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venerdì 12 maggio 2023

La grande marea di Chaucer

 


I
Canterbury Tales sono una raccolta incompiuta di novelle scritta dal grande poeta inglese Geoffrey Chaucer (1340/43 - 1400) nel decennio finale del Trecento. Il pretesto per la raccolta è il pellegrinaggio al santuario di Thomas Becket a Canterbury, nel Kent. I 30 pellegrini che intraprendono il viaggio si radunano al Tabard Inn di Southwark, borgo meridionale della città appena oltre il Tamigi. Accettano di partecipare a una gara di storie mentre viaggiano, e Harry Bailly, oste del Tabard, funge da maestro di cerimonie per la tenzone. La maggior parte dei pellegrini viene introdotta da vivaci brevi schizzi nel "Prologo generale". Intervallate tra i 24 racconti ci sono brevi scene che presentano scambi vivaci, che di solito coinvolgono l'ospite e uno o più pellegrini, tra i quali lo stesso autore. Chaucer non completò il piano completo del suo libro: il viaggio di ritorno da Canterbury non è incluso e alcuni pellegrini non raccontano storie. La lingua utilizzata da Chaucer è il Middle English, l’inglese che si era evoluto sotto l’influsso delle lingue scandinave e del franco-normanno, soprattutto nella sempre più importante zona di Londra.

Il dispositivo letterario ha permesso a Chaucer di riunire persone di ceti sociali diversi: cavaliere, priora, monaco; commerciante, uomo di legge, proprietario terriero, chierico erudito; mugnaio, e molti altri. La molteplicità dei tipi sociali, così come l'espediente stesso del concorso narrativo, ha permesso di presentare una collezione molto varia di generi letterari: leggenda religiosa, romanzo cortese, fabliau vivace, agiografia, racconto allegorico, sermone medievale, racconto alchemico e, a volte, miscele di questi generi. Le fonti utilizzate da Chaucer sono molteplici: dai lai bretoni, alle leggende arabo-moresche, dalla Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth al Decameron del nostro Giovanni Boccaccio. Il pellegrinaggio, che nella pratica medievale univa uno scopo religioso con il beneficio secolare di una vacanza primaverile, rendeva possibile un'ampia trattazione del rapporto tra i piaceri e i vizi di questo mondo e le aspirazioni spirituali per l'altro.


Ognuno dei racconti è narrato da un membro del gruppo di pellegrini (dovevano essere 4 per ciascuno dei trenta, per un totale di centoventi) e molti di essi contengono riferimenti all'astronomia. Questi sono insolitamente sofisticati, il che non sorprende se ricordiamo che Chaucer era abbastanza esperto di scienza da scrivere un trattato sull'astrolabio per il figlio. Alcune delle allusioni astronomiche più interessanti sono quelle che si trovano nella storia raccontata dal proprietario terriero (o allodoliere, Franklin), che ammira la cavalleria e i nobili ideali.

"Il racconto dell’Allodoliere"

Sebbene Chaucer abbia suggerito che la storia sia stata presa in prestito da un lai bretone, la sua fonte più probabile è il Decameron di Giovanni Boccaccio (quinta novella della decima giornata: Madonna Dianora domanda a messere Ansaldo un giardino di gennaio bello come di maggio; messere Ansaldo con l’obligarsi ad uno nigromante gliele dá; il marito le concede che ella faccia il piacere di messere Ansaldo, il quale, udita la liberalità del marito, l’assolve della promessa, ed il nigromante, senza volere alcuna cosa del suo, assolve messere Ansaldo). Si tratta di un topos abbastanza diffuso, in cui una donna ambita chiede a un corteggiatore non gradito di realizzare un’impresa ritenuta impossibile per concedergli le sue grazie. L’allodoliere inizia descrivendo il matrimonio di un cavaliere di nome Arveragus e della sua bellissima moglie, Dorigen, che vivono sulla costa rocciosa della Bretagna. Mentre il cavaliere è in guerra in Inghilterra, Dorigen è inconsolabile. Ogni volta che cammina lungo le scogliere vicino al suo castello, vede al largo le minacciose rocce nere che hanno causato la morte di tanti marinai e potrebbero mettere in pericolo il marito al suo ritorno.


Nel frattempo, un giovane scudiero di nome Aurelius si è segretamente innamorato di Dorigen. A una festa in giardino in primavera, osa rivelare il suo amore e chiederle i suoi favori. Lei risponde che accetterà i suoi abbracci se rimuoverà tutte le rocce dalla costa della Bretagna. Aurelius in un primo momento si dispera, ma poi torna a casa e prega il Sole di cooperare con la Luna nel provocare una marea eccezionalmente alta da coprire le rocce, in modo che possa poi mantenere a Dorigen la sua promessa. Aurelius chiede una marea "così grande che di almeno cinque braccia [30 piedi] sovrasti la roccia più alta della Bretagna". Ma l'alta marea non arriva durante quella primavera o estate, e nemmeno durante i successivi due anni, e Aurelio langue mentre attende invano.

Alla fine, Aurelius e suo fratello si recano nella città di Orleans per consultare uno studioso, un dotto chierico che possiede una conoscenza speciale del funzionamento dei cieli. Dopo aver chiesto un ingente compenso, lo studioso accetta di dare una mano, e i tre si dirigono verso la costa bretone dove "attraverso la sua magia" sembra far scomparire le rocce sotto le acque di un'alta marea. Il narratore conclude la storia raccontando come ciascuno dei personaggi mostri nobiltà: Dorigen racconta al marito della sua promessa avventata e si tormenta per essere stata infedele, Arveragus dice a sua moglie che deve mantenere la sua parola, Aurelius la libera dalla sua promessa e lo scienziato-mago di Orleans rinuncia al suo compenso.

Un aspetto di questa storia è sempre sembrato piuttosto strano agli specialisti di Chaucer. Dopo tutto, il ciclo ordinario di alta e bassa marea non è nulla che il pubblico del poeta avrebbe dovuto trovare sorprendente, soprattutto se avvezzo alle grandi maree della costa bretone e normanna. Chaucer è noto per aver visitato la Francia (e l’Italia) diverse volte negli anni 1360 e 1370 e doveva avere familiarità con le alte maree della Bretagna. La spiegazione di questo “magico” evento sta nel fatto che Chaucer potrebbe aver descritto una rara configurazione astronomica e una marea eccezionalmente alta verificatesi effettivamente nel XIV secolo.

La formulazione del racconto è abbastanza precisa per quanto riguarda il tempo e il periodo dell'anno, nominando anche il mese in cui i tre viaggiatori arrivano sulla costa bretone:

And this was, as thise bookes me remembre,
The colde, frosty seson of Decembre.
Phebus wax old, and hewed lyk laton,
That in his hoote declynacion
Shoon as the burned gold with stremes brighte;
But now in Capricorn adoun he lighte,
Where as he shoon ful pale, I dar wel seyn.
The bittre frostes, with the sleet and reyn,
Destroyed hath the grene in every yerd.
Janus sit by the fyr, with double berd,
And drynketh of his bugle horn the wyn;
Biforn hym stant brawen of the tusked swyn,
And "Nowel" crieth every lusty man.

E questa era, come questi libri mi fanno ricordare,
La stagione fredda e gelida di dicembre.
Febo [il Sole] invecchiò, con una tonalità come il rame,
Che nella sua calda declinazione,
Brillava come l'oro brunito con ruscelli luminosi;
Ma ora in Capricorno si illuminava,
Mentre brillava completamente pallido, oserei dire.
Le gelate amare, con il nevischio e la pioggia,
Hanno distrutto il verde in ogni cortile.
Giano siede accanto al fuoco, con doppia barba,
E beve il vino dal suo corno;
Davanti a lui sta la muscolatura del porco dalle zanne,
E "Natale" grida ogni uomo vigoroso.

Il grido "Natale" suggerisce un periodo nell'ultima parte di dicembre, poco prima o dopo Natale. La stessa parte di dicembre è indicata dalla menzione del dio romano bifronte Giano, allusione all'approssimarsi di gennaio. Il riferimento di Chaucer al Sole in Capricorno ci aiuta anche a definire il periodo dell'anno. Il Sole ha raggiunto la sua declinazione più meridionale quando è entrato nel Capricorno il giorno del solstizio d'inverno, che, a causa della precessione degli equinozi, durante la vita di Chaucer cadeva circa il 13 dicembre (ecco perché è sopravvissuto il proverbio “Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia”). Anche il maiale macellato è un indicatore stagionale. Gli abbondanti indizi mostrano che questo passaggio descrive una giornata "fredda, gelida" che deve cadere tra il 13 dicembre e il 31 dicembre.

