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domenica 4 giugno 2023

La Madonna del Manganello

 


Una delle rappresentazioni più diffuse in epoca tardo medievale e moderna della Madonna del Soccorso è stata quella in cui la Vergine, armata di un bastone, allontana il Diavolo per proteggere un bambino.

Una delle prime opere dedicate a questa raffigurazione della Vergine è quella del folignate Nicolò di Liberatore detto l’Alunno (1430-1502), conservata presso la Galleria di Palazzo Colonna a Roma. Al centro del dipinto, la Vergine compare in cielo con un lungo bastone, che minaccia un diavolo sulla destra che sta portando via un pargoletto dalle mani della madre disperata sulla sinistra.


Al museo di San Francesco a Montefalco, in Umbria, si può vedere un esempio ancor più famoso, il quadro del 1509 di Tiberio d’Assisi in cui la Vergine con il bastone nel braccio destro alzato, con la mano sinistra tiene per mano un bambino che cerca spaventato di sfuggire alle grinfie del diavolo e di salire sull’abito della Madonna. 
Da un lato del dipinto si vede una donna in ginocchio che prega Maria. È la madre del bambino, che chiede disperatamente aiuto.

La tradizione narra che la madre, stanca per la mancanza di obbedienza del figlio, in un momento di esasperazione chiese al diavolo di portarselo via, e il diavolo si presentò immediatamente per esaudire la richiesta.

Disperata, vedendo il grande errore che aveva commesso e il figlio distrutto dalla paura, la madre, sapendo che l’anima del bambino era in grave pericolo perché non era ancora stato battezzato, pregò la Vergine. La Madonna venne subito a soccorrerla, e prese a bastonate l’orribile creatura infernale.


Questa storia e il tipo di iconografia dell’opera erano molto diffusi nel centro e nel sud Italia. Essa serviva a scoraggiare la pratica del Battesimo tardivo, un tema che preoccupava molto l’Ordine degli Agostiniani. Molti dipinti, come quello della Madonna del Soccorso di Montefalco, provengono infatti da chiese agostiniane.

Ancor più nota divenne l’immagine della grande pala d’altare risalente al 1642 attribuita al pittore toscano Andrea Piccinelli, detto il Brescianino, realizzata per la chiesa di San Biagio di Avigliano (PZ). Durante il ventennio fascista questa rappresentazione iconografica venne ripresa dagli organi del PNF che, per evidenti motivi, la elessero patrona degli squadristi e poi protettrice dei fascisti, con il nome di Madonna del Manganello. L’opera originale, in cui la vergine è circondata dai santi Biagio e Cataldo, è andata perduta dopo la guerra ed è nota solo grazie a una riproduzione fotografica in un testo del 1929.


In molti santuari dell’Italia meridionale la Madonna del Soccorso è rappresentata nelle statue, alcune molto ingenue, altre di buona fattura. La più famosa fu la Madonna del Manganello realizzata da Giuseppe Malecore (1876-1967), uno scultore di Lecce specializzato nella lavorazione della cartapesta, come arredo sacro per una chiesa non parrocchiale di Monteleone, dal 1928 diventata Vibo Valentia. La statua, del 1936, rappresentava una Madonna con bambino, nella tipica iconografia della Madonna del Soccorso che, mentre nella mano sinistra sorregge il figlio Gesù, con la destra solleva un bastone che è diventato un manganello nodoso. Ai piedi della donna si trova un secondo bambino in piedi. La statua è realizzata in cartapesta colorata, e anche dalla fotografia di questa rappresentazione furono tratte in seguito alcune serie di santini.

Sul retro di tali santini era spesso riprodotto lo stornello Il Santo Manganello, ideato dal bresciano Asvero Gravelli (1902-1956), sansepolcrista, squadrista, volontario della guerra d’Etiopia e fondatore di diverse riviste del regime e, amnistiato dopo la guerra, militante del MSI fino alla morte. Ecco l’infame testo:

«O tu santo Manganello
tu patrono saggio e austero,
più che bomba e che coltello
coi nemici sei severo.
O tu santo Manganello
Di nodosa quercia figlio
ver miracolo opri ognor,
se nell'ora del periglio
batti i vili e gli impostor.
Manganello, Manganello,
che rischiari ogni cervello,
sempre tu sarai sol quello
che il fascista adorerà.»

