblicato in The Literary Chronicle analizzò l'iscrizione, concludendo che poteva essere un riferimento al pontificato di papa Leone X; il disegno al centro di un albero con un serpente rappresentano la caduta dell'uomo, le lettere L. on stanno per loco sigilli (il luogo del sigillo), con una croce che sottolinea la natura cristiana della pietra e una U capovolta per indicare la posizione di un sigillo.

Dal momento in cui fu ritrovata, la pietra di Pompey fu considerata dagli storici la prima testimonianza della presenza europea nella regione. Si pensava che avesse segnato la tomba di uno spagnolo, forse un esploratore, un missionario o un prigioniero di una tribù di nativi americani.

Dal 1840 al 1870 la pietra incisa fu analizzata da diversi archeologi, storici e ricercatori americani. Nel 1842, Barber e Howe ipotizzarono, nel libro Historical Collections of the State of New York, che essa potesse segnare il luogo di sepoltura di uno spagnolo morto dopo aver viaggiato dalla Florida in cerca di ricchezze. Il libro dell'antropologo Henry Schoolcraft del 1847 Notes on the Iroqouis la attribuì a un gruppo che si era separato da una delle spedizioni dell'esploratore Juan Ponce de León alla ricerca della Fontana della giovinezza, considerando il testo "De L on" come riferimento a "de Leon" e il "VI" un riferimento a sei anni dopo la scoperta della Florida da parte di de Leon nel 1512. Due anni dopo, l’archeologo E. G. Squier pubblicò il libro Antiquities of the State of New York, che confermava l'autenticità della pietra. L'autore e ricercatore Buckingham Smith, nel 1863, presentò un documento all'American Antiquarian Society in cui suggeriva che la pietra fosse un memoriale di un missionario spagnolo morto e l'iscrizione un riferimento a papa Leone X. Negli anni '60 dell'Ottocento, John F. Boynton, uno dei primi leader del movimento dei Santi degli Ultimi Giorni, propose che ci fossero connessioni tra la pietra e il Gigante di Cardiff, un altro artefatto che in seguito si rivelò essere una bufala.

La pietra fu poi esposta nel Museo di Stato dell'Istituto di Albany. Nel 1872, l'Albany Institute la depositò presso il Museo di Storia Naturale dello Stato di New York, con lo scopo di fornire "strutture migliori per l'ispezione".

Nella "difesa più elaborata" dell'autenticità della pietra, Henry A. Homes, responsabile della Biblioteca dello Stato di New York, tenne una conferenza l’11 novembre 1879, sostenendo che, se non era una bufala, la pietra conteneva "la prima prova della presenza degli europei in Nord America". Sottolineò che l'autenticità dell'iscrizione non era mai stata messa in dubbio e che un certo signor Haven affiliato all'American Antiquarian Society l'aveva ritenuta autentica. Homes analizzò i pareri dei suoi predecessori sulla pietra e concluse che nessuno aveva raggiunto una spiegazione ragionevole. Concluse che era un memoriale di un europeo, probabilmente spagnolo e di nome Leone, che era stato catturato da una tribù di nativi americani con diversi compagni e adottato. La pietra era stata probabilmente realizzata da un compagno sul suo luogo di sepoltura nel 1520.

Il reverendo William Martin Beauchamp, il "più scaltro di tutti gli antiquari di Onondaga" fu il primo a mettere seriamente in dubbio l'autenticità della pietra, Beauchamp scrisse di essere diventato scettico sulle origini della pietra nel 1894, dopo aver sentito che la sua autenticità non era quasi mai stata messa in dubbio. Rintracciò l'iscrizione, e, dopo averla analizzata, concluse che era stata eseguita da strumenti che comprendevano almeno due diversi scalpelli a freddo, un martello o un martello e un punzone. Riteneva anche che la "L" e i numeri fossero stati scritti in uno stile moderno, invece di come sarebbero stati scritti nel XVI secolo. Infine sostenne che nessun nativo aveva vissuto vicino al sito nel XVI secolo. Sulla base di ciò, pensava che la pietra risalisse al XIX secolo e pubblicò un articolo sul Syracuse Journal in cui presentava le sue conclusioni.

