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venerdì 18 marzo 2022

Il trifoglio bianco e il cambiamento evolutivo globale indotto dall’uomo

 


Prove crescenti suggeriscono che gli esseri umani sono oggi una delle principali forze che influenzano l'evoluzione sulla Terra. Dall'allevamento selettivo alle modifiche ambientali, dalla pesca delle specie più grandi alla distruzione della variabilità genetica, stiamo alterando così tanto il nostro mondo che ora non stiamo solo cambiando il clima, ma la direzione della vita stessa. 

L'urbanizzazione è un motore di cambiamento sia ambientale che evolutivo. I paesi e le città si stanno espandendo rapidamente in tutto il mondo per accogliere la crescita della popolazione umana. Queste aree urbane rappresentano nuovi ecosistemi, in cui lo sviluppo urbano altera molteplici fattori ambientali. Ricerche recenti mostrano che il cambiamento ambientale urbano può influenzare quattro processi evolutivi: mutazione, deriva genetica, flusso genico e adattamento dovuto alla selezione naturale. Nonostante i numerosi esempi di come l'urbanizzazione influenzi la deriva genetica e il flusso genico, gli effetti dell'urbanizzazione sull'evoluzione adattiva hanno ricevuto meno attenzione. L'adattamento agli ambienti urbani può influire sulla conservazione delle specie, sulla diffusione di parassiti e malattie e sui feedback eco-evolutivi, oltre che sulla pianificazione urbana e sulla società umana. Tuttavia, i pochi esempi di adattamento agli ambienti urbani si concentrano solo su una o su un piccolo numero di città in una singola regione. Non è quindi chiaro se le popolazioni possano adattarsi agli habitat urbani in modi simili nelle città di tutto il mondo, spingendo l'evoluzione nella stessa direzione. 

Ora, in un vasto progetto internazionale a guida canadese, che ha coinvolto 287 scienziati in 160 città in 26 paesi, i ricercatori hanno esaminato come l'urbanizzazione abbia influenzato l'evoluzione su scala globale. Il modello usato è il trifoglio bianco (Trifolium repens), una pianta originaria dell'Europa e dell'Asia occidentale, ma che si trova nelle città di tutto il mondo. 

Raccogliendo più di 110.000 campioni lungo direttrici che si estendevano dalle città, attraverso i sobborghi e la campagna, gli studiosi hanno scoperto che il trifoglio nelle città di emisferi diversi è ora più simile rispetto a quello che si trova nei terreni agricoli o nelle foreste vicini a una data città, indipendentemente dal clima. 

Città campionate per il cambiamento ambientale ed evolutivo urbano. I punti blu indicano le città con cline positivi per la produzione di acido cianidrico lungo gradienti urbano-rurali (HCN urbano < HCN rurale). I punti rossi mostrano cline negativi (HCN urbano > HCN rurale). I punti grigi indicano le città senza un cline. Le piante delle 26 città segnate in nero sono state sottoposte a sequenziamento dell'intero genoma.


Città campionate per il cambiamento ambientale ed evolutivo urbano. I punti blu indicano le città con cline positivi per la produzione di acido cianidrico lungo gradienti urbano-rurali (HCN urbano < HCN rurale). I punti rossi mostrano cline negativi (HCN urbano > HCN rurale). I punti grigi indicano le città senza un cline. Le piante delle 26 città segnate in nero sono state sottoposte a sequenziamento dell'intero genoma.


Questo è un esempio di evoluzione adattativa parallela, quando popolazioni separate sono modellate dalla stessa pressione selettiva per tratti specifici in luoghi diversi. Ciò dimostra che i modi in cui gli esseri umani hanno cambiato l'ambiente stanno avendo un'influenza maggiore nel plasmare questi tratti rispetto a fenomeni naturali come la genetica della popolazione locale e il clima. Uno degli autori dello studio, l'ecologo James Santangelo dell’Università Mississauga di Toronto, sostiene che ciò accade, spesso in modi simili, su scala globale: affinché l'urbanizzazione guidi l'evoluzione parallela, le aree urbane devono sviluppare caratteristiche ambientali che influiscono sull’adattamento di un organismo, hanno spiegato i ricercatori nel loro articolo pubblicato su Science il 17 marzo scorso. 

Santangelo e collaboratori hanno raccolto dati sulle popolazioni di trifoglio bianco per testare risposte coerenti agli ambienti urbani. Il team internazionale ha identificato che una delle caratteristiche che cambiano lungo le linee urbane e rurali è la produzione da parte della pianta di acido cianidrico (HCN), una difesa chimica antierbivora controllata da due geni . Il trifoglio bianco usa questa sostanza sia come meccanismo di difesa contro gli erbivori sia per resistere alla siccità. Le piante nelle popolazioni rurali più lontane avevano il 44% in più di probabilità di produrre acido cianidrico rispetto a quelle nel centro delle città. Sembra che il pascolo stia favorendo la produzione di più acido cianidrico nelle aree rurali rispetto alle città, dove la pressione degli erbivori non è così forte; in assenza di questa pressione, la siccità diventa il fattore trainante. 


Cambiamento ambientale ed evolutivo urbano nelle città. 

(A) Analisi delle componenti principali (PC1 e PC2) che mostrano le differenze ambientali tra gli habitat urbani (punti arancioni) e rurali (punti verdi); gli ovali rappresentano l'intervallo di confidenza (CI) del 95%. Le linee collegano gli habitat urbani e rurali della stessa città. 

(B) Gli autovettori per variabili ambientali, colorati in base al loro contributo a PC2. Le variabili ambientali includevano vegetazione invernale (NDV Iwinter) ed estiva (NDV Isummer), accumulo di neve (NDSI), temperatura superficiale invernale (LST winter) ed estiva (LST summer), indice di aridità (AI), potenziale evapotraspirazione (PET), superficie impermeabile (GMIS) ed elevazione (DEM). 

(C) Istogramma delle pendenze da regressioni binomiali del rapporto tra produzione di HCN all'interno delle popolazioni e distanza dal centro cittadino. La distanza è stata standardizzata in modo da variare tra 0 (centro urbano) e 1 (popolazione rurale più lontana) in ciascuna città, in modo che le città di dimensioni diverse fossero confrontate sulla stessa scala. La linea verticale tratteggiata corrisponde alla pendenza media tra le città e la sovrapposizione tra le barre che mostrano le città con cline significativi (blu e rosso) e non significativi (grigio) è mostrata con colori tenui. 

(D) Il rapporto tra la produzione di HCN all'interno delle popolazioni e la distanza per ciascuna città; i colori corrispondono a quelli in (C). La linea nera mostra l'effetto principale positivo della distanza tra le città (P < 0,001). 