La Chiesa Cattolica non riconobbe mai ufficialmente tali immagini, ma, nel clima di concordia successivo ai Patti Lateranensi, tollerò questo uso improprio di un’immagine sacra, in fondo apprezzato dall’Uomo della Provvidenza.

martedì 7 febbraio 2023

Nat Tate: una creatura di carta da Sotheby’s

 


Nel 1998 la 21 Publishing, la casa editrice fondata da David Bowie, pubblicò una raffinata monografia scritta dallo scrittore e sceneggiatore britannico William Boyd dedicata a un pittore sconosciuto alla comunità artistica internazionale: Nat Tate. Corredata da foto del pittore e da immagini di suoi disegni, la monografia ricostruiva la breve e tragica esistenza di un artista di cui, in apparenza, non rimanevano che esili tracce. Al momento del lancio del romanzo, Boyd in qualche modo incoraggiò la convinzione che Tate fosse davvero esistito."Nat Tate" è una combinazione dei nomi di due gallerie d'arte londinesi, la National Gallery e la Tate Gallery. Boyd e i suoi “complici” (tra i quali Gore Vidal, lo stesso Bowie e John Richardson, biografo di Picasso) tentarono di convincere le élite artistiche e sociali di New York che la reputazione di questo influente espressionista astratto doveva essere rivalutata.

Tate sarebbe nato nel New Jersey nel 1928, rimase orfano all’età di otto anni e fu adottato da una ricca coppia di Long Island presso i quali la madre, morta in un incidente, lavorava come domestica. Mostrò presto un grande talento per la pittura e i genitori adottivi gli pagarono gli studi presso una scuola d’arte. Frequentò poi l’ambiente del Greenwich Village, dove riscosse un certo successo come giovane esponente dell’Espressionismo astratto. Tate divenne una figura rispettata, anche se minore, della scena artistica di New York, apprezzata dai suoi coetanei, anche se alquanto oscura al grande pubblico. Un motivo ricorrente nelle sue opere era la rappresentazione dei ponti. L’abuso di alcol, tuttavia, e il fatale incontro con due geni della pittura, Pablo Picasso e George Braque, conosciuti entrambi in Francia nel 1959 nel suo unico viaggio all’estero, durante il quale ebbe anche una fugace relazione con Peggy Guggenheim, lo gettarono in una profonda prostrazione. Tate cominciò a dubitare del suo talento, cercò di ricomprare i suoi quadri per “correggerli” e, durante un fine settimana in cui cadde preda della più cupa disperazione, diede fuoco alla quasi totalità delle sue opere. Il 12 gennaio 1960 si suicidò gettandosi da un traghetto nelle acque del fiume Hudson. Il suo corpo non fu mai trovato.

La monografia ebbe subito una vasta risonanza sulle pagine culturali dei giornali e sulle riviste d’arte anglosassoni. Il primo di aprile del 1998 David Bowie organizzò un party per la presentazione del libro a Manhattan, nello studio dell’artista pop Jeff Koons, dove accorsero gli esponenti più in vista del mondo dell’arte newyorchese. Durante l’avvenimento, Vidal e Richardson raccontarono falsi aneddoti per dare credibilità alla burla. Fin qui non c’è nulla di strano e siamo in un campo prettamente letterario e artistico. Esistono centinaia di false biografie di personaggi di ogni tipo, magari in parte basate su dati reali.

Circa una settimana dopo, il giornalista David Lister riferì su The Independent che "alcuni dei più grandi nomi del mondo dell'arte sono stati vittime di una bufala letteraria", e la storia fu ripresa da altri giornali, incluso il New York Times. Lister scrisse che nessuno con cui aveva parlato sosteneva di conoscere bene Tate, ma nessuno disse di non aver sentito parlare di lui. Affermò di aver annusato qualcosa di sospetto dal momento che sembrava essere l'unica persona nella stanza che non aveva mai sentito parlare di Tate. I suoi sospetti furono confermati quando scoprì che nessuna delle gallerie menzionate nel libro esisteva realmente.

In realtà, sembra che pochi si siano fatti ingannare e la maggior parte dei grandi nomi del mondo dell'arte (tra cui artisti, collezionisti, storici dell'arte, mercanti d'arte, scrittori e editori di riviste letterarie) presto si resero conto che Nat Tate era un’invenzione e che erano stati vittime di una elaborata burla. Sembra che alcuni dei quadri presenti nel libro fossero stati dipinti da Boyd stesso e la burla era resa più credibile dalla presentazione di Gore Vidal scritta sulla quarta di copertina. Inoltre, le fotografie di Nat Tate che compaiono nella "biografia" sono di persone sconosciute della collezione fotografica di Boyd. Il libro è stato pubblicato anche in Italia da Neri Pozza nel 2020 con la traduzione di Laura Prandino.