In risposta all'articolo, John Edson Sweet scrisse, sempre sul Journal, che suo zio Cyrus Avery gli aveva confessato nel 1867 di aver creato la bufala con suo nipote William Willard e di aver scolpito e sepolto la pietra in un campo di Pompey "solo per vedere cosa ne sarebbe venuto fuori". I due avevano deciso di non farsi avanti dopo che era iniziata l'attenzione degli studiosi. Sweet concludeva la sua lettera definendo la pietra "niente più o meno che uno scherzo". Nel 1911 Beauchamp descrisse la teoria “spagnola” della sepoltura come una "tradizione infondata" e notò che il terreno non era adatto a una sepoltura.

Anche dopo queste novità, almeno due sacerdoti citavano la pietra come prova autentica che i cattolici erano stati negli Stati Uniti già negli anni '20 del Cinquecento. Dopo l'articolo di Beauchamp, Woodbury Lowery decriveva brevemente la pietra nel suo libro The Spanish Settlements Within the Present Limits of the United States senza metterne in dubbio l'autenticità, proponendo che la pietra poteva essere stata realizzata da esploratori spagnoli durante una spedizione non autorizzata in cerca di schiavi.

Nel 1937 Noah T. Clarke, archeologo dello stato di New York, notò che l'iscrizione della pietra era stata modificata, con il 1520 modificato in 1584 e la "L on" scomparsa. Tentò di ripristinare altre parti della pietra, ma fu limitato nella ricerca poiché molti documenti erano stati distrutti nell'incendio del Campidoglio dello Stato di New York del 1911.

Nel 1939 lo storico Arthur C. Parker scrisse un articolo su American Antiquity intitolato The Perversion of Archaeological Data e definì la pietra di Pompey "screditata" come un esempio di "lavoro scadente [...] svolto da persone in cerca di fama o profitto”.


La pietra fu nuovamente esposta al New York State Museum nel 1934, questa volta identificata come una bufala. Lo stato di New York prestò la pietra alla città di Pompey nel 1976 per le celebrazioni del bicentenario degli Stati Uniti. Dal 2018 è conservata nel Museo della Società Storica di Pompey. Nonostante la bufala sia stata accertata, il sito web del museo dice ancora che "continuano ad esserci argomenti rigorosi da entrambe le parti" sull'autenticità della pietra”. Quando ci si chiama Pompey, un artefatto antico è il minimo sindacale.

giovedì 22 settembre 2022

Il Gigante di Cardiff

 


Il Gigante di Cardiff è stata una delle bufale archeologiche più famose della storia degli Stati Uniti. Era un presunto "uomo pietrificato" alto più di tre metri scoperto il 16 ottobre 1869 dagli operai che stavano scavando un pozzo dietro il fienile di William C. Newell a Cardiff, nello stato di New York (non è la capitale del Galles).

Il gigante fu creato da un tabaccaio di New York di nome George Hull. Era profondamente attratto dalla scienza e soprattutto dalla teoria dell'evoluzione proposta da Charles Darwin. Hull, un ateo, aveva litigato con il reverendo Turk e i suoi sostenitori in un incontro di propaganda metodista su Genesi 6:4, in cui si afferma che “C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi” . Essendo in minoranza, Hull perse la discussione. Irritato dalla sconfitta e dalla credulità della gente, Hull voleva dimostrare quanto facilmente potesse ingannare le persone con un falso gigante.

Nel 1868, Hull assunse uomini per estrarre un blocco di gesso lungo più di 10 piedi (3,2 m) a Fort Dodge, nello Iowa, dicendo loro che era destinato a un monumento ad Abraham Lincoln a New York. Spedì a Chicago il blocco a Edward Burghardt, uno scalpellino tedesco che aveva giurato di mantenere il segreto. Burghardt assunse due scultori di nome Henry Salle e Fred Mohrmann per creare il gigante. Avevano adottato misure di cautela per nascondere il loro lavoro durante l'intaglio, montando trapunte per ridurre il suono degli scalpelli.

Il gigante era stato progettato per imitare le fattezze dello stesso Hull. Hull consultò un geologo e apprese che i capelli non si sarebbero pietrificati, quindi rimosse i capelli e la barba. Alla fine il gigante pesava 2990 libbre (1356 Kg).