I calcoli astronomici

Sulla costa bretone il chierico d'Orléans lavora notte e giorno finché "finalmente ha trovato il tempo" per l'alta marea. Egli calcola le posizioni lunari e solari da una serie di "tavole di Toledo", un riferimento a quelle preparate nell'XI secolo dall'astronomo al-Zarqali (Arzachel) a Toledo, in Spagna, o alle Tavole Alfonsine compilate da astronomi arabi ed ebrei nella stessa città nel XIII secolo sotto la direzione del re Alfonso X di Castiglia. Chaucer ci fornisce uno dei passaggi astronomici più complessi di tutta la letteratura inglese mentre descrive i calcoli e la conseguente alta marea che nasconde le rocce:

His tables Tolletanes forth he brought,
Ful wel corrected, ne ther lakked nought,
Neither his collect ne his expans yeeris,
Ne his rootes, ne his othere geeris,
As been his centris and his argumentz
And his proporcioneles convenientz
For his equacions in every thyng.


Le sue tavole toledane tirò fuori
Molto ben corrette, non vi mancava nulla
Nè le sue osservazioni nè gli anni calcolati
Nè le sue radici, nè ogni altro meccanismo
Come sono i suoi centri e gli argomenti
E le sue proporzionali convenienze
Per le sue equazioni in ogni cosa.

And by his eighte speere in his wirkyng
He knew ful wel how fer Alnath was shove
Fro the heed of thilke fixe Aries above,
That in the ninthe speere considered is.
Ful subtilly he kalkuled al this.
Whan he hadde founde his firste mansioun,
He knew the remenaunt by proporcioun,
And knew the arisyng of his moone weel,
And in whos face, and terme, and everydeel;
And knew ful weel the moones mansioun
Accordaunt to his operacioun,
And knew also his othere observaunces
For swiche illusiouns and swiche meschaunces
As hethen folk useden in thilke dayes.
For which no lenger maked he delayes,
But thurgh his magik, for a wyke or tweye,
It semed that alle the rokkes were aweye.

E dall'ottava sfera nel suo funzionamento
Sapeva benissimo fino a che punto Alnath era spinto
Dalla testa di quell'Ariete fisso in alto,
Che nella nona sfera considerato è;
Sottilmente calcolò tutto questo.
Quando ebbe trovato la sua prima dimora,
Conosceva il resto in proporzione,
E conosceva bene il sorgere della sua luna,
E in quale fase, e termine, e tutto;
E conosceva benissimo la dimora della luna
Secondo la sua operazione,
E conosceva anche le altre sue osservazioni
Per tali illusioni e tali errori
Come usavano i pagani a quei tempi.
Per cui non più ebbe indugi,
Ma attraverso la sua magia, per una settimana o due,
Sembrava che tutte le rocce fossero sparite.


Per trovare la longitudine eclittica della Luna, un astronomo medioevale iniziava segnando la posizione media della Luna in un'epoca iniziale, chiamata
radix, "radice", e quindi sommava i moti medi tabulati durante l'intervallo di tempo trascorso per raggiungere la data cercata, espresso come somma di "collect years" (secoli e periodi di 20 anni), "expans years" (singoli anni contati da 1 a 19), mesi, giorni, ore e minuti. Calcolare l'angolo dalla posizione media alla posizione reale della Luna comportava la consultazione delle tavole per trovare quantità come "equazione del centro", "minuti proporzionali" ed "equazione dell'argomento": esattamente i termini usati da Chaucer in questo passaggio.

Trovare la posizione del Sole richiedeva un uso simile di ragionamenti ed equazioni, con un'ulteriore complicazione a cui alludeva la menzione di Chaucer di "Alnath", un nome medievale impiegato per Beta Tauri (che è ben visibile proprio in dicembre). Le 28 dimore erano gruppi di stelle vicine all'eclittica utilizzate come stazioni di riferimento per il moto quotidiano della Luna durante il mese siderale. Chaucer usa la distanza variabile tra Alnath e la "testa di quell'Ariete fisso" (il punto dell'equinozio di primavera, dove l'eclittica interseca l'equatore celeste) come metodo per misurare la precessione. Questo era importante per qualsiasi calcolo solare, perché la teoria medievale collocava il Sole in un'orbita geocentrica con le direzioni dell'apogeo e del perigeo in posizioni fisse tra le stelle nell'"ottava sfera", che eseguiva sia un costante precessione e un movimento oscillatorio (apparente), chiamato dagli astronomi tolemaici trepidazione, rispetto al punto dell'equinozio di primavera nella "nona sfera". Il calcolo della precessione era necessario per individuare l'asse maggiore dell'orbita del Sole, trovare la vera posizione del Sole e quindi dedurre la fase della Luna. L’accenno alle illusioni e agli errori dei pagani è dovuto al fatto che, per gli uomini incolti dell’epoca di Chaucer, i calcoli degli astrologi (maghi naturali) erano associati a operazioni demoniache.

Gli studiosi di Chaucer hanno a lungo definito questa sezione un passaggio problematico, noto per la sua difficoltà, e alcuni non sono andati molto oltre il notare che una luna nuova o piena produrrà un'alta marea. La complessità di questo passaggio, tuttavia, suggerisce che il chierico (o mago) di Orleans stia facendo un calcolo molto difficile, forse per trovare l'ora di una configurazione astronomica che produca l'escursione di marea più grande possibile.


La sparizione delle rocce

Diversi fattori indipendenti contribuiscono a produrre maree eccezionalmente alte. Le maree primaverili di portata maggiore si verificano due volte al mese, quando il Sole e la Luna sono in sizigia (cioè quando la Luna è nuova o piena) e le loro forze individuali di innalzamento della marea si combinano per un effetto netto maggiore. Due volte all'anno, nei periodi noti come "stagioni delle eclissi", si verificano lune nuove e piene con il Sole e la Luna vicino ai nodi dell'orbita lunare. Si verifica quindi un'eclissi solare o lunare, così come un ulteriore potenziamento delle forze di innalzamento della marea. Le maree di perigeo di portata maggiore si verificano una volta al mese, quando la Luna è più vicina alla Terra. La forza di innalzamento della marea del Sole è massima una volta all'anno, al momento del perielio terrestre.

In alcuni anni è possibile che tutte e quattro queste condizioni siano soddisfatte quasi contemporaneamente. Scrivendo nel 1913, gli oceanografi svedesi Otto e Hans Pettersson descrissero eventi così straordinari e osservarono che questa situazione "produce un massimo assoluto della forza che genera la marea". Nel suo lavoro del 1986, Tidal Dynamics, Fergus Wood concorda. Fa anche un accenno di passaggio a un evento che chiama "l'alta marea assoluta vissuta nel 1340 d.C.", descrivendolo con la frase "massime maree sigiziali, una circostanza molto rara".


Incuriositi da questo riferimento a un evento di marea estremo nel XIV secolo, Donald Olson e il suo gruppo di ricerca hanno usato i metodi di Astronomical Algorithms di Jean Meeus (Willmann-Bell, 1991) per cercare le date delle eclissi con la Luna vicino al perigeo e la Terra vicino al perielio. Il programma per computer ha cercato gli allineamenti seguendo i movimenti di cinque linee immaginarie: la linea che unisce Terra e Sole, la linea che unisce Terra e Luna, l'asse maggiore dell'orbita della Luna, la linea dei nodi dell'orbita della Luna e l'asse maggiore dell'orbita terrestre. Un perfetto allineamento di tutte e cinque le linee non si verifica mai effettivamente; quindi, si sono cercate eclissi senza che nessuna coppia di esse fosse disallineata di più di 10 gradi.