La falsa biografia, una burla, diventò una vera bufala il 10 novembre 2011, quando venne battuto all’asta da
Sotheby’s, con grande eco, un disegno dell’artista: Bridge no. 114. L'offerta vincente per il dipinto era di 7.250 sterline, ben al di sopra del prezzo previsto. L'acquirente in seguito si rivelò essere il personaggio televisivo inglese Anthony McPartlin. Il denaro fu donato all'Istituto di beneficenza generale degli artisti.

sabato 11 ottobre 2014

Escher e Malta: dilatazioni e strani anelli

Tra il 1935 e il 1936, più o meno alla fine dei tre lustri durante i quali aveva a lungo viaggiato e vissuto in Italia, M. C. Escher (1898–1972) passò per due volte a Malta, sempre come passeggero di navi mercantili in transito, per il tempo necessario alle operazioni di carico e scarico delle merci. Del primo, breve, soggiorno, ci è giunto uno schizzo del 27 marzo 1935 che raffigura la piccola città portuale di Senglea e alcune navi. 


Nell'ottobre successivo, da questo disegno Escher trasse una xilografia in cui la località è rappresentata come una penisola interamente urbanizzata, con alti palazzi e chiese abbarbicati su un colle cinto da una imponente muraglia. In primo piano un battello all'ancora, con alcune barche che fanno la spola tra il natante e il molo.


Poco più di un anno più tardi, il 18 giugno 1936, tornato a Malta, Escher disegnò di nuovo lo stesso scorcio della città portuale, che doveva affascinarlo in modo particolare. Quella veduta, affascinante, movimentata e piena di armonia, servì nel 1945 come soggetto per lo studio di una dilatazione. 


L'opera si intitola Balcone e si caratterizza per il fatto che il centro dell'immagine è ingrandito quattro volte rispetto alla periferia. L'effetto sull'occhio è quello di una grande bolla in corrispondenza del balcone centrale, come se esso fosse gonfiato da dietro. In questo modo si possono notare dei dettagli che, senza l'ingrandimento, non si sarebbero potuti vedere, come ad esempio un piccolo alberello in un vaso sulla terrazza. Il paragone con il disegno preparatorio, in cui l'immagine non è ancora deformata, permette di riconoscere il quinto balcone dal basso come l'oggetto della dilatazione applicata dall'artista. 


Lo spazio acquistato dal centro doveva essere in qualche modo compensato da una riduzione delle distanze nelle sue prossimità: in effetti, lo spazio tra i quattro balconi sottostanti risulta alquanto compresso rispetto alla realtà. Escher crea questo effetto ottico con rigore matematico. Negli schemi è possibile decifrare il procedimento adottato. Nel primo si vede un quadrato suddiviso in quadrati più piccoli e un cerchio tratteggiato che definisce il bordo della dilatazione. Le linee verticali PQ e RS e quelle orizzontali KL e MN diventano poi delle curve. Infatti, nel secondo schema, che rappresenta la dilatazione avvenuta, si vede che i punti A, B, C, D sono proiettati sul margine della bolla e assumono le posizioni A', B', C', D'. Tutte le linee centrali sono incurvate verso il bordo della circonferenza. 



Ritroviamo il porto e gli edifici di Senglea in una delle opere più celebri dell'artista olandese, l’inquietante litografia quadrata (32×32 cm) Galleria di stampe, realizzata nel 1956, ben vent'anni dopo il primo viaggio a Malta. Essa mostra un giovane all'interno di una galleria, mentre guarda la stampa di una veduta del porto mediterraneo (con la stessa nave della xilografia del 1935). Man mano che i suoi occhi seguono gli edifici da sinistra verso destra e poi verso il basso, egli scopre tra di essi quella stessa galleria in cui si trova. Una macchia circolare al centro della litografia contiene il monogramma di Escher e la sua firma. 


La migliore spiegazione di come fu realizzata l’opera si trova nell’ormai classica biografia scritta dal matematico e amico Bruno Ernst, Lo specchio magico di M. C. Escher (Taschen, 1978, ed. it. 1990). “Galleria di stampe nacque dall’idea che sarebbe dovuto essere anche possibile realizzare una dilatazione a forma di anello” Per ottenere questo effetto, Escher assunse, come scheletro di questo quadro, “un reticolo che marcasse una dilatazione chiusa, (...), la quale non ha un inizio né una fine”. La realizzazione di questa idea gli provocò “alcune forti emicranie”, ma il risultato è uno di quelli che Douglas Hofstadter chiama strange loops, strani anelli, “un quadro di un quadro che contiene se stesso. Oppure è il quadro di una galleria che contiene se stessa? o di una città che contiene se stessa? (…) Il concetto di Strani Anelli contiene quello di infinito: un anello, infatti, non è proprio un modo per rappresentare un processo senza fine in modo finito?” (D. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach, Adelphi, 1984, pp. 13-14). 



