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sabato 5 marzo 2022

I primi darwinisti italiani e i loro oppositori

 


Francesco De Sanctis (1817–83), professore di letterature comparate all'Università di Napoli e uno dei più grandi storici e critici letterari del nostro paese, pochi mesi prima di morire tenne la conferenza Il darwinismo nell'arte, prima a Roma l'11 marzo 1883 e poi il 30 dello stesso mese a Napoli. De Sanctis riconosceva che Darwin aveva cambiato il nostro pensiero, le nostre opinioni, il nostro essere e l'ambiente: "Ci sono uomini che possono ignorare i libri, ed anche il nome di Darwin, ma, loro malgrado, vivono in quell’ambiente sentono i suoi influssi”. Infatti, secondo De Sanctis, “Se Darwin fosse stato solo un naturalista, la sua influenza sarebbe rimasta in quella cerchia speciale di studi. Ma Darwin non fu solo lo storico, fu il filosofo della natura, e dai fatti e dalle leggi naturali cavò tutta una teoria intorno ai problemi più importanti della nostra esistenza, ai quali l’umanità non può rimanere indifferente”

Quasi cento anni più tardi, il filosofo Paolo Rossi scriveva (in Letteratura e scienza nella storia della cultura italiana, 1978) che il darwinismo “fu non solo una grande rivoluzione scientifica, ma anche decisivo capovolgimento di quadri intellettuali. Con esso fu introdotto nella storia un modo nuovo di guardare la realtà, di considerare la natura, di concepire il tempo, di percepire il rapporto fra uomo e natura, di considerare le connessioni fra storia animale e storia umana, di avvertire la presenza, accanto all’uomo, delle altre forme in cui si esprime la vita”

L’evoluzionismo ha davvero rappresentato, per dirla alla Kuhn, un cambio di paradigma, non solo all’interno delle scienze biologiche, ma nella cultura moderna in generale: nessuna teoria scientifica ha modificato così radicalmente la percezione del rapporto fra uomo e natura come quella formulata da Darwin. 

Le idee di Darwin, pubblicate per la prima volta in Inghilterra nel 1857, furono accolte anche nel nostro paese con grande interesse dagli addetti ai lavori: i naturalisti italiani colsero subito, ancor prima dell'uscita di L'origine dell'uomo nel 1871, le implicazioni della teoria dell'evoluzione per la comprensione dei rapporti di parentela fra la specie umana e il resto del vivente. Non solo, furono fra i primi a capire l'importanza di un'educazione scientifica diffusa e organizzarono numerose conferenze e lezioni divulgative molto seguite, anche se non bisogna dimenticare che stiamo parlando di un paese dove il 75% della popolazione era analfabeta. 

La prima fu l’11 gennaio 1864, quando il milanese Filippo De Filippi (1814-1867), medico, anatomista, viaggiatore, professore di zoologia dell'Università di Torino, tenne una lettura popolare dal titolo L'uomo e le scimie, in cui per la prima volta venivano sostenute pubblicamente le idee “rivoluzionarie” di Darwin, applicate anche alle origini naturali dell'uomo. Così esordiva: 
"La infinitamente bella e grande varietà di forme di piante e di animali che popolano ora la superficie della terra, non è apparsa tutta insieme d’un sol getto, ma è stata preceduta da una successione di altre forme diverse, di altri mondi di viventi, che hanno lasciate, a documento della loro passata esistenza, spoglie più o meno complete negli strati della corteccia terrestre." 
De Filippi, tuttavia, volle distinguere nettamente il "regno animale" dal "regno umano" delle qualità psicologiche, morali e spirituali, prodotto sì dell'evoluzione ma del tutto sui generis
“Un’ultima considerazione, signori. Ripensate un istante alle immediate ed alle remote conseguenze di quel semplice atto che è l’accendimento d’un ramo secco, al qual non arriva la capacità della scimia. Di là si venne subito alla pentola, primo fondamento della famiglia, all’altare ardente ed alla fucina, primi fondamenti delle società umane. Ma non è ancora quello ch’io voglio dire. 