Varie tecniche furono usate per far sembrare il manufatto antico e corroso dalle intemperie. Affinché il gigante sembrasse antico, Hull prima lo passò usando una spugna imbevuta di sabbia e acqua. La superficie fu battuta con ferri da maglia in acciaio incorporati in una tavola per simulare i pori. Il gigante fu anche strofinato con acido solforico per creare un colore più profondo. Nel novembre 1868, Hull lo trasportò su ferrovia alla fattoria di suo cugino, William Newell. A quel punto, aveva speso per la bufala. 2.600 dollari (equivalenti a 53.000 dollari nel 2021).

In una notte di fine novembre 1868, il gigante fu sepolto in una buca nella fattoria di Newell. Quasi un anno dopo, Newell assunse Gideon Emmons e Henry Nichols, con il compito di scavare un pozzo, e il 16 ottobre 1869 i due trovarono il gigante. Secondo quanto riferito, uno di essi esclamò: "Credo che qualche vecchio indiano è stato sepolto qui!"


Il primo giorno, il pubblico poté vedere il gigante senza alcun costo. Il giorno successivo, una tenda fu allestita sul sito della scoperta e Newell faceva pagare mezzo dollaro a ciascuno per una sessione di quindici minuti di visita al gigante. Il numero di spettatori salì a circa tre-cinquecento al giorno e la domanda di carri e carrozze aumentò notevolmente. I cittadini di Cardiff ottennero anche enormi profitti grazie al Cardiff Giant. Negli ultimi quattro giorni gli hotel e i ristoranti di Cardiff avevano visto più clienti di quanti ne avessero mai visti prima.

Alcuni credevano che questo gigante fosse un uomo pietrificato, mentre altri pensavano che fosse una statua. Coloro che credevano che fosse un uomo pietrificato pensavano ai giganti menzionati nel versetto della Genesi sopra citato. D'altra parte, John F. Boynton, il primo geologo a esaminare il gigante, dichiarò che non poteva essere un uomo fossilizzato, ma ipotizzò che si trattasse di una statua scolpita da un gesuita francese nel XVI o XVII secolo per impressionare i nativi americani locali. Andrew D. White, il primo presidente della Cornell University, esaminò attentamente il gigante di Cardiff. Notò che non c'era una buona ragione per cercare di scavare un pozzo nel punto esatto in cui era stato trovato il gigante.
“... è stato chiesto il mio parere, la mia risposta è stata che l'intera faccenda era senza dubbio una bufala; che non c'era motivo per cui il contadino avrebbe dovuto scavare un pozzo nel punto in cui è stata trovata la statua; che non era comodo né alla casa né al fienile e c'era già una buona sorgente e un corso d'acqua che scorreva convenientemente per entrambi; che, quanto alla statua stessa, non poteva certo essere stata scolpita da nessuna razza preistorica, poiché nessuna parte di essa mostrava le caratteristiche di un'opera così antica; che, per grossolana com'era, tradiva le qualità di una moderna fattura di basso ordine”.
Il paleontologo di Yale, Othniel C. Marsh, sottolineò che la statua era fatta di gesso solubile, che, se fosse stata sepolta nella sua coltre di terra bagnata per secoli, non avrebbe avuto ancora segni di strumenti freschi su di essa (cosa che aveva), e lo definì "un imbroglio più deciso". Alcuni teologi e predicatori, tuttavia, ne difesero l'autenticità.

Alla fine, Hull vendette la sua partecipazione per 23.000 dollari (equivalenti a 493.000 nel 2021) a una società di cinque persone guidata da David Hannum. Essi la spostarono a Syracuse, New York, per una mostra. Il gigante attirò una tale folla che l’imprenditore dello spettacolo P.T. Barnum offrì per il gigante 50.000 dollari. Quando la società rifiutò, assunse un uomo per modellare di nascosto la forma del gigante in cera e creare una replica in gesso. Mise in mostra il suo gigante a New York, sostenendo che il suo era il vero gigante e quello di Cardiff era un falso.

