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giovedì 9 dicembre 2021

L’analisi WTW sull'efficienza energetica dei veicoli


Efficienza energetica

L’efficienza energetica di un sistema fisico rappresenta la sua capacità di ottenere un risultato utilizzando meno energia e aumentando il rendimento generale. Da un punto di vista prettamente scientifico, quindi, essa è il rapporto tra l'effetto di un determinato processo e l'energia in ingresso utilizzata all'interno del processo stesso. Ad esempio, nel caso di una macchina termica, è il rapporto tra il lavoro compiuto W e l’energia assorbita Qass fornita dall’esterno sotto forma di calore. Generalmente l’efficienza si indica con la lettera greca eta, η, e si misura in percentuale o, il che è lo stesso, con un numero compreso tra 0 e 1. 


Più è alta l’efficienza energetica, più è alto il risparmio energetico. Di conseguenza, si riducono i costi di esercizio e gli sprechi in termini di energia e di sostanze che contribuiscono al riscaldamento globale. In parole povere, l’efficienza energetica esprime la capacità di un sistema di ottimizzare i risultati.

L’analisi WTW

Il settore dei trasporti è ad alta intensità energetica e contribuisce a circa un terzo della domanda mondiale di energia primaria. Esso è quindi significativamente responsabile delle emissioni di gas serra della Terra, che sono la principale causa del cambiamento climatico. Inoltre, il grande aumento nel settore trasporti si traduce in un aumento dell'inquinamento atmosferico e ha effetti negativi sulla salute umana e sull'economia. L'efficienza è il primo combustibile, in quanto rappresenta il modo più pulito e, nella maggior parte dei casi, il più economico per soddisfare le nostre esigenze energetiche. Non esiste un percorso credibile per emissioni zero senza utilizzare le nostre risorse energetiche in modo molto più efficiente. Un cambiamento radicale nell'efficienza energetica ci darà la possibilità di combattere gli effetti peggiori del cambiamento climatico creando posti di lavoro e riducendo le bollette energetiche.

Poiché i veicoli svolgono un ruolo sostanziale nella società umana, è essenziale studiare la loro efficienza per affrontare i problemi globali di gestione dell'energia. A tale scopo, si sono affermate le analisi WTW (Well-To-Wheel, dal pozzo alle ruote), che perseguono gli obiettivi di stimare l’efficienza energetica, le emissioni di gas serra e i costi industriali di un'ampia gamma di carburanti per autoveicoli e di opzioni di propulsori. Il risultato funge da riferimento scientifico valido e ampiamente accettato, che fornisce una tecnologia e una metodologia per cogliere le implicazioni e le questioni in gioco in ogni percorso tecnologico.


L'analisi Well-To-Wheel differisce dall'analisi del ciclo di vita, in quanto non considera l'energia e le emissioni coinvolte nelle strutture di costruzione dei veicoli, né gli aspetti di fine vita degli stessi, ma si concentra sulla storia energetica e ambientale del veicolo mentre viene utilizzato. L'analisi WTW si divide in due fasi: WTT (Well-To-Tank, dal pozzo al serbatoio) e TTW (Tank-to-Wheel, dal serbatoio alle ruote). Non vengono effettuate stime dei "costi per la società" complessivi come le aree di costo sanitario, sociale o altre indagini. Presuppone che tutti gli impianti e i veicoli, nonché gli inquinanti regolamentati, soddisfino le normative attuali e future. 

Per poter calcolare l'efficienza energetica complessiva, nella prima fase si determina l'efficienza di ogni produzione, conversione o trasmissione di energia; poi si moltiplicano tutte le efficienze ottenute dalla fase precedente. Un singolo componente con un indice di efficienza basso ha un effetto moltiplicativo sul resto del sistema e sull'efficienza complessiva.

Le efficienze ηTTW dal serbatoio alle ruote dei veicoli a combustione interna, a gas naturale ed elettrici possono, in prima analisi, essere definiti sulla base della letteratura e dei dati forniti dal produttore. Inoltre, l'efficienza complessiva è stimata anche utilizzando fonti di energia rinnovabile per caricare i veicoli elettrici. 

Efficienza di estrazione, lavorazione e distribuzione

La catena energetica per i combustibili fossili inizia estraendo il greggio, convertendolo in una raffineria e poi distribuendo i prodotti ricavati al servizio desiderato, come una centrale elettrica o una stazione petrolifera. L'efficienza di ogni fase di questo processo è dettagliata nella Tabella 1. È stata considerata l'efficienza media di ciascuna fase per determinare l'efficienza TTW


Efficienza della centrale elettrica

La maggior parte delle centrali elettriche dipende dal carbone e dal gas naturale come combustibile per generare elettricità. La centrale elettrica a carbone e a gas naturale rappresenta rispettivamente quasi il 40 % e il 20 % della produzione mondiale. Il gas naturale è considerato un combustibile fossile efficiente per generare elettricità con un'efficienza che raggiunge circa il 34% nella turbina a ciclo semplice e fino al 50,1% nell'impianto a ciclo combinato, basato su turbine a gas. Comparativamente, le centrali elettriche a carbone forniscono efficienze complessive nell'intervallo 32-42%. Le centrali diesel, motori industriali ad alta capacità, hanno un'efficienza dal 35 % al 42 % come mostrato nella tabella 2. 


La centrale elettrica ha un interesse significativo nella determinazione dell'efficienza dei veicoli elettrici. Per questo, le prestazioni della centrale a combustibili fossili sono studiate in modo approfondito e sono riassunte nella tabella 2.

Il gas naturale viene immesso direttamente in una stazione di rifornimento in fase di compressione. L'efficienza del compressore solitamente si basa sul presupposto che una stazione di rifornimento abbia un’efficienza compresa tra il 91 % e il 97 %. La generazione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili ha il vantaggio di essere esente da perdite di energia fino a raggiungere l'inverter a causa dell'estrazione da fonti totalmente scariche. L'efficienza degli inverter fotovoltaici ed eolici varia dal 90% al 95%

Efficienza della rete elettrica e delle stazioni di ricarica

L'elettricità generata nella centrale elettrica viene trasferita e distribuita attraverso la rete elettrica per raggiungere la stazione di ricarica. Il caricatore della stazione di rifornimento viene utilizzato per fornire elettricità al veicolo elettrico. Gli studi hanno rilevato che l'efficienza della rete elettrica è intorno al 92 % e l'efficienza di ricarica è del 95%.

Efficienza dal serbatoio alla ruota del veicolo (TTW)

L'esame dell'efficienza energetica dei veicoli elettrici, delle emissioni di CO2 e dei costi, considerando l'impatto dei veicoli elettrici sul fabbisogno di elettricità e sulla stabilità della rete elettrica ha mostrato l'importanza di includere tutti i processi della catena energetica (WTW) nella valutazione delle prestazioni dei veicoli elettrici.

