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lunedì 7 novembre 2022

La Physis intestinalis

 


L’abate Lazzaro Spallanzani (1729-1799), grande naturalista e intellettuale a tutto tondo (conosceva sia il greco che il latino), insegnò Storia Naturale all’Università di Pavia per trent’anni, durante i quali ebbe come colleghi alcuni degli scienziati più̀ celebri del periodo, con i quali ebbe rapporti piuttosto contrastati, se non di accesa rivalità̀, che sfociarono in una celebre accusa di furto di campioni di minerali del Museo di Storia Naturale, formulata dai naturalisti Giovanni Antonio Scopoli e Serafino Volta (non parente del rettore Alessandro Volta), dal matematico e logico Gregorio Fontana, nonché dal medico e chirurgo Antonio Scarpa.

Fu con Giovanni Antonio Scopoli (1721-1788) che Spallanzani ebbe i maggiori dissidi. Il trentino Scopoli è ricordato soprattutto come scopritore della scopolamina, un alcaloide ricavato da alcune piante solanacee del genere Scopolia, ma fu un naturalista sistematico molto attivo, che diede il nome a molte specie animali, vegetali e di funghi, come l’Amanita muscaria.


Spallanzani era uno sperimentatore, più un fisiologo che un classificatore, e, come tale, trascurava completamente la sistematica, preferendo dedicare il suo tempo
“in cose più̀ interessanti e più̀ utili che nel dar nome a morti gusci”. Ciò̀ era visto di cattivo occhio dal Regio Imperiale Consiglio, che gli aveva chiesto di abbandonare il suo metodo nelle lezioni. Scopoli godeva a Vienna di un ampio credito come naturalista e la sua chiamata alla cattedra di Botanica e Chimica nel 1777 rappresentò un chiaro tentativo di dare un taglio maggiormente sistematico, linneano, alla Storia Naturale a Pavia.

Fu proprio la sistematica dei molluschi il primo motivo di attrito: il catalogo redatto dallo Scopoli era stato criticato dagli esperti viennesi e Spallanzani, interpellato in merito, aveva attribuito la responsabilità̀ allo Scopoli, anche se ne aveva formalmente preso le difese. L'abate allontanò Scopoli dal museo, impedendogli di usufruire delle raccolte per la redazione dell’opera naturalistica che stava realizzando. Quest’ultimo non accettò la decisione presa da Spallanzani e da lì iniziarono forti dissapori.

Il 22 agosto 1785 Spallanzani salpò per il Vicino Oriente su invito del bailo (ambasciatore) veneziano di Costantinopoli, portando con sé molta strumentazione scientifica. Tra gli obiettivi della spedizione c’era anche la volontà di trovare nuovi reperti da inviare al Museo di Storia Naturale di Pavia di cui era Prefetto e che aveva arricchito grazie alle sue competenze e alle sue scoperte.

Alla partenza per Costantinopoli, Spallanzani aveva affidato il suo corso al canonico Serafino Volta che, insieme al bidello Guarnaschelli. ebbe anche il compito di gestire il museo. I rapporti tra Spallanzani e Volta divennero presto tesi perché l’abate riteneva il canonico troppo ambizioso. Insomma: tra i filosofi naturali di Pavia c’erano rivalità e astio, e notare che erano tutti religiosi. Una congiura contro Spallanzani era nell’aria.

Il 2 settembre 1786. un signore si presentò alla porta della residenza di Spallanzani a Scandiano di Reggio Emilia. Chiese di vedere il museo privato del celebre naturalista e, dopo una visita veloce. se ne andò. Questa persona era il canonico Serafino Volta, che voleva dimostrare che l’abate aveva sottratto dei pezzi dal museo di Pavia per la sua collezione privata. La visita sembrò confermare i sospetti e, per questo, Volta, su consiglio di Scarpa, scrisse una lettera al consigliere Lambertenghi della cancelleria di Vienna, descrivendo il furto. Solo che questo presunto furto venne ingigantito, sia nella quantità che nel valore, come poi venne dimostrato. Ben presto, Volta, Scarpa. Fontana e Scopoli si unirono con l’intenzione di distruggere la reputazione di Spallanzani mentre era in viaggio. La strategia fu quella di diffondere la notizia al maggior numero possibile di persone.

Spallanzani stava rientrando in Europa via terra, attraverso la Transilvania e l’Ungheria. Giunse a Vienna il 7 dicembre 1786. Qualche giorno dopo venne a sapere delle accuse mosse contro di lui e che la notizia si era diffusa non solo a Vienna, ma in tutta Europa. Non si perse d’animo e iniziò subito la sua strategia di difesa, scrivendo numerose lettere alle varie autorità.

Nella sua memoria difensiva, l’abate forniva adeguate giustificazioni: molti dei campioni mancanti erano già degradati al loro arrivo al Museo pavese, sia per difetto di imbalsamazione sia perché divorati dai vermi, le pietre saline giunte dall’Austria si erano sciolte per l’umidità, alcune conchiglie era state scambiate con altri naturalisti e musei. Guarnaschelli sapeva bene tutto ciò.

Da Milano risposero di presentare denuncia formale e inviarono due ispettori a effettuare dei sopralluoghi nei due musei. I due constatarono alcune mancanze nel museo di Pavia, ma non trovarono a Scandiano tutte quelle opere "rubate" di cui parlava Serafino Volta. Inoltre, le mancanze erano valutate a una cifra molto più esigua rispetto a quella indicata dal canonico.

Quando Spallanzani tornò a Pavia nel mese di gennaio 1787, riprese la sua attività di docente, ma egli era venuto a conoscenza di molti particolari della congiura. Sapeva bene che erano Fontana. Scopoli. Volta e Scarpa i suoi avversari, i quali. senza attendere il giudizio delle autorità competenti, avevano inviato un gran numero di lettere a tutti i più importanti rappresentanti della comunità scientifica internazionale, in cui raccontavano la loro versione, cercando di rovinare la sua immagine personale e scientifica. Queste lettere erano state scritte nell’abitazione di Fontana ed erano firmate da Scopoli. Tuttavia, Spallanzani poteva contare su una rete di amici che gli rimasero accanto e Io aiutarono sia nel raccogliere prove contro i quattro nemici, sia nel mantenere il suo prestigio internazionale attraverso la nomina in varie accademie scientifiche degli Stati europei.

II gran rumore sollevato in tutta Europa dalla vicenda stava mutando l'atteggiamento delle autorità milanesi, che erano preoccupate per la reputazione dell’Università di Pavia. Furono quindi mandati segnali perché si interrompesse la campagna diffamatoria. Ma la rabbia e il desiderio di vendetta erano più forti del buonsenso. Scopoli continuò a inviare lettere.

II 17 marzo 1787 si aprì il processo per il presunto furto. Il primo ad essere sentito fu Scopoli, che confermò quanto da lui scritto; nell'interrogatorio emersero i motivi di contrapposizione tra i due naturalisti e gli screzi che avevano aumentato la loro inimicizia. Venne interrogato anche il bidello Guarnaschelli, che aveva subito pressioni per confermare le accuse di Volta, ma non se la sentì di ribadirle. Venne poi il turno di Spallanzani, che confermò tutte le deposizioni già rilasciate nelle memorie scritte, rilanciando le accuse a Volta, il quale fu ascoltato subito dopo. Anch’egli dovette ridimensionare il valore delle mancanze. E ciò che disse non convinse a sufficienza il Consiglio. Venne poi interrogato lo studente Gognetti, che confermò di aver copiato le lettere infamanti su ordine del suo professore Fontana. Fu quindi il turno di Fontana, che chiamò in causa ufficialmente anche Scarpa; tuttavia, il Regio consiglio ritenne inutile interrogarlo, in quanto la vicenda era sufficientemente chiara. L'atmosfera stava visibilmente cambiando a favore di Spallanzani. A fine maggio era pronto il documento che sarebbe stato sottoposto all’Imperatore per la sua decisione definitiva, in cui si chiedeva di dichiarare l’abate innocente. Serafino Volta venne dichiarato decaduto dalla sua carica di custode del museo e tornò nella natia Mantova: più tardi Spallanzani lo avrebbe definito “escremento della Storia naturale, spia già̀ notoria di Scopoli”. Garlaschelli fu rimosso dall'incarico di bidello e tutti gli accusatori subirono la disapprovazione della commissione. La consulta propose all’imperatore di imporre il silenzio sulla vicenda per salvaguardare il buon nome dell’Università. L’imperatore si pronunciò secondo quanto indicato dalla Consulta.