Mentre i giornali riportavano la versione della storia di Barnum, David Hannum avrebbe detto: "Ogni minuto nasce un pollo" in riferimento agli spettatori che pagavano per vedere il gigante di Barnum. Da allora, la citazione è stata spesso attribuita erroneamente allo stesso Barnum.

Hannum citò in giudizio Barnum per aver definito il suo gigante un falso, ma il giudice gli disse di convincere il suo gigante a giurare sulla propria genuinità in tribunale se voleva un'ingiunzione favorevole. Il 10 dicembre 1869 Hull confessò tutto alla stampa e il 2 febbraio 1870 entrambi i giganti furono giudicati falsi in tribunale; il giudice stabilì allora che Barnum non poteva essere citato in giudizio per aver definito falso un gigante falso.

Hull dichiarò di non aver confessato a causa delle pressanti critiche, ma perché voleva che la bufala fosse smascherata proprio per mostrare la tendenza delle comunità cristiane a credere troppo facilmente a tutto, e contrastare la convinzione fondamentalista che i giganti un tempo vagassero per la terra.

Il Gigante di Cardiff ispirò una serie di bufale simili. La più simpatica fu quella dell’uomo pietrificato trovato nel 1897 a valle di Fort Benton, nel Montana. Gli “scopritori” sostennero che si trattava dei resti dell'ex governatore territoriale e generale della guerra civile statunitense Thomas Francis Meagher, che era annegato nel fiume Missouri nel 1867. L'uomo pietrificato fu mostrato in tutto il Montana ed esposto a New York e Chicago.

sabato 26 febbraio 2022

Willard Libby e la datazione con il carbonio-14

 


Il carbonio possiede 3 isotopi naturali: il carbonio-12 (
12C) con 6 protoni, 6 elettroni e 6 neutroni, il carbonio-13 (13C) con 6 protoni, 6 elettroni e 7 neutroni, che sono stabili, e il carbonio-14 (14C) con 6 protoni, 6 elettroni e 8 neutroni che è invece instabile, cioè decade trasformandosi in azoto-14 con il passare del tempo. Il 12C rappresenta il 98% di tutto il carbonio sulla Terra. 


Nel 1946, Willard Libby (1908–1980), allora professore di chimica all'Università di Chicago, propose un metodo innovativo per datare i materiali organici misurando il loro contenuto di carbonio-14. Il
14C era stato creato artificialmente nel 1940 da Martin Kamen (1913–2002) e Samuel Ruben (1913–1943) utilizzando un acceleratore di ciclotrone presso l'University of California Radiation Laboratory a Berkeley. 

Libby iniziò la sua ricerca nel 1945. Si ispirò al fisico Serge Korff (1906–1989) della New York University, che nel 1939 scoprì che i neutroni venivano prodotti durante il bombardamento dell'atmosfera da parte dei raggi cosmici. Korff predisse che la reazione tra questi neutroni e l'azoto-14, che è abbondante nell'atmosfera, avrebbe prodotto carbonio-14, chiamato anche radiocarbonio. 


Libby si rese conto che il carbonio-14 nell'atmosfera avrebbe trovato la strada per entrare nella materia vivente, che viene così marcata con l'isotopo radioattivo. In teoria, se si fosse potuto rilevare la quantità di carbonio-14 in un oggetto, si poteva stabilire l'età di quell'oggetto utilizzando l'emivita, o tasso di decadimento, dell'isotopo. Nel 1946, Libby propose questa idea rivoluzionaria sulla Physical Review

Ulteriori ricerche di Libby e altri stabilirono l’emivita del carbonio-14 in 5.568 ± 30 anni, ma nessuno aveva ancora rilevato il carbonio-14 in natura: a questo punto, le previsioni di Korff e Libby sul radiocarbonio erano del tutto teoriche. Per dimostrare il suo concetto di datazione al radiocarbonio, Libby aveva bisogno di confermare l'esistenza del carbonio-14 naturale, una sfida importante visti gli strumenti allora disponibili. 