Un pensiero che ho preso al volo in una conversazione famigliare con un mio dottissimo amico, mi pare conduca a riconoscere un’alta ragione teleologica nel regno umano. Per verità il naturalista deve stare bene in guardia contro il principio delle cause finali, per evitare il pericolo di fare della scienza sentimentale a capriccio; ma quando una manifestazione di questo principio scaturisce da sé, senza tormentare i fatti, io non vedo il perché si debba respingere come una tentazione funesta. (...) Lo stemma del regno umano abbia adunque la doppia corona dell’ordine morale e dell’ordine teleologico”. 
De Filippi viaggiò per ricerche in Persia, poi in Sudamerica e Asia, e morì a Hong Kong per un’infezione, o, più probabilmente, di colera. 


La lezione riscosse consensi entusiastici e reazioni indignate, secondo uno schema che si sarebbe ripetuto spesso. Da Bologna il naturalista e geologo cattolico Giovanni Giuseppe Bianconi (1809-1878) rispondeva indignato che l'uomo non sarebbe potuto derivare da scimmie antropomorfe, ed avrebbe invece dovuto essere il risultato di una creazione indipendente, essendo distinto da tutti gli altri animali dall'intelligenza e dalla morale. 

Nel 1865 Bianconi pubblicò un'opera sulla presunta origine dell'uomo dalle scimmie (Les singes et l'homme,considérations naturelles sur leurs pretendues affinités, Versailles 1865), nella quale contestava tale derivazione, che considerava umiliante e offensiva. Sosteneva che il cervello umano si sarebbe evoluto attraverso lo sviluppo delle facoltà "cerebrali" e quello dei quadrumani per estensione delle facoltà "violente e brutali". Nella difesa della teoria delle "creazioni indipendenti" affermava che l'uomo è l'opera diretta dell'Autore della natura e non ha alcuna affinità genealogica o consanguineità con le scimmie. 

Nel 1874 Bianconi pubblicò a Bologna, in forma di lettera a Darwin, La théorie darwinienne et la création dite indépendante. Questa opera costituì uno dei pochi tentativi seri fatti in Italia per opporre alle tesi evoluzionistiche di Darwin argomenti scientificamente plausibili. L'autore infatti contestava che le strutture omologhe (la mano dell'uomo, le zampe del quadrupede, l'ala del pipistrello) potessero essere interpretate come conseguenza di un nesso filogenetico e cercava di dimostrare che questa somiglianza è in determinata dalla analogia di condizioni meccaniche in cui vivono i vari organismi (in questo aveva ragione, e anticipò senza volerlo in concetto di convergenza evolutiva). 

I primi germi della contestazione dello stato delle cose presenti e del predominio culturale ecclesiastico allarmarono anche il grande astronomo padre Angelo Secchi (1818-1878) che, nel 1864, in L’unità delle forze fisiche, dedicò poche ma significative righe alla confutazione delle idee darwiniane, proponendo un Disegno Intelligente ante litteram
“Esiste è vero in natura una mirabile serie di esseri e uno sviluppo meraviglioso di forme dalle più semplici alle più complesse, organismi dai più rudimentali ai più sublimi, ma la causa che le determinò non può trovarsi nelle pure leggi della materia, ed è necessario ricorrere ad un principio libero che nella scelta e nella coordinazione delle forme, tra le infinite possibili, fissò quelle che erano in armonia colle leggi primordiali delle forze fisiche liberamente da lui stabilite e di cui ab origine vide e conobbe tutte le conseguenze e mise gli organi in correlazione coll’uso e colla necessità della creatura. E se anche si dica che queste forme si svilupparono per circostanze speciali come le curve di una stessa equazione col variare dei parametri, noi diremo che lo stabilire quella prima formula da cui derivano le altre esige intelligenza e azione fuori della materia in cui si compiono; e ciò basti per tranquillizzare quelli che temono cattive conseguenze dalle idee darwiniane, ove si venissero a dimostrare, il che non crediamo”. 
Intanto Torino divenne uno dei più importanti centri di irradiazione della nuova teoria. Nel 1865 il medico, naturalista, divulgatore scientifico e poi senatore Michele Lessona (1823-1894) prese il posto di De Filippi, diventando negli anni successivi uno dei principali divulgatori delle idee darwiniane in Italia, oltre che rettore dell'ateneo torinese. Lessona tradusse alcune delle opere di Darwin, con il suo consenso (L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso, 1859, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, 1872, La formazione della terra vegetale per l'azione dei lombrici, 1882). La sua intensa attività editoriale, inclusa la stesura di articoli e libri divulgativi, era frutto della sua collaborazione con la seconda moglie Adele Masi, oltre che con le figlie e altri collaboratori. Lessona fu uno dei più noti divulgatori scientifici di età liberale, scrisse una biografia scientifica di Darwin e diresse una delle prime riviste di divulgazione scientifica dell'Italia unita, La Scienza a dieci centesimi, che tuttavia ebbe una vita molto breve. 