Spallanzani era ovviamente soddisfatto, e scrisse a coloro che avevano ricevuto le lettere infamanti della “banda dei quattro” per comunicare l’esito del processo. Tornò responsabile del Museo. Ma non era ancora tutto.

Scopoli si stava dedicando alla stesura di un'opera enciclopedica che doveva descrivere in maniera precisa i vari elementi naturali, affiancandoli con riproduzioni dipinte: tuttavia, il rifiuto di Spallanzani di farlo accedere al museo rendeva tutto più complicato. Scopoli, descritto da molti come persona mite, non doveva essere così pacifico come dava a credere: nell’avviso editoriale delle Deliciae florae et faunae Insubricae (1786) aveva annunciato di voler descrivere
“tutte le naturali produzioni da niun altro finora conosciute e descritte dell’insigne Museo di Storia Naturale di Pavia dove giacquero da gran tempo sepolte ed ignote, per mancanza di chi sapesse scientificamente illustrarle e trarle alla pubblica luce”.
Ovviamente questa affermazione non era stata gradita da Spallanzani, che si sentì “villanamente oltraggiato”; ciò̀ contribuì̀ a inasprire ulteriormente i rapporti tra i due.


Mentre Scopoli era in questo stato d’animo, il medico Giuseppe Capitini di Castelnuovo Scrivia (Alessandria) gli portò un vaso in cui era conservato nello spirito di vino uno strano verme che, secondo quel che gli fu riferito, era stato vomitato da una donna incinta. Come lui stesso scrisse
“questo meravigliosissimo, né mai più veduto, né descritto animale […] fu vomitato il 25 febbraio del 1784 nel Piemonte dalla moglie del sig. Vincenzo Domenico Grandi […] sei ore prima del parto”. Dall’analisi che Scopoli ne fece il verdetto fu chiaro: era un verme intestinale, ma di un tipo mai visto prima. Era quello che Scopoli desiderava: una nuova specie che potesse impreziosire l'opera a cui stava lavorando, Deliciae florae et faunae insubricae. Lo affidò all’illustratore Giovanni Ramis affinché lo disegnasse e decise di dedicarlo al presidente della Royal Society di Londra, sir Joseph Banks, uno dei maggiori naturalisti inglesi. Lo chiamò Physis inlestinalis, ma già qui commise il primo errore. Nella sua poca conoscenza del greco, egli pensava che la parola physis significasse vescica (che è invece physe), ma in realtà significa natura. Non era tutto: il medico piemontese Vincenzo Malacarne aveva già visto questo presunto verme e sapeva che era un imbroglio: fu “riconosciuto che era una impostura, consistendo esso in una trachea tratta dal corpo di una gallina insieme con l’esofago e il gozzo”. Avvisò Scopoli dell’errore e ben presto questo imbarazzante segreto si diffuse, e la carriera di Scopoli ne fu distrutta. Secondo una versione, Serafino Volta portò via, nascondendolo sotto il mantello, il vaso con la Physis intestinalis dal museo di Pavia per evitare ulteriori derisioni. Si dice che dietro questo scherzo vi fosse proprio Spallanzani, ma non si hanno prove concrete al riguardo. Quello che è certo è che l’abate approfittò della situazione per deridere pubblicamente il nemico e prendersi la sua vendetta. Scrisse un libello sotto pseudonimo (Lettere due del dottor Francesco Lombardini bolognese al sig. dottore Giovanni Antonio Scopoli professore nell’Università̀ di Pavia, Zoopoli, [ma: Modena, Società Tipografica], 1788), in cui criticava la metodologia scientifica utilizzata dal rivale e raccontava diversi episodi che dimostravano l’incompetenza del canonico. L’errore sul verme non fu che l’ennesima dimostrazione di quanto il canonico fosse incapace:
“Ora proseguendo a dire dello stesso verme, passiamo a cose allegre e prepariamoci a ridere. Vi sono de’ soggetti, che per muover le risa esigono qualche previa arte dal canto di chi li propone. Ve ne sono altri, che al solo sentirli fanno immediate rider da sé: e di quest’ultimo genere a me pare che sia il vostro verme, considerato sotto il punto di vista, in cui passo a considerarlo io adesso. Quì credo che l’irrisibile Anassagora e tutti i famosi Agelasti non potrebbero rattenere le risa. Sapete voi dunque, rispettabili miei lettori, cosa è codesto non più̀ veduto, né più immaginato verme, che è d’inestimabile prezzo, e che fa epoca nelle più̀ grandi scoperte della Storia naturale? Di grazia prendete cura de’ vostri polmoni per non iscoppiare nel ridere. Egli è la trachea e l’esofago con buona parte del gozzo di una gallina. Così è, senza né pur d’un atomo alterare il fatto”.

Spallanzani aveva da togliersi qualche soddisfazione anche contro Alessandro Volta, che, essendo Rettore al momento del famoso scandalo, non prese le sue difese. Questa ipotesi può̀ trovare riscontro in un altro passo della stessa opera, in cui Spallanzani ironizza su un goffo tentativo di Volta di minimizzare, riguardo all’errore di Scopoli sulla
Physis intestinalis con argomentazioni al limite del ridicolo; tale atteggiamento denota la volontà̀ di mettere a tacere le polemiche e non gettare discredito su un professore del proprio ateneo.
“Nel tempo che rideva tutta Pavia alle spese dell’autore del verme vescica o verme gozzo, e che si pensava a una commedia ad imitazione dell’Antiquario del Goldoni; al solo professore D. Alessandro Volta pareva che non fosse tanto da ridere, dicendo egli che la differenza tra un gozzo di gallina ed un verme non era poi tanto grande. [...] Possibile che quell’uomo, non contento dell’infelice figura che fa, in qualità̀ di maestro, cerchi di rendersi anche ridicolo nella Storia naturale, che non sa cosa sia, quando non si faccia a cercarne la spiegazione in un Dizionario! Possibile che invece di dare del continuo alla bagattella, di spendere l’intera giornata in far visite, di fiutare intorno qual sia la casa donde esce l’odor di più̀ lauta e più̀ abbondante imbandigione, non si metta seriamente a studiare un Corso di Fisica, senza trascurare gli elementi della Geometria, dell’Algebra, della Meccanica e dell’Ottica, ne’ quali è innocentissimo!”
Scopoli morì nel 1788, Spallanzani nel 1799. Ironia della sorte, le ultime cure gli furono prestate proprio dallo Scarpa, che ne eseguì anche l’autopsia. La commemorazione funebre fu fatta da Fontana.

domenica 9 ottobre 2022

I rinogradi, o nasuti

 


Rhinogradentia
è un ordine di mammiferi simili ai toporagni inventato dallo zoologo tedesco Gerolf Steiner. I membri dell'ordine, noti come rinogradi o nasuti, sono caratterizzati da una caratteristica simile al naso chiamata nasorium, che si è evoluta per svolgere un'ampia varietà di funzioni in specie diverse. Steiner ha anche creato un personaggio di fantasia, il naturalista Harald Stümpke, che è accreditato come autore del libro del 1961 Bau und Leben der Rhinogradentia. Secondo Steiner, è l'unica testimonianza rimasta degli animali, che furono spazzati via, insieme a tutti gli esperti di Rhinogradentia del mondo, quando il piccolo arcipelago del Pacifico in cui vivevano affondò nell'oceano nel 1957 a causa dei test nucleari americani.