A quel tempo, nessuno strumento di rilevamento delle radiazioni (come un contatore Geiger) era abbastanza sensibile da rilevare la piccola quantità di carbonio-14 richiesta dagli esperimenti. Libby contattò Aristid von Grosse (1905–1985) della Houdry Process Corporation, che fu in grado di fornire un campione di metano che era stato arricchito in carbonio-14 e che poteva essere rilevato dagli strumenti esistenti. Usando questo campione e un normale contatore Geiger, Libby e Anderson stabilirono l'esistenza del carbonio-14 in natura, proprio nella concentrazione prevista da Korff. 

Questo metodo funzionava, ma era lento e costoso. Fortunatamente, il gruppo di Libby sviluppò un'alternativa. Circondarono la camera del campione con un sistema di contatori Geiger calibrati con un sistema elettronico per rilevare ed eliminare la radiazione di fondo che esiste nell'ambiente. L’insieme fu chiamato "contatore in anticoincidenza". Quando fu combinato con uno spesso schermo che riduceva ulteriormente la radiazione di fondo e un nuovo metodo per preparare i campioni di carbonio puro per i test, il sistema si rivelò adeguatamente sensibile. Alla fine, Libby aveva un metodo per mettere in pratica la sua idea. 

Il concetto di datazione al radiocarbonio si concentrava sulla misurazione del contenuto di carbonio di oggetti organici, ma, per dimostrare l'idea, Libby avrebbe dovuto capire il sistema del carbonio terrestre. La datazione al radiocarbonio avrebbe avuto successo se fossero stati veri due fattori importanti: che la concentrazione di carbonio-14 nell'atmosfera era rimasta costante e che il carbonio-14 si muoveva prontamente attraverso l'atmosfera, la biosfera, gli oceani e altri serbatoi in un processo noto come ciclo del carbonio


In assenza di dati storici riguardanti l'intensità della radiazione cosmica, Libby presumeva semplicemente che la concentrazione di carbonio-14 fosse costante. Pensò che dovesse esistere uno stato di equilibrio in cui il tasso di produzione di carbonio-14 è uguale al suo tasso di decadimento, almeno negli ultimi millenni. Fortunatamente per lui, ciò si è poi dimostrato essere approssimativamente vero, anche se la concentrazione del carbonio-14 atmosferico è soggetta a piccole fluttuazioni sia nel tempo (secolari, decennali, stagionali) che nello spazio (differenti tra i due emisferi). 

Per il secondo fattore, era necessario stimare la quantità complessiva di carbonio-14 e confrontarla con tutti gli altri isotopi del carbonio. Basandosi sulla stima di Korff secondo cui venivano prodotti solo due neutroni al secondo per centimetro quadrato della superficie terrestre, ciascuno dei quali formava un atomo di carbonio-14, Libby calcolò un rapporto di un solo atomo di carbonio-14 per ogni 1012 atomi di carbonio sulla terra (1 ppt, parte per trilione, nella notazione informale scientifico-tecnica). 

Il compito successivo di Libby era studiare il movimento del carbonio all’interno del ciclo del carbonio. In un sistema in cui il carbonio-14 viene prontamente scambiato durante tutto il ciclo, il rapporto tra carbonio-14 e altri isotopi di carbonio dovrebbe essere lo stesso in un organismo vivente come nell'atmosfera. Tuttavia, le velocità di movimento del carbonio durante il ciclo non erano allora note. Libby e lo studente laureato Ernest Anderson (1920–2013) calcolarono la composizione isotopica del carbonio attraverso i diversi serbatoi (biosfera, geosfera, idrosfera e atmosfera), in particolare negli oceani, che costituiscono il serbatoio più grande. I loro risultati prevedevano la distribuzione del carbonio-14 attraverso le fasi del ciclo del carbonio e incoraggiarono Libby sul fatto che la datazione al radiocarbonio avrebbe avuto successo. 

Il concetto di datazione al radiocarbonio si basava sul presupposto che una volta morto un organismo, sarebbe stato tagliato fuori dal ciclo del carbonio, creando così una capsula temporale con un conteggio del carbonio-14 in costante diminuzione. Gli organismi viventi di oggi avrebbero la stessa quantità di carbonio-14 dell'atmosfera, mentre le fonti estremamente antiche che un tempo erano vive, come gli strati di carbone o il petrolio, non ne avrebbero più. Per oggetti organici di età intermedia - tra pochi secoli e diversi millenni - è possibile stimare un'età misurando la quantità di carbonio-14 presente nel campione e confrontandola con l'emivita nota del carbonio-14. 