Il sequenziamento di 2074 genomi di 26 città ha rivelato che l'evoluzione dei cline urbano-rurali era meglio spiegata dall'evoluzione adattiva, ma il grado di adattamento parallelo variava tra le città. Questi risultati dimostrano che l'urbanizzazione porta all'adattamento su scala globale. Ciò è avvenuto nonostante il forte flusso genico tra le popolazioni di trifoglio bianco lungo ogni gradiente, il che significa che i livelli di acido cianidrico vengono fortemente selezionati, più e più volte. 

lunedì 20 agosto 2018

Scienza sul Tamigi (2): Martin, Snow e Bazalgette

La prima parte dell'articolo si trova a questo link

John Martin, il visionario 

Il primo ad affrontare il problema del risanamento del Tamigi e, più in generale, dell’assetto urbanistico di Londra, fu un bizzarro pittore, inventore e architetto autodidatta del Nord. John Martin era originario del Northumberland, dove era nato nel 1789. Svolse il suo apprendistato a Newcastle, studiando e copiando incisioni di opere di artisti celebri, come Claude Lorrain e Salvator Rosa. Nel 1806 si trasferì a Londra, dove si sposò e si manteneva dando lezioni di disegno. Alcuni suoi dipinti furono accolti dalla Royal Academy of Arts a partire dal 1812. Negli anni successivi, si impose all'attenzione del pubblico con tele di ampie dimensioni che avevano come soggetto episodi biblici o mitici, oppure vedute immaginarie ispirate ai più tempestosi paesaggi di William Turner. Grazie alla vendita delle sue opere, ottenne una certa tranquillità economica. Nei primi anni ’30 dell’Ottocento divenne famoso per diverse illustrazioni, con soggetto episodi dell'Antico Testamento, che gli diedero una certa notorietà negli ambienti romantici francesi. Negli ultimi anni si occupò di progetti per il miglioramento urbanistico di Londra, con particolare attenzione ai sistemi portuali, idrici e fognari.

Molti lo hanno dipinto come un visionario, ma l'inquinamento del Tamigi e i problemi delle infrastrutture del trasporto di Londra erano questioni urgenti e reali, ed egli, come molti altri, pensò che proporre soluzioni adeguate poteva essere un modo per fare fortuna. La sua passione per l'ingegneria civile era un aspetto delle sue inclinazioni commerciali (fu anche un prolifico inventore, con numerosi brevetti). La sua origine modesta e la mancanza di istruzione possono averlo indotto a investire troppo (tempo, denaro, energia) in imprese che promettevano di garantirgli prestigio sociale, fama e denaro. 


Martin dedicò quasi due terzi del suo tempo e enormi somme di denaro allo sviluppo di progetti ingegneristici sempre più ambiziosi. Dalla fine degli anni ’20, fino agli ultimi anni della sua vita, pubblicò una serie di piani dettagliati e proposte per trasformare i sistemi fognari e di trasporto di Londra. Sebbene i suoi modelli fossero seriamente considerati al più alto livello, nessuno di loro fu realizzato. La sua reputazione di pittore di scenari fantasiosi non lo aiutò, così come il fatto che la Grande Puzza non era ancora capitata. In retrospettiva, i piani di Martin possono sembrare 'visionari' come i suoi dipinti, ma fu il primo a pensare di arginare il Tamigi, cosa che sarebbe avvenuta solo dopo la sua morte. 


Forse perché privo di protezioni importanti, le sue idee urbanistiche furono giudicate con sufficienza, come in questo sprezzante articolo della rivista satirica The Punch della prima metà del 1843:

MIGLIORAMENTI DELLA METROPOLI 
“Un gruppo di gentiluomini si incontra talvolta per discutere di questo argomento delizioso; e in una delle recenti riunioni, un certo signor Martin è stato patetico per aver dedicato una vita lunga e faticosa alle fogne e ai pozzi neri della sua città natale. Quattordici lunghi anni ha lavorato per ingrandire le vie sotterranee e i corsi d'acqua della Babilonia moderna; ed è evidente che non morirà felice fino a quando il sudiciume di Londra non fluttuerà - a due penny alla tonnellata - sulla brughiera di Bagshot. Il signor Martin era emozionato quasi fino alle lacrime quando parlò dei suoi sforzi per portare il letame della metropoli in periferia; e il suo ambizioso desiderio di costruire un terrapieno lungo le rive del Tamigi è una bella illustrazione della forza dell'immaginazione che, nella ricerca di un oggetto amato, dimentica l'esistenza del molo, la necessità di vendere carbone da un chiatta, la correttezza di permettere al commercio di esistere ancora, e gli interessi acquisiti del comune venditore di carbone. Il signor Martin avrebbe voluto sulle rive del Tamigi una serie di terrazze, i palazzi e i laboratori di fognature per la pratica della chimica. Questo è tutto molto bello in teoria, ma ai nostri occhi (non volendo dire nulla di Martin) sembra piuttosto difficile da mettere in pratica. "La rosa con qualsiasi altro nome avrebbe un profumo altrettanto dolce;" e per quanto gentile sia l'appellativo che potremmo dargli, temiamo che ci vorrà uno zelo straordinario per la scienza per trovare incantesimi nelle fogne e nei pozzi neri. Se il signor Martin può morire felice solo a condizione di portare a termine le sue idee sul Tamigi e sul suo contenuto, dobbiamo necessariamente prevedere ciò di cui dovremmo sinceramente pentirci: una miserabile conclusione della sua esistenza”. 
Martin propose anche una linea ferroviaria circolare, che si estendeva da est di Londra, attraverso quella che allora era periferia settentrionale attraverso i campi aperti verso ovest (dove c’è oggi il centro) e verso sud fino a Greenwich. Come spesso gli accadde, le sue idee furono rubate da altri, in questo caso la Commissione Metropolitana, che, nello stesso momento in cui Martin pubblicò le sue proposte, propose il piano di circondare il centro di Londra con una rete di stazioni ferroviarie capolinea e impedire ai treni di arrivare nel centro della città. Martin continuò a lavorare fino alla morte, che avvenne nel 1854 sull'Isola di Man.



John Snow e la nascita dell’epidemiologia

Il 31 agosto 1854, dopo che alcuni piccoli focolai di colera si erano verificati in altre zone della città, ne capitò uno molto grave nel quartiere di Soho, nei dintorni di Broad Street. In tre giorni morirono 127 persone e, nella settimana successiva, gran parte della popolazione aveva lasciato il quartiere. Il 10 settembre erano già morte circa 500 persone, e il tasso di mortalità nel quartiere aveva raggiunto il 12,8% (alla fine dell’epidemia morirono 616 persone). La creazione delle fogne nel 1849 fu ritenuta responsabile da alcuni di questo nuova comparsa del morbo. Secondo alcune voci locali, le nuove fogne avevano liberato miasmi mortali da fosse sepolcrali nascoste della Grande Peste del 1665. Tuttavia, nonostante queste idee fantasiose, fu a causa di questa epidemia di colera a Broad Street che avrebbe trionfato la forza della ragione.