L'efficienza TTW di veicoli a combustione interna dipende da vari fattori come velocità, condizioni di carico, peso del veicolo, comportamento del conducente e condizioni stradali. Essa è stata valutata in un intervallo compreso tra 14 e 33 % per i veicoli a benzina, 28-42% per i veicoli diesel e dal 14 % al 26% per i veicoli a gas. Un consumo di energia più elevato comporta emissioni più elevate, soprattutto se l'energia sprecata è elevata, questi si tradurranno in maggiori impatti ambientali a causa della maggiore quantità di emissioni. Le misurazioni degli effetti serra di varie attività umane sono significative per stabilire strategie efficaci di mitigazione del cambiamento climatico. Gli effetti serra dei combustibili fossili coinvolgono le emissioni di combustione e tutte le emissioni dalla catena di produzione del carburante fino alla combustione. È fondamentale poter valutare la piena influenza di queste diverse emissioni e presentare i risultati in modo inclusivo anche per i biocarburanti. La promozione di un minor consumo di energia e l'utilizzo di tipi di auto più efficienti può essere attuata da diversi organismi e agenzie nazionali e internazionali, società, organizzazioni senza scopo di lucro volti a migliorare la qualità ambientale.

Per determinare l'efficienza TTW dei veicoli elettrici, deve essere analizzato ogni loro componente. La tabella 3 mostra l'efficienza dei componenti dei veicoli elettrici. Viene presa in considerazione l'efficienza TTW in un intervallo che va dal 50% all'80% in base ai valori trovati in letteratura.


Qualche considerazione finale

Considerando la ripartizione dell'efficienza WTW, l'efficienza Tank to Wheel dei veicoli a carburante liquido (benzina e diesel) e a gas, è determinata in base ai valori medi di efficienza stimati come mostrato in Tabella 1. L'efficienza totale WTW dei veicoli a benzina varia tra l'11 e il 27 % e dei veicoli diesel tra il 25 % e il 37 %. L'efficienza WTW dei veicoli a gas risulta essere compresa tra il 12 % e il 22 %. 


Per quanto riguarda i veicoli progettati per utilizzare l'elettricità della rete, bisogna considerare che, sebbene la propulsione elettrica nel veicolo sia efficiente, il consumo energetico complessivo e le emissioni di gas serra dipendono in modo cruciale dalla fonte utilizzata per produrre elettricità.

Per i veicoli elettrici in cui l’energia è prodotta da fonti fossili, il carburante viene estratto e lavorato e quindi fornito alla centrale elettrica. L'efficienza di generazione di elettricità della centrale dipende dal combustibile di alimentazione e dai tipi di tecnologia. L'elettricità raggiunge il veicolo elettrico dopo essere stata trasferita dalla rete di distribuzione e dalla stazione di ricarica. L'efficienza WTW dei veicoli elettrici è descritta e spiegata nella prima figura. L'efficienza della centrale elettrica ha una conseguenza significativa sull'efficienza WTW. Il veicolo elettrico alimentato da una centrale elettrica a gas naturale mostra la massima efficienza WTW che varia dal 13 % al 31 %, mentre i veicoli elettrici alimentati da centrali elettriche a carbone e a gasolio hanno approssimativamente la stessa efficienza WTW, compresa 13 % e il 27 % e rispettivamente tra il 12 % e il 25%. 


Un miglioramento significativo nell'efficienza WTW dei veicoli elettrici viene ottenuto attraverso l'uso di elettricità generata da sistemi solari o eolici. L'efficienza complessiva dei veicoli elettrici caricati da centrali o parchi eolici varia tra il 39 % e il 67 %, mentre l'utilizzo del sistema fotovoltaico sul tetto del veicolo aumenta l’efficienza totale a causa di basse perdite di trasmissione, quindi, l'efficienza WTW di veicoli elettrici caricati dal tetto può raggiungere un intervallo dal 42 % al 72 %.


La figura sotto mostra diverse efficienze complessive per diverse tipologie di automobili. In generale, le fonti di energia rinnovabili hanno le efficienze complessive più elevate, seguite dai motori diesel, quindi dalle auto elettriche, dalle auto a benzina, e dalle auto a gas, che presentano le efficienze più basse.


Il confronto dell'efficienza Well to Wheel dei veicoli convenzionali a combustione interna (benzina, diesel e gas naturale) con i veicoli elettrici mostra che l'efficienza della centrale ha una conseguenza significativa sull'efficienza WTW. Il veicolo elettrico alimentato da una centrale elettrica a gas naturale mostra la più alta efficienza WTW che varia dal 13 % al 31%, mentre il veicolo elettrico alimentato da centrali elettriche a carbone e diesel ha approssimativamente lo stesso intervallo di efficienza, tra il 13 % e il 27 % e rispettivamente dal 12 % al 25 %. Mentre l'efficienza totale WTW del veicolo a benzina varia tra l'11 % e il 27 %, quello diesel varia dal 25 % al 37 % e quello a gas naturale dal 12 % al 22 %. 

Un significativo miglioramento dell'efficienza WTW si ha nei veicoli elettrici attraverso l'elettricità utilizzata generata da sistemi solari o eolici. L'efficienza complessiva della carica del veicolo elettrico da fotovoltaico o parco eolico varia tra il 39 % e il 67 %, mentre l'utilizzo del sistema fotovoltaico sul tetto aumenta l'efficienza totale a causa delle basse perdite di trasmissione; quindi, l'efficienza raggiunge un intervallo di 42 % al 72%.

In generale, le auto diesel sono più efficienti delle auto elettriche alimentate da combustibili fossili, ma sono necessarie ulteriori indagini per esaminare le emissioni del ciclo di vita di entrambi i sistemi. L'efficienza complessiva delle auto a benzina è simile a quella delle auto elettriche alimentate da centrali a carbone e diesel. Le auto alimentate a gas naturale sono complessivamente le meno efficienti. Infine, l'alimentazione delle auto elettriche da fonti di energia rinnovabile migliora significativamente l'efficienza complessiva del sistema, ma sono necessarie ulteriori indagini per studiare l'influenza dei sistemi di accumulo (batterie) per i sistemi di energia rinnovabile sull'efficienza complessiva. Inoltre, sono necessarie ulteriori indagini per analizzare i veicoli ibridi-elettrici e il ciclo di vita dei veicoli, compresa la loro produzione, riciclo e smaltimento.

martedì 6 luglio 2021

Il telescopio a riflessione di Niccolò Zucchi (e il complicato rapporto tra Gesuiti e scienza)

 



La figura del gesuita come uomo di scienza si contrappone alla vulgata storiografica che vuole la Compagnia di Gesù come conservatrice, ostile e prevalentemente chiusa verso le innovazioni scientifiche dei secoli XVII e XVIII. In realtà i Gesuiti furono attraversati, sin quasi dalla loro fondazione, da una serie di conflitti intellettuali sofferti e da varie strategie per armonizzare il corpo delle verità di fede, e il nucleo delle loro dottrine centrali, con i frutti delle scoperte scientifiche che si susseguivano sempre più di frequente.

Dopo una fase iniziale di semplice rifiuto, la Compagnia si attenne a una epistemologia che presentava le nuove teorie cosmologiche come schemi puramente ipotetici, casomai coerenti con i fenomeni e utili da un punto di vista descrittivo, ma privi di una dimostrazione di realtà fisica. Quindi l’impianto tomistico e aristotelico della Physica generalis non mutò in modo sostanziale (anche perché consisteva di concezioni difficilmente verificabili o falsificabili), mentre la Physica particularis si sviluppò sempre più in una direzione quantitativa e fenomenologica. Sebbene i filosofi tentassero di far rispettare la supremazia della loro disciplina, gli “scienziati” della Compagnia cercarono una loro autonomia, spesso riuscendo a dare contributi validi in molti campi, pur dovendo ricorrere a complesse strategie per spiegare fatti sperimentali per i quali l’impianto aristotelico era nettamente insufficiente. Nella prima fase dell’età della rivoluzione scientifica, l’atteggiamento dei Gesuiti fu difensivo, passando dallo scetticismo o cautela sulla fondatezza delle novità a una fase in cui, una volta che la novità si affermava, interpretarla in modo da armonizzarla con le concezioni tradizionali.