Imitando con successo un vero lavoro scientifico, l’articolo sui Rhinogradentia è apparso in diverse pubblicazioni senza alcuna nota della sua natura fittizia.

I rinogradi, il loro arcipelago natale di Hy-yi-yi, lo zoologo Harald Stümpke e una miriade di altre persone, luoghi e documenti sono creazioni immaginarie dello zoologo tedesco Gerolf Steiner (1908–2009). Steiner è conosciuto per il suo lavoro di fantasia come Stümpke, ma era un abile zoologo a pieno titolo. Ebbe una cattedra all'Università di Heidelberg e successivamente all'Università tecnica di Karlsruhe, dove fu direttore di dipartimento dal 1962 al 1973.

Steiner era anche interessato all'illustrazione, e nel 1945 disegnò un'immagine per uno dei suoi studenti. Aveva preso ispirazione da una breve poesia senza senso di Christian Morgenstern (un poeta umoristico seguace di un altro Steiner, l'antroposofo Rudolf), Il Nasone (Das Nasobēm, 1895) su un animale che camminava usando il naso (mio adattamento).


*sono trattati zoologici e una famosa enciclopedia.

Fece una copia per sé del disegno e in seguito utilizzò le creature nelle sue lezioni. Secondo Bud Webster, la motivazione di Steiner per scrivere un libro su di loro era didattica, per illustrare "come gli animali si evolvono in isolamento geografico", anche se non è escluso che il successo della bufala potrebbe averlo spinto verso una carriera parallela.

L'autore immaginario di Steiner, accreditato come "curatore del Museo del Darwin Institute di Hy-yi-yi, Mairuwili", fornisce un resoconto molto dettagliato dell'ordine e delle singole specie, scritto con un tono asciutto e accademico. Michael Ohl ha scritto che il libro è scritto "con un'attenzione ai dettagli davvero divertente e utilizzando ciò che è immediatamente riconoscibile come un gergo scientifico praticato". La voce evidentemente esperta dell'autore, la sua scrittura competente e l'apparente familiarità con le convenzioni della letteratura accademica hanno reso l'opera un raro esempio all'incrocio tra narrativa e scrittura accademica. Steiner si accreditò come illustratore del libro e spiegava come quel ruolo lo avesse portato a possedere l'unica testimonianza rimasta dei Rhinogradentia.

Secondo Stümpke, i Rhinogradentia erano originari di Hy-yi-yi, un piccolo arcipelago del Pacifico comprendente diciotto isole, che occupavano 1.690 Km quadrati; la vetta più alta dell'arcipelago, 2.230 m, era sulla sua isola principale, Hiddudify.

La prima descrizione di Hy-yi-yi pubblicata in Europa sarebbe stata quella di Einar Pettersson-Skämtkvist, un esploratore svedese arrivatoci per caso nel 1941, dopo essere fuggito da un campo di prigionia giapponese. Ognuna delle isole ospitava una fauna particolare, dominata dai Rhinogradentia, gli unici mammiferi oltre all'uomo e una specie di toporagno. Nel dopoguerra, un certo numero di scienziati si interessò ai rinogradi e iniziò una ricerca formale sulla loro fisiologia, morfologia, comportamenti ed evoluzione.

Alla fine degli anni '50, i test sulle armi nucleari nelle vicinanze da parte dell'esercito degli Stati Uniti fecero affondare tutte le isole di Hy-yi-yi nell'oceano, distruggendo tutte le tracce dei rinogradi e del loro ecosistema unico. Morirono anche tutti i ricercatori sui Rhinogradentia del mondo, che in quel momento stavano partecipando a un convegno a Hy-yi-yi. L'epilogo del libro, attribuito a Steiner in qualità di illustratore, spiega che Stümpke gli aveva inviato i materiali del libro per le illustrazioni in preparazione della pubblicazione. Dopo il disastro, è l'unica traccia rimasta degli animali che descrive.

I rinogradi sono mammiferi caratterizzati da un’appendice chiamata nasorium, la cui forma e funzione variano in modo significativo tra le specie. Secondo Stümpke, la notevole varietà dell'ordine è stata il risultato naturale dell'evoluzione che ha agito nel corso di milioni di anni nelle remote isole Hy-yi-yi. Tutte le 14 famiglie e le 189 specie di rinogradi conosciute discendevano da un piccolo animale simile a un toporagno, che gradualmente si è evoluto e diversificato per riempire la maggior parte delle nicchie ecologiche dell'arcipelago, da minuscoli esseri simili a vermi a grandi erbivori e predatori. La specie oggetto del nonsense di Morgenstern è il Nasobema lyricum, la cui femmina dà alla luce un piccolo una volta all'anno, che inizialmente viene portato in giro nella parte caudale, poi apre il sacco della gola e si nutre dei capezzoli ascellari della madre.

Molti rinogradi usavano il naso per la locomozione, ad esempio i "saltanasi" come Hopsorrhinus aureus, il cui nasorium era usato per saltare, o gli "orecchioni" come Otopteryx, che volava all'indietro sbattendo le orecchie e usava il naso come timone. I rinogradi con più appendici nasali sono detti polirrine. Alcune specie usavano il nasorium per catturare il cibo, ad esempio per pescare o per attirare e intrappolare gli insetti. Tra le altre specie c’era il feroce Tyrannonasus imperator:
“Il Tyrannonasus imperator è particolarmente degno di nota per due motivi: come tutte le specie di polirrine, l'animale non è particolarmente veloce ad annusare, ma è almeno un passo più veloce dei nasobemoidi. Poiché tutte le specie di polirrine, a causa del loro apparato pneumatico intranasale, emettono un sibilo mentre camminano, che può essere udito da lontano, Tyrannonasus imperator non può avvicinarsi di soppiatto alle sue vittime, ma deve tendere loro un'imboscata in silenzio e poi inseguirle.

Durante questo processo di fuga e inseguimento, che inizialmente fa una strana impressione sull'osservatore a causa dello sforzo rumoroso e della velocità modesta, Tyrannonasus deve spesso inseguire per ore la vittima designata per raggiungerlo, poiché il nasone usa anche la coda come un lazo per sfuggire, la arriccia attorno ai rami e la fa oscillare attraverso fossi o piccoli specchi d'acqua. Anche quando il predatore si è già avvicinato molto all'animale inseguito, in modo che non possa più scappare fuggendo, il Nasone ricorre spesso con successo a quest'ultima risorsa, in quanto – appeso per la coda a un ramo – oscilla all'indietro e avanti vicino al suolo in cerchio o con ampie oscillazioni del pendolo, finché il predatore alla fine diventa stordito e vomita nei suoi continui tentativi di afferrare la preda. In quel momento di disorientamento del predatore, spesso il nasone riesce a scappare”.
Le prime descrizioni di Pettersson-Skämtkvist degli animali che incontrò su Hy-yi-yi portarono gli zoologi a denominarli come la creatura del titolo della poesiola di Christian Morgenstern. Nella poesia, che esisteva già al di fuori di questo universo immaginario e servì da ispirazione per Steiner, il nasone è visto "camminare sul naso" (auf seinen Nasen schreitet).

I libri di Steiner con il nome di Stümpke sono stati tradotti in altre lingue, a volte con altri nomi in base al paese di pubblicazione, mentre i nomi dei traduttori sono autentici. In italiano abbiamo:

Pandolfi, Massimo (1992). I Rinogradi e la zoologia fantastica, Padova: Franco Muzzio, con contributi di Stefano Benni, Giorgio Celli, Marco Ferrari, Alessandro Minelli, Massimo Pandolfi e Aldo Zullini. Pare purtroppo che il libro sia ormai fuori catalogo.


Quella dei
Rhinogradentia è considerata una delle bufale biologiche più riuscite e le opere pseudonime di Steiner sull'argomento continuano a essere ristampate e tradotte. La prima edizione non diceva esplicitamente che si trattava di una bufala.