Un modello sorprendente è evidente da questo elenco. Le date cadono in gruppi e questi sono separati da intervalli di oltre 1.000 anni in cui non si verificano. I calcoli precisano la rarità di questi allineamenti e confermano anche la data del 1340 citata da Wood. Questo tipo di allineamento si è verificato solo una manciata di volte nella storia documentata. Non succederà più fino al 3089. Inoltre, le conseguenti alte maree sono cadute nella seconda metà di dicembre, subito dopo il solstizio d'inverno e con il Sole in Capricorno, coincidendo esattamente con le circostanze descritte da Chaucer in The Franklin's Tale!

Sebbene ai primi studiosi mancasse il nostro concetto moderno di forze di marea, essi associarono sicuramente le escursioni di marea ai fenomeni astronomici. Un trattato del XIII secolo descriveva le maree primaverili dicendo che "quando il Sole e la Luna sono in congiunzione, il potere della Luna diventa più forte e la marea aumenta e diventa forte". La stessa opera si riferiva alle maree di perigeo osservando che quando la Luna "si avvicina al punto più vicino alla Terra, la sua potenza aumenta, e quindi l'innalzamento del mare è forte". Diversi trattati associavano un periodo di alta marea al solstizio d'inverno e quindi, indirettamente, al momento di massimo avvicinamento tra la Terra e il Sole. Chaucer avrebbe capito, almeno in modo qualitativo, che gli allineamenti celesti nel dicembre 1340 avrebbero influenzato in modo significativo le maree.

Anche se i porti precisi visitati da Chaucer nei suoi viaggi in Francia non sono noti, la costa della Bretagna è famosa per le sue notevoli maree. A St. Malo l'escursione media della marea è di 8 metri, la marea primaverile varia in media di 11 metri e sono possibili maree di perigeo con escursioni superiori a 13,5 metri. Maree ancora più grandi si verificano a Mont-St. Michel, a breve distanza a est di St. Malo. Per secoli turisti e pellegrini hanno camminato verso l'abbazia di Mont-St. Michel con la bassa marea, poi osservato la marea in rapido aumento fare del sito un'isola.

Chaucer e il 1340

Ma se Chaucer visitò la Francia negli anni 1360 e 1370 e scrisse The Canterbury Tales durante gli anni dopo il 1390, perché dovrebbe essere a conoscenza di un'alta marea avvenuta nel 1340? Possiamo suggerire due possibili ragioni.

In primo luogo, Chaucer deve aver acquisito familiarità con le maree nel Tamigi quando prestava servizio come controllore dell'ufficio doganale e era responsabile della costruzione dei moli del porto di Londra. Fu anche nominato membro di una commissione reale per sovrintendere alle riparazioni di muri e fossati sul Tamigi inferiore. Chaucer potrebbe aver dovuto chiedere ai marinai più anziani ed esperti informazioni sulle maree più alte che avessero mai visto.

La seconda possibilità è più intrigante. Nella biografia di Chaucer del 1977, John Gardner colloca la sua nascita "intorno al 1340, forse all'inizio del 1341". Quando Chaucer stava imparando l'astronomia, gli astrolabi e le tavole astronomiche durante gli anni 1380 e 1390, è plausibile immaginare che avrebbe potuto indagare sul proprio oroscopo. Chaucer potrebbe aver scoperto la notevole configurazione di innalzamento della marea nel 1340 mentre utilizzava le Tavole Alfonsine per calcolare le posizioni solari e lunari vicino al momento della sua nascita.

Quando scrisse i Canterbury Tales, Chaucer era esperto nella scienza celeste del suo tempo. È probabile che abbia fatto appello a questa conoscenza speciale e abbia usato i cieli e le alte maree del dicembre 1340 come ispirazione per il dispositivo centrale della trama in The Franklin's Tale.


Riferimento principale
:

Olson, Donald W.; Laird, Edgar S.; Lytle, Thomas E., High Tides and The Canterbury Tales, Sky & Telescope, April 2000

lunedì 6 giugno 2022

Atomismo, metodo e scienza di Pierre Gassendi



Nato nel 1592 nella cittadina provenzale di Champtercier da una famiglia di allevatori, Pierre Gassend (Gassendi) divenne filosofo, teologo, professore di astronomia e matematica al
Collège Royal nonché membro del principale gruppo intellettuale francese del suo tempo (il circolo, o Accademia, di Mersenne). Da bambino, i suoi maestri riconobbero le sue potenzialità e lo inviarono all'età di sedici anni ad Aix-en-Provence per studi più profondi rispetto a quelli che la sua scuola locale poteva fornire. In questi primi anni di studio, Gassendi fece la spola tra Aix e Digne (il capoluogo di provincia) e iniziò così una vita itinerante. La sua vasta e precoce educazione lo portò alla cattedra di teologia ad Aix mentre era ancora poco più che ventenne. Ottenne successo non solo nei circoli accademici, ma anche nella Chiesa cattolica.

La carriera ecclesiastica di Gassendi è un aspetto cruciale della sua costituzione intellettuale: i suoi scritti riflettono una fedeltà alla Sacra Scrittura e agli insegnamenti della Chiesa, anche se non necessariamente in luci dottrinali ortodosse. Fu ordinato sacerdote all'età di 25 anni e, anche se non c'è dubbio sulla sincerità della sua fede, una delle motivazioni della sua carriera nella Chiesa sembra essere stata l’ottenimento di una sinecura. Così Gassendi iniziò come canonico della Cattedrale di Digne e salì al grado di prevosto, sempre a Digne, una ventina di anni dopo. Sebbene avesse chiaramente perseguito una relazione pacifica con le autorità superiori, per tutto il tempo scrisse lettere di sostegno a Galileo, ebbe un incarico al secolare College Royal e coltivò profondi legami personali e intellettuali con i suoi mecenati non ecclesiastici, come l’erudito consigliere al Parlamento di Aix Nicole-Pierre Fabri de Peiresc e il nobile parigino Habert de Montmor. 

Dopo alcuni anni di insegnamento di filosofia e teologia, Gassendi si allontanò da quelli che riteneva i rigidi insegnamenti della Scolastica nelle Exercitationes Paradoxicae del 1624. Da allora iniziò un sodalizio in studi fisiologici, astronomici e storici con il sapiente e ricco Peiresc, riassunto nella brillante biografia scritta da Gassendi alla morte di costui nel 1637. A questo punto, Gassendi aveva sviluppato i primi interessi in un certo numero di questioni di fisica di base e nel ripristino della filosofia di Epicuro, integrando il suo pensiero con ciò che riteneva teologicamente valido. La sua opera in filosofia naturale catturò l'attenzione dell’erudito, matematico e frate minimo Marin Mersenne, amico e compagno di studi di Cartesio. Gassendi trascorse gli ultimi due decenni della sua vita viaggiando avanti e indietro tra la Provenza e Parigi a causa dei vari impegni con i mecenati, della nomina al Collège Royal e dei problemi di salute. Per tutto il tempo fu coinvolto nelle discussioni accademiche del gruppo di filosofi e scienziati uniti attraverso la corrispondenza con Mersenne. Nel circolo di Mersenne, che comprendeva tra gli altri Pascal, Hobbes, Grotius, Campanella, Huygens, Fermat e Cartesio, gli interessi spaziavano su numerosi argomenti essenziali per lo smantellamento delle visioni del mondo aristoteliche e scolastiche, e Mersenne usava spesso il suo ruolo di facilitatore per organizzare dibattiti su questi temi. In quel contesto, Mersenne contribuì a favorire la circolazione delle critiche di Gassendi alle Meditazioni di Cartesio (Gassendi pubblicò successivamente le sue confutazioni nella Disquistio Metaphysica del 1646). I membri di questo circolo riferivano regolarmente sugli esperimenti di ciascuno e proponevano nuove sfide, come il noto enigma di Jean-Baptiste Poysson sul fatto che gli indivisibili fisici potessero o dovessero essere identificati con i punti matematici. 