Quando la vecchia cosmologia era da considerarsi non più recuperabile con ipotesi ad hoc, la Compagnia ripiegò sul sistema parzialmente eliocentrico di Tycho Brahe, non senza intensi dibattiti interni e strenue difese dell’impianto geocentrico. Gli influssi di Keplero e Galileo solo alla lunga agirono da cuneo, rendendo manifeste le divaricazioni metodologiche e epistemologiche già esistenti tra filosofi e “matematici” all’interno dell’ordine. Gli “scienziati” gesuiti si trovarono in una posizione peculiare nella catena del sapere: in quanto specialisti, ammisero la validità concettuale o fattuale di molti nuovi risultati, mentre come Gesuiti, alcuni dei quali era addirittura attivi predicatori, ne dettero spiegazioni che dovevano salvare la continuità con la tradizione. Una figura tra le tante collocabili in questo schema di tentennamenti e contraddizioni è quella di Niccolò Zucchi, decisamente conservatore sul piano teologico e epistemologico, eppure aperto e infaticabile sperimentatore nei campi della meccanica, dell’ottica e dell’astronomia, al punto da essere indicato da alcuni come il primo ideatore del telescopio a riflessione.

Niccolò Zucchi nacque a Parma nel 1586 da una famiglia nobili origini, quarto di otto figli, dei quali solo uno non abbracciò la carriera ecclesiastica. Cominciò il noviziato nella Compagnia di Gesù a Padova nel 1602. Dal 1604 al 1612 studiò prima filosofia e poi teologia a Parma. Ordinato sacerdote nel 1611, insegnò filosofia naturale, sempre a Parma, dal 1614 al 1620, anno in cui professò il quarto voto dei Gesuiti (l’obbedienza al Papa). Secondo il confratello e biografo Daniello Bartoli (1672), Zucchi era “nelle materie speculative, di ingegno perspicacissimo, e profondo, e ugualmente disposto a qualunque genere di scienze l’applicasse”.


Nel 1622 divenne il primo rettore del nuovo collegio gesuitico fondato a Ravenna dal cardinale Alessandro Orsini, legato pontificio della Romagna. Zucchi fu teologo e confessore di Orsini e, nel 1623, lo accompagnò in una missione diplomatica a Praga, alla corte di Ferdinando II d’Asburgo. A Praga Zucchi incontrò Keplero, al quale donò una copia dell'Antitycho... in quo contra Tychonem Brahe et nonnullos alios di Scipione Chiaramonti, in cui il matematico e astronomo cesenate, aristotelico, tolemaico e nemico giurato di Galileo, si dichiarava rigidamente contrario anche al sistema compromissorio di Tycho Brahe. Il testo ebbe un ruolo nella stesura, da parte di Keplero, della replica Tychonis Brahei Dani hyperaspistes (Francoforte 1625). Si sa che Zucchi fece avere a Keplero un telescopio rifrattore, su suggerimento di Paul Guldin (1577-1643), un matematico gesuita svizzero, che corrispondeva regolarmente anche con Keplero. Queste corrispondenze tra Keplero e i principali matematici gesuiti illustrano molto chiaramente come gli studiosi scientifici all'inizio del XVII secolo cooperassero tra loro nonostante il divario religioso, anche al culmine della Controriforma. Keplero, riconoscente, citò Niccolò Zucchi nell’appendice del suo Somnium (1634).

Rientrati in Italia, Orsini e Zucchi si stabilirono a Roma. Nel 1625 Zucchi divenne per un anno insegnante di matematica e astronomia presso il Collegio Romano, prima di diventare predicatore, ruolo che ricoprì per vent’anni, e che esercitò anche viaggiando in varie città dello Stato pontificio. Fu anche autore di vari studi teologici.

Alcuni biografi riportano che il 17 maggio 1630 Zucchi fu il primo a osservare le fasce nell’atmosfera di Giove, sebbene non sia chiaro che tipo di telescopio possa aver utilizzato e non è facile verificare l’attendibilità di tale informazione. Ne parla l’altro gesuita Giovanni Battista Riccioli nell’Astronomiae reformatae (1665) e Zucchi fa riferimento all’osservazione di due fasce che si “estendono su tutta la superficie di Giove, e che sono di colori diversi” (Optica philosophia, 1652), ma non riporta la data esatta di tale osservazione. I biografi riportano anche che il 23 maggio 1640 Zucchi osservò le macchie sulla superficie di Marte e che le sue osservazioni furono d’aiuto a Giovanni Cassini per la determinazione del periodo di rotazione del pianeta rosso. Ne parla ancora il Riccioli (Almagestum novum, 1651), ma nell’opuscolo di Cassini, Martis circa axem proprium revolubilis (1666), non compare alcun riferimento a Zucchi.


Zucchi fu rettore del Collegio Romano dal 1646 al 1649. In questo periodo pubblicò due ponderosi trattati di meccanica, entrambi dedicati ai duchi Farnese di Parma. Nel 1651 divenne superiore della Penitenzieria apostolica, carica che tenne fino al 1654. Fu in questo periodo che pubblicò a Lione il primo volume della Optica philosophia experimentis et ratione a fundamentis constituta (1652), dedicato a Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, arciduca d’Austria. È solo in questo volume che Zucchi parla dei suoi studi ottici del 1616, cosicché alcuni storici, pur senza solide prove documentarie, gli attribuirono la paternità del telescopio riflettore. Zucchi stesso afferma: "Perciò nell’anno 1616 [...] mi proposi di vedere se lo stesso effetto ottenuto con una rifrazione attraverso una lente in qualche modo convessa potesse essere ottenuto attraverso una riflessione da specchio concavo". Lo specchio di bronzo proveniva "dal museo di un uomo illustre" e venne fabbricato “da un artefice esperto”; l’oculare, invece, era una lente divergente. Zucchi rivolse tale arrangiamento, privo in realtà di tubo ottico, "alle cose terrestri e celesti". Probabilmente non ottenne un'immagine soddisfacente, forse perché lo specchio non era abbastanza preciso per mettere a fuoco un'immagine o la sua testa copriva parzialmente la visuale. Zucchi abbandonò l'idea. Se la sua affermazione circa l'idea di un telescopio riflettore nel 1616 fosse vera, allora sarebbe la prima descrizione conosciuta di un apparato che usava uno specchio curvo come obiettivo per la formazione dell'immagine, precedente alle discussioni di Galileo Galilei e Giovanni Francesco Sagredo sullo stesso argomento prima della morte di quest’ultimo nel 1620.


La versione di Zucchi solleva tuttavia qualche dubbio: non è chiaro per quale motivo abbia atteso tanto tempo per dar notizia del suo telescopio e non convince la disponibilità di uno specchio concavo per osservazioni telescopiche, in quanto all’epoca tali specchi erano difficilmente reperibili. Nel 1652, con l’uscita del primo volume dell’Optica philosophia, gli studi sui telescopi riflettori erano già avviati e stavano prendendo piede, sia in Italia, con Bonaventura Cavalieri, che oltralpe, con Marin Mersenne. È dunque difficile sostenere che Zucchi abbia direttamente influenzato James Gregory e Isaac Newton.