Il 14C decade emettendo particelle ß- (elettroni) trasformandosi in 14N con un tempo di dimezzamento di 5568 ± 30 anni. Questo significava che dopo circa 5570 anni il reperto contiene la metà del 14C originario, dopo altri 5570 anni ne contiene un quarto e così via. Nel 1961 fu fissato un nuovo valore più preciso di 5730±40 anni. 


L'emissione di un elettrone e di un neutrino (ν) può essere spiegata con la trasformazione di un neutrone in un protone. 


Misurando la radioattività residua e confrontandola con quella normale presente in un essere vivente, si può risalire, mediante la seguente formula di decadimento, all'età del reperto (T). 


λ
rappresenta la costante di decadimento del
14C (5730). Ca è l'attività che il campione dovrebbe avere se fosse in vita e Cc l'attività misurata nel campione. Per attività si intende il numero di disintegrazioni al minuto. 

Per testare la tecnica, il gruppo di Libby applicò il contatore anticoincidenza a campioni la cui età era già nota. Tra i primi oggetti testati c'erano campioni di sequoie e abeti, la cui età era nota contando i loro anelli di accrescimento annuali. Esaminarono anche reperti da musei come un pezzo di legno della barca funeraria del faraone egiziano Senusret III, un oggetto la cui età era nota dai dati storici sulla morte del suo proprietario. 

Nel 1949, Libby e Arnold pubblicarono le loro scoperte su Science, introducendo la "Curva dei conosciuti". Questo grafico confrontava l'età nota dei manufatti con l'età stimata determinata dal metodo di datazione al radiocarbonio. Il grafico mostrava che tutti i risultati di Libby si trovano all'interno di un ristretto intervallo statistico delle età conosciute, dimostrando così il successo della datazione al radiocarbonio. 


L'introduzione della datazione al radiocarbonio ebbe un'enorme influenza sia sull'archeologia che sulla geologia, un impatto spesso definito la "rivoluzione del radiocarbonio". Prima della ricerca di Libby, i ricercatori in questi campi dovevano fare affidamento su metodi di datazione relativi, come il confrontare gli strati di un sito in cui sono trovati i manufatti, presumendo che gli strati di un sito fossero disposti cronologicamente. La datazione relativa mette semplicemente in ordine gli eventi senza una misura numerica precisa. Al contrario, la datazione al radiocarbonio ha fornito il primo metodo di datazione oggettivo in campo archeologico e cronobiologico: la capacità di attribuire date numeriche approssimative ai resti organici. 

L’applicazione del metodo di datazione assoluta con il carbonio-14 più nota al grande pubblico è stata realizzata tra il 1988 e il 1989, quando tre diversi laboratori di ricerca (Tucson, Cambridge e Zurigo), seguendo protocolli rigorosi, stabilirono che il tessuto della Sindone conservata a Torino non poteva essere dei tempi di Cristo, ma era del XIII-XIV secolo, epoca più o meno corrispondente al momento in cui incominciarono i documenti scritti riguardanti il “sacro lenzuolo”. La datazione ha suscitato grandi polemiche nel mondo cattolico, anche se nessuno ha osato mettere in discussione il metodo in sé, ma la scelta e la preparazione dei campioni. Sarebbe stato curioso che fossero esistite eccezioni per la radiodatazione delle reliquie. 


Il lavoro di Libby contribuì notevolmente anche alla geologia. Utilizzando campioni di legno di alberi una volta sepolti sotto il ghiaccio delle calotte glaciali, Libby dimostrò che l'ultima calotta glaciale nel Nord America settentrionale si è ritirata da 10.000 a 12.000 anni fa, non 25.000 anni come avevano stimato in precedenza dai geologi. 

Quando Libby presentò per la prima volta al pubblico la datazione al radiocarbonio, stimò che il metodo poteva essere stato in grado di misurare età fino a 20.000 anni. Con i successivi progressi nella tecnologia di preparazione dei campioni e di rilevamento del carbonio-14, il metodo può ora datare in modo sempre più affidabile materiali risalenti a 50.000 anni fa.