Nel 1880, in occasione dell’assegnazione a Darwin di un'onorificenza dell’Accademia delle Scienze di Torino, diceva: 
“Quelle grandi scoperte scientifiche che fanno meravigliare il mondo e accrescono le forze dell'uomo allargando i confini del suo sapere, passano, - l'ha detto, se non m'inganno, primo il Goethe e parecchi poi l'hanno ripetuto, - per tre distinti periodi. 

Il primo periodo è quello della incredulità; si dice senz'altro: "È falso!" Gli affaccendati scrollano le spalle e tirano avanti, gli altri scherzano, motteggiano, ridono. 

Il secondo periodo è quello della imprecazione. Si grida: "È un'empietà!". Si proclamano minacciati il trono e l'altare, l'edifizio sociale vicino a rovina, scrollati i cardini del mondo. Non si ride più; si rabbrividisce, si freme, si inorridisce. Questo furore, ben inteso, ottiene l'effetto opposto: la scoperta che si vuol soffocare acquista il pregio del frutto proibito, se ne occupano anche quelli che non se n'erano dato pensiero prima. La verità tranquillamente segue ad aprirsi la via e gli oppositori si dividono in due schiere. Una prosegue incrollabile fino alla morte: l'altra, vista la mala parata, comincia ad accettare qualche cosa, il meno che può, poi sempre qualche cosa di più, a mano a mano che cresce la marea. Allora comincia il terzo periodo. 

Sulla bandiera di questo terzo periodo sta scritto: "Si sapeva!". Il grido che riunisce le turbe prima furiosamente contrastanti è questo, che la cosa è tutt'altro che nuova, che molti sommi uomini fin dall'antichità ne hanno fatto cenno od anche l'hanno palesemente dichiarata, e ogni nazione ha il suo grand'uomo all'uopo. La cosa è conciliabilissima colla fede; il trono e l'altare, ben lungi dallo averne da temere, ci trovano appoggio e sostegno. (...) 

“Se Carlo Darwin fosse vissuto ai tempi di Galileo avrebbe avuto la tortura dalla inquisizione: buon per lui che nacque al tempo nostro e non ha dovuto sopportare altra tortura tranne quella di sentirsi maltrattare da gente che non lo legge: ma egli lascia dire. Anzi, se vogliamo dire il vero, quando si tratti di oppositori onesti e ragionevoli, egli lascia loro pochissimo, a un dipresso nulla, da dire, perché dice tutto lui. In vero, ogni qualsiasi argomento contrario, ogni qualsiasi obbiezione che si possa fare ai suoi concetti, egli cerca, esamina, espone con tutto il valore che possano avere. Singolarità nobilissima e caratteristica del Darwin è il cercare ch'egli fa con somma cura gli argomenti contrari alle sue opinioni, e lo esporre queste con infinita riserva, con infinito riguardo. Chi legge Darwin rimane rapito da questo suo modo che rivela un amore purissimo del vero, che nell'animo suo sta sopra ogni cosa”. 

Il 22 marzo 1866 ebbe luogo a Modena un'altra celebre lezione popolare, dal titolo L'antichità dell'uomo, questa volta tenuta dal trentino Giovanni Canestrini (1835-1900), che con infaticabile opera di diffusione promosse in Italia il nome di Darwin. Canestrini, che si era laureato a Vienna, fu dal 1862 professore di zoologia a Modena e dal 1869 titolare di zoologia, anatomia e fisiologia a Padova; fu anche pioniere dell’antropologia in Italia.  