Alla morte di Innocenzo X, Zucchi servì come confessore del Sacro Collegio che elesse papa Alessandro VII; nel 1655 questi lo nominò predicatore del palazzo apostolico. Nel 1656 pubblicò il secondo volume della Optica philosophia. Dal 1662 Zucchi fu superiore della casa professa a Roma e venne tenuto in grande considerazione del nuovo papa Clemente IX Rospigliosi. Morì a Roma nel 1670. A lui è dedicato un cratere della Luna, di circa 65 km di diametro, chiamato Zucchius in suo onore.



sabato 28 dicembre 2013

Alla ricerca della forma ideale

Grégoire Allaire, professeur à l’École polytechnique 
François Jouve, professeur à l’Université Paris Diderot 

Gli oggetti prodotti dalla fabbricazione industriale sono concepiti in modo da ottimizzare un certo numero di parametri, come il peso o la solidità. Per evitare di cercare alla cieca la miglior forma possibile, oggi si può contare su svariati metodi di ottimizzazione. 

Le nostre società moderne sono attratte dal design, questa parola inglese, senza equivalenti in italiano, che traduce la nostra volontà di unire il bello e l’utile. Il grande pubblico conosce bene i designer famosi e mediatici come Pininfarina o Starck, ma assai di meno gli scienziati, ingegneri o ricercatori, che si occupano di progettazione ottimale (in inglese optimal design): lontani da ogni preoccupazione estetica, essi migliorano le forme degli oggetti industriali (struttura meccanica, profilo aerodinamico, componenti elettronici, ecc.) al fine di aumentarne le prestazioni (solidità, efficacia) tenendo conto dei vincoli, talvolta contraddittori, come il loro peso o il loro costo. È evidente per esempio che la solidità di una struttura varia con l’inverso del suo peso (ciò che è pesante è più solido di ciò che è leggero). Così, l’ottimizzazione della robustezza di un aeroplano è limitata dal vincolo di un consumo minimo di carburante, che è legato direttamente al peso. Un problema classico in matematica consiste proprio di cercare la soluzione ottima a un problema di ottimizzazione di una funzione (chiamata funzione obiettivo) rispettando dei vincoli. 

Il metodo tradizionale di ottimizzazione procede per tentativi ed errori, seguendo il talento e l’intuizione dell’ingegnere: si sceglie una forma di cui si calcola la prestazione e poi, in funzione di quest’ultima, la si modifica per tentare di migliorarla, e si ricomincia fino a quando si ottiene una forma soddisfacente (senza che sia ottimale). Questo modo di procedere “manuale” è assai lento, costoso e poco preciso. Grazie allo straordinario sviluppo della potenza di calcolo dei computer, così come al progresso della matematica, tale metodo empirico è sempre più sostituito da software numerici che automatizzano il processo di ottimizzazione. 

Ottimizzare la geometria con il metodo di Hadamard

Ogni algoritmo d’ottimizzazione è iterativo: si costruisce una nuova forma a partire da una variazione della precedente. In seguito si calcola la prestazione di questa nuova forma, che si confronta con quella della prima. Infine, se la prestazione della struttura si rivela migliorata, si ricomincia a partire dalla nuova forma. 

Nel 1907, il matematico francese Jacques Hadamard ha proposto un metodo di variazione di forma che ora porta il suo nome e che, per quanto sia di origine teorica, si applica nella pratica per simulare certi problemi con il computer. Il metodo consiste, partendo da una forma iniziale, di spostare i bordi a poco a poco, senza crearne dei nuovi. Questo metodo modifica perciò la geometria della forma iniziale, ma ne conserva la topologia: infatti le forme ottenute successivamente conservano sempre lo stesso numero di buchi, come si può vedere dalle illustrazioni che rappresentano i risultati numerici del metodo di Hadamard. 

Figura 1. Inizializzazione (a sinistra), iterazione intermedia (al centro) e forma ottimale (a destra) di una mensola, ottenute con il metodo di Hadamard.
Il fatto che la topologia non cambi costituisce una limitazione molto fastidiosa. Infatti ciò significa che bisogna intuire la buona topologia da imporre alla nostra forma sin dall’inizio, perché non si potrà poi modificare per migliorare la prestazione. E ciò è impossibile nella maggior parte dei casi. Da ciò nasce la motivazione dei matematici di inventare altri metodi, capaci di ottimizzare allo stesso modo la topologia, cioè il numero dei buchi.

Inoltre, il metodo di Hadamard presenta anche lo svantaggio di essere molto costoso in termini di tempo di calcolo. 

L’importanza dei materiali compositi 

Negli anni ’90, i matematici hanno trovato un metodo di ottimizzazione topologica di forma, detto, metodo di omogeneizzazione, che è ormai largamente utilizzato dagli ingegneri in numerosi software industriali. L’idea di base è di trasformare un problema di ottimizzazione di forma in un problema di ottimizzazione di una densità di materia.

In ogni punto dello spazio, la densità di materia è un valore compreso tra 0 e 1. Il valore 0 corrisponde a un buco o al vuoto (assenza di materia), il valore 1 corrisponde a un materiale pieno, e i valori intermedi (per esempio il valore 0,5) corrispondono a un materiale composito poroso, come ad esempio una spugna. Più il valore è vicino allo 0, più la proporzione dei buchi nel materiale è pertanto importante. 

In questo caso si sostituisce il problema originale d’ottimizzazione discreta del tipo 0 o 1 (in ogni punto dello spazio o si ha del vuoto o della materia) con un nuovo problema d’ottimizzazione continua, dove la variabile da ottimizzare, la densità di materia, è compresa nell’intervallo completo [0,1]. Con questo nuovo approccio, non si è più prigionieri della parametrizzazione delle forme proposta da Hadamard: la topologia può così essere cambiata e possono comparire o scomparire dei buchi secondo le variazioni della densità. 
Figura 2. Esempio di materiale composito
Notiamo che la densità di materia non basta a caratterizzare completamente un materiale composito: per una data densità, conta anche la forma dei buchi per valutare le proprietà effettive del materiale. Per esempio, la rigidità equivalente di un materiale composito non sarà la stessa per una struttura laminata e per una struttura a nido d’ape. Il metodo di omogeneizzazione si prone perciò di ottimizzare non solo la densità di materia, ma anche la microstruttura (la forma dei buchi) del materiale composito. 

Un altro vantaggio del metodo di omogeneizzazione è che la risoluzione numerica è più rapida: richiede meno calcoli. Una delle ragioni di ciò risiede nel fatto che per cambiare la densità in un punto dato, l’algoritmo non utilizza che i valori di densità intorno a questo punto, e non i valori di punti più distanti, come avveniva con il metodo di Hadamard.

La mensola ottimale 

Ecco un problema classico di ottimizzazione di forma, quello della mensola ottimale. In questo caso, il bordo di sinistra della mensola è fissato al supporto, mentre una forza verticale è applicata in mezzo al bordo di destra.
Figura 3 : Disposizione della mensola
Disegniamo la densità di materia, rappresentata da una tonalità di grigio (il nero corrisponde al materiale pieno, il bianco al vuoto). La soluzione ottimale presenta delle larghe zone di grigio, che corrispondono a del materiale composito, che è difficile interpretare come una forma. Per ritrovare una forma «classica» vicina alla forma composita ottimale, una soluzione è quella di «penalizzare» i materiali compositi, ai fini dell’ottimizzazione numerica, che significa aggiungere dei vincoli nell’algoritmo affinché la soluzione ottimale sia composta di zone o piene o vuote piuttosto che di zone composite. 