All’inizio, egli “cercò di realizzare la sua idea servendosi di rette [primo schema], ma poi, intuitivamente, scelse linee curve [secondo schema]. I piccoli rettangoli originari rimangono in questo modo ‘rettangolari’” Dopo un certo numero di successivi miglioramenti, Escher giunse al reticolo mostrato nella figura. Se si percorre il perimetro da A a D, i quadrati che formano il reticolo si espandono di un fattore 4 in ogni direzione. Procedendo in senso orario attorno al centro, il reticolo si piega su se stesso, ma si dilata di un fattore di 44 = 256.


Il secondo ingrediente necessario all’artista era un normale disegno, non distorto, della stessa scena: una galleria in cui si tiene una mostra di stampe, una delle quali mostra un porto con edifici prospicenti, e uno di questi edifici è la galleria stessa, ma ridotta di un fattore 256. Per realizzare questo scopo e rendere giustizia ai diversi gradi di dettaglio che gli servivano, Escher fece quattro studi preparatori, uno per ciascuno degli angoli della litografia. Ciascuno di essi mostra una porzione del precedente, ma dilatato di un fattore 4. Dal punto di vista matematico, i quattro studi di Escher corrispondono a un singolo disegno che è invariante per uno scalamento di un fattore 256. Quadrato dopo quadrato, egli adattò la griglia quadrata dei suoi studi alla griglia curvilinea, realizzando così l’opera. 



Escher ottenne il suo reticolo con metodi grafici, e dovette poi adattare i vari particolari del disegno allo schema, apportando lievi correzioni. Il suo metodo lasciava poi necessariamente un “buco” centrale, che egli pensò di riempire con il suo monogramma e la firma. Sempre Hofstadter (cit., p. 777) commenta “Sebbene la macchia assomigli a un difetto, forse il difetto risiede nelle nostre aspettative, perché in realtà Escher non avrebbe potuto completare quella parte di quadro senza essere incoerente rispetto alle regole secondo le quali stava dipingendo il quadro. Quel centro del vortice è, e deve essere incompleto. Escher avrebbe potuto renderlo arbitrariamente piccolo ma non avrebbe potuto liberarsene. (…) Escher ha quindi dato una parabola pittorica del Teorema di Incompletezza di Gödel.” 

 Conversando con Bruno Ernst, Escher, dopo aver dichiarato di aspirare più alla meraviglia che alla bellezza, comunque la si intenda, rifiutò tuttavia di considerarsi un artista matematico: “Due eminenti signori, il Prof. Van Dantzig e il Prof. Van Wijngaarden, cercarono una volta, invano, di convincermi di aver rappresentato una superficie di Riemann. Dubito che abbiano ragione – sebbene sia vero che una delle particolarità di questo tipo di superficie sembra essere che il centro rimane vuoto. In ogni caso, Riemann è al di là delle mie conoscenze, così come la matematica teoretica, per non parlare della geometria non euclidea. Volevo semplicemente occuparmi di una dilatazione o rigonfiamento, che dir si voglia, di forma chiusa o anulare, senza un inizio o una fine”
Nonostante la ritrosia del grande artista, altri eminenti Professori di matematica olandesi hanno deciso di tornare a studiare La Galleria di stampe. Nell’aprile 2003, sul numero 4 di Notices of the AMS, B. de Smit e H. W. Lenstra Jr. hanno cercato di trovare una superficie matematica ideale che si avvicinasse il più possibile al reticolo di Escher, stabilendo che si tratta di una superficie riemanniana ellittica nel campo dei numeri complessi. Essa contiene una copia di se stessa, ruotata in senso orario di 157, 6255960832… gradi e scalata di un fattore di 22, 5836845…! Essa realizza il desiderio di Escher di realizzare una mappa conforme che conservasse gli angoli. La figura qui sopra illustra questo reticolo ideale. Come si vede, anche gli eminenti Professori hanno conservato la macchia centrale: non si possono fare Strane Ciambelle senza buco.

domenica 29 settembre 2013

Dio mio, e adesso che cosa scrivo?


La crisi di creatività del vostro blogger e la maledizione della pagina bianca rese efficacemente dal bellissimo quadro “Gli spasmi della creatività” del pittore russo Leonid Pasternak (1862-1945), amico e illustratore di Tolstoj e padre dello scrittore Boris. Alla fine degli anni ’20 aveva fatto un bel ritratto di Einstein e un disegno a carboncino che lo ritrae mentre suona il violino.