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mercoledì 24 dicembre 2014

Regola, Arte, Creatività



La parola “regola” deriva da una radice proto-indoeuropea (ricostruita) *reg-, “muoversi in linea retta”, dalla quale sono derivati termini come “retta”, ma anche “re”. In latino rēgŭla era l’asticella con la quale si tiravano le righe (da cui anche il regolo calcolatore degli ingegneri di un tempo), e in senso figurato anche la regola, la norma, il principio, impersonate dal sovrano, il rex, colui che detta le regole. Termini derivati e imparentati sono “regolare”, “retto”, “diritto”, “corretto”. Sin dagli albori della matematica, c’è parentela etimologica e semantica tra il rispetto delle regole e il tirare le righe diritte. 


Dalla parola sono derivati anche l’inglese right (giusto, corretto, opportuno, bene, giusto, diritto, retto, destra) e, dall’accezione di “re”, to rule (comandare, governare) e rule (regolamento), il gaelico rī, in tedesco abbiamo Reich (regno, stato). 

Come si usa per i papi e per i re (e per i governanti in generale), morta una regola, parente etimologica dei re, se ne fa un’altra. Infatti, senza le regole sarebbe il caos, e delle regole non possiamo fare a meno: esse sono indispensabili, e un pochino antipatiche proprio perché necessarie. Quell’aura di autorità e potere che possiedono ab origine spinge molti a metterle alla berlina, come ha fatto Jaroslav Hašek scrivendo Il buon soldato Sc'vèik, il cui protagonista è un perfetto idiota che esegue acriticamente e disastrosamente gli ordini ricevuti, creando il finimondo ed evidenziando l’ipocrisia e la stupidità di una società dove le regole sono diventate il fine e non il mezzo. Un altro modo di non farsi sopraffare dalle regole è quello di giocare con loro, come fanno i bambini o, in campo artistico e letterario, fanno le avanguardie. A qualcuno può venire in mente di inventarne di nuove e apparentemente non necessarie, solo per il gusto di vedere come uscirne (il topo che si costruisce il labirinto di Queneau). È quello che hanno fatto i membri dell’Oulipo, valorizzando e inventando nuove regole formali autoimposte (“contraintes”) come stimolo per l’ispirazione letteraria. La regola è questa: giocare con le regole, non accontentandosi di quella già presenti nella lingua, nello stile, nel genere, nel soggetto, e aggiungendone altre, magari prendendone a prestito dall’enigmistica (il palindromo, l’acrostico, il lipogramma, dei quali certo non si è sottovalutato l’aspetto ludico) o dalla matematica, come il calcolo combinatorio, la teoria degli insiemi o la teoria dei grafi. 

Ma perché le regole cambiano? Una regola ha senso all'interno di un determinato paradigma (sociale, giuridico, scientifico, ecc.). Persino le "leggi di natura" dei filosofi naturali hanno rivelato i loro limiti man mano che la fisica ha rivelato nuovi orizzonti con la relatività e la fisica quantistica (che a loro volta sono debitrici delle geometrie non euclidee e n-dimensionali). Arriva un certo momento in cui le regole vanno cambiate perché è cambiato il mondo e con lui la testa di noi che lo guardiamo. Il rispetto delle regole è, come si dice, la felicità dei mediocri, che non cambierebbero mai nulla. L'uomo d'ingegno è invece un sovversivo (non necessariamente in campo sociale, ma le due cose talvolta procedono di pari passo). 

Lo spettro semantico della parola greca tèchne, di solito tradotta con “arte”, è molto ampio e comprende sia la nostra arte, sia la nostra tecnica, sia la capacità, manuale e no, di fare qualcosa che si svolge secondo una regola. Gli artisti sono anche tecnici e i tecnici sono anche artisti, perché il loro fare, in entrambi i casi, comporta un saper fare o un metodo; comporta, cioè, una conoscenza, pratica e teorica a un tempo, e una partecipazione consapevole a ciò che si fa. E questo vale sia per il lavoro intellettuale, sia per il lavoro manuale; technités era chi riuniva in sé il tecnico e l'artista, svolgendo un'azione che si organizza secondo "principi e regole razionalmente posseduti, dimostrabili e discutibili" (Gianni Vattimo), conoscendo principi generali e applicandoli secondo metodi razionali, finalizzati ad un risultato di natura estetica. In questa accezione, la conoscenza delle regole, della tecnica, è il primo gradino della creazione artistica. Ma non scordiamo che ciò vale anche al di fuori dell’arte, in tutte quelle attività in qualche modo riconducibili all’artigianato, alla creazione di un prodotto (materiale o intellettuale) che parte dalla padronanza della tecnica, delle regole del gioco, per poi trascenderle attraverso la creatività e il talento. 

In questo senso l’arte, compresa la letteratura, e la matematica, entrano nel campo semantico della téchne. Si parte dalle regole, le si esercita fino a interiorizzarle, quindi, se si è bravi, nasce l’atto creativo, l’Opera, che può essere un quadro, un edificio, un romanzo, un teorema. E quando l’occhio educato osserva il risultato di tali attività, prova lo stesso piacere estetico. In questo senso una formula, una nuova teoria scientifica, possono essere belli quanto una scultura o una poesia. Personalmente non ho alcuna difficoltà nel dire che comprendere una grande costruzione intellettuale (come la relatività einsteniana) o ammirare la preziosa sintesi della identità di Eulero è bello quanto leggere una poesia di Leopardi o guardare un quadro del Caravaggio. Sono tutte il frutto di sapere e creatività, tutte profondamente umane ai livelli più eccelsi.