La sua carriera scientifica fu varia e complessa. Alcuni storici considerano il suo più grande successo in questo ambito il contributo alla rinascita dell'atomismo antico, ma ciò rappresenta solo un fine della sua fisica antiaristotelica e un piccolo, sebbene fondamentale elemento dei suoi interessi scientifici. Le altre sue realizzazioni in fisica includono uno studio dei corpi in caduta libera (modellato sul lavoro di Galileo), un'enunciazione del principio di inerzia e un'interpretazione precoce e ragionevolmente accurata degli esperimenti di barometria di Pascal della fine degli anni Quaranta del Seicento. Gassendi si avventurò anche nella scienza sperimentale: tentò di misurare la velocità del suono prodotto dallo sparo dei cannoni, fece cadere dei pesi dall'albero di una nave in movimento per mettere in atto l'esperimento mentale di Galileo (e dissipare così i dubbi sul moto della Terra), e condusse numerose prove chimiche che coinvolsero, tra l'altro, la dissoluzione dei sali e la formazione di cristalli (che usò per rafforzare la sua teoria molecolare della materia). Nel 1635 scriveva: 
"questi grandi solidi, siano cubici, ottaedrici o altro, sono tutti composti da altri minori, della stessa figura, e quelli di altri minori fino alla risoluzione in tali piccoli, che sono quasi insensibili e sempre figurano similmente, dal che ne deduco che quelli sono ancora risolti anche agli atomi, che per necessità debbono essere della stessa figura”. 
Egli dedicò gran parte del suo tempo ad attività astronomiche. Fece osservazioni regolari dei cieli per decenni, producendo prove di conferma per le opinioni di Keplero, osservando le macchie solari, le eclissi, la stana forma ad anse di Saturno (gli anelli sarebbero stati descritti solo nel 1655 da Huygens) e il passaggio di Mercurio davanti al Sole (1631). Il corso che Gassendi tenne al Collége Royal, pubblicato con il titolo Institutio Astronomica (1647), divenne un manuale rispettato in Francia, Inghilterra, Italia e America. Gassendi fu identificato con la nuova astronomia per le sue osservazioni, le sue biografie di Copernico, Ticho e Keplero e l'osservazione del transito di Mercurio. Riedito più volte, il suo manuale comparve in biblioteche pubbliche e private insieme agli altri testi fondamentali dell'astronomia moderna e rivoluzionaria di Copernico, Galileo e Keplero. Gassendi previde con successo l'eclissi solare del 12 agosto 1654, cercando invano di rassicurare in un opuscolo anonimo la popolazione parigina che non sarebbero successi disastri. Nel 1621, fu il primo a fornire una descrizione scientifica del fenomeno che egli denominò “aurora boreale”, partendo dall'osservazione, ad Aix-en-Provence, di un'eccezionale aurora polare. Fu in contatto con tutti i grandi astronomi del suo tempo, come Keplero, Riccioli, Martinus Hortensius e Hévélius. Il 20 luglio 1625 scrisse a Galileo:
"Innanzitutto, amico Galileo, vorrei che foste ben convinto del piacere dell'anima con cui abbraccio la vostra opinione in astronomia, sul sistema di Copernico. Le barriere di un mondo sicuramente volgare sono abbattute. La mente liberata vaga per la vastità dello spazio. Forse dovreste pubblicare il vostro lavoro. Nascondendolo fareste un grave insulto alle lettere e a coloro che si dedicano alle scienze più divine (…) Se una ferma risoluzione, o un destino, vi impone una tale riserva danon poter nemmeno comunicare per lettera ai vostri amici ciò che avete concepito, fate un’eccezione per me. Fatemi sperare, vi chiedo, di essere vostro corrispondente.” 
L'elemento più controverso dell'astronomia di Gassendi riguarda se egli possa essere considerato un difensore di Galileo e della visione copernicana. Non c'è dubbio che simpatizzasse per Galileo e che fosse pienamente consapevole dei meriti del copernicanesimo, a volte difendendo apertamente la teoria e alcuni dei suoi fondamenti. Eppure, era anche chiaramente preoccupato della fedeltà alla Sacra Scrittura come interpretata dalla Chiesa, e a tal fine diede un resoconto ecclesiale della condanna delle tesi di Galileo nel 1634 che si concentrava non sull'eliocentrismo, ma sulle particolarità del modello galileiano. Il suo giudizio è che il modello di Tycho Brahe è preferibile al modello tolemaico, ma anche al modello copernicano, in quest'ultimo caso semplicemente perché il quadro eliocentrico non si adatta agli insegnamenti della Chiesa. Si affrettò a suggerire, tuttavia, che quegli insegnamenti erano essi stessi giustificati dall’attuale evidenza empirica, con l'implicazione che tali verità e il concomitante rifiuto del copernicanesimo potevano essere rivedibili (furbacchione). 

Le opere di Gassendi ebbero un'importanza particolare per i filosofi naturali italiani. Sotto il controllo di una chiesa autoritaria e reazionaria, sperimentatori ed empiristi intimiditi dalla condanna di Galileo erano, come Gassendi, alla ricerca di un sistema filosofico che potesse spiegare e ordinare i fatti forniti dalle sperimentazioni frammentarie dell'epoca. Il sistema di Gassendi - cioè l'antico atomismo di Epicuro epurato dalle sue tendenze ateistiche - offrì agli intellettuali italiani un'alternativa al neo-aristotelismo senza dirigersi nella direzione del meccanismo deterministico di Cartesio. Per loro Gassendi era diventato il naturale complemento di Galileo. 

Nei suoi ultimi anni, Gassendi cedette alle pressioni degli amici e pubblicò gran parte dei suoi studi epicurei, pubblicando la sua traduzione latina del Libro X su Epicuro di Diogene Laerzio, insieme ad un ampio commento, nelle Animadversiones del 1649. Nello stesso anno diede le dimissioni dal Collége Royal per problemi di salute. Continuò a lavorare su questo materiale interpretativo, incorporando costantemente intuizioni filosofiche e scientifiche, fino alla sua morte nell'appartamento parigino di Montmor nel 1655. Montmor, in qualità di esecutore testamentario, raccolse questo materiale in forma di manoscritto e con gli altri amici parigini di Gassendi fece in modo che fosse pubblicato il postumo Syntagma Philosophicum


Il Syntagma è più sistematico delle Animadversiones, in gran parte allontanandosi dal carattere talvolta filologico del commento precedente e discutendo principalmente di logica, scienze naturali, psicologia ed etica dalla prospettiva di ciò che Gassendi ritiene filosoficamente, storicamente e teologicamente sostenibile. Fortunatamente, Montmor e compagni ebbero il buon senso di raggruppare il Syntagma insieme alla maggior parte degli altri scritti di Gassendi (eccettuate le Animadversiones) in sei volumi di opere raccolte, l'Opera Omnia (Lione, 1658), che comprende anche lettere precedenti sull'ottica e la caduta libera dei corpi, una parte delle sue voluminose osservazioni astronomiche e gran parte della sua corrispondenza. 

Commentatori e storici designano di solito Gassendi come un pensatore della prima età moderna; tuttavia, ci sono buone ragioni per considerare la sua opera come appartenente alla fine del periodo precedente. Un aspetto della sua opera che ricorda da vicino la filosofia e la scienza rinascimentali è il fulcro storico del suo metodo di indagine. Per quasi tutte le questioni filosofiche che Gassendi ritiene degne di discussione, introduce prima un'ampia gamma di precedenti punti di vista contrastanti, a cominciare dalle scuole antiche, che considera opzioni "vive". Critica Aristotele e l’aristotelismo e si dice debitore del pensiero scettico, stoico ed epicureo. La storia della filosofia è per lui una fonte di ragionamento di vitale importanza, oltre che il modo generalmente corretto di inquadrare le nostre domande e, più occasionalmente, le risposte a quelle domande. Pertanto, una delle principali attrazioni dell'atomismo per Gassendi è che suggerisce un modo di pensare alla causalità tra oggetti materiali che trova un'alternativa attraente alle opinioni aristoteliche. Nella sua teoria della conoscenza troviamo un altro esempio dell'utilizzo di strutture antiche per modellare problemi contemporanei: nessun criterio di verità, ad esempio, è adeguato se non soddisfa i punti degli scettici classici. Alcuni potrebbero vedere questa attitudine come una prova del modernismo di Gassendi, ma le sue ampie preoccupazioni per il pensiero scettico lo collocano sicuramente in una buona compagnia rinascimentale. 