Con l'aiuto del nobile ingegnere modenese Leonardo Salimbeni (1829-1889), aveva tradotto nel 1864 per la prima volta in Italiano, con il consenso di Darwin, la terza edizione (del 1861) di L'origine delle specie, pubblicata da Zanichelli. Nella stringata prefazione, i due curatori, dopo aver rilevato i cambiamenti “più o meno profondi” che essa portava in quasi tutte le scienze naturali e l’impegno presente nell’opera a spiegare termini fino allora “incompresi e tuttavia continuamente applicati”, osservavano che “essa tende a ridurre ai limiti i più ristretti l’ingerenza immediata di una forza soprannaturale”: anche se prudente, era una stoccata al creazionismo. 

Pur indirizzando l’opera a chiunque, spinto da semplice curiosità, volesse occuparsi dell’origine delle specie animali e vegetali e non solo allo “scienziato positivo” e al “filosofo razionale”, Canestrini e Salimbeni alludevano a un dibattito già da tempo innescato non solo sulla “teoria” di Darwin, quanto su un “darwinismo” allargato e coinvolto nel contesto più ampio dello scontro filosofico e ideologico tra positivismo e materialismo da una parte, e filosofie spiritualiste e idealiste dall’altra, e che a sua volta interagiva con i problematici rapporti con la Chiesa. 

Nell’ateneo padovano, Canestrini trovò un inaspettato alleato nel filosofo e sacerdote mantovano Roberto Ardigó (1828-1920), il quale, in La psicologia come scienza positiva (1870) collegava la posizione di Lyell con quella di Darwin per attribuire validità universale alla teoria dell’evoluzione: 
“Lo stato presente della terra è l’aspetto momentaneo di una evoluzione prodigiosamente lunga, insensibilmente lenta, ma incessante, come ha mostrato Lyell; la vegetazione e l’animalità viventi, una fase sfuggevolissima di uno svolgimento progressivo ed indefinito degli organismi, come ritiene Darwin”. 
Scomunicato (ovviamente) e divenuto ateo, Ardigò elaborò una sua versione della “legge darwiniana”, che chiamava “realismo positivo”, in base alla quale si osserva all’inizio il dissolversi degli organismi allo scopo di ridare “all’ambiente indistinto la forza alimentatrice della attività della natura nelle formazioni singole”, in secondo luogo, si manifesta che tale dissoluzione non può essere totale, altrimenti scomparirebbe qualsiasi “virtualità delle formazioni successive”; infine si postula che “i residui riproducenti o siano mai identici ai passati” per garantire un’effettiva evoluzione, un reale e continuo passaggio dall’indistinto al distinto a livello spaziale e temporale”. (1877) 


Il contributo di Canestrini non fu solo di divulgatore, ma anche di ricercatore in diverse aree della “industria darwiniana”, in particolare nell'evoluzione umana, meritandosi una citazione in L'origine dell'uomo. L'adesione alla teoria fu però riflessiva e critica: non lo convinceva, per esempio, un'applicazione troppo estesa della selezione sessuale come spiegazione dei caratteri umani. 