Dopo la pubblicazione della traduzione francese, George Gaylord Simpson scrisse una recensione apparentemente seria che diffuse la bufala in un numero del 1963 della rivista Science, contestando il modo in cui Stümpke definì gli animali come "violazioni penali del Codice internazionale di nomenclatura zoologica”. Simpson notò anche che Stümpke aveva trascurato di includere un concetto matematico non correlato, una "matrice ruotata".

Dalla pubblicazione originale del libro, diversi scienziati e editori hanno scritto dei Rhinogradentia come se il racconto di Steiner fosse vero, anche se non è chiaro quanti di coloro che hanno continuato e reso popolare lo scherzo lo hanno fatto intenzionalmente. Zoology Primer dello zoologo sistematico Rolf Siewing li elenca come un ordine di mammiferi, notando che la loro esistenza è messa in dubbio. Il neurofisiologo Erich von Holst ha celebrato la scoperta di "un mondo animale completamente nuovo". Il famoso libro di testo Handbook to the Orders and Families of Living Mammals di Timothy E. Lawlor ha una voce per i Rhinogradentia, che non riconosce la loro natura immaginaria. Un giornale della Germania orientale ha preso atto della scomparsa dei rinogradi, scrivendo che sarebbero ancora vivi "se noi, le potenze pacifiche, fossimo riusciti in tempo ad attuare un disarmo diffuso e proibire la produzione e il test di armi nucleari".

Prima della pubblicazione della traduzione inglese di Leigh Chadwick, una versione abbreviata fu pubblicata nell'edizione di aprile 1967 di Natural History, una rivista edita dall'American Museum of Natural History. Comprendeva materiale dall'introduzione del libro, dal primo capitolo, da descrizioni selezionate di generi e dall'epilogo, e fu presentata come la storia principale, senza riserve, dalla rivista, normalmente seria. Il mese successivo, il New York Times pubblicò una storia sui rinogradi in prima pagina, basata sull'articolo di Natural History. Secondo il direttore editoriale della rivista, avevano "ricevuto più di cento lettere e telegrammi sui nasuti, la maggior parte da persone che si erano dimenticate che l'articolo era stato pubblicato il primo d'aprile". Natural History stampò diverse lettere all'editore nel suo numero di giugno-luglio e fece avere al quotidiano il contenuto di molte altre, che vanno da scettici ad affascinati, a continuazioni dello scherzo. Una lettrice, l'entomologa Alice Gray, ringraziò per l'articolo, che aveva permesso alla sua famiglia di identificare un braccialetto di metallo a forma di animale, proveniente dal Pacifico meridionale, modellato su un "rinogrado saltatore", allegando un disegno per preservarne la memoria perché, disse, era stato fuso per errore da un cugino assieme a dei soldatini di piombo.

Decenni dopo, vengono ancora pubblicati articoli che pretendono di continuare la ricerca di Stümpke o altrimenti rendono omaggio alla bufala di Steiner. In un articolo del 2004 sul Russian Journal of Marine Biology, le autrici Kashkina e Bukashkina affermano di aver scoperto due nuovi generi marini: Dendronasus e un taxon parassitario ancora senza nome. Il Max Planck Institute for Limnology ha annunciato una nuova specie scoperta nel Gran Lago di Plön. Il primo aprile del 2012, il Museo francese di storia naturale ha annunciato la scoperta di un genere di nasone simile a una termite mangiatrice di legno, Nasoperferator, con un naso rotante simile a un trapano.


I
Rhinogradentia sono stati inclusi in numerose mostre e collezioni museali. L'annuncio del Nasoperferator del Museo di Storia Naturale francese è stato accompagnato da una mostra di due mesi in onore degli animali, con presunti esemplari di peluche nella sua galleria di specie estinte. Finte tassidermie di rinogradi sono state anche esposte in una mostra al Musée d'ethnographie de Neuchâtel e nelle collezioni permanenti del Musée zoologique de la ville de Strasbourg e della Haus der Natur di Salisburgo.

martedì 14 giugno 2016

Estinzioni



Arturo era un grosso bovino alpino. Voleva farsi chiamare Artù, ma quegli ignorantoni degli svizzeri lo chiamavano Uro. Dalla rabbia lui si estinse. 

Edoardo era un grosso uccello che viveva su un'isola. Arrivarono i marinai e si misero a chiamarlo Dodo. Dalla rabbia lui si estinse. 

Quando l’alca impenne seppe che Linneo l’aveva chiamata Pinguinus, se la prese così tanto che per la rabbia si estinse. 

Latimeria era un pesce che nuotava nelle acque degli oceani che circondavano la Pangea. Tutti lo chiamavano Celacanto, ma a lui quel nome non piaceva. Se la prese talmente da nascondersi per un centinaio di milioni d’anni, finché non gli fu passata.

La tigre dai denti a sciabola perse la finale mondiale all'ultima stoccata contro il solito ungherese. Dalla rabbia lei si estinse.

Finché ti chiamano mastodonte, va bene. Poi questi uomini eretti incominciano a darti del mammut e tu ti arrabbi. E ti estingui.



lunedì 24 giugno 2013

Lyell, il serpente marino, e il ritorno dei grandi rettili

Ritratto senile di Charles Lyell
Viviamo talmente immersi nelle conoscenze del nostro presente da ignorare o dimenticare quanto esse debbano allo sforzo teorico e sperimentale degli uomini del passato. Uno di questi giganti sulle spalle dei quali noi nani ci innalziamo fu Charles Lyell (1797-1875), il padre della moderna geologia, che gli studi avevano indirizzato verso la carriera di avvocato, ma che la passione alla fine convertì in un grande scienziato, autore di un testo fondamentale come i Principi di Geologia (1830-33).

Siamo poi abituati a considerare così assodate certe conoscenze da ignorare o dimenticare quanto queste nascano da un lungo processo di tentativi ed errori, da uomini per loro natura incoerenti e viventi in società e tempi contraddittori, così ci stupiamo di come uomini di grande valore potessero elaborare le loro straordinarie scoperte e contemporaneamente credere in idee sbagliate, coltivare passioni bizzarre, auspicare la realizzazione di sogni messianici. Non solo Galileo, Copernico e Keplero facevano oroscopi, o Newton alternava i suoi studi di ottica e di meccanica con quelli alchimistici, o Nepero (John Napier), inventava i logaritmi ma li considerava un passatempo di fronte alla sua grande missione di rovesciare il papa di Roma. Anche Lyell, pur avendo elaborato alcuni dei concetti fondamentali per lo sviluppo della geologia, aveva il torto di essere più anziano di Darwin (che poi conobbe e incoraggiò) e quindi di avere idee sullo sviluppo della vita sulla terra che oggi ci sembrano sbagliate o infantili. Una di queste era la passione per i serpenti marini giganti.

Lyell dedicò ai serpenti marini e ai loro avvistamenti l’intero capitolo VIII del suo libro Second Visit to the United States of North America (1849), una miscellanea di relazioni di viaggio, memorie, considerazioni su usi e costumi e osservazioni scientifiche che faceva seguito al fortunato Travels in North America pubblicato nel 1845.

Nell'ottobre del 1845, il geologo scozzese si trovava a Boston, quando notò che le strade erano tappezzate di manifesti pubblicitari che annunciavano che un certo Dr. Albert C. Koch, collezionista di fossili tedesco, avrebbe mostrato al pubblico pagante lo scheletro lungo 114 piedi di “quel colossale e terribile rettile che è il serpente marino”. Esso, chiamato Hydrarchos, re dell’acqua, “era il Leviatano del Libro di Giobbe”. Subito Lyell pensò a un frode, perché lo scheletro era in realtà assemblato unendo opportunamente alcune colonne vertebrali di una specie estinta di balena, lo Zeuglodon, descritto da Richard Owen appena pochi anni prima.