Un altro elemento di tipo rinascimentale degli scritti di Gassendi è la sua ossessione stilistica per l'antichità. Il suo latino è colto anche se un po' ampolloso. Una certa ricercatezza contraddistingue anche i suoi pochi scritti francesi esistenti. Cita spesso e liberamente da fonti classiche, di solito in latino anche se a volte in greco. Gassendi non suggerisce, come fa Cartesio, che il suo lavoro sia così moderno da essere stato inventato de novo. Piuttosto, rimanda costantemente il lettore ad altri scrittori, generalmente classici, come fonti di idee sia affini che contrastanti. Infine, il progetto più lungo della sua carriera consiste nei suoi grandi sforzi per far rivivere le opere e la reputazione di una particolare figura classica, Epicuro. 

Nonostante gli orpelli rinascimentali, ci sono almeno due ragioni per collocare Gassendi tra i moderni. In primo luogo, egli abbraccia la valutazione del nuovo empirismo nei confronti della vecchia scienza: ciò che è sbagliato nella fisica degli aristotelici è la prassi della sua presentazione, oltre che il suo fondamento, basati su affermazioni teoriche a priori. Non è l'unico o il primo autore con una tale visione. Galileo rompe con la tradizione nel distinguere una scienza del moto che, almeno in linea di principio, fa uso dell'osservazione e dell'esperimento. Bacone e Cartesio, da parte loro, consigliano anche (in varia misura) un metodo scientifico che si basa sulla conoscenza esperienziale. Ma tra i savants del primo Seicento, solo Gassendi integra filosofia e scienza su basi che ritiene strettamente empiristiche. Questa integrazione è una conseguenza naturale della volontà di acquisire tutta la conoscenza (al di fuori della teologia) dai sensi. 

Dalle sue proposte di fondamenti empirici per la nuova scienza e i suoi metodi deriva una serie di punti di vista altrettanto moderni. Suggerisce una nozione probabilistica di ciò che conta come credenza empirica giustificata e insiste sul fatto che possiamo autorizzare credenze su ciò che va oltre il sensibile, ma solo se sono ben radicate nelle nostre convinzioni sul dato percettivo. Inoltre, escogita regole per accettare o rifiutare ipotesi e linee guida per dirigere le scoperte empiriche e i nostri giudizi sulle stesse, in cui tutte queste affermazioni sono soggette alla prova dell'evidenza dall'esperimento o dall'osservazione. È tutt'altro che vero che tutte, o anche la maggior parte, delle sue affermazioni sulla natura del mondo fisico soddisfano questa prova, ma la modernità della filosofia e della scienza di Gassendi sta nella sua proposta che questo è un obiettivo da perseguire. 

Per molti commentatori, la teoria della conoscenza di Gassendi e le obiezioni alle Meditazioni di Cartesio rappresentano i suoi contributi filosofici principali. Nella sua epistemologia centrale, egli offre il primo modello moderno di conoscenza dei sensi da integrare con un resoconto fisiologico della percezione. Nelle sue obiezioni a Cartesio, rifiuta il criterio della chiarezza e della distinzione, critica il ragionamento alla base del cogito e attacca l'argomento ontologico. Ciascuno di questi punti di vista rappresenta una battaglia che Gassendi intraprese contro la tradizione aristotelica o la posizione cartesiana; il suo profondo empirismo si pone in alternativa a entrambe queste prospettive contrastanti.

Una pietra angolare dell'anti-aristotelismo di Gassendi è l’idea che non c'è nulla di necessario nel modo in cui il mondo è. Dio, sostiene, avrebbe potuto far funzionare il mondo in molti modi, e la storia e il carattere contingenti della Creazione significano che non c'è nulla di immutabile nell'essenza di una cosa materiale. Inoltre, indipendentemente dal fatto che ci siano essenze e che possano essere mutevoli, non ve ne sono a cui abbiamo accesso epistemico. L'unica fonte originaria della nostra conoscenza sono le informazioni fornite dai sensi, in modo tale che ciò che sappiamo sia strettamente legato a ciò che possiamo percepire. Quindi ci manca la conoscenza dell'essenza delle cose, se davvero ce n'è una. Più in generale, dalla nostra principale fonte di idee, i sensi, sappiamo solo come ci appaiono le cose. 

Gassendi discute l'opinione che ci sono proposizioni che possiamo conoscere con certezza. Poiché tutte le proposizioni sono giudicate vere o false su base empirica, nessuna può essere considerata indubitabile, tranne quelle della teologia e della cosmologia di derivazione teologica. Questa mancanza di certezza si estende anche alla dimostrazione logica, sia di carattere induttivo che deduttivo. Nulla è certo di tale dimostrazione, suggerisce Gassendi, salvo i limiti imposti dalla fragilità delle capacità intellettuali umane. I limiti naturali della nostra comprensione epistemica nelle scienze fisiche, nell'astronomia o in quasi tutti gli altri campi di studio sono proprio ciò che i sensi ci dicono, più qualsiasi correttivo fornito dalla ragione sulla base della conoscenza sensoriale che abbiamo già accumulato. 

Il fatto che Gassendi pensi che siano necessari correttivi sulle informazioni sensoriali chiarisce la profondità del suo rifiuto del fondazionalismo epistemico nel pensiero aristotelico o cartesiano: non possiamo fidarci nemmeno delle informazioni dai sensi per darci un'immagine sicura del mondo. In questo abbraccia il giudizio scettico che nessuna fonte di credenza può fornire una conoscenza certa. La conoscenza dei sensi è possibile solo nel caso in cui abbiamo la garanzia di giudizi sulle apparenze, anche se potremmo non avere garanzie di certezza su quei giudizi. 

Gassendi articola tali disaccordi con Cartesio nelle Obiezioni, dove rifiuta anche il criterio cartesiano di chiarezza e distinzione (le caratteristiche dell'evidenza), sia come standard per giudicare le idee che come fonte di giustificazione epistemica. Per quanto riguarda la prima, Gassendi sottolinea che la ragione, che comprende i nostri giudizi intellettuali e interpretazioni delle informazioni sensoriali, è essa stessa soggetta a errore. 

Se, nonostante tutti i loro difetti, le affermazioni basate su informazioni sensoriali sono più affidabili di quelle basate sul ragionamento, allora non dovremmo fare appello a queste ultime come base per giudicare le affermazioni delle prime. Uno dei motivi per cui pensa che le affermazioni basate sui sensi siano le più affidabili è che usano i sensi per raccogliere informazioni in modo passivo (quindi costantemente), in contrasto con il nostro giudizio mentale che organizza o mette in relazione attivamente (quindi irregolarmente) le informazioni. 

Inoltre, il criterio cartesiano è irrilevante per giudicare casi di conoscenza empirica, e anche se questo criterio non fosse irrilevante, le pretese di conoscenza di Cartesio dovrebbero ugualmente fallire. In primo luogo, nel caso della conoscenza empirica, Gassendi propone che il criterio cartesiano fallisca per i motivi scettici classici: è possibile per noi avere idee dai sensi che riteniamo chiari e distinti che non sono tuttavia la base per affermazioni giustificate di conoscenza di carattere generale. Sebbene possiamo avere idee chiare e distinte sull'aspetto, ad esempio, del colore del cielo che percepiamo, non possiamo dedurre da questa chiarezza e nitidezza che sappiamo di che colore è il cielo. Come avvertono gli scettici, il cielo potrebbe apparire a persone diverse con colori diversi e, come aggiunge Gassendi, le nostre idee su un tale aspetto potrebbero essere ciascuna chiara e distinta. In secondo luogo, Cartesio sostiene che la conoscenza può essere dimostrata dalla sola ragione, Gassendi respinge come comunque non conforme al criterio proposto; le idee ottenute con il solo ragionamento sono parziali e confuse, suggerisce, perché mancano dell'immediatezza caratteristica dei giudizi che otteniamo con mezzi strettamente empirici. Mentre le idee che otteniamo dai sensi rappresentano direttamente oggetti ed eventi mondani, le idee che otteniamo mediante prove deduttive non sono che ipotetici analoghi di tali idee di derivazione sensoriale.