Figura 4. Mensola ottimale composita (il tono di grigio indica la densità di materia).

Il risultato è impressionante: la zona composita si trasforma in un reticolato di barre che richiama numerose strutture del genio civile o della meccanica.

Figura 5. Mensola ottimale dopo la penalizzazione e senza compositi.
Questi metodi di ottimizzazione geometrica e topologica delle forme sono utilizzati quotidianamente nell’industria automobilistica o aeronautica, ad esempio quando si tratta di trovare la forma di una struttura che sia contemporaneamente rigida e leggera. Numerosi componenti meccanici (triangoli delle sospensioni, longheroni) nelle automobili o negli aerei sono così alleggeriti con l’ottimizzazione, con lo scopo di ridurre, alla fine, il consumo di carburante.

Per saperne di più

Sito web: http://www.cmap.polytechnique.fr/~optopo

Allaire G., (2007). Conception optimale de structures, Collection Mathématiques et Applications, vol. 58, Springer Verlag.

Henrot A., Pierre M., (2005). Variation et optimisation de formes, Collection Mathématiques et Applications, vol. 48, Springer Verlag.

Hildebrandt S., Tromba A., (1986). Mathématiques et formes optimales, Pour la Science, Belin, Paris

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Questo articolo è una traduzione più o meno fedele, dell’originale francese A la recherche de la forme idéale comparso alle pp. 65-69 della brochure Mathématiques - L’explosion continue, ideata da Fondation Sciences Mathematiques de Paris (FSMP), Societe Francaise de Statistiques (SFDS), Societe de Mathematiques Appliquees et Industrielles (SMAI) e Societe Mathematique de France (SMF), pubblicata nello scorso settembre. Si tratta di un aggiornamento di un’analoga pubblicazione del 2002, concepita per divulgare i progressi della matematica e la sua importanza in quasi ogni campo della nostra vita quotidiana.

Come scrivono Maria J. Esteban, Bernard Helffer e Jean-Michel Poggi nella prefazione, “La matematica è uno strumento insostituibile di formazione al rigore e al ragionamento; essa sviluppa l’intuizione, l’immaginazione, lo spirito critico; essa costituisce inoltre un linguaggio universale e un elemento fondamentale della cultura. Essa gioca inoltre, per le sue interazioni con le altre scienze e la sua capacità di descrivere e spiegare fenomeni complessi messi in evidenza nella natura e nel mondo tecnologico, un ruolo crescente nella nostra vita quotidiana. [Eppure] questo stato delle cose è assai spesso ignorato o per lo meno sottostimato dalla maggioranza dei nostri concittadini, per i quali la matematica è una disciplina astratta, che non si sviluppa più, fissata in una prospettiva di formazione che ha poco a vedere con il mondo reale”

Pubblicazioni come questa servono per ovviare a questo paradosso, e andrebbero diffuse a tutti i livelli, soprattutto nelle scuole. Nel nostro paese la percezione di questa disciplina da parte dell’uomo della strada è, se vogliamo, ancora peggiore e la stranezza è ancora più evidente, tenuto conto che, con risorse assai inferiori a quelle dei nostri cugini transalpini, la matematica italiana, pura e applicata, possiede un buon livello qualitativo con punte di assoluta eccellenza. 

Facendo mio l’auspicio dell’amico Maurizio Codogno, auguro che una pubblicazione analoga venga redatta e pubblicata in Italia, e che lo sforzo (e il piacere) della traduzione spetti una volta tanto a qualche divulgatore francese.

mercoledì 21 agosto 2013

Piero Camporesi e la tèchne della bottega


Ci sono autori di saggi che possiedono tali padronanza della lingua e amore della loro materia, che la loro lettura non dà solamente un piacere intellettuale, ma anche uno estetico, paragonabile a quello procurato dai più grandi romanzieri. Tra di essi annovero l’Angelo Maria Ripellino di Praga Magica, o l’Uberto Pestalozza di Eterno femminino mediterraneo, o il Roberto Calasso di Le nozze di Cadmo e Armonia. Piero Camporesi (1926–1997), il grande filologo, storico e antropologo, è tra questi. I suoi studi sono caratterizzati da una grande precisione scientifica e da una sapiente mescolanza di scrittura erudita e linguaggio delle fonti, utilizzati per ricostruire la società preindustriale attraverso una storia dei sensi degli uomini.

Camporesi ha infatti indagato in una serie di libri le condizioni materiali di vita della società dell'ancien régime, le relazioni dell’uomo preindustriale con i cibi e gli atti alimentari, le pratiche legate alla cura e alla salute del corpo, la concretezza laboriosa del mondo delle arti e dei mestieri, evidenziando l'apparato simbolico e le trasformazioni antropologiche connesse a un mondo materiale che ha influenzato profondamente l'immaginario collettivo ai primordi dell’età moderna.

Ne Le belle contrade (Garzanti, 1992), uno studio del paesaggio italiano che parte da ancor prima che maturasse l’idea stessa di paesaggio, Camporesi descrive il lavoro e il pensiero di tecnici, artigiani, ingegneri, “prattici”, ma anche pittori e architetti, individuando nelle attività pratiche e artistiche il necessario complemento a quella evoluzione delle idee, lenta e contrastata, che porterà alla nascita della scienza moderna, basata sul “cimento” e l’esperienza. Così descrive (alle pagine 20–21) la stagione splendida e irripetibile in cui il lavoro italiano, la tèchne della bottega, consentì la genesi del Rinascimento. Sua e nostra guida sono le parole di una figura di uomo pratico, per nulla portato all'astrazione filosofica o al sogno esoterico, ingiustamente poco nota e tralasciata dai programmi scolastici, quella del senese Vannoccio Biringuccio (1480–ca. 1539), autore dell’opera De la Pirotechnia, pubblicata nel 1540, il primo trattato sul mondo della metallurgia.