Il famigerato Hydrarchos di Albert Koch in mostra a New York. Non solo si trattava di un fake, ma  in questa illustrazione anche la grandezza del presunto scheletro è esagerata. Da Fowler (1846): “The American Phrenological Journal and Miscellany”.

Al pari di molti altri naturalisti dell’epoca vittoriana, Lyell nutriva un grande interesse per la presunta esistenza di grandi mostri marini. Un suo buon amico, il geologo canadese John William Dawson, lo informò di un avvistamento nell’agosto 1845 a Merigomish, nel Golfo di San Lorenzo. In quel luogo due testimoni “intelligenti” avevano visto per circa mezz’ora, a una distanza di circa 200 piedi dalla costa, un serpente marino lungo 100 piedi con gobbe sulla schiena e la testa simile a quella di una foca. Secondo Lyell questi incontri stavano diventando frequenti lungo la costa degli Stati Uniti e nelle acque della Norvegia. Un mostro simile era stato avvistato nell’ottobre precedente presso Arisaig, all’estremità orientale della Nuova Scozia e altri avvistamenti erano segnalati in quegli anni nell’Atlantico, dalla Virginia alle Isole Ebridi.


Il primo importante avvistamento di quella serie era avvenuto nell’agosto 1817 nel porto di Gloucester, Massachusetts, al punto che la Società Linneana di Boston istituì una commissione di indagine che lavorò per sette anni. Lyell, che aveva conosciuto coloro che stesero la relazione finale, riporta ciò che i numerosi testimoni dissero: “Il mostro era lungo dagli ottanta ai novanta piedi, con la testa, di colore marrone scuro, che sporgeva di due piedi dall’acqua. Il corpo aveva una trentina di protuberanze (…). Il suo movimento era rapido, più veloce di quello di una balena, capace di coprire un miglio in tre minuti, lasciando una scia dietro di sé. (…) Un abile tiratore gli sparò da una barca e si sentì sicuro di averlo colpito alla testa, ma la creatura si girò verso di lui, poi si tuffò sotto la barca per riapparire un centinaio di iarde dalla parte opposta”.


Lyell fa cenno anche a un ridicolo incidente di cui fu protagonista la stessa Società Linneana, che dal 1817 aveva conservato sotto spirito un giovane “serpente di mare” nel Museo di New Haven. Lyell, tuttavia, avendo visto il campione, concordò con altri scettici che esso non era altro che un serpente terrestre comune nel Massachusetts, un colubro nero, Coluber constrictor, con una spina dorsale deforme.

Nonostante la mancanza di prove, Lyell confessva: “credevo nel serpente marino senza averlo visto”. Il suo interesse per tali esseri era fortemente influenzato dalla sua passione per la geologia.

Frontespizio della prima edizione americana dei Principles of Geology.

Ai tempi di Lyell, l’argomento dell’età e del destino della terra era ancora controverso. La maggior parte dei geologi pensavano a una terra giovane, modellata da improvvise e drammatiche catastrofi, fino alla comparsa dell’uomo (la cosiddetta teoria del catastrofismo). Al contrario, Lyell ipotizzava per il tempo geologico due importanti principi. Il primo, elaborato seguendo il pensiero del conterraneo James Hutton, è noto come uniformitarismo (o attualismo): i processi oggi osservabili sono stati attivi anche nel remoto passato e non c’è bisogno di ricorrere a presunte catastrofi per spiegare i processi di modellamento del pianeta così come oggi appare, ma è più logico pensare che processi lenti e costanti, come l’azione delle precipitazioni, dei mari, dei vulcani e dei terremoti, l’erosione e la deposizione, attivi per migliaia se non milioni di anni diano spiegazioni sulla storia geologica della terra sin dai tempi più antichi. Inoltre, il tempo è, secondo Lyell, organizzato in cicli. Egli paragonava la storia della terra e i cambiamenti climatici occorsi nel passato a una specie di “anno geologico”, con le sue stagioni ricorrenti e ordinate a seconda del movimento ciclico di rivoluzione del pianeta attorno al sole.

Le specie animali e vegetali erano perfettamente adattati a queste “stagioni geologiche”. Quando finiva una di queste, alcune specie animali e vegetali diminuivano in abbondanza, mentre altre fiorivano. Questo schema era reversibile in qualsiasi momento e, come aveva scritto Lyell nei Principi di Geologia, era pertanto possibile che:

“Allora potrebbero ritornare questi generi di animali, di cui si conservano le memorie nelle antiche rocce dei nostri continenti. I grandi iguanodonti potrebbero ricomparire nelle foreste, e l’ittiosauro nel mare, mentre lo pterodattilo volerebbe di nuovo tra i boschetti ombrosi di felci” 

Si sapeva che erano esistiti nel passato i grandi rettili marini (come l’Ittiosauro o il Plesiosauro), ma anche i grandi mammiferi marini (come lo Zeuglodonte). La loro esistenza nel presente avrebbe fornito una prova biologica, e quindi indipendente, alla sua teoria geologica.

Il geologo scozzese era conscio che ciò era considerato improbabile, e che era difficile che i rettili giganti potessero adattarsi ai mari settentrionali, quando anche piccoli rettili come rospi e tritoni diventano più rari o scompaiono alle alte latitudini. Egli poi si dilunga nel descrivere le vicende di un presunto serpente marino spiaggiato sulla costa delle Orcadi nel settembre 1808, che alla fine si rivelò essere un grosso squalo, il cui movimento nei pressi della superficie poteva dare l’impressione di un lungo corpo gobbuto in rapido movimento. 

Ciò nonostante, ritenendo che i serpenti di mare non fossero mai stati catturati vivi in tempi storici in quanto erano rarissimi e pressoché estinti, il presunto aumento della loro popolazione nel corso del XIX secolo (così almeno Lyell poteva spiegare l’aumento di avvistamenti a partire dal 1817) era il risultato del fatto che la storia della terra si stava ripetendo. I grandi rettili preistorici del passato, quasi scomparsi durante l’ultima era glaciale, sarebbero di nuovo comparsi per conquistare il mondo che si stava riscaldando in una sua nuova primavera geologica. 

Lyell non fu il solo geologo a cercare il mitico serpente di mare. Molti naturalisti del tempo consideravano, o spiegavano, questi esseri misteriosi come i sopravvissuti di un mondo antico. Layell tuttavia era consapevole della controversia scientifica sull'argomento. Alla fine non pubblicò nulla di scientifico sui serpenti marini per sostenere la sua teoria geologica, e probabilmente fece bene. 

In un’epoca fortunata in cui i dibattiti scientifici avevano una forte eco sulla stampa, e non mancavano feroci polemiche o satire sugli organi d’informazione, le teorie attualiste di Lyell non mancarono di attirare gli strali dei vignettisti. Uno di questi era Sir Henry Thomas De la Beche (1796-1855), geologo stimato, ma più noto come caricaturista. Una delle sue opere più famose, tuttora riprodotta in molti testi di geologia, fu realizzata nel 1830, lo stesso anno in cui fu pubblicato il primo volume dei Principles of Geology di Lyell. 


Il testo recita: CAMBIAMENTI IMPRESSIONANTI. L’UOMO TROVATO SOLO ALLO STATO FOSSILE – RICOMPARSA DEGLI ITTIOSAURI. Lezione. “Potrete immediatamente notare” continuò il Professor Ittiosauro, “che il teschio di fronte a noi apparteneva a un qualche ordine inferiore di animali; i denti sono insignificanti, la forza delle mascelle debole, e nel complesso sembra sbalorditivo come tale creatura potesse procurarsi il cibo”.

lunedì 13 maggio 2013

La foca


La foca
che gioca 
con la palla 
sul naso:
che caso, 
non falla, 
la lancia, 
l’arresta 
di pancia, 
poi, lesta, 
di testa. 
Che festa, 
che mosse, 
se fosse 
la foca 
che gioca, 
ma ha... 
ha l’aria 
dell’otaria.

martedì 5 giugno 2012

Al gatto nero: nuove rime scientifiche



La bolla della derivata

La demenza colpì il vecchio uomo sul Colle
che abolì per decreto il teorema di Rolle
e, per timore di un Assange,
anche quello di Lagrange.
Il calcolo differenziale alla mercé d’un folle.