La teoria secondo la quale il colera si propaga attraverso l’aria era già stata contestata dal medico John Snow (1813-1858), che aveva pubblicato nel 1849 il saggio On the Mode of Communication of Cholera, nel quale, pur non conoscendo ancora che la malattia era trasmessa da un vibrione, addebitava il diffondersi delle epidemie all'acqua contaminata.

Egli, originario di York, si era laureato a Londra nel 1844 e, nel 1850, era stato ammesso al Royal College of Physicians. L’epidemia di Soho gli diede l’opportunità di verificare sul campo le sue idee, con un lavoro di indagine e raccolta di dati che fa di lui il padre della moderna epidemiologia. Con l’aiuto del reverendo Henry Whitehead, vice-curato della chiesa di San Luca a Soho, che conosceva profondamente il quartiere e i suoi abitanti, Snow interrogò centinaia di persone e raccolse informazioni sui morti, edificio dopo edificio, riuscendo a stabilire che essi si concentravano nelle immediate vicinanze di una pompa dell’acqua in Broad Street (oggi Broadwick Street). I suoi studi sulla diffusione dell’epidemia furono abbastanza convincenti da indurre la municipalità di Soho a chiudere la pompa (più per disperazione che per reale convinzione), rimuovendone la leva. Sebbene questo fatto sia comunemente associato alla fine dell’epidemia, Snow, da vero uomo di scienza, era dubbioso dei suoi stessi successi. Così scrisse:
“Non ci sono dubbi che la mortalità è diminuita drasticamente, come ho già detto, a causa della fuga della popolazione, che è cominciata subito dopo l’inizio del contagio, e i casi erano già molto diminuiti già prima che fosse bloccato l’uso dell’acqua, al punto che è impossibile stabilire se il pozzo ancora conteneva il veleno del colera in uno stato attivo, o se, per qualche motivo, l’acqua ne era stata liberata”.

Nella seconda edizione del suo saggio sulle modalità di diffusione del colera, uscito l’anno successivo all'epidemia di Broad Street, Snow utilizzò per la prima volta una carta con un’apposita simbologia per illustrare il legame tra la qualità dell’acqua nelle pompe stradali e i casi di colera. La sua concezione era semplice ed efficace: una mappa urbana semplificata, con le strade principali e gli edifici. Le pompe d’acqua erano simboleggiate da punti e etichette in caratteri maiuscoli. I casi di colera erano illustrati nel loro esatto indirizzo, con il numero dei morti rappresentato da colonne di barrette disposte all'interno di ogni singolo edificio parallelamente alla strada, in un modo che ricorda i corpi dei morti delle pestilenze allineati per essere portati via dai monatti.


Snow, che fece uso dei metodi della statistica per la sua ricerca sul campo, disegnò anche delle celle per rappresentare le aree più vicine a ogni singola pompa. E proprio la cella intorno alla pompa di Broad Street era quella che comprendeva gli edifici con il maggior numero di morti a causa del colera. Ecco le sue parole da una lettera all’editore del Medical Times and Gazette:
“Procedendo verso il punto, scoprii che quasi tutte le morti erano avvenute a una breve distanza dalla pompa [di Broad Street]. C’erano solamente dieci morti nelle case situate decisamente più vicino a un’altra pompa. In cinque di questi casi le famiglie delle persone decedute mi informarono che essi erano sempre andati alla pompa di Broad Street perché preferivano la sua acqua a quella delle pompe più vicine. In tre altri casi, i morti erano bambini che andavano a scuola vicino alla pompa di Broad Street (…) Riguardo poi alle morti avvenute nell'area appartenente alla pompa, c’erano 61 casi nei quali fui informato che le persone decedute erano solite bere l’acqua pompata a Broad Street, sia costantemente, sia di tanto in tanto (…) Il risultato dell’indagine, dunque, è che non c’è stato alcun particolare focolaio o prevalenza di colera in questa parte di Londra, tranne che tra le persone che erano solite bere l’acqua dalla pompa sopra menzionata”.
Come capita troppo spesso, le tesi di Snow, passata l’emergenza, furono oggetto di aspre critiche. La prestigiosa rivista medica The Lancet, tuttora autorevole, mise in dubbio l’ipotesi della contaminazione oro-fecale, che era troppo sgradevole per essere presa in considerazione dal pubblico e dalla comunità scientifica vittoriani. La teoria del miasma continuò a essere preferita da chi aveva il potere di decidere e la pompa di Broad Street venne successivamente rimessa in funzione.


Uno dei principali alleati di Chadwick nel far approvare il Cholera Bill del 1846, Sir Benjamin Hall (l'uomo da cui prese nome il Big Ben) finì in diretto confronto con Snow. Egli era diventato presidente del Board of Health nel 1854 e si era messo subito al lavoro per cercare di regolamentare fabbriche maleodoranti come quelle del gas e della bollitura di ossa, che riteneva inquinassero la metropoli e che fossero i principali veicoli di malattie. John Snow fu invitato da vari produttori a testimoniare contro le proposte di Hall. Lo fece il 5 marzo 1855 davanti a una commissione parlamentare presieduta da Hall. Gli argomenti di Snow non riuscirono a convincere Hall a modificare le sue convinzioni. Non era una sorpresa. Le teorie di Snow erano molto minoritarie. Poco dopo il dibattito, iniziò la guerra di Crimea, che mostrò fino a che punto Snow era lontano dal superare lo scetticismo pubblico. L'eroina della Crimea era Florence Nightingale, che ottenne una tale fama, grazie al ruolo di infermiera e benefattrice nella guerra, che le sue teorie sull'infermieristica basate sulla teoria del miasma avrebbero dominato la medicina inglese per buona parte del secolo.

John Snow morì d’infarto nel 1858, ricordato più per i suoi studi sul dosaggio dell’etere e del cloroformio ad uso chirurgico che per quello sul colera di Soho. La sua rivalutazione postuma dovette attendere qualche decennio: il vibrione del colera, identificato per la prima volta nel 1854 dall'anatomista italiano Filippo Pacini, fu studiato dettagliatamente nel 1884 dal medico tedesco Robert Koch, che provò l’origine batteriologica della malattia. In seguito, si scoprì che il pozzo pubblico responsabile del focolaio era stato scavato a soli tre piedi (circa 1 m) di distanza da un vecchio pozzo nero che aveva incominciato a disperdere batteri fecali. Solo nel 1890 il ministro della Sanità britannico John Simon riconobbe l’importanza dello studio di Snow.