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Nelle officine degli artieri (anche le scuole e le botteghe pittoriche o d'altri mestieri - scultori, orafi, argentieri... - erano ad un tempo «studi e laboratori d'arte»), si rifletteva l'immagine di un'Italia alacre e produttiva, inventiva e industriosa, il prodigioso «specchio in che risplendeva tutta la bellezza de l'ingegno e '1 poter de l'arte». Questo era il paradiso-inferno degli artefici, il luogo nel quale si avverava l'esaltante epifania e l'incontro fecondo - tra il soffio dei mantici e le colate sfavillanti di liquefatti metalli - della «bellezza dell'ingegno» e del «poter de l'arte». Fioriva una stagione irripetibile in cui quel potere e quell'ingegno erano nelle mani di operosi «faticanti», artieri, artisti, artefici, artigiani, capomastri, dipintori, scultori, intagliatori, stuccatori, orafi, maestri di tutte le arti, inventori, costruttori, idraulici, gettitori, «inzignarii», architettori, legnaiuoli, maestri d'ascia e di pialla, liutai, armaioli che lavoravano con strumenti (le pialle, ad esempio) artisticamente rifiniti, belli come le armature milanesi che, sontuosamente cesellate, uscivano dalle mani dei Missaglia e dei Negroli: uomini inventivi e poliedrici che trasformavano, plasmavano, traducevano nel linguaggio dell'utile e del bello le pietre e i metalli estratti con grandi sudori da altri faticanti dalle cave e dalle miniere per soddisfare i bisogni di tutti e le «vanità» delle donne, lievito essenziale all'incremento dei consumi di lusso come quell'oro che esse straziavano (come diceva Biringuccio) «per loro adornamento», insieme all'ostentazione delle ricchezze che splendevano agli occhi di tutti sotto forma di magnificenza, di grandiosità, di sfarzo, in tutti quei modi ai quali può ricorrere la parata sfavillante della bellezza opulenta. Queste città di artieri e di lavoranti, di botteghe d'arte, soprattutto di arte applicata e «minore», erano strettamente legate al mondo delle miniere, delle cave, delle fonderie, delle fornaci, dei mantici, delle ruote idrauliche, dei pozzi, dei paranchi, dei magli, degli argani, a tutto l'imponente apparato che ruotava intorno alla res metallica, molto sviluppata in «questa nostra region de Italia... tutta piena di tante e altre eccellenzie che a luoghi abitabili può concedere il cielo... più che molte altre provincie copiosa e ricca, ancor che molte volte sia stata da varie nazioni depredata e lacerata come ancor ora ne li tempi nostri, da le ferine mani de le nazion barbare che, da circa 40 anni in qua, dentro ci sono entrate».Per rifornire le corti e i palazzi di tutte le «eccellenzie» possibili, per incrementare l'industria del lusso raffinato e il mercato dei beni durevoli era necessario anche un radicale rinnovamento culturale che, cancellate le chimere alchimistiche, dimenticato il «fabuloso lapis alchimico... e altre lor simil cose vane e senza fondamento», rimosse le «promesse di cose incomprensibili e vane», gettate le «lor fabulose scritture... ombre di mascare composte da certi romiti herbolari» e da «altra gente oziosa» e da «certi miserrimi alchimisti», moltiplicasse il numero dei «pratici investigatori» e dei filosofi delle «cose naturali intelligenti e pratici» che già con «industriosa advertenza» esploravano (servendosi, se necessario, della collaborazione dei pastori) vallate, pendii, cime perché «le matri di tutte le più stimate ricchezze e gli erari di tutti i tesori, son le montagne», al «ventre» delle quali è necessario arrivare perché laggiù «tal cose ascoste stanno»


In questa fertile atmosfera di utile cooperazione fra tutti i mestieri più disparati e le arti si andò formando anche il giovane Leon Battista Alberti (1404-1472) che pur appartenendo ad una ricca ed illustre famiglia, «non disdegnò, nonostante la sua condizione sociale, di dedicarsi all'arte e di imparare da tutti: "e da chiunque apprendeva volentieri ciò che pria non sapesse. Perfino a' fabbri, agli architetti, a' barcaroli, a' calzolai medesimi, e a' sarti chiedeva se avessero qualche util segreto per renderlo poi di pubblica utilità"»

Lo scenario del conflitto fra la mineralogia-chimica e l'alchimia tracciato da Biringuccio vedeva i «prattici per la sperienza approvata» schierarsi contro «nigromanti» e alchimisti; la fertile scienza dei metalli e del fuoco contro la fragile chimera delle occulte trasmutazioni, la pirotechnia e la res metallica contro il fornello dei maghi. Biringuccio - osserva B. Farrington - «era consapevole della sua originalità e si vantava di esser il solo ad avere pubblicato un'opera che non era fondata sopra altre opere ma sulla diretta esperienza della natura». Ed è vero, anche se è necessario sostituire a «pubblicato» «scritto», dal momento che passò a miglior vita qualche anno prima dell'uscita del suo capolavoro.



lunedì 27 agosto 2012

Moonshot: l’impresa dell’Apollo 11 raccontata ai bambini


Era la sera di domenica 20 luglio 1969. Avevo finito le medie da un mese e, qualche giorno più tardi, mi sarei iscritto al Liceo Scientifico. Io c’ero, ho assistito, come mezzo miliardo di persone in tutto il mondo, a uno degli eventi più importanti del Novecento, la diretta televisiva dello sbarco dell’uomo sulla Luna. La qualità delle immagini era quella che era, ma tutto ciò che si vedeva aveva del prodigioso.

 

Chi appartiene alla mia generazione difficilmente può dimenticare quei minuti, ingigantiti nel ricordo anche dalla diatriba tutta italiana tra Tito Stagno da Roma e Ruggero Orlando da Houston sull’esatto momento in cui il modulo lunare toccò la superficie del nostro satellite. 

Ma quanto è rimasto di quell’impresa nell’immaginario di chi allora non era ancora nato? Chi sa della competizione con l’Unione Sovietica, dei missili Saturn, del programma Apollo, del LEM, di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins? Naturalmente non parlo di chi, per studio o contingenze sociali e famigliari, ha la possibilità di essere informato. Parlo dei ragazzi che frequentano la scuola primaria, dei giovani della secondaria, e dei loro fratelli più grandi, e anche di molti dei loro genitori. 


Dal mio punto di osservazione particolare, cioè quello di insegnante in un Centro di Formazione Professionale, la risposta al quesito è poco confortante: si sa che l’uomo è andato sulla Luna, ma potrebbe essere successo in un intervallo di tempo compreso tra i tempi di Napoleone e l’altro ieri, e si ignora come ci sia andato, a meno di aver visto qualche film di successo (penso ad Apollo 13) o qualche cartone animato giapponese. I più informati sono i non pochi negazionisti, che trovano affascinanti i vaneggiamenti di oscuri complotti visti nelle trasmissioni della TV-spazzatura o su Internet, gli stessi che credono agli sbarchi alieni di Giacobbo e rifiutano di credere che l’uomo possa essere riuscito in questa straordinaria impresa perché l’ombra di una bandierina non sembra naturale. 


Sicuramente in altri tipi di scuole la situazione è migliore, ma ho il timore che questa ignoranza si collochi in un contesto generale all’interno del quale molti dei giovani di oggi vivono in un eterno presente senza passato e, ahimè, senza futuro come prospettiva ideale. 

Non spetta a me indicare le cause di tale stato delle cose (di sicuro esistono responsabilità della scuola, ma anche delle famiglie, in un trionfo dell’indulgenza e del pressapochismo che investe tutta la società): posso solo tentare di indicare un antidoto nella lettura, sin da piccoli, di libri che parlino di scienza in modo adatto all’età. Sulla splendida avventura dello sbarco sulla Luna esiste un bellissimo libro illustrato di 40 pagine, adatto ai bambini in età prescolare, che è stato letto e consigliato da Michael Collins e altri astronauti delle missioni Apollo e che meriterebbe di essere tradotto nella nostra lingua. L’ha realizzato l’illustratore di libri per bambini Brian Floca, il quale si è a lungo documentato per poi ripercorrere tutta la vicenda, in un testo ricco di bellissimi disegni e di testi semplici e chiari. Si tratta di Moonshot, The flight of Apollo 11, ed è stato pubblicato nel 2009, in occasione del quarantesimo anniversario della missione, presso Atheneum. Costa intorno ai 13 euro. Ho trovato anche il promo:

 

Nel libro si conserva il senso dell’impresa collettiva, giunta a compimento dopo una lunga preparazione. Pur fornendo notizie particolareggiate e dati tecnici sulla missione di Apollo 11 e suoi successi, Floca non tralascia mai il lato umano dei protagonisti della vicenda. 