La regola del segno
(sequenza di limerick)

Nel mondo delle fate c’era un regno
dove ignoravano la regola del segno:
“O, mio dio, dicci tu
Che cosa fa – per +!”
Eppure ci mettevan tanto impegno.

Giunse in quelle lande un gran sapiente
che aveva studiato nel vicino Oriente,
che sbottò “Animali!
Si ha il + con segni uguali,
ma che razza di volgo deficiente!”

Per l’uomo dotto ci furon giubilei
come se fosse giunto uno degli dei:
la folla lo acclamava
e il gran re annunciava:
“Di certo –2 –4 fa +6!”

Il saggio, che era piuttosto anziano,
si congedò con una scusa dal sovrano
e partì il dì seguente
con l’idea fissa in mente
che spesso chi comanda è il meno sano.


La regola di Ruffini

La divisione con la nota regola di Ruffini
scompone il polinomio in due più piccini
e ti dà pure il resto,
purché rimani desto,
la zzz-sione con zzzzzz-gola di fuffini.



La falena

Gira la falena intorno alla lampadina
con moto irregolare, perdendo energia:
senza livelli discreti, la poverina
cadrà nel nucleo della sua mania.


Biologia quantistica

Per la lotta alle zanzare,
in un domani futuristico,
sarà sufficiente comprare
un fornello quantistico,
dove una lucciola eccitata,
interagendo con un fotone,
produrrà, se stimolata,
un’antizanzara e un elettrone.


Hanc Marginis

Possiedo una prova davvero eccellente
del complotto globale contro la gente,
attraverso scie chimiche e radiazioni
e geni modificati per farci star buoni,
ma il poco spazio a mia disposizione
non consente una valida trattazione.



martedì 15 maggio 2012

Di giraffe e pinnipedi


La giraffa lamarckiana 

Fino all’Ottocento nella savana 
viveva la giraffa lamarckiana: 
ciò che acquisiva nell’esistenza 
lo tramandava alla discendenza.

Lungo i millenni aveva sviluppato
un collo minuto e smisurato
con cui brucava sul Ruwenzori 
tremila metri sopra i predatori. 

Si estinse per questo piano piano,
non avendo parato il deretano: 
caso, necessità (e selezione laicista)
sostennero la giraffa darwinista. 



La foca L’otaria 

La foca 
che gioca 
con la palla 
sul naso, 
che caso, 
non falla. 
La lancia, 
l’arresta 
di pancia, 
poi, lesta, 
di testa. 
Che festa, 
che mosse, 
se fosse 
la foca 
che gioca, 
ma ha l’aria 
di un’otaria.

domenica 13 maggio 2012

Il criceto


Criceto nella granaglia: 
si rallegra, canaglia! 
Se ne infischia, 
non osa, poi rischia, 
morde una lenticchia, 
rallenta, rosicchia, 
si ferma, tossicchia, 
cincischia, nicchia, 
riprende, la picchia, 
la schiva, la schiaccia; 
piaccia o non piaccia, 
ci pigia la faccia, 
ci finge una caccia, 
l’addenta, la trita, 
la inghiotte tutta, 
si stiracchia, rutta, 
sputacchia, 
s’inginocchia 
per fare la cacca. 

Poi s’accoppia, 
mette su famiglia, 
genera, figlia, 
(suocera, nuora), 
si riposa, lavora, 
gioisce, s’abbacchia, 
patisce, ridacchia, 
subisce, s’incacchia, 
t’ignora, t’adocchia, 
è sveglio, sonnecchia, 
si gratta un’orecchia, 
succhia, si macchia, 
invecchia, vivacchia, 
s’ammala, sudacchia, 
s’aggrava, schiatta, 
si raccatta, si getta via. 

 È degno di poesia? 
Sia come sia, 
la sua storia è la mia.

(il mio capolavoro, lo ripropongo da solo)

domenica 19 febbraio 2012

La scienza Britannica nel 1865 secondo il Punch


Questa gustosa vignetta, che apparve sul numero del 23 settembre 1865 della rivista londinese Punch, prendeva simpaticamente in giro il convegno della British Association for the Advancement of Science, che aveva appena concluso i suoi lavori a Birmingham. I partecipanti e i relatori costituirono come un who's who dei più alti esponenti delle scienze britanniche alla metà del XIX secolo (nei campi della geologia, fisica, fisiologia, chimica, matematica, statistica ed economia). Nei lavori si parlò di tutto, dall’allevamento delle ostriche all’esplorazione delle caverne inglesi, dalla revisione della nomenclatura zoologica all’osservazione delle meteore, dalle ascensioni con l’aerostato per studiare l’atmosfera alla determinazione di un’unità di misura per la resistenza elettrica. 

L’illustrazione è stata pubblicata nei giorni scorsi dall’amico John F. Ptak, libraio scientifico americano e grande divulgatore, sul suo interessantissimo blog Ptak Science Books, ricca fonte di notizie, aneddoti e illustrazioni sulla storia della scienza, della tecnologia e sui loro dintorni sociali.

Tra le caricature della vignetta, in alto a sinistra si riconoscono Thomas Huxley, il “mastino di Darwin”, e Richard Owen, rivale del padre dell’evoluzionismo, intenti a polemizzare sui principi dell’evoluzione di fronte a un piccolo pubblico di scimmiette con la testa ischeletrita o fossile. Il personaggio in piedi alla loro destra che agita una specie di attizzatoio davanti agli elementi chimici (indicati dai simboli dei pianeti alla maniera degli alchimisti) per John potrebbe essere il chimico (e garibaldino!) J. A. R. Newlands, che contribuì all'elaborazione della tavola periodica. Nei commenti all’articolo, tuttavia, qualcuno propone di identificarlo con il fisico irlandese John Tyndall, grande divulgatore e sostenitore della laicità della scienza, che avrebbe appena bruciacchiato le terga al personaggio in fuga al centro in alto, forse il geologo e naturalista Joseph Jukes, con il quale aveva avuto una polemica sulle misure per il carbone.

John Ptak non sa chi identificare nel personaggio che sta presiedendo il gruppo di cifre graziosamente sedute su dei piccoli sgabelli, con in mano un pesce (e un’altra metà) che riporta indicato il prezzo, ma è attratto dallo zero che fugge gridando. È questa caricatura la più enigmatica di tutta la vignetta. Non è chiaro il riferimento al pesce, che sembra di un genere asiatico, e ancora più misteriosa è la corsa disperata dello zero. Qualcuno ha identificato il personaggio nel matematico e ingegnere Charles Babbage, il trisavolo dei computer, ma nel 1865 egli aveva 74 anni, e non sembra che possa essere disegnato così giovane. Un scorsa agli Atti del convegno, pubblicati l’anno successivo a Londra da John Murray, informa che vi fu una lunga relazione sulla Teoria dei Numeri da parte del matematico londinese Henry J. Stephen Smith (pagg. 322-375 del volume I), mentre, tra le comunicazioni riguardanti la matematica e la fisica (pagg. 6-10 del volume II), si trovano quelle di O. Byrne, A. H. Curtis, del reverendo Robert Harley (Sulla teoria dei risolventi differenziali), T. A. Hirst, di C. M. Ingleby (Su un metodo per trovare i resti nelle divisioni aritmetiche), di James Joseph Sylvester (Su una classe speciale di domande sulla teoria delle probabilità). Di quest’ultimo John F. Ptak ha trovato una citazione del 1877 riguardante la relazione tra insegnamento e ricerca, che per Sylvester è “rara come un pesce parlante”, ma ciò non è sufficiente ai fini dell’identificazione del personaggio con in mano il pesce.