Jerome K. Jerome, ancora, ci offre una testimonianza di come nel 1886 le idee di Snow avessero fatto breccia, almeno tra la classe colta, perché i protagonisti di Tre uomini in barca sanno che molte malattie sono trasmesse dall’acqua inquinata:
“Abbiamo provato l'acqua del fiume una volta, più avanti ne viaggio, ma non è stato un successo. Stavamo scendendo a valle e avevamo attraccato per prendere il tè in un'ansa vicino a Windsor. La nostra tazza era vuota, e si trattava di proseguire senza il nostro tè o prendere l'acqua dal fiume. Harris era per provarla. Disse che sarebbe andato tutto bene se avessimo fatto bollire l'acqua. Disse che i vari germi di veleno presenti nell'acqua sarebbero stati uccisi dalla bollitura. Così, riempito il nostro bollitore con acqua di ansa del Tamigi, la bollimmo; ed eravamo molto attenti a controllare che bolliva.
(...) George disse che non voleva tè e svuotò la tazza nell'acqua. Anche Harris non si sentiva assetato e ne seguì l'esempio. Avevo bevuto metà del mio, ma avrei voluto non averlo fatto.
Chiesi a George se pensava che avrei preso la febbre tifoidea.
Disse: "Oh, no" pensava che avevo davvero buone possibilità di evitarlo. Ad ogni modo, se l'avessi presa o meno, l’avrei saputo entro una quindicina di giorni”.
La mappa del medico di York non consentì solo di risalire alle cause di un focolaio di colera, dando il via alle moderne ricerche epidemiologiche, ma costituì un evento fondamentale nella storia della sanità pubblica e spinse a ripensare lo sviluppo delle città, dimostrando la necessità di efficienti reti fognarie e di distribuzione dell’acqua potabile.

Collegando l’incidenza del morbo a potenziali cause geografiche, la mappa di Snow aveva anticipato quello che oggi chiamiamo diagramma, o tassellatura, di Voronoi, che prende il nome dal matematico russo Georgii Voronoi, il quale se ne occupò nella sua forma generale nel 1908. Nella sua forma più semplice, cioè nel caso del piano euclideo, esso è una partizione dello stesso, determinata dalle distanze rispetto a un insieme finito di punti.


Dato un insieme finito di punti S, il relativo diagramma di Voronoi suddivide il piano in regioni a forma di poligoni convessi in modo tale che a ogni punto pS, detto generatore o seme, sia associata una regione V(p) i cui punti siano più vicini a p che ad ogni altro punto in S. Detto in modo meno formale, ogni regione poligonale contiene i punti che sono più vicini a ciascun punto generatore. I lati di ogni poligono contengono invece i punti che sono equidistanti tra il punto generatore e quelli più vicini.


I diagrammi di Voronoi hanno numerose applicazioni pratiche nella vita quotidiana. Ad esempio, sono utilizzati nei sistemi informativi geografici per trovare i servizi più vicini ad un determinato indirizzo. Così, considerando i luoghi dove si trovano certi servizi (ospedale, scuola, fermata dell’autobus, farmacia, ecc.) come punti generatori, è possibile determinare le aree più vicine a ciascun punto. Essi possono anche consigliare la scelta del luogo dove aprire un esercizio commerciale in modo che sia sufficientemente lontano dai luoghi in cui è situata la concorrenza.

Snow costruì le sue regioni considerando i luoghi delle pompe dell’acqua come punti generatori, riuscendo in tal modo ad associare le morti per colera ad una precisa pompa, quella di Broad Street. Un’idea semplice può essere davvero rivoluzionaria, a patto che a qualcuno venga in mente.

Bazalgette e la fine dell’incubo 

Fortunatamente, attraverso una combinazione di pressione pubblica e sofferenza nasale insopportabile, il Parlamento nel 1858 decise di agire invece di rimandare il problema a un'altra stagione calda. Fu quasi per caso che Sir Benjamin Hall, divenuto il principale assertore della teoria dei miasmi, promosse un atto del Parlamento che si rivelò decisivo per migliorare la salute dei londinesi. Fece approvare il Metropolitan Board of Works, che apportò molti miglioramenti ambientali e sanitari a Londra, e soprattutto, nominò Joseph Bazalgette (1819 – 1891) come capo ingegnere. 

Lasciamo perdere i motivi della decisione, ancora legati a una teoria sbagliata, ma resta il fatto che il fiume di Londra stava finalmente ricevendo le cure necessarie. La riforma del Tamigi comprendeva non solo l'implementazione di un sistema fognario, ma anche la costruzione di argini lungo le sue sponde. Con queste riforme, la Grande Puzza cominciò lentamente a dissiparsi e i londinesi poterono fare sospiri di sollievo, non solo per l'aria pulita, ma anche per gli altri benefici che accompagnavano la realizzazione del provvedimento. 

Il Metropolitan Board of Works di Hall fu in grado di superare secoli di interessi acquisiti legati alla natura parrocchiale del governo di Londra, basato sulle piccole parrocchie ecclesiastiche. Questa forma di governo era stata la ragione principale dell'inerzia nell'affrontare i crescenti problemi di salute pubblica della metropoli. Le prerogative della parrocchia erano limitate a mantenere basse le tasse locali e non avrebbero certamente favorito la costosa soluzione ingegneristica al problema delle acque reflue di Londra che Bazalgette avrebbe proposto. 

Il disegno delle fognature di Joseph Bazalgette fu una delle più incredibili imprese ingegneristiche del diciannovesimo secolo. Bazalgette, figlio di un capitano della marina militare, discendeva da una famiglia di ugonotti fuggiti dalla Francia. Iniziò la sua carriera lavorativa progettando linee ferroviarie e facendo esperienza in Irlanda nel settore della bonifica di terreni. Dal 1842 aprì il proprio studio. Nel 1856 diventò ingegnere capo del Metropolitan Board of Works, dove rimase fino 1889. 

I lavori iniziarono nel 1859 e impiegarono vent'anni per essere completati. L'ultima epidemia di colera fu nel 1866 nell'East End di Londra, una zona non ancora collegata al sistema di Bazalgette. L’opera di Bazalgette salvò innumerevoli vite, guadagnandogli il titolo di cavaliere nel 1874. 

Gli scarichi vennero realizzati nella parte inferiore del Tamigi e, per risparmiare tempo e risorse, il progetto prevedeva di riversare i liquami nel mare sfruttando il reflusso della marea presso la foce del fiume. Il progetto contemplava la costruzione di innovative stazioni di pompaggio. Intanto si completò il sistema di argini, per un totale di 3,5 miglia. 

Queste strutture restrinsero il letto del fiume e ne aumentarono la velocità di flusso, determinando un effetto "rinfrescante" che contribuì alla pulizia del fiume. Inoltre, gli argini erano progettati per funzionare come strade, alleviando la congestione nella metropoli affollata. La struttura fu anche concepita per ospitare una metropolitana, oggi la District Line. L'impegno di Bazalgette per la qualità era incrollabile, distinguibile nella scelta dei materiali, come il cemento Portland invece del cemento romano standard. 