Non tutte le critiche di Gassendi al criterio cartesiano sono radicate nella sua difesa della conoscenza dai sensi. Quindi, suggerisce, un altro problema con quel criterio è il suo fallimento nel mantenere la sua promessa fondazionalista. Nel caso in cui alcune delle nostre idee chiare e distinte si rivelassero sbagliate, avremo bisogno di qualche ulteriore criterio per distinguerle dalle idee corrette. E se il nuovo criterio è semplicemente qualcosa come "più chiaro e più distinto", allora siamo sulla strada per infiniti criteri di ordine superiore, che vanificano del tutto gli obiettivi del progetto fondazionalista. Infine, Gassendi offre quella che lo stesso Cartesio chiamò "l'obiezione delle obiezioni". Le nostre idee essendo idee chiare e distinte sono perfettamente in sintonia con una prospettiva solipsistica, ma poi l'unica cosa che possiamo sapere con certezza sono i nostri pensieri. Tuttavia, un criterio praticabile dovrebbe (a) distinguere anche le nostre affermazioni di conoscenza sul mondo esterno e (b) contrassegnare le affermazioni solipsistiche come dubitabili per cominciare. Oltre a queste obiezioni, Gassendi propone che Cartesio abbia messo il carro davanti ai buoi suggerendo che possiamo riconoscere facilmente ciò che è chiaro e distinto e usarlo come guida a ciò che è indubitabile quando ciò di cui abbiamo bisogno, in primo luogo, è una guida come a ciò che è chiaro e distinto. 

Allo stesso modo, anche il ragionamento del cogito di Cartesio è sottoposto a un attento esame. Gassendi interpreta questo ragionamento come l'inferenza di una persona dal suo indubitabile riconoscimento dell'attività cognitiva, all'affermazione che lui o lei esiste come sede stessa di tale attività. Contro tale inferenza sottolinea che il riconoscimento di avere una serie di pensieri non implica che uno sia un pensatore particolare o un altro. Se dovessimo muoverci dall'osservazione che c'è un pensiero che sta accadendo all'attribuzione di questo pensiero a un particolare agente, assumiamo semplicemente ciò che ci siamo proposti di provare, cioè che esiste una persona particolare dotata della capacità di pensiero. Come minimo, l'argomento richiede un significativo salto di ragionamento e, per Gassendi, questa è un'ulteriore prova che Cartesio ripone complessivamente troppa fiducia nel suo criterio e nel lavoro che pensa di poter svolgere. 

La necessità di una teoria della conoscenza empirica secondo Gassendi deriva dall'inadeguatezza delle risposte passate e contemporanee agli scettici, i cui enigmi egli trova particolarmente avvincenti nella forma dei tropi presentati da Sesto Empirico. I tropi scettici richiamano la nostra attenzione sul problema generale se, data la fallibilità dei sensi, qualsiasi conoscenza sia possibile. Gassendi ribalta il problema, limitando la sua portata a trovare giustificazioni per la conoscenza empirica e dichiarando la soluzione speciale per risolvere il caso generale. La sua mossa significativa al riguardo è di proporre, contro gli Stoici (e Cartesio), che non esiste condizione necessaria per avere qualche pretesa di certezza. Questo probabilismo amplia immediatamente la gamma di ciò che possiamo conoscere attraverso i sensi, così come il suo suggerimento di includere tra tali pretese di conoscenza quelle affermazioni su ciò che può essere nascosto ai sensi ma legittimamente dedotto dall'evidenza del dato percettivo. Questa è la sua teoria dell'inferenza basata sui segni, che suggerisce che tali inferenze sono legittime nel caso in cui siano accettate da un numero sufficientemente grande di esperti che danno testimonianza, oppure sarebbero false solo a pena di contraddizione. 

Seguendo un modello fisico epicureo, Gassendi raccomanda che le preoccupazioni scettiche siano soddisfatte da criteri di verità ed elementi di garanzia epistemica radicati nella regolarità e affidabilità della nostra percezione sensoriale e formazione delle idee. L'evidenza attendibile dai sensi fornisce la garanzia di convinzioni empiriche, anche se senza certezza, e nel caso in cui l'evidenza per esse non sia in conflitto con le esperienze probatorie accettate. Queste affermazioni si basano sulla proposta che l'informazione sensoriale ha una forma materiale, che la mente riceve informazioni sensoriali attraverso un processo fisico e che alcune facoltà cognitive ci consentono in modo affidabile di rilevare le proprietà di verità degli oggetti di conoscenza. Il processo fisico alla base di questo resoconto percettivo è ispirato da Epicuro, ma i dettagli fisiologici, l'ottica della trasmissione della luce e le lezioni epistemologiche sono proprie di Gassendi. 

Il lato negativo della teoria della conoscenza di Gassendi va verso la direzione degli scettici classici: non possiamo essere conclusivamente certi, né trovare verità ultime tra le credenze empiriche. Il lato positivo rifiuta un dubbio scettico assoluto, tuttavia, suggerendo che la conoscenza empirica è possibile perché possiamo identificare una serie di punti di forza che sono normalmente associati a molte credenze sulle apparenze: la loro affidabilità, approssimazione alla verità e probabilità per gradi. 

Sulla base di queste visioni globali della conoscenza in generale, Gassendi sviluppa elementi di una teoria della conoscenza e di un metodo specifici dell'attività scientifica. Questi elementi includono la proposta che raggiungiamo e giustifichiamo per deduzione affermazioni empiriche con la massima garanzia, tuttavia quelle affermazioni sono fondamentalmente probabilistiche. Propone inoltre di mantenere le ipotesi come base del ragionamento scientifico fintanto che ci sono prove empiriche per esse, per quanto ampiamente interpretate. Presi insieme, questi elementi costituiscono uno sforzo per un deduttivismo ipotetico che è caratteristico di alcuni esempi di ragionamento scientifico effettivo che Gassendi discute. Questa non è una specie moderna di deduttivismo ipotetico, tuttavia, saldamente legata com'è al suo empirismo. In effetti, il metodo di Gassendi non può essere adeguatamente caratterizzato nella sua interezza in questo modo, date le numerose altre forme di inferenza non deduttiva che egli avalla o utilizza come fondamentali per il suo metodo scientifico, comprese l'inferenza basata sui segni, il ragionamento analogico e l'inferenza alla migliore spiegazione

Un ulteriore elemento del metodo scientifico di Gassendi consiste nei suoi appelli a prove indirette per affermazioni sull'inosservabile e nella sua disponibilità a considerare tali prove come basi empiriche adeguate a sostenere valide ipotesi. L'esempio più importante di questa strategia è il suo abbracciare una teoria atomistica della materia come "ipotesi più probabile". Di necessità, qualsiasi prova a favore di questa ipotesi va trovata nella forma indiretta di segni "indicativi": questi sono i fenomeni di livello superficiale per i quali egli considera l'esistenza degli atomi una conditio sine qua non. A suo avviso, un esempio fondamentale di tali prove è ciò che possiamo vedere attraverso il microscopio, quando i fenomeni visivi sono spiegabili solo data l'esistenza delle microstrutture che percepiamo e, a loro volta, queste sono spiegabili solo in termini di strutture ancora più piccole. Gassendi sostiene che le osservazioni microscopiche della formazione e dissoluzione cristallina dimostrano la struttura molecolare della materia, un aspetto chiave del suo atomismo. Altrettanto innovativo è il suo appello a questa presunta fonte di garanzia a sostegno della sua teoria della materia. 

Tali argomenti a favore dell'atomismo evidenziano l'anticipazione di Gassendi della moderna nozione di inferenza alla migliore spiegazione come mezzo per giudicare tra ipotesi concorrenti. Avanzando questa strategia, sottolinea la capacità di una data ipotesi di spiegare una gamma di fenomeni diversi come guida al grado in cui tale ipotesi si avvicina alla verità. Questa strategia per giustificare le affermazioni sugli atomi riafferma anche la sua dipendenza dai dati empirici nella ricerca di conferme di affermazioni riguardanti allo stesso modo l'evidente e il non evidente. Sebbene molto sia insostenibile o improbabile in queste opinioni, Gassendi ha almeno offerto una serie di proposte per risolvere una delle domande più spinose dell'empirismo: come trascendere i limiti dei dati sensoriali. Possiamo conoscere elementi non osservabili come gli atomi, propone, nel caso in cui il nostro empirismo faccia avanzare la conoscenza scientifica attraverso un ragionamento ipotetico e garantisca il tipo di inferenze sui fenomeni fisici che tengono conto delle caratteristiche invisibili del mondo, per le quali le caratteristiche sensibili possono fornire prove. 