Spero proprio che, magari per il 2019, in occasione del 50° anniversario, anche i bambini italiani abbiano l’occasione di sfogliare, ammirare, leggere queste bellissime pagine.



martedì 31 luglio 2012

Centenario dell’austronautica


Alla presenza dell’Arciduca Francesco Ferdinando, il 31 luglio 1912, esattamente cento anni fa, dalla base rutena di Sanok veniva lanciato con un gigantesco cannone appositamente costruito il primo uomo nello spazio, il tenente Josef Fazekas. Iniziava l’era dell’austronautica. 

Le cronache del tempo riportano che le operazioni di sparo furono ostacolate da un forte temporale, ma la perizia balistica degli addetti al pezzo fece in modo che tutto andasse per il meglio. Il tenente Fazekas, l’eroico dragone di Debrecen, raggiunse una quota di 20 km e poi iniziò una rapidissima discesa direttamente sulla base. Un sistema di colossali tappeti elastici impedì che l’austronauta si sfracellasse al suolo, ma i continui rimbalzi fecero sì che poté toccare terra solo dopo 36 ore, frastornato e felice. Raccontò che la visione della Terra da quell’altezza era indimenticabile e, visto che c’era, segnalò allo Stato Maggiore un movimento sospetto di truppe russe al di là del confine. L’Arciduca lo nominò colonnello direttamente sul campo, prima di allontanarsi con l’ennesima contessina disponibile. 

Fazekas fu in seguito ricevuto a Corte dall'Imperatore Francesco Giuseppe, che gli assegnò un vitalizio e la contea di Svitto, dimenticando, forse per l’età avanzata, che gli Asburgo non possedevano più quei territori alpini dai tempi di Guglielmo Tell. 

Un secondo lancio era previsto per l’agosto 1914, ma il destino volle diversamente, per l’Arciduca, per l’Impero e per l’Europa intera. Il “Colonnello Volante”, il ”Nuovo Icaro dei Carpazi” sarebbe morto di spagnola nel 1918, all'età di soli 35 anni.


Con l’Austria–Ungheria, nel novembre 1918, scomparve anche l’effimera gloria di Fazekas e dell’appena nata scienza austronautica.

lunedì 25 giugno 2012

Tecnici


Arriva il tecnico ad aggiustare la lavatrice. La smonta, la rimonta, la prova, la fa funzionare. Poi rassicurante sostiene: “Adesso è a posto. Ho sostituito la pompa e pulito lo scarico. Può subito fare un bucato”. Il giorno dopo la lavatrice non scarica e l’acqua è rimasta nel cestello. Un lavoraccio togliere il bucato fradicio e svuotare la macchina. 

Quel tecnico ha perso la mia fiducia: non lo chiamerò più. 

Il 29 febbraio 2012 il Primo Ministro tecnico, Mario Monti, assicura in un’intervista a Repubblica che “Lo spread non si allargherà di nuovo” dopo essere sceso a quota 338. Aggiunge : "L'imprevedibilità degli spread non è trascurabile ovviamente, ma nel caso dell'Italia stiamo assistendo a un costante e graduale declino nelle ultime settimane. E sinceramente non vedo nessun motivo per cui questa tendenza possa cambiare". Poco più di un mese dopo, durante il suo viaggio in Estremo Oriente, il tecnico Monti si sente di poter dire che "La crisi è superata, l'Italia è solida". Davanti alla platea del Boao Forum for Asia, la Davos d'Oriente, il 1 aprile il Presidente del consiglio fa sapere di non preoccuparsi perché "la crisi dell'Eurozona è superata" grazie al "più solido sentiero imboccato dall'Italia". L'Italia, quindi, prima "osservata come una possibile fiamma nell'incendio" si trova ora fuori pericolo. 


Mentre scrivo lo spread è a 424, in aumento, l’indice di borsa FTSE-MIB è negativo e la disoccupazione, soprattutto giovanile, ha raggiunto livelli davvero allarmanti, la riforma del mercato del lavoro ha di fatto aumentato la precarietà e cancellato le garanzie contro le discriminazioni politiche e sindacali. Il paese è in recessione. 

Perché dovrei fidarmi di questo tecnico? Quello delle lavatrici, tutto sommato, fa meno danni.

martedì 22 maggio 2012

Sapere e agire: il Dizionario dell’ambiente


Ho trasferito con lo scanner la copertina della mia copia originale, segnata dal tempo e dall’uso. Questo libro ha infatti 32 anni, e per molti aspetti li dimostra anche nei contenuti, ma posso proprio dire che ha segnato la mia visione della scienza e del suo ruolo nella società. 

Era il 1980, alla conclusione di un decennio contraddittorio e confuso, segnato dalle stragi di Stato e dal terrorismo, ma anche da grandi conquiste nel campo dei diritti civili e dei lavoratori. Un decennio in cui si sviluppò finalmente anche in Italia una generale presa di coscienza dei problemi legati all’ambiente, alla gestione del territorio, all’igiene e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. 

Il mio percorso di maturazione in quegli anni è segnato da letture e avvenimenti. Ne elenco alcuni, andando a memoria, magari con qualche errore cronologico: il rapporto del Club di Roma sui Limiti dello Sviluppo, letto quando ancora ero al Liceo, la crisi energetica del 1973 e l’inverno delle domeniche a piedi, la scelta di iscrivermi a Scienze Geologiche nell’illusione che a breve ci sarebbe stato un interesse pubblico per la difesa del territorio e la prevenzione delle catastrofi naturali (e infatti ho finito per fare l’insegnante), il terremoto del Friuli nel maggio 1976, il disastro dell’ICMESA a Seveso nel luglio successivo, la lettura de L’imbroglio ecologico di Dario Paccino (uscito nel 1971, ma conobbi il libro solo qualche anno più tardi), che metteva in guardia in chiave marxista dagli eccessi e le ingenuità di un certo ambientalismo che si sarebbero puntualmente verificati in seguito, l’incidente alla centrale americana di Three Miles Island (1979) e la nascita del movimento contro il nucleare civile. Insomma, scienza e ambiente, ma anche voglia di partecipare attivamente alla società, pensando globalmente e agendo localmente prima che queste parole diventassero un famoso slogan. 


Comprare il Dizionario dell’ambiente (Editori Riuniti), curato da Roberto Boltri e Antonio Levy, e spendere le diecimila lire che costava nei primi mesi dell’81 fu una scelta direi quasi inevitabile e ampiamente vantaggiosa. Il testo era concepito come un manuale di divulgazione e di intervento, con 135 voci riguardanti l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, i luoghi di lavoro, l’assetto idrogeologico e la gestione del territorio, l’alimentazione, i problemi demografici, l’energia. Per la sua natura interdisciplinare, il Dizionario fu compilato da una ventina di specialisti provenienti dal mondo dell’università e della ricerca pubblica e privata. Lo scopo degli autori era quello di fornire strumenti di conoscenza scientifici e normativi affinché il lettore potesse intervenire con una certa competenza all’interno del proprio territorio, dei luoghi di lavoro, nelle associazioni, nel sindacato, nelle amministrazioni pubbliche, ovunque se ne ravvisasse la necessità. Il linguaggio scientificamente rigoroso e tuttavia semplice risultava comprensibile anche a chi non possedeva una grande cultura scientifica; il gioco dei rimandi tipico di un’opera a carattere enciclopedico favoriva gli approfondimenti e anticipava la struttura degli ipertesti. 