Bazalgette si assicurò che il flusso di acqua sporca proveniente dalle vecchie fogne e dai fiumi sotterranei fosse intercettato e deviato lungo nuove fognature a un livello più basso, costruite dietro agli argini sul lungofiume, e portato lontano. Calcolò quanto dovessero essere larghi i collettori della fogna e poi raddoppiò la misura. Senza questa profetica scelta, il sistema di drenaggio di Londra sarebbe stato sopraffatto negli anni '50 del secolo scorso. La grandezza del suo lavoro e l'influenza che ebbe su Londra a metà del diciannovesimo secolo sono incarnate da questo giudizio a lui riferito:
"Se gli spiriti maligni che noi moderni chiamiamo colera, tifo e vaiolo, un giorno dovessero partire alla ricerca dell'uomo che è stato, negli ultimi trenta o quaranta anni, il loro nemico mortale in tutta Londra, probabilmente si dirigerebbero a St. Mary's, a Wimbledon." 

La conoscenza di come fossero diffuse le malattie epidemiche a seguito delle indagini di John Snow a Soho, e la costruzione del sistema fognario da parte del Metropolitan Board of Works consentirono a Londra di evitare ulteriori epidemie di colera. Gli ultimi casi furono segnalati alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento. Negli anni successivi all'intervento di Bazalgette, il Tamigi perse definitivamente la reputazione di fiume più sporco e inquinato del mondo.

sabato 18 agosto 2018

Scienza sul Tamigi (1): la puzza e il colera

La Grande Puzza 


Alla metà dell’Ottocento, Londra era la città più grande del mondo, una vera metropoli. La popolazione era in continua crescita, ma le infrastrutture sanitarie e idriche erano quelle della città ai tempi dei Tudor. Gli impianti fognari erano stati costruiti solo in pochi quartieri, e gran parte della città ne era priva. La gente faceva i propri bisogni negli scantinati, in pozzi neri che venivano chiusi quando erano pieni, mentre ne venivano scavati di nuovi nelle immediate vicinanze. A questo si aggiungevano le deiezioni dei cavalli per strada e quelle dei molti animali che venivano allevati nelle case e nei cortili a scopo alimentare: mucche per il latte e per la carne, pollame per le uova, ecc. Vivere era un’avventura precaria, specialmente per chi abitava nelle zone più povere, come i quartieri di Soho e soprattutto di Westminster, allora non bonificato e ricettacolo di mendicanti, ladri, prostitute e ciarlatani, al punto da essere chiamato “L’acro del Diavolo”, tra i tre simboli del potere, l’Abbazia di Westminster (Chiesa), Buckingham Palace (Corona) le Houses of Parliament (Stato), e il Tamigi, diventato una fogna a cielo aperto. Charles Dickens, da giovane cronista parlamentare, lo visitò e così lo descrisse: 
"Non c'è nessuna parte della metropoli che presenti un aspetto più contraddittorio di Westminster, sia fisico sia morale. Le strade più signorili sono spesso solo una maschera per i quartieri squallidi che giacciono alle loro spalle, mentre i luoghi consacrati agli scopi più elevati sono circondati da scene di indescrivibile infamia e inquinamento; la più nera marea della turpitudine morale che scorre nella capitale rovescia le sue sudicie onde fino alle mura dell'Abbazia di Westminster." 
Più tardi, in Casa desolata (1852-53) avrebbe scritto:
“Implacabile clima di novembre. Tanto fango nelle vie che pare che le acque si siano da poco ritirate dalla superficie della terra e non stupirebbe incontrare un megalosauro, di quaranta piedi circa, che guazza come una lucertola gigantesca lungo Holborn Hill. Fumo che scende dai comignoli come una soffice acquerugiola nera con fiocchi di fuliggine grandi come fiocchi di neve vestita a lutto, si potrebbe immaginare, per la morte del sole”. 

Sebbene la situazione del Tamigi fosse evidente già prima dell'inizio dell’era industriale, fu l'estate del 1858 che la portò all'attenzione dei legislatori. Quell'estate in particolare, tutta Londra fu colpita dagli effetti di un'ondata di siccità e caldo opprimente e, di conseguenza, tutti i liquami del Tamigi cominciarono a fermentare sotto il sole cocente: secoli di rifiuti stavano letteralmente cuocendo nel calore soffocante. Il risultato fu un odore penetrante, diffuso e disgustoso più di quanto si possa immaginare: era “The Great Stink”, la Grande Puzza. Correvano voci di “uomini uccisi dal tanfo, e da tutti i tipi di malattie mortali, che si vedono sulle rive del fiume". Fortunatamente per gli abitanti di Londra, anche l'élite non era esente da un odore così ripugnante: 
"Il caldo intenso aveva spinto i nostri legislatori verso le parti dei loro edifici che si affacciano sul fiume. Pochi membri, in effetti, si misero a indagare sulla questione fino in fondo e si avventurarono nella biblioteca, ma furono istantaneamente costretti a ritirarsi, ognuno con un fazzoletto al naso. " 
I membri del Parlamento inizialmente cercavano di mantenere lo statu quo e continuare le loro sessioni senza accettare piani drastici di riforma. Sapevano che qualsiasi azione intrapresa per liberare il fetore avrebbe comportato un'ardua revisione dell'intera infrastruttura del Tamigi. Molti legislatori erano riluttanti a prendere un tale impegno e cercavano invece di alleviare i propri sensi malridotti. 

Il loro primo tentativo di estinguere il fetore fu di impregnare le tende del Parlamento con una miscela di cloro e calce. Il rimedio si rivelò inutile, allora si prese in considerazione la possibilità di spostare l'intero governo dalla zona di Westminster, nonostante l'edificio fosse di recente costruzione e appena acquisito. Quell'idea fu presto abbandonata e intanto passavano giorni senza che fosse presa una decisione efficace. Alla fine, il fetore cominciò semplicemente a sopraffare la tenace sensibilità di molti dei deputati, alcuni dei quali furono persino “visti fuggire dalla Camera, fazzoletto al naso, lamentandosi ad alta voce dello “Stige infernale” che era diventato il Tamigi”