Le affermazioni atomiste di Gassendi sono radicate nella sua metafisica di fondo e nel rifiuto della divisibilità infinita della materia. Basa i punti più sottili del suo atomismo (per quanto riguarda le qualità degli atomi e dei loro aggregati) su osservazioni, esperimenti e interpretazioni degli stessi, nonché sulle valutazioni di prospettive alternative sulla teoria della materia. Seguendo il modello epicureo (con debiti a Lucrezio, Democrito e altri ancora), inaugura un'ontologia di base della materia e del vuoto e sviluppa un resoconto approfondito del mondo fisico radicato in un'immagine delle caratteristiche intrinseche degli atomi. 


Gassendi introduce nozioni di spazio e tempo assoluti secondo cui l'universo è ciò che contiene la Creazione materiale. Nel linguaggio colloquiale della metafisica, espone la "mappa" della sua immagine dell'universo in cui intende che Dio colloca i "mobili", vale a dire, gli atomi e le loro combinazioni. Spazio, tempo, accidente e sostanza sono le categorie basilari e reali (non ideali) dell'esistenza: lo spazio e il tempo non sono modi della sostanza. "Materia" si riferisce alla sostanza che esiste nello spazio e nel tempo. In effetti, è l'unica e immutabile sostanza delle cose fisiche e quindi deve esistere finché esistono le cose fisiche. Gassendi vuole che frammenti di materia abbiano le loro qualità distintive senza l'imposizione scolastica della forma. In particolare, propone, la materia ha qualità essenziali e accidentali, sebbene possiamo conoscere solo quelle accidentali, attraverso l'esperienza.

Quanto allo spazio contenitore in cui risiedono gli atomi, Gassendi propone argomentazioni empiriche e a priori a favore di un vuoto. Prende gli esperimenti barometrici del suo tempo, compreso il suo a Tolone, per dimostrare l'esistenza di almeno un vuoto parziale e diffuso. Andando oltre tale argomento empirico, ripercorre le argomentazioni classiche secondo cui senza il vuoto tra le parti dei corpi non si può spiegare la divisione e la separazione della materia a livello delle particelle di base, 

Per stabilire che gli atomi sono i principi o gli elementi primari della materia, Gassendi attinge dall’antica tradizione atomistica. Questo tipo di "prove storiche" o "testimonianze" vale come supporto per affermazioni fisiche all'alba del primo periodo moderno. Il suo approccio alternativo è una serie di difese ragionate dei principi atomistici di base - spesso, amplificazioni e riformulazioni di argomenti epicurei e lucreziani - comprese affermazioni sull'esistenza e sulla natura degli atomi come principi materiali primari. 

Per fare un esempio, Gassendi presume che gli oggetti materiali debbano avere un substrato composto da elementi di base e indivisibili ("principi") e propone gli atomi come i migliori candidati per il ruolo di substrato. Per arrivare a questa prima ipotesi, segue Epicuro e Lucrezio nell'adottare le idee di Parmenide secondo le quali nulla viene dal nulla e che tutta la materia deve provenire da qualcosa. Abbraccia inoltre l'antica concezione che quelle idee comportino un sostrato comune per tutta la materia, poiché la composizione delle cose materiali produce sempre materia. Eppure, questo sostrato comune non può essere materia primaria senza caratteristiche, senza forma, come propongono gli aristotelici. Dovrebbe avere alcune caratteristiche identificabili e immutabili perché tali caratteristiche sono ineliminabili dalla materia. Conclude che tutti gli oggetti materiali devono essere composti da particelle elementari che condividono le caratteristiche essenziali della materia, e le particelle con quelle caratteristiche sono proprio gli atomi. 

In una seconda linea di ragionamento lucreziano, Gassendi sostiene che gli atomi sono i principi primari della materia, sulla base del fatto che alcuni elementi materiali fondamentali devono essere impenetrabili se vogliamo rendere conto di vari gradi di resistenza in oggetti di dimensioni macroscopiche. Suggerisce che, poiché tutte le cose materiali resistono in una certa misura alla pressione, hanno tutte l'uno o l'altro grado di solidità. L'unico modo per spiegare questa solidità, o resistenza alla pressione, sostiene, è supporre che gli elementi costitutivi ultimi di tutti i corpi non siano morbidi, il che è garantito se sono tutti solidi. Altrimenti, non ci potrebbero essere corpi più duri di quelli più molli, perché se gli elementi costitutivi ultimi fossero molli, allora non potrebbero mai essere composti da essi corpi più solidi. Da ciò conclude che tutte le cose materiali devono essere composte da elementi massimamente duri che, quando messi insieme con più spazio vuoto tra loro, producono corpi più morbidi e, quando messi insieme con meno spazio vuoto tra loro, producono corpi più duri. 

A parte tali argomenti e obiezioni, Gassendi concentra i suoi maggiori sforzi per negare l'infinita divisibilità della materia sulla rilevanza di considerazioni matematiche e geometriche per le spiegazioni fisiche delle particelle ultime o quasi ultime della materia. Pur riconoscendo l'ampio parallelismo concettuale tra i continui fisici e matematici nelle discussioni antiche, mette in guardia dall'errata nozione che le grandezze fisiche dovrebbero essere infinitamente divisibili solo perché lo sono le grandezze matematiche. Quest'ultima osservazione di per sé non riesce a stabilire che gli atomi sono effettivamente divisibili. Eppure, Gassendi vede questa nozione come il crollo di un importante argomento contro l'atomismo. 

Un compito più importante è l'enumerazione delle proprietà atomiche. Gassendi distingue tra due tipi: quelle proprietà inerenti ed essenziali a tutti i singoli atomi e quelle che sono una caratteristica degli atomi nei gruppi. Il suo elenco di caratteristiche atomiche intrinseche, che segue da vicino l'elenco di Epicuro, include: estensione, dimensione, forma, peso o massa (pondus) e solidità (soliditas). Relativamente a ciascuna di queste caratteristiche, tutti gli atomi generalmente si assomigliano, essendoci una gamma limitata di dimensioni e pesi. Un'eccezione è la forma. Per rendere conto dell'enorme varietà tra gli oggetti naturali, afferma Gassendi, devono esserci molti tipi diversi di forme atomiche. 

Un'altra caratteristica notevole di questo elenco di proprietà è che segnala il rifiuto di Gassendi della visione cartesiana secondo cui l'estensione è sufficiente per caratterizzare ciò che è essenziale per il minimo frammento di materia. Cartesio ha torto, quindi, per la stessa ragione per cui gli scolastici hanno torto a parlare di materia senza caratteristiche nel contesto della teoria fisica. Come sostiene Gassendi, mentre potremmo astrattamente concepire la materia con una caratteristica come l'estensione, la materia non può effettivamente esistere senza le caratteristiche che Dio assegna alla Creazione, vale a dire dimensione, forma, peso e solidità. 

La caratteristica essenziale degli atomi che funziona meglio nella fisica di Gassendi - e genera anche più difficoltà - è il loro peso, che conferisce loro una tendenza intrinseca e naturale a muoversi. Data questa tendenza, il riposo degli atomi o è provvisorio oppure è un'illusione. Il peso degli atomi dà origine non solo a una semplice capacità di moto costante, ma anche a una serie di comportamenti più complessi, che consentono agli atomi di “… districarsi, liberarsi, balzare via, urtare contro altri atomi, per allontanarli, per allontanarsi da loro, e similmente [hanno] la capacità di afferrarsi l'un l'altro, di attaccarsi l'uno all'altro, di unirsi, di legarsi l'un l'altro velocemente…” Altri tre aspetti del moto atomico meritano la nostra attenzione. In primo luogo, deve essere la tendenza generale degli atomi a muoversi in linea retta, dato che gli atomi qui non presentano il clinamen (contrariamente alla tradizione epicurea). In secondo luogo, Gassendi propone che Dio doti gli atomi di un solido insieme di capacità di muoversi da soli a vari livelli, portando alcuni commentatori a vedere Gassendi come un vitalista o animista. Infine, egli aderisce a una composizionalità senza soluzione di continuità della materia e all'invarianza di scala rispetto alla natura e alle leggi del movimento, ognuna delle quali lo conduce in acque torbide. A livello microscopico, è impegnato in una costanza di movimento che non può essere arrestata permanentemente, mentre a livello macroscopico, sostiene che un principio di inerzia governa il movimento e il riposo di tutti i corpi. 