Placidamente seduto al centro, mentre fa il giocoliere con delle sfere terrestri, c’è il geologo scozzese Roderick Murchison, che ha un posto di rilievo nel disegno del Punch (un accenno all’imperialismo britannico?). Altri due geologi armeggiano in basso a destra: il primo sta sistemando al suo posto un pezzo della Terra e dovrebbe essere Charles Lyell, mentre l’altro infila una corta pala in un altro globo terrestre. Difficile identificarlo: John propende per riconoscere in lui il geologo e ingegnere minerario John Philips, ma forse si tratta del vulcanologo George Scrope. Sopra di loro c’è il fisico ottico e inventore David Brewster, che sta armeggiando con lo stereoscopio da lui inventato di fronte a un pubblico composto da alcuni compassi e da un telescopio. Più in alto è disegnato un maglio a vapore che si esibisce davanti a un gruppo di coltelli.


La vignetta è accompagnata da un testo scherzoso (con l’umorismo dell’Inghilterra del 1865, un po’ diverso dal nostro). Riguardo alla matematica è malauguratamente piuttosto oscuro, ma forse aiuta nella identificazione del personaggio con il pesce: “Qualche parola sulla Quadratura di un Sacrestano che stava discutendo in un circolo vizioso. Illustrato pugilisticamente. (Un baule di se stesso, compresi i guanti e un cambio di biancheria)”. E se il “sacrestano” fosse proprio il reverendo Robert Harley? Nel 1865 poteva non essersi ancora fatto crescere la barba, inoltre i tratti del viso e la pettinatura con frangia verso destra possono a mio parere motivare questa ipotesi.



venerdì 13 gennaio 2012

Cenni di ftiriologia letteraria


Non è certo famoso come il disegno della pulce, ma anche quello del pidocchio nella Micrographia di Robert Hooke (1665) è impressionante per bellezza e precisione. E tale capolavoro scientifico e iconografico, frutto delle prime osservazioni accurate consentite dai microscopi e dallo sviluppo della tecnologia di costruzione delle lenti, rende giusto onore a uno dei compagni più fedeli dell’Homo, che lo ospita da ancor prima di evolversi come sapiens.

In effetti, il pidocchio del capo non è solo il permanente compagno e parassita della nostra specie (e di moltissime specie di mammiferi e uccelli), ma è tanto importante per l’umanità da comparire numerose volte in ambito letterario, in epoche, forme e stili diversi, sin dai tempi in cui, come dice la leggenda, Omero morì per non aver saputo risolvere un indovinello postogli da alcuni pescatori. Il cieco aedo chiese loro che cosa stessero facendo, ed essi risposero “Quel che abbiamo preso lo lasciamo, quel che non abbiamo preso lo teniamo”. I pescatori si stavano spidocchiando, ma il povero Omero non poteva vederli.

Lautréamont (1846-1870), nel suo stile visionario e precorritore del surrealismo, ne tesse una lirica celebrazione attraverso le parole del protagonista del poema in prosa I canti di Maldoror (1869), nel canto II, paragrafi 93-104 (proprio quelli che precedono la famosa celebrazione delle “matematiche severe”). Maldoror, rappresentazione del male assoluto, che odia Dio e gli uomini, medita di fare dei pidocchi uno strumento per portare la rovina sulla terra (traduzione mia):

“Esiste un insetto che gli uomini nutrono a loro spese. Essi non gli devono nulla, ma lo temono. Questo, che non ama il vino, ma che preferisce il sangue, se non fosse soddisfatto nei suoi bisogni legittimi, sarebbe capace, per un potere occulto, di diventare grande come un elefante, di schiacciare gli uomini come delle pannocchie. Così bisogna vedere come lo si rispetta, come lo si circonda di una venerazione canina, come lo si pone in alta stima al di sopra degli animali della creazione. Gli si concede la testa come trono, ed esso s’aggrappa alla radice dei capelli, con dignità.

(…) Ecco la sua famiglia sterminata che avanza, e della quale vi ha liberamente gratificato, perché la vostra disperazione fosse meno amara, e come addolcita dalla presenza piacevole dei suoi aborti maligni, che diventeranno in seguito magnifici pidocchi, ornati di una grande bellezza, mostri dall’andatura di saggi. Egli ha covato diverse dozzine di carissime uova con la sua ala materna, sui vostri capelli, seccati dalla suzione accanita di questi temibili stranieri. Il periodo è giunto in fretta, quando le uova si sono aperte. Non temete, essi non tarderanno a ingrandirsi, questi adolescenti filosofi, attraverso questa vita effimera. Diventeranno tanto grandi che ve li faranno sentire, i loro artigli e le loro proboscidi acuminate.

(…) O pidocchio, dalla pupilla accartocciata, finché i fiumi spargeranno la pendenza delle loro acque negli abissi del mare, finché gli astri graviteranno sul sentiero della loro orbita, finché il vuoto muto non avrà orizzonte, finché l’umanità strazierà i propri fianchi con guerre funeste, finché la giustizia divina precipiterà i suoi fulmini vendicatori su questo globo egoista, finché l’uomo rinnegherà il suo creatore, e lo sfiderà, non senza ragione, mescolandovi del disprezzo, il tuo regno sarà assicurato sull’universo, e la tua dinastia stenderà i suoi anelli di secolo in secolo.

(…) Se la terra fosse coperta di pidocchi, come di grani di sabbia la riva del mare, la razza umana sarebbe annientata, in preda a terribili dolori. Che spettacolo! Io, con ali d’angelo, immobile nell’aria, a contemplarlo”.

Due anni dopo (1871) era Arthur Rimbaud (1854 – 1891) a fare di uno spidocchiamento famigliare il pretesto di grande poesia. In Les Chercheuses de poux, le cercatrici di pidocchi, alcuni critici hanno riscontrato celate allusioni erotiche. A me basta sottolineare il sottile piacere sensuale che pervade il bambino per l’opera esperta delle mani delle sorelle sulla sua testa (traduzione mia):

Quando la fronte del giovane, rossa di tormenti,
implora il bianco sciame dei sogni indistinti,
accanto al letto vengono due graziose sorelle
con fragili dita dalle unghie argentine.

Fan sedere il bambino a una grande finestra
aperta dove l'azzurro inonda un macchia di fiori,
e nei capelli grevi coperti di rugiada
muovono le dita fini, terribili e seducenti.

Egli ascolta cantare quegli aliti sospesi
che profumano di mieli vegetali e rosati,
interrotti talvolta da un sibilo, salive
riprese sulle labbra o bramosie di baci.

Sente le ciglia nere battere nei silenzi
profumati; e le loro dita elettriche e soavi
fanno crepitare nelle grigie indolenze
sotto le unghie regali la morte dei pidocchi.

Ecco che sale in lui il vino dell'Accidia,
sospiro di un'armonica che potrebbe impazzire;
il bambino prova, al ritmo lento delle carezze,
sorgere e spegnersi senza fine una voglia di pianto.

Naturalmente i pidocchi non assillano solo i francesi. Alla fine del secolo precedente lo scozzese Robert Burns (1759 –1796) aveva dedicato nella sua affascinante lingua un’ode a un pidocchio visto in chiesa sulla bianca cuffia di una giovane signora: To a louse, on seeing one in a lady’s bonnet, at church (traduzione di Masolino D’Amico)

Ah, dove credi di andare, quatto quatto, furfante?
Hai una bella impudenza che ti protegge:
non posso dire che non incedi con gran piglio
su mussola e trine;
benché a dire il vero temo che troverai un magro pasto
in un posto del genere.

Brutto tipaccio strisciante, maledetto,
aborrito, sfuggito da santo e peccatore,
come osi metter piede su di lei,
una così leggiadra signora!
Vattela a cercare da qualche altra parte, la cena,
addosso a qualche poveraccio.