Uno dei sostenitori più noti e autorevoli dell’intervento sul Tamigi era il chimico e fisico Michael Faraday, che auspicava fermamente un completo risanamento del fiume. Il 7 luglio 1855 aveva inviato una lettera all'editore del quotidiano The Times. La lettera, intitolata "Osservazioni sulla sporcizia del Tamigi", sarebbe presto diventata un riferimento del crescente pubblico interessato a un recupero ambientale del fiume: 
Signore,
Ho attraversato oggi in battello a vapore lo spazio tra Londra e Hangerford Bridges tra l'una e l'una e mezza; c’era acqua bassa, e penso che la marea doveva essere vicina al cambio. L'aspetto e l'odore dell'acqua si offrirono subito alla mia attenzione. L'intero fiume era un liquido opaco e marrone chiaro. Per testare il grado di opacità, ho strappato delle carte bianche a pezzi, le ho inumidite in modo da farle affondare facilmente sotto la superficie, e poi ho fatto cadere alcuni di questi pezzi nell'acqua ad ogni pontile a cui si trovava la barca; prima che fossero affondati di un centimetro sotto la superficie, erano indistinguibili, sebbene il sole brillava in quel momento; e quando i pezzi cadevano di lato, la parte inferiore era nascosta alla vista prima che la parte superiore fosse sott'acqua. Questo è accaduto a St. Paul's Wharf, Blackfriars Bridge, Temple Wharf, Southwark Bridge e Hungerford; e non ho alcun dubbio che si sarebbe verificato ulteriormente su e giù per il fiume. Vicino ai ponti il fetidume si avvolgeva in nubi talmente fitte che erano visibili in superficie, anche in acque di questo genere. 
L'odore era molto cattivo e comune a tutta l'acqua; era lo stesso di quello che viene dai tombini delle strade; l'intero fiume era in quel momento una vera fogna. Essendo appena tornato dall'aria del paese, forse ne sono stato più influenzato rispetto ad altri; ma non credo che sarei potuto andare a Lambeth o a Chelsea, e fui felice di entrare nelle strade, in cui c’era un'atmosfera che, tranne che nei pressi dei fori di scarico, trovavo molto più salubre di quella sul fiume. 
Ho ritenuto doveroso registrare questi fatti, che possano essere portati all'attenzione di coloro che esercitano il potere o hanno responsabilità in relazione alle condizioni del nostro fiume; non c'è niente di retorico nelle parole che ho usato, o un qualsiasi approccio all'esagerazione; sono la semplice verità. Se vi è sufficiente autorità per rimuovere uno stagno putrescente dal vicinato di poche semplici abitazioni, sicuramente non si dovrebbe consentire che il fiume che scorre per molte miglia attraverso Londra diventi una fogna in fermentazione. La condizione in cui ho visto il Tamigi può forse essere considerata eccezionale, ma dovrebbe essere un caso impossibile, invece temo che stia rapidamente diventando la condizione generale. Se trascuriamo questo argomento, non possiamo aspettarci di farlo nell'impunità; né dovremmo essere sorpresi se, dopo molti anni, una stagione calda ci darà una triste prova della follia della nostra negligenza.
Con rispetto,
M. Faraday. 

Purtroppo, l’appello fu ignorato, almeno finché non furono gli stessi legislatori a provare nelle loro narici quanto Faraday aveva denunciato e che tutti i cittadini di Londra sperimentavano, come in questo episodio di Tre uomini in barca (1886) di Jerome K. Jerome: 
“Ci fermammo due giorni a Streatley e ci lavammo i vestiti. Avevamo provato a lavarli da soli, nel fiume, sotto la supervisione di George, ed era stato un fallimento. Anzi, era stato più che un fallimento, perché dopo esserci lavati i vestiti eravamo conciati peggio di prima. Prima che li lavassimo, erano molto, molto sporchi, è vero; ma erano almeno indossabili. Dopo averli lavati, beh, il fiume tra Reading e Henley era molto più pulito, dopo che ci eravamo lavati i vestiti, di quanto lo fosse prima. Raccogliemmo, durante quel lavaggio tutta la sporcizia contenuta nel fiume tra Reading e Henley, e l'avevamo tutta sui nostri vestiti”. 

Il colera 

Il sovraffollamento eccessivo, le scarse condizioni igieniche e l'assenza totale di profilassi delle malattie creavano il terreno fertile perfetto per ogni tipo di pandemia. Londra era infatti periodicamente colpita da epidemie più o meno gravi di colera, il morbo del XIX secolo. Durante i decenni tra il 1830 e il 1860, questa malattia epidemica gettò un'ampia rete di morte e distruzione su Londra. Nell'arco di trent'anni, devastò le comunità, creò panico diffuso e fece quasi quarantamila morti. 


Il colera si diffuse facilmente a Londra a causa del modo in cui si propaga. Si tratta infatti di una malattia che si diffonde tramite l'acqua inquinata da reflui fecali, in cui prolifera il suo vibrione. Questo batterio viene trasmesso attraverso l'assunzione di cibo e acqua contaminati. Una volta che si contrae la malattia, si possono manifestare sintomi che vanno dall'estrema disidratazione dovuta a una massiccia perdita di fluidi corporei, alla diarrea, al vomito. Sebbene il colera fosse originario dell’Asia e noto da secoli, prosperò a Londra a causa della mancanza di un efficiente sistema fognario. I rifiuti della città erano versati direttamente nel Tamigi, che era diventato una fogna gigantesca. Se l'abuso del Tamigi come pattumiera fosse stato l'unico guaio che i londinesi dovevano affrontare all'epoca, il problema non sarebbe stato così grave. Ma, in quei decenni, l'acqua potabile dell'intera città era prelevata dal fiume. Le persone stavano letteralmente bevendo e facendo il bagno nei rifiuti l’uno dell'altro. 

Quando il colera emerse per la prima volta, nessuno pensava di identificare l'acqua potabile infetta come la fonte del contagio. In effetti, l'idea che il colera fosse trasmesso tramite l’acqua inquinata non sarebbe stata introdotta fino a quasi due decenni dopo la sua iniziale esplosione. La teoria più diffusa era che il colera si diffondesse attraverso l'”aria cattiva”, un miasma simile a una nuvola. Altri credevano fermamente che, poiché la malattia si diffondeva più rapidamente nei quartieri più poveri, i ricchi li stavano avvelenando di proposito. Ancora più popolare era la credenza che il colera fosse una vendetta di Dio, che stava esigendo una punizione per la comunità a causa dei suoi peccati. Tali convinzioni oggi potrebbero sembrare inverosimili, ma all'epoca non erano inusuali. La conoscenza di microbi e batteri stava appena iniziando a emergere e solo un'élite scientifica era consapevole della loro esistenza. 


Il primo focolaio di colera in Gran Bretagna fu a Sunderland, nell'Inghilterra nord-orientale, durante l'autunno del 1831. Da lì la malattia si diresse verso nord, verso la Scozia, e verso sud, verso Londra. Prima che avesse finito il suo corso, costò 52.000 vite a livello nazionale. Dal suo punto di origine in Bengala ci erano voluti cinque anni per giungere in Europa e attraversarla, così che, quando raggiunse Sunderland, i medici britannici erano ben consapevoli della sua natura, se non della sua causa. La malattia era diversa da qualsiasi altra cosa allora conosciuta. Un medico commentò: 
"Le nostre altre piaghe erano familiari, e alcuni di noi, per così dire, avevano l'abitudine di guardarle con una fatale indifferenza, in quanto ci inducevano a credere che potevano essere efficacemente sottomesse. Era qualcosa di bizzarro, sconosciuto, mostruoso, i suoi tremendi segni, così a lungo previsti e temuti, così poco esplicabili, la sua marcia insidiosa su interi continenti, la sua apparente sfida a tutte le precauzioni convenzionali contro la diffusione della malattia epidemica, la circondarono di un mistero e un terrore che si impossessarono completamente della mente del pubblico, e sembravano ricordare il ricordo delle grandi epidemie del Medioevo ". 
Le autorità cittadine erano convinte che il colera si diffondesse attraverso i miasmi, non a torto associando il morbo alla scarsa igiene, ma sbagliando completamente sul mezzo di contaminazione. Poiché le esalazioni dei pozzi neri erano un problema sempre più grave, si ordinò di svuotarli tutti nel Tamigi, che era la principale fonte di approvvigionamento idrico della città attraverso una fitta rete di pozzi e pompe stradali che pescavano nella sua falda. La prevalente teoria del miasma portò il Parlamento ad approvare nel 1846 la Legge sulla Rimozione dei Morbi e la Prevenzione delle Malattie, che la stampa ribattezzò The Cholera Bill. Fu utilizzato durante la nuova epidemia di colera del 1848-9 per incoraggiare i proprietari a pulire le loro abitazioni e collegarle alle fogne. 