Il 21 marzo 1869 il conflitto con i critici esplose clamorosamente. Il fisiologo russo Aleksandr Aleksandrovič Herzen (1839-1906, traslitterato anche come Gercen), figlio del grande scrittore e filosofo popoulista Aleksandr Ivanovič, tenne a Firenze, dove insegnava, un'altra conferenza, dal titolo Sulla parentela fra l'uomo e la scimia. In essa venivano discusse le prove anatomiche a favore della discendenza comune fra l'uomo e le grandi scimmie, pur con le dovute differenze. Herzen accennò anche alla possibilità di una concezione naturalistica dell'etica: non vi è degradazione morale nell'ammettere le proprie origini animali, ma, al contrario, l'orgoglio di essere arrivati a queste vette intellettuali. Molto interessanti sono le conclusioni di Herzen: 
“Signori, io non ho punto la pretenzione di avervi persuasi; e se mi fosse riuscito, ciò non parlerebbe molto in vostro favore; in tali cose non si tratta di credere, ma di sapere. Io ho cercato di darvi un’idea della natura degli studi che bisogna fare, per formarsi un’opinione sopra una così grandiosa teoria. Ora giudicate da voi le impotenti proteste di coloro che si immaginano di impor silenzio alla scienza mediante qualche bella frase indirizzata all’orgoglio umano, o rivolta al Divino Creatore! Qualunque teoria scientifica può essere scossa e distrutta da nuovi fatti, da nuove prove, o almeno da nuovi argomenti basta però che siano scientifici; ma discorsi tanto più sonori quanto più vuoti, non possono neppure inzaccherarla.”
La reazione contro lo «sconcio» scenario evoluzionistico da parte dell’agronomo, senatore e abate Raffaello Lambruschini non si fece attendere: la scienza non può andare contro la religione: 
“Se il signor Herzen si proponeva di recare al soggetto da lui preso a trattare, qualche nuova illustrazione egli doveva rivolgersi agli scienziati; se intendeva divulgare quelli che ei credeva fatti accertati dalla scienza, doveva considerare quanto potesse conferire all’educazione morale e civile del popolo, l’annunzio della nostra parentela, anzi filiazione, da una bestia. Considerando questo, egli avrebbe forse riconosciuto che lungi dal giovare, poteva la non lusinghiera notizia essere male interpretata e tirata a conseguenze pericolose (...), scemando così nell’animo dei popolani la riverenza pei libri sacri. Intorno ai quali può certamente esercitarsi la critica, ma con rispettosa cautela e fra persone competenti”. 
Come dire: guarda che così fai perdere clienti alla nostra plurisecolare azienda. Herzen allora abbandonò il fioretto e impugnò la sciabola: questi vogliono «l'ignoranza obbligatoria pel popolo». Ne nacque una polemica accesa, cui partecipò anche il filologo Niccolò Tommaseo, il quale nel libello L'uomo e la scimmia, con feroce retorica antidarwiniana definiva Herzen «Mosè delle scimmie» e bollava come «bestie» i praticanti della «scienza fetente» dell'evoluzionismo. 


Difficile, tuttavia, mettere le briglie a una comunità scientifica sempre più aperta alle scuole biologiche europee. Pochi mesi dopo i dibattiti del 1869, proprio a Firenze viene fondato il primo museo e istituita la prima cattedra di antropologia, tenuta da Paolo Mantegazza (1831-1910) già medico patologo a Pavia, viaggiatore e politico, il quale si definiva nonostante tutto un darwiniano con «benefizio di inventario», poiché non condivideva alcuni aspetti della teoria, in particolare la selezione sessuale, e sospettava delle applicazioni del darwinismo al di fuori delle scienze naturali. Giustamente, avvertiva i pericoli del nascente darwinismo sociale, che poteva portare alla giustificazione delle differenze tra uomini ed etnie in nome di una malintesa interpretazione del concetto di “sopravvivenza del più adatto”, che poteva diventare “sopravvivenza del più forte”. 

Fra il 1864 e il 1890 tutte le opere di Darwin furono tradotte in italiano, grazie soprattutto a Canestrini e a Lessona. In diversi casi, studiosi che operavano in Italia, come fra gli altri il botanico genovese Federico Delpino (1833-1905), lo zoologo tedesco Anton Dohrn (1840-1909), fondatore della Stazione geologica di Napolie Canestrini stesso, ebbero con Darwin fitte corrispondenze durante le quali seppero offrire suggerimenti, e anche critiche, ritenuti molto utili dal naturalista inglese. 

Canestrini curò nel 1875 la seconda edizione italiana, definitiva, di L'origine delle specie. Quello stesso anno Darwin veniva eletto socio straniero della Reale Accademia dei Lincei. Due anni dopo, la teoria dell'evoluzione era entrata in molte università della penisola, con i primi libri di testo. In un volume divulgativo, La teoria di Darwin criticamente esposta, Canestrini riassunse nel 1880 i principi essenziali del pensiero darwiniano, cercando di esporlo in una forma piana, accettabile per il grosso pubblico, e insistendo molto sull'origine animale dell'uomo. 