Meglio delle mie parole possono valere quelle dell’introduzione firmata dai due curatori, di cui riporto la prima parte: 

Da alcuni anni anche nel nostro paese si stanno sviluppando un interesse ed una partecipazione crescenti attorno ai problemi della tutela ambientale e dell'uso delle risorse; interesse e partecipazione che possono avere motivazioni e finalità diverse: esigenze professionali, necessità di espletare con competenza ruoli amministrativi, desiderio di dare risposte pertinenti a «curiosità» scientifiche, o anche di uniformarsi a mode culturali, nelle quali non di rado rischia di cadere la questione ambientale attraverso i mass-media. Tuttavia, sottesa a ciascuna di tali motivazioni, crediamo prevalga la convinzione che nel rapporto uomo-ambiente si manifestino le tensioni e le contraddizioni di un sistema economico che non ha esitato a stravolgere equilibri ambientali ed a sacrificare i diritti degli uomini in nome delle regole dell'accumulazione e del profitto individuali. 

La crisi energetica ha bruscamente destato la consapevolezza che le fonti tradizionali di energia (principalmente il petrolio) sono esauribili, e che quindi, da una parte, il loro sfruttamento non può essere attuato senza criteri di programmazione e di risparmio, e che, dall'altra, è necessario ed urgente sviluppare tecnologie in grado di utilizzare fonti alternative, che diano garanzie di sicurezza e di durata. Le tensioni internazionali; gli squilibri drammatici – in termini di reddito pro–capite (quando non addirittura della stessa possibilità di sopravvivenza) – tra paesi ad alto sviluppo industriale e paesi del cosiddetto Terzo mondo, produttori di ricchezze immense delle quali non godono il frutto; i ricorrenti eventi bellici nello scenario mediorientale, rivelano il nesso che intercorre tra sviluppo economico e industriale, disponibilità e utilizzazione di tecnologie e di risorse, e cooperazione tra i popoli. I legami tra processi demografici e programmazione urbanistica e territoriale; tra questi e l'uso produttivo del suolo in agricoltura ed il dissesto idrogeologico; tra l'impiego dei fertilizzanti e dei biocidi per le esigenze alimentari ed i fenomeni di inquinamento del suolo e delle acque, dovuti all'impiego di tali prodotti, sono ulteriori esempi delle strette relazioni esistenti tra attività umane, assetto ambientale, salute ed uso delle risorse. Alle tematiche dell'ambiente da molte parti si guarda con ottica del tutto differente. Ci riferiamo ad alcune proposte culturali, alle attese millenaristiche, ad un irrazionalismo emergente, tesi a leggere i fenomeni del degrado ambientale in chiave catastrofica, per cui irreale e velleitario risulterebbe ogni tentativo di intervento, e non resterebbe che l'attesa passiva del precipitare degli eventi, insistendo nell'attuale sfruttamento delle risorse e consentendo il permanere di già consolidati rapporti di dominio. Crediamo, viceversa, che oggi sia tempo di battersi contro due opposte tendenze, ambedue mistificanti e conservatrici: quella di una scienza totalizzante, che tutto risolve ed a tutto pone rimedio, in un processo auto-esaltante di interventi tecnologicamente raffinati, che ripropone la cultura dello spreco e della rapina delle risorse; e quella di una «natura» incontaminata, sede del Bene e della Libertà, che l'uomo e la sua scienza avrebbero irrimediabilmente intaccato, sicché l'unica arma in suo possesso — e cioè l'utilizzazione delle facoltà conoscitive — si rivolterebbe oggi contro di lui. (…)

Attraverso le lotte operaie per la tutela della salute negli ambienti di lavoro, per la prevenzione degli infortuni e per la riduzione dei rischi, si sta superando il concetto di monetarizzazione della salute ed è rifiutato il ruolo del lavoratore subalterno alla produzione e al profitto; è cresciuta la consapevolezza che le società umane si possano evolvere senza distruggere gli ambienti naturali e le risorse, non senza profondi mutamenti nei rapporti tra i popoli e l'innalzamento del livello di vita dei paesi emergenti. 


Gli interessi dell'intera collettività, considerati non soltanto nel breve periodo, ma estesi anche alle necessità delle generazioni future, devono essere difesi dalla classe lavoratrice, che più drammaticamente ha pagato e paga i costi collettivi e le conseguenze del degrado ambientale.

La classe lavoratrice dovrà perfezionare un progetto per l'ambiente, che scaturisca da un dibattito democratico, sensibile alle diverse esigenze e proposte ed in grado di superare ostacoli e contraddizioni; dovrà inoltre ampliare la propria cultura in materia ambientale, così da individuare i necessari livelli di gradualità, mediante i quali governare la trasformazione, e intrattenere con la scienza e la tecnologia un rapporto né subalterno né caratterizzato da una adesione acritica a miti neopositivistici. 

Scienza e tecnologia pongono già a disposizione strumenti e metodologie validi; hanno indicato ed indicano errori ancora reversibili; utilizzano indagini previsionali attendibili, ma le generazioni presenti devono essere garanti della scelta di indirizzi positivi. Tali considerazioni hanno condotto alla realizzazione di questo dizionario, assieme alla convinzione della necessità di tentare una sintesi delle problematiche diverse e delle discipline eterogenee, ed alla constatazione che un crescente numero di giovani, di lavoratori e strati sempre più ampi di popolazione, manifestano l'esigenza di appropriarsi degli strumenti conoscitivi riguardanti le tematiche ambientali. Il dizionario è quindi rivolto principalmente ai giovani, agli operatori delle strutture dell'igiene e della sanità pubblica ed agli amministratori degli enti locali, chiamati ad affrontare e risolvere i problemi ambientali. Certamente esso non costituisce un binario per specifiche scelte politiche; ci auguriamo tuttavia che rappresenti una guida ed uno strumento di consultazione — anche se in alcuni casi di carattere generale — per coloro che non possiedono una preparazione tecnica specialistica. 


Come si può leggere, molte idee degli autori sono state smentite dalla storia di questi trent’anni, anche perché molte cose non potevano essere previste. Ci sono state alcune grandi conquiste, come i due referendum sul nucleare e quello sull’acqua pubblica, il progredire di una legislazione e di una mentalità che hanno portato a sentenze esemplari come quella recentissima sulla Eternit di Casale Monferrato, ma accanto ad esse, il numero degli incidenti sul lavoro ha continuato a essere insostenibile e quotidianamente aggiornato, le condizioni di lavoro, dove il lavoro ancora c’è, sono in molti casi peggiorate (penso alla FIAT come caso esemplare), i casi di inquinamento sono ancora troppi (Taranto, Priolo, ecc.), lo scempio del territorio è continuato, con frane e alluvioni che continuano a far danni come un tempo, e strutture come la Protezione Civile, nate per aumentare la rapidità e l’efficacia degli interventi, si sono rivelate squallidi strumenti di malaffare, o, peggio, per aggirare il controllo democratico sulle decisioni e sulle spese, come è avvenuto per il G8 a La Maddalena o dopo il terremoto de L’Aquila. Molto ancora c’è da fare. 

Una delle mie principali preoccupazioni è che libri come il Dizionario dell’ambiente non se ne fanno più.