L'uomo che ispirò questa legge fu Edwin Chadwick, uno dei primi promotori di campagne per la salute pubblica, purtroppo totalmente convinto della teoria del miasma. Credeva che, se si potevano eliminare gli odori che avvolgevano le città, si poteva contribuire a sradicare la malattia. 

Chadwick ordinò che tutti i pozzi neri e le fognature di Londra fossero ripuliti e il liquame fosse scaricato nel Tamigi. L’idea era che, liberandosi dell'aria fetida, il problema del colera sarebbe calato fino a scomparire. Per mesi, un fitto traffico di carri portò il contenuto dei pozzi verso il fiume, inquinandolo e contaminandolo ancor di più: era stato creato un efficientissimo sistema per lo scarico delle acque reflue di Londra nel Tamigi, la sua principale fonte di acqua potabile. Naturalmente, il numero dei morti salì in modo drammatico. A Venezia commenterebbero “Peso el tacon del sbrego”. Alla fine dell’epidemia morirono quattordicimila persone in seguito alla decisione di Chadwick. L'impatto del provvedimento fu esacerbato dalla crescente popolarità del moderno gabinetto con sciacquone tra le classi medie di Londra, che aumentò la quantità di acque reflue che raggiungevano il fiume. Il colera continuava a imperversare: vi fu una nuova epidemia che causò la morte di undicimila persone nel 1853 e si crearono le condizioni per la Grande Puzza del 1858. 


Questo è lo scotto che devono pagare le metropoli in rapido sviluppo demografico prive di adeguate strutture fognarie e per l’approvvigionamento di acqua potabile. Il caso di Londra fu solo il primo, ma il secolo appena trascorso ci ha offerto analoghi esempi, e ancor oggi assistiamo, nei “paesi in via di sviluppo” a questi problemi di degrado morale e ambientale. Per fortuna di Londra e del suo fiume, nell'Inghilterra vittoriana c’erano uomini intelligenti e risorse pubbliche che riuscirono a migliorare la situazione e a sconfiggere inquinamento ed epidemie, come si vedrà nella seconda parte. Se invece oggi, con il progresso delle conoscenze e delle tecnologie, esistono ancora slum, favelas e bidonville, se esistono epidemie vecchie e nuove, con diverse modalità di contagio, che mietono milioni di vittime, non possiamo addebitare le responsabilità all'ignoranza, ma a precise ed egoistiche volontà economiche e politiche.

giovedì 22 novembre 2012

Il bignami delle risposte dei candidati: sicurezza del territorio


Nell'era della rete e di Wikipedia, molti giovani non sanno che cosa hanno rappresentato per generazioni di studenti i “bigini” della casa editrice Bignami, piccoli libri in formato tascabile contenenti una sintesi degli argomenti trattati nei programmi ministeriali delle varie materie scolastiche. Il “bignami” è diventato sinonimo di un compendio sintetico, anche in ambiti esterni alla scuola, alla preparazione di esami o all'affannoso recupero di saperi prima sottovalutati. 

Per aiutare me stesso e il lettore a comprendere e confrontare le risposte fornite dai 5 candidati alle primarie ai quesiti che abbiamo formulato, ho redatto un piccolo bignami delle loro risposte a una delle domande, la seconda: 

Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico? 

Di seguito fornisco un ampio riassunto della risposta di ciascuno, in ordine strettamente alfabetico. La lunghezza della sintesi è proporzionale a quella della risposta originale. Come usiamo fare noi insegnanti, ho cercato di evidenziare con il rosso i punti che mi sono sembrati più importanti in ciascun “intervento” (Il grassetto nero nella risposta di Tabacci era già presente nell’originale). Come non dovremmo fare noi insegnanti, ma spesso facciamo, mi sono permesso qualche riga, anche questa sintetica, di commento finale.

Pierluigi Bersani 

I recenti terremoti e alluvioni confermano una triste statistica: in Italia c'è un evento distruttivo ogni sei anni, con vittime e danni enormi. Bisogna uscire da una logica dell'emergenza per realizzare un progetto di intervento coordinato e preventivo che si concentri da subito su tre priorità
· investimenti per la sicurezza delle scuole
· interventi sulle situazioni a più alto rischio sismico e idrogeologico; 
· incentivi fiscali per l'applicazione delle nuove tecnologie alle costruzioni e al territorio. 

Occorre inoltre un programma decennale, dotato delle risorse certe necessarie, per finanziare le misure di prevenzione: la messa in sicurezza del territorio sarà la più importante opera pubblica da realizzare nel Paese. Bisogna anche fermare il dissennato consumo di suolo, ad esempio ponendo fine ai condoni

Il ruolo di scienziati e tecnici deve essere indipendente dalla politica: essi dovranno definire diagnosi e terapie adeguate, con un ruolo consultivo: non si può chiedere agli scienziati di prevedere i terremoti. È necessario anche ripensare il modello organizzativo della protezione civile

Laura Puppato 

Non siamo di fronte a eventi eccezionali ma a uno stato di conclamato dissesto idraulico e geologico di una parte consistente del territorio italiano. I cambiamenti climatici sono l'acceleratore al problema, il primo ostacolo da rimuovere è quello rappresentato da una "cultura dell'emergenza" che ci fa intervenire solo a posteriori, con costi economici e umani enormi. Al centro del programma politico ci deve essere la vera, unica e impellente Grande Opera che serve al nostro Paese: un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio. Vale 2.5% di PIL e 40 miliardi di euro. Si tratta di un investimento che, se inserito in un piano organico di prevenzione, permetterebbe di utilizzare, coordinando Stato e Regioni, le risorse oggi destinate all'emergenza e di recuperare oculatamente i fondi Europei disponibili per progetti coordinati aventi questo obiettivo. Tutto questo significa lavoro, maggiore sicurezza e tutela della qualità urbana e agricola. 