Nel 1894 pubblicò Per l'evoluzione. Recensioni e nuovi studi, antologia di saggi con cenni storici sul darwinismo italiano. Questo libro è interessante soprattutto per il valore di cronaca che assume, costituendo un vivace documento sull'accoglienza che l'Italia fece al darwinismo. Nelle dissertazioni scientifiche c'è però una certa confusione, al punto che a più riprese si cerca di dimostrare l'ereditarietà dei caratteri acquisiti (lamarckiana), chiamandola poi in causa a sostegno dell'evoluzione per selezione naturale. 

La campagna in favore dell'evoluzione sembrava aver avuto successo. Rimanevano tuttavia ancora buchi nell’impianto della nuova teoria, buchi nei quali gli oppositori, anche strumentalmente, si infilarono per far cercare di far crollare l’intero edificio. Nello specifico, Darwin non era stato in grado di spiegare l'origine della variazione dei tratti all'interno di una specie e non riusciva a identificare un meccanismo che potesse trasmettere fedelmente i tratti da una generazione all'altra. 

Se l’evoluzione incominciava ad essere accettata, i suoi meccanismi erano oggetto di discussioni e polemiche, e il concetto di selezione naturale era occasione di posizioni contrapposte e interpretazioni estremiste, soprattutto quando riguardava la specie umana. Non mancarono certo le reazioni decisamente antidarwiniane, sempre sotto forma di libelli, satire e opuscoli filosofici e religiosi. Nella terra che ospita il Vaticano non poteva essere altrimenti, e su queste argomentazioni, anche papali, non mi dilungo. Il pericolo maggiore per il darwinismo non fu tutto sommato il creazionismo clericale, ma le interpretazioni sbagliate, spesso in buona fede, di alcuni suoi capisaldi (tra le quali spicca un curioso studio dell’astronomo Giovanni Schiaparelli che nel 1898, propose una curiosa interpretazione matematico-cristallografica dell’evoluzione, che piacque al matematico Vito Volterra e sulla quale avrò occasione di ritornare). Solo con la riscoperta degli studi di Gregor Mendel sulla genetica e l’applicazione della statistica ai fenomeni biologici, che spiegavano molti dei punti oscuri della teoria evoluzionistica, il darwinismo, anche in Italia, si sarebbe affermato.

domenica 13 febbraio 2022

Darwin sperimentatore e la nascita della statistica dei dati biologici

 


Anche se aveva molti talenti, Charles Darwin non era un gran matematico. Nella sua autobiografia scrive di aver studiato matematica da giovane, ma ricorda anche che "mi ripugnava", pur riconoscendo che avrebbe voluto aver appreso i principi di base della matematica, "perché gli uomini così dotati sembrano avere un senso in più"


Darwin non amava le complesse dimostrazioni e scrisse al secondo cugino William Darwin Fox il 23 maggio 1855: "Non ho fiducia in niente che non sia la misurazione effettiva e la Regola del Tre” (cioè le proporzioni semplici). Scrivendo a T. H. Huxley il 7 maggio 1860, confermava che “Dato che sembravi in qualche modo interessato ai cambiamenti nelle proporzioni dei piccioni, ti dirò i risultati generali dopo aver rielaborato l'intero argomento in ogni modo possibile e con l'aiuto di circa (più o meno) diecimila calcoli con la regola delle tre”