Fila a rintanarti in qualche basetta di mendicante;
lì sì che potrai strisciare, stenderti, frugare,
con un’altra genia di bestiole salterine
a orde e tribù;
Lì né corno né osso oserà mai sconvolgere
le vostre fitte colonie.

Ecco, resta lì ora, ché non ti vede nessuno,
sotto i nastri, rannicchiato al calduccio,
che il diavolo ti porti! Non avrai pace
finché non sarai arrivato, eh,
su, su in cima, sulla vetta torreggiante
della cuffia della signorina?

Parola mia! Con che faccia tosta tiri fuori il naso
tondo e scuro come un chicco d’uva spina!
Ah, se avessi un po’ di resina fetida al mercurio,
o una potente polverina rossa,
te ne darei una dose così gagliarda
da sistemarti per le feste!

(…)

Oh, se qualche Potenza ci facesse il dono
di vederci come ci vedono gli altri!
Ci libererebbe da molti errori
e sciocche pretese
quali arie nell’abito e nel contegno ci lascerebbero,
e persino nella devozione!

E gli italiani? Come al solito la mettono soprattutto in farsa. L’umanista Ortensio Lando (ca 1510 – ca 1558), poligrafo sarcastico, traduttore dell’Utopia di Tommaso Moro, noto per i suoi libri di Paradossi, pubblicò nel 1548 a Venezia un godibilissimo testo di finti Sermoni funebri de vari authori nella morte de diuersi animali, tra i quali un’Orazione in morte di un pidocchio. L’autore, piuttosto inviso alle autorità ecclesiastiche per la sua vena pungente, sospettato di aver aderito segretamente alla Riforma, più volte esule per la sua libertà di pensiero, non perde l’occasione di prendere il giro il potere con uno stile che ricorre a tutti gli artifici della retorica, portati alle loro estreme conseguenze. L’orazione è pronunciata da un frate Puccio dei Reverendi Padri ed è completamente immersa in un’atmosfera conventuale: l’incontro del religioso e del suo animale favorito avviene durante il Vespro, il pidocchio si muove con una gravità paragonabile a quella dell’abate di Cluny, vive nella cella del suo padrone, vestito dalla natura dello stesso colore del saio dei Francescani.

Il tono dell’orazione è aulico, con i comuni topoi della letteratura classica che vengono riferiti a una situazione ordinaria per creare un contrasto comico. Così Puccio dice del pidocchio: “Credei ancho alcuna fiata che caduto fosse dal capo al bel Endimione, mentre la Luna sfaccendata et tutta d’amor ardendo, i capei biondi come fila d’oro, vezzosamente li pettina”. La morte del pidocchio è stata causata dall’avvelenamento dovuto alla gelosia di un confratello, la cui individuazione è il pretesto per il Lando, ex frate agostiniano, per una feroce satira contro il mondo conventuale. Tra le croci e i calici regna l’invidia, fa dire a Puccio, esattamente come nel mondo politico, dove essa provoca dissensi, condanne all’esilio e decapitazioni, come tra i medici, i cortigiani, gli architetti o i coristi. In quel covo di vipere anche l’amicizia di un pidocchio può essere consolatoria, un animale così nobilmente immune dall’invidia da essere portato ad esempio, al punto che “per l’avvenire beato si habbia da tenere chi piu sarà pidocchio tenuto”.


Ancora legato alla religione compare il pidocchio in Fontamara (1930) di Ignazio Silone (1900-1978). Nel sogno raccontato dal cafone Michele Zompa, i pidocchi sono stati mandati dal papa durante una sua visita nella zona del Fucino assieme al Crocifisso. Il prelato, vedendo i cafoni che, nei momenti di riposo, sono intenti a bestemmiare e litigare, decide di prendere dalla bisaccia una nuvola di pidocchi e mandarli su di loro, in modo che nel tempo libero si grattino e non pensino a peccare. Cristo vorrebbe aiutare i disgraziati cafoni, ma il Papa glielo impedisce, perché sia rispettato l’ordine sociale che vede i braccianti all’ultimo posto e non siano danneggiati i commercianti e il principe di Torlonia, né sia privato il governo nelle tasse che ha imposto. Il sogno riprende lo schema di una leggenda nella quale Cristo, in peregrinazione con Pietro, dona una manciata di pidocchi a una donna pigra, poiché l’ozio è il padre di tutti i vizi.

Il pidocchio italico ritorna in farsa in un gustosissimo episodio del paradossale romanzo Gog (1931) del geniale e controverso Giovanni Papini (1881-1956):

"Il suo vero nome era, pare, Goggins ma fin da giovane l’avevan chiamato Gog e questo diminutivo gli piacque perché lo circonfondeva d’una specie di aureola biblica e favolosa: Gog re di Magog. Era nato in una delle isole Hawai da una donna indigena e da padre ignoto ma certamente di razza bianca. A sedici anni, imbarcato come boy di cucina sopra una vapore americano, era sceso a San Francisco e aveva vissuto qua e là per la California, all’avventura. Dopo qualche anno, non si sa come, aveva messo insieme qualche migliaio di dollari e s’era trasferito a Chicago. Aveva il genio del business o un demone dalla sua perché in poco tempo il suo valore in denaro divenne enorme, anche per l’Ohio. Alla fine della guerra era uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, cioè del pianeta. Nel 1920 si ritirò senza troppe perdite da tutte l’imprese e depositò i suoi miliardi un po’ qua e un po’ là in tutte le banche del mondo”.

Misantropo, disilluso su tutto, nemico delle belle maniere, dei valori sociali, della modernità, Gog, sulla soglia della pazzia, finge di voler destinare una certa somma a chi presenterà un progetto degno di essere finanziato per “una cattedra che non compaia in nessun programma di nessuna scuola superiore al mondo”. Inizia così una sfilata, cinica, maniaca e iperbolica di artisti, inventori e tecnici strampalati che Gog ascolta per vincere la noia. Così, gli vengono proposti la musica del silenzio, la scultura invisibile, la chirurgia morale, la vendita all’incanto dello Stato (curioso che il primo privatizzatore sia un idiota). Tra gli eccentrici questuanti, un erudito tedesco, il professor Josiah Kunigrund, membro corrispondente dell’Accademia entomologica di Lubecca, gli scrive per proporgli di istituire la Cattedra di Ftiriologia, la scienza dei pidocchi. La ftiriologia è per Kunigrund “Scienza fondamentale e primordiale per l’interpretazione della natura, della storia e dell’arte e che merita di avere una cattedra propria nella gloriosa Università di W”. Il professore tedesco vuole sviluppare l’autonomia della scienza dei pidocchi, a torto ritenuta una branca dell’entomologia o, peggio ancora, della parassitologia:

“I Pidocchi erano ancora considerati sotto l’unico aspetto zoologico, mentre io – sostiene nella lettera il professore – avendo allargato considerevolmente il campo dello studio pediculare, posso affermare d’aver fondato come scienza indipendente la ftiriologia, la quale è il primo esempio a me noto di quella che si potrebbe chiamare zoologia storica, morale e estetica. Mentre, cioè, gli antichi zoologi non curano che la descrizione dell’animale e dei suoi costumi, io studio il suo significato e la sua influenza nelle vicende umane e nell’arte”.

Così Kunigrund, per il quale il pidocchio è una sorta di giustiziere divino, elenca una serie di personaggi storici, noti in gran parte per la loro crudeltà, che sono state vittime illustri della pediculosi, tra i quali Erode il Grande, Silla, Antioco IV Epifane, Filippo II di Spagna. E ricorda che, secondo Giuseppe Flavio, i kinnim mandati da Dio come terza piaga agli egiziani erano i pidocchi.

Non so pronunciarmi sulle ardite tesi del personaggio di Papini, ma di certo la zoologia letteraria sta diventando una realtà, come ad esempio nell’articolo Cenni di ftiriologia letteraria sul blog Popinga. Quanto ai pidocchi come castigo divino, posso solo sperare che la loro azione vendicatrice non possa essere fermata dai ripetuti trapianti di capelli.