Riguardo al rischio sismico, bisogna prendere esempio dal Giappone, paese che da tempo attua politiche di prevenzione del danno. A tale scopo si potranno utilizzare in parte anche i fondi per le politiche EU per l'edilizia a risparmio energetico. Una riflessione parallela va poi condotta sulla dissennata cementificazione che l'Italia ha subito negli ultimi decenni, alimentata anche dal ripetersi di condoni edilizi

Matteo Renzi 

Il territorio italiano è minacciato da problemi antichi - scarsa manutenzione, abusivismo edilizio, eccessivo consumo di suolo - e da pericoli più recenti, primi fra tutti le conseguenze dei cambiamenti climatici. Per fronteggiare questi rischi vanno messe in campo azioni a breve termine (1 anno), come lo sviluppo di un servizio meteo-climatico nazionale allineato agli standard europei e una nuova legge d'indirizzo urbanistica che privilegi la riqualificazione del già costruito rispetto al consumo di suolo, e strategie a medio termine (3-5 anni), come un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e lo spostamento verso la manutenzione territoriale (lotta al dissesto idrogeologico, migliore gestione delle risorse idriche) e la mobilità sostenibile delle risorse finalizzate a nuove infrastrutture. 

E' inoltre fondamentale il ruolo degli amministratori locali nel definire le priorità di intervento sui propri territori, che conoscono meglio di chiunque altro, e di coordinare i lavori di messa in sicurezza, lasciando al Governo centrale il controllo certo e rigoroso di quanto effettuato. 

Bruno Tabacci 

Quanto alle strategie, è evidente la priorità dell'obiettivo e le parole chiave sono prevenzione e manutenzione per entrambi i fronti con diversi contenuti specifici, quali stringenti criteri di anti sismicità per le nuove costruzioni e per gli edifici esistenti ed un piano di messa in sicurezza per le nuove costruzioni; mentre sulla dimensione idrogeologica è necessario riprendere, rivisitandola, la cultura del presidio del territorio che il nostro Paese ha adottato per secoli: è evidente che è necessario un piano pluriennale, anzi pluridecennale, ma questo è motivo per partire subito, non per differire l'avvio. Positivo del resto sarebbe anche l'effetto sull'occupazione attraverso la domanda di consumi virtuosi che avrebbe il beneficio di far ripartire il settore dell'edilizia. 

Sul fronte del reperimento delle risorse non si può che operare attraverso un'integrazione tra pubblico e privato attraverso: 
· sgravi fiscali mirati, 
· finalizzazione degli attuali contributi agricoli anche di fonte UE, riqualificando, per esempio, meccanismi quali il sostegno del cosiddetto set-aside (contributi a chi lascia i terreni incolti) con il principio dei costi evitati (ti pago se non abbandoni il territorio e così evitiamo dissesti che costerebbero di più); 
· per le Regioni del Mezzogiorno destinazione a questo obiettivo dei fondi comunitari finora utilizzati non adeguatamente, quando non utilizzati e quindi restituiti. 

Riguardo agli attori dell'intervento occorre superare una frammentazione di competenze che dà luogo a paralisi sotto la mitologia di una malintesa autonomia; vanno riprese, aggiornandole, esperienze positive quali l'antico Genio Civile o i Consorzi di Bonifica che avevano veste privata e funzioni pubbliche, superando attribuzioni generiche con obiettivi troppo diversificati e confusi e con sproporzione fra fini e mezzi; è opportuno inoltre rivitalizzare il modello dei Parchi che in molti casi hanno operato bene, soprattutto quando hanno trovato equilibrio tra protezione e promozione E sarebbe auspicabile varare un Piano Nazionale del Territorio che riunisca volontà e risorse in un disegno coordinato e soprattutto con un respiro temporale coerente con le dimensioni delle tematiche da affrontare. 

In sede UE, infine, le risorse destinate a interventi di solidarietà in caso di emergenze dovrebbero essere affiancate da sostegni alle opere di prevenzione e dovrebbe essere introdotto - se concordato con gli altri partner - un meccanismo di deroga ai vincoli sul pareggio dei bilanci nazionali per le spese di messa in sicurezza dei territori

Nichi Vendola 

Elemento imprescindibile dell'agenda di chi si candida a governare il Paese è occuparsi del dissesto idrogeologico, dell'erosione della costa e dell'urgenza di custodire il territorio. In un Paese in cui 8 comuni su 10 sono ad alto rischio quando piove e nevica, il tema del dissesto idrogeologico ha valore paradigmatico di quali debbano essere le politiche necessarie per curare l'Italia

Dal 1996 al 2008 sono stati spesi per le emergenze, per rincorrere le calamità naturali, quasi 30 miliardi di euro, cioè 2-3 miliardi all'anno contro i 250 milioni di Euro all'anno spesi per la prevenzione. Dal 1950 ad oggi contiamo 6.500 vittime. Siamo stati l'Italia della furbizia, delle sanatorie, dei condoni, un bilancio assolutamente inaccettabile. Dobbiamo invertire definitivamente e con efficacia questa rotta. L'Italia sta sprofondando letteralmente nel fango. Bisogna mettere in campo la più grande opera pubblica dal dopoguerra ad oggi: un Piano straordinario di messa in sicurezza, manutenzione e tutela del territorio

In sintesi estrema 

Con accenti diversi, tutti i cinque candidati si sono impegnati per l’istituzione di un piano a lungo termine per la messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico e geologico. Per tutti è necessario uscire dalla logica dell’emergenza e passare a quella della prevenzione. Tutti stigmatizzano le politiche di condoni degli abusi edilizi. 

Bersani, Renzi e Tabacci propongono anche interventi a breve-medio termine. Puppato e Renzi associano l’aumento di alluvioni e dissesti ai cambiamenti climatici. Bersani sottolinea il ruolo consultivo di scienziati e tecnici e vuole riorganizzare l’organizzazione della Protezione Civile, Puppato e Renzi sottolineano il ruolo che devono avere le amministrazioni locali, mentre Tabacci propone organismi più centralizzati a carattere pubblico-privato, con competenze tecniche e meno dipendenti dalla politica. 

Di risorse per realizzare tutto ciò parlano Bersani (sgravi fiscali), Puppato (risorse dall'emergenza alla prevenzione, fondi comunitari), Renzi (risorse da nuove infrastrutture verso manutenzione territoriale e mobilità sostenibile) e Tabacci (utilizzo mirato e riveduto dei fondi comunitari, sgravi fiscali, esclusione dai vincoli di stabilità per le spese di messa in sicurezza dei territori). 

Commento

Indipendentemente dalle mie opinioni politiche personali, valutando solo l’aspetto tecnico delle risposte, quelle di Bersani, Renzi, nonostante l’estrema sintesi, e Tabacci mi sono sembrate le più articolate. Puppato e Vendola, soprattutto quest’ultimo, sono andati poco al di là delle petizioni di principio, anche se dette con forza. Da laureato in scienze geologiche e parente di ingegneri civili, mi è piaciuta l’idea del candidato a me politicamente più lontano, cioè Tabacci, di istituire un organismo nazionale tecnico scientifico, indipendente della politica, tipo il vecchio Genio Civile. Non ho invece capito che cosa intende per consumi virtuosi.

Sottolineo positivamente i punti comuni, che a questo punto considero un impegno di tutto il centrosinistra. Se poi si allea con forze più affini nelle tematiche ambientali e la smette di inseguire i mercati è meglio.