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Dal testo del mio intervento a Elogeremmo solo somme regole tenutosi alla Libreria Assaggi di Roma. Il bellissimo palindromo del titolo è servito a battezzare l’incontro che ho avuto il 15 maggio 2013 con il suo autore, il matematico Marco Buratti, professore ordinario di Geometria presso l’Università di Perugia, esperto di Matematica Discreta. Buratti è autore di due libri di palindromi e da otto anni cura la rubrica “Né capo né coda” nel domenicale de Il Sole 24 Ore. L’occasione è stato l’invito rivolto a entrambi, da parte di Roberto Natalini di MaddMaths, di parlare di regole, secondo la formula adottata nel ciclo di incontri MaddMaths racconta.

martedì 21 maggio 2013

ELOGEREMMO SOLO SOMME REGOLE

Il bellissimo palindromo del titolo è servito a battezzare l’incontro che ho avuto a Roma il 15 maggio scorso con il suo autore, il matematico Marco Buratti, professore ordinario di Geometria presso l’Università di Perugia, esperto di Matematica Discreta. Buratti è autore di due libri di palindromi e da otto anni cura la rubrica “Né capo né coda” nel domenicale de Il Sole 24 Ore. L’occasione è stato l’invito rivolto a entrambi, da parte di Roberto Natalini di MaddMaths, di parlare di regole, secondo la formula adottata nel ciclo di incontri MaddMaths racconta, giunto con il nostro al suo quarto e penultimo episodio per il 2013. 


Abbiamo allora parlato di regole, e di molte altre cose, in modo abbastanza sregolato, toccando etimologia, arte, matematica, letteratura, enigmistica, palindromi, poesia monovocalica, politica, eccetera, così come si conviene a una libera chiacchierata tra persone che amano quello che fanno. Qui sotto c’è il video, per il quale ringraziamo l’ottima e gentilissima Anna Parisi della Libreria Assaggi, che ospita questi incontri (e molti altri, tutti meritevoli di attenzione).

 

L’ultimo incontro del ciclo MaddMaths racconta si terrà il 29 maggio, alle 17, sempre presso la Libreria Assaggi, nel cuore del quartiere San Lorenzo, e avrà come protagonisti Roberto Natalini, questa volta in veste di relatore oltre che di anfitrione, e la matematica e scrittrice Chiara Valerio, sul tema contare. Anatema su chi, pur potendo andarci, non ci andrà.

venerdì 26 aprile 2013

Matematica e letteratura: i video della conferenza


Come molti dei miei lettori sapranno, sabato 20 aprile io e Roberto Natalini, matematico dirigente di ricerca del CNR e coordinatore di MaddMaths, abbiamo tenuto una breve conferenza divulgativa su Matematica e Letteratura presso la Libreria Assaggi di Roma, a cura dell’ Ufficio Stampa del CNR, nell'ambito del Festival Scienza 3 di Roma.



La conferenza è stata l’occasione di incontrare persone, come Roberto, Anna Parisi, Alessandro Aquilano, che finora avevo conosciuto e stimato solo tramite la rete, e che hanno creato un clima caldo e accogliente nella bella libreria del quartiere San Lorenzo, a pochi passi dall'Università. 

Qui presento il video dell’evento, durante il quale abbiamo letto e commentato brani di diversi autori, con la collaborazione dell’amica Stefania Mellace che ha interpretato magistralmente tre dei miei limerick.  Nell'ordine si trovano: 

• Una breve introduzione sulle intersezioni tra matematica e letteratura (matematica come oggetto, di letteratura, come struttura di un brano letterario, come oggetto e struttura); 
• Letture da La meravigliosa utilità del filo a piombo di Paolo Nori (l’algebra della realtà, il “salto di qualità”); 
• Lettura da Il limbo delle fantasticazioni di Ermanno Cavazzoni (dell’uso dei numeri in letteratura); 
• Qualche considerazione sull’Oulipo; 
• Lettura da Esercizi di stile di Raymond Queneau (versione geometrica, versione insiemistica); 
• Lettura da Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau (la letteratura combinatoria); 
• Letture da Giovanni Keplero aveva un gatto nero di Kees Popinga (poesia matematica umoristica); 
• Letture da That's impossible di Cristò (sul lotto infinito, con interessanti interventi del Prof. Roberto Pasquali); 
• Lettura de Il grande pi greco di Wislawa Szymborska (poesia e matematica) 
• Letture da Infinite Jest di David Foster Wallace (simmetrie, la storia del gilè, la cicloide sul pomello).

 

Nel secondo, piccolo, video, si può vedere l’appendice dedicata agli aforismi matematici di Renzo Butazzi:

 

Insomma: è stato un pomeriggio gradevole e divertente, seguito da una bella passeggiata in una Roma sempre stupenda, immersa in un clima abbastanza passionale (era stato appena rieletto Napolitano), ma questa è un’altra storia.