La tesi di Gassendi consiste nell'affermazione che le varie combinazioni di atomi danno origine a tutti i tipi di caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del mondo e dei fenomeni che esibiscono. Due elementi di questa tesi sono degni di nota. In primo luogo, gli atomi si combinano in particolari strutture molecolari che corrispondono a particolari caratteristiche e fenomeni di livello macroscopico. Questa visione pre-daltoniana non offre alcun suggerimento sul fatto che diversi insiemi di atomi siano la fonte della varietà molecolare. Eppure, questo molecolarismo è nuovo lo stesso, per l'ampio suggerimento che tali microstrutture siano elementi costitutivi di livello intermedio di macrostrutture e per la particolare proposta che i quattro elementi di base aristotelici siano concepiti come aggregati molecolari. In secondo luogo, le strutture molecolari si comportano allo stesso modo delle strutture di livello macroscopico: possono essere messe in moto, tirate, allungate, compresse e così via. D'altra parte, ci sono differenze significative tra atomi e molecole: movimento, densità ed elasticità sono tutti punti di differenza, che suggeriscono la difficoltà di una teoria della materia unificata e internamente coerente, rispetto a norme o leggi fisiche. Ciò nonostante, Gassendi è fiducioso che, almeno in linea di principio, l'universo potrebbe essere stato creato da Dio con una data composizione di particelle, di dimensioni, forma o altre dimensioni variabili. Ciò suggerisce che da quel livello di astrazione le leggi che governano il moto sono intese come invarianti scalari. Anche a un esame superficiale, queste allettanti affermazioni suggeriscono conseguenze significative e controverse dell'affermazione che gli atomi hanno un peso intrinseco e le conseguenti tendenze al movimento. 

Un ulteriore segno distintivo delle teorie atomiche e molecolari di Gassendi è la sua idea, seguendo le opinioni dei primi atomisti (in particolare Lucrezio), che alcuni atomi sono dotati di un'attività maggiore di altri. La varia attività di tali atomi speciali, o semina rerum, dà origine a un dinamismo differenziale nella materia (di natura puramente materialistica), consentendo strutture organiche speciali, nonché la crescita dei cristalli. Al contrario, né gli atomi né le molecole sono dotati di poteri di per sé. Né gli atomi sopportano forze, sebbene alcune forze come la gravità possano essere spiegate con riferimento al comportamento degli atomi. Le forze chimiche, d'altra parte, hanno spiegazioni molecolari. 

Una delle maggiori sfide all'atomismo di Gassendi da una prospettiva interna è la natura apparentemente impossibile della sua ricerca di basi empiriche per l'atomismo. Nella sua epoca non c'è il minimo accenno di una conoscenza percettiva di qualcosa di così piccolo. C'è, pensa, una fonte empiricamente valida di almeno alcune affermazioni sugli atomi: i dati indiretti dei segni indicatori. Eppure, il tenore generale della sua caratterizzazione e difesa dell'atomismo fisico segnala un allontanamento dal suo consueto empirismo. Come nella sua difesa di una tesi di indivisibilità, Gassendi si basa principalmente sulla ragione, non sull'esperienza, per rendere conto dell'origine e della quantità degli atomi e di quelle che considera le loro proprietà, il loro impulso interno, il movimento e il ruolo causale, e il loro contributo ai movimenti e alle qualità che attribuiamo agli oggetti macrofisici. Non è certo da biasimare a questo riguardo, data la mancanza di prove empiriche dirette disponibili. 

Per Gassendi, la grande promessa dell'ipotesi atomistica è il potere esplicativo in diversi domini dei fenomeni materiali (e la grande sfida, ove possibile, è la raccolta di prove empiriche a favore di tale ipotesi). Il progresso di Gassendi qui è quello di sviluppare spiegazioni atomistiche che sono meccanicamente praticabili, dove non esistevano in precedenza. 

In ciò che oggi chiamiamo chimica e fisica, Gassendi sviluppa una vasta serie di applicazioni per la sua ipotesi atomistica. Nella sua ottica, la teoria atomistica della luce fornisce un contrasto alla visione di Cartesio della luce come pressione. Per Gassendi, la luce è una proprietà veicolata da particolari atomi (atomi lucificae) che sono identici agli atomi di calore. Questi tendono a viaggiare a velocità superiore alla media perché generalmente hanno meno ostacoli nel loro percorso rispetto alla maggior parte degli atomi. Anche il suono è costituito da particelle e viaggia con loro. Contrariamente a una tipica visione dell'onda sonora, il mezzo circostante non gioca un ruolo importante: Gassendi ritiene che la velocità delle particelle sonore, come quella delle particelle luminose, sia invariante rispetto all'aria o al vento in cui viaggiano. In un esperimento, che modella su uno simile di Mersenne, stima che la velocità del suono sia 1.473 piedi/sec (478 metri/sec) e invariante rispetto all’altezza del suono. Anche il movimento planetario ha una spiegazione in definitiva atomistica, poiché le forze sottostanti che guidano i pianeti sono forze magnetiche sostenute da atomi particolari. 

Le spiegazioni atomistiche di Gassendi sui fenomeni chimici sono ugualmente ambiziose, suggerendo tra l'altro come si creano i vapori e come i metalli siano solubili. I vapori sono provocati dall'aumento della distanza tra gli atomi in un volume liquido. Gli atomi di calore rimuovono alcuni degli atomi presenti nel volume, determinando una maggiore percentuale di vuoto e la materia assumendo la forma di vapori. Per quanto riguarda la solubilità, consideriamo l'acqua regia che dissolve l'oro e l'acquaforte che dissolve l'argento, come risultato delle loro strutture atomiche complementari: gli atomi d'oro si adattano ai pori dell'acqua regia e gli atomi d'argento si adattano ai pori dell'acquaforte. 

Nel dominio dei fenomeni biologici, Gassendi offre ragioni molto diverse, attingendo alla sua teoria atomistica. La sua proposta più significativa a questo proposito è un spiegazione della generazione e dell'eredità in termini di un'anima materiale o di un'anima che porta informazioni ontogenetiche. Nella riproduzione sessuale, due insiemi di materia seminale e corrispondenti animulae si incontrano e determinano congiuntamente la divisione, la differenziazione e lo sviluppo della materia nel nuovo organismo. La determinazione dei tratti ereditari richiede la combinazione o la scelta tra i contributi di ciascun genitore, comportando competizione e predominio tra le animulae. L'animula è definita in base  ai suoi atomi costituenti, che devono essere uniformi affinché le animulae possano operare in modo equivalente attraverso diversi modi di generazione, sia "pre-organizzati" sia spontanei. Inoltre, Gassendi offre il suo modello molecolare come mezzo materiale per immagazzinare informazioni ontogenetiche ricevute dalle anime degli organismi genitori. 

Anche non considerando la struttura degli atomi e del vuoto, l'ontologia gassendista pone un'alternativa alle concezioni aristoteliche e cartesiane rivali, rispetto allo spazio e al tempo. La concezione gassendiana del tempo e dello spazio è assoluta. Il tempo scorre uniformemente indipendentemente da qualsiasi movimento, e lo spazio è uniformemente esteso, indipendentemente dagli oggetti che possono essere contenuti al suo interno. In effetti, sia lo spazio che il tempo sono anteriori alla Creazione e hanno un carattere infinito. 

Lo spazio e il tempo sono precondizioni per l'esistenza della sostanza, piuttosto che proprietà delle sostanze. La nozione di spazio non relativo di Gassendi è in diretto contrasto con l’idea cartesiana, che suggerisce che lo spazio è solo il luogo dove risiede la materia. Questo contrasto porta un chiaro risultato rispetto alla teoria della materia: Cartesio è bloccato in una visione della materia come infinitamente divisibile, per rendere conto dell'assenza del vuoto o (che è la stessa cosa) dell'onnipresenza della materia. Gassendi, invece, è libero di porre l'esistenza degli atomi e del vuoto, dove la materia si trova nello spazio ma non è né definita né definitiva di quello spazio. 

Fonte principale: Fisher, Saul, "Pierre Gassendi", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2014 Edition), Edward N. Zalta (ed.), https://plato.stanford.edu/archives/spr2014/entries/gassendi/