Fu un fiore selvatico, la linaiola comune (Linaria vulgaris), a cambiare le sue opinioni. Come riferisce in The Effects of Cross and Self-Fertilisation in the Vegetable Kingdom (1876), per i suoi esperimenti Darwin coltivò la pianta, che ha piccoli fiori ermafroditi, incrociò accuratamente alcuni fiori e ne autofecondò degli altri. Quando coltivò i semi, scoprì che gli ibridi erano più grandi e più forti di quelli provenienti dalla stessa parentela. 
“Alla fine, fui portato a fare gli esperimenti registrati nel presente volume dalla seguente circostanza. Allo scopo di determinare certi punti riguardo all'eredità, e senza pensare agli effetti di un ravvicinato incrocio, coltivai vicini due grandi letti di pianticelle autofecondate ed incrociate della stessa pianta di Linaria vulgaris. Con mia sorpresa, le piante incrociate, quando erano completamente cresciute, erano chiaramente più alte e più vigorose di quelle autofecondate. Le api visitano incessantemente i fiori di questa Linaria e portano il polline dall'una all'altra; e se si escludono gli insetti, i fiori producono pochissimi semi; cosicché le piante selvatiche da cui sono cresciute le mie piantine devono essere state incrociate durante tutte le generazioni precedenti. Sembrava quindi del tutto incredibile che la differenza tra i due letti di pianticelle potesse essere dovuta ad un solo atto di autofecondazione; e attribuii il risultato al fatto che i semi autofecondati non fossero ben maturati, per quanto improbabile fosse che tutti avrebbero dovuto essere in questo stato, o a qualche altra causa accidentale e inesplicabile. L'anno successivo, coltivai per lo stesso scopo di prima due grandi letti ravvicinati di piante autofecondate e incrociate del garofano, Dianthus caryophyllus. Questa pianta, come la Linaria, è quasi sterile se si escludono gli insetti; e possiamo trarre la stessa deduzione di prima, cioè che le piante madri devono essere state incrociate durante ogni o quasi ogni generazione precedente. Nondimeno le pianticelle autofecondate erano chiaramente inferiori in altezza e vigore a quelle incrociate”. 

Era stupito. Sebbene avesse sempre sospettato che la consanguineità fosse dannosa per le piante, non aveva mai pensato che potesse avere un effetto significativo entro una singola generazione. “In modo che le piante naturalmente incrociate erano in altezza rispetto alle piante autofecondate spontaneamente in un rapporto di almeno fino a 100 a 1”

Così ripeté l'esperimento con altri sette tipi di piante, compreso il mais, per una decina di generazioni per tipo. Aveva una idea brillante e, a quel tempo, nuova. Poiché lievi differenze nel suolo o nella luce o nella quantità di acqua potrebbero influenzare i tassi di crescita, piantò i semi in coppia: un seme impollinato in modo incrociato e un seme autoimpollinato in ogni vaso. Poi li fece crescere e ne misurò l'altezza. 

Il metodo adottato da Darwin era quello di confrontare ogni pianta autofecondata a una incrociata, in condizioni il più possibile uguali. Le coppie così scelte per il confronto erano germogliate nello stesso momento, e le condizioni del terreno in cui crescevano erano ampiamente rese uguali piantando nello stesso vaso. Necessariamente non erano della stessa discendenza, poiché sarebbe difficile nel mais autofecondare due piante nello stesso momento in cui nasce una progenie incrociata dalla coppia. Tuttavia, i genitori provenivano presumibilmente dallo stesso lotto di semi. L'evidente scopo di queste precauzioni era di aumentare la sensibilità dell'esperimento, facendolo dipendere il meno possibile dalle circostanze ambientali, e quindi il più possibile dalle differenze intrinseche dovute all’origine delle piante. 

Il metodo dell'accoppiamento, molto utilizzato nel lavoro biologico moderno, illustra bene come un appropriato disegno sperimentale riesca a conciliare due desideri, che a volte appaiono in conflitto. Da un lato si richiede la massima uniformità del materiale biologico, oggetto dell'esperimento, per aumentare la sensibilità di ogni singola osservazione; e, dall'altro, si vogliono moltiplicare le osservazioni in modo da dimostrare per quanto possibile l'affidabilità e la coerenza dei risultati. 

Come previsto, in media, gli ibridi erano più alti. Tra le sue 30 piante di mais, ad esempio, gli esemplari autofecondati erano alti solo l'84% degli ibridi. Ma Darwin era abbastanza esperto da non fidarsi semplicemente dell'altezza media di così poche piante. "Posso premettere - scriveva - che se prendessimo per caso una dozzina o una ventina di uomini appartenenti a due nazioni e li misurassimo, presumo sarebbe molto avventato formulare un giudizio da un numero così piccolo sulla loro altezza media. Ma il caso è alquanto diverso nelle mie piante incrociate ed autofecondate, poiché erano esattamente della stessa età, furono sottoposte dalla prima all'ultima alle stesse condizioni, e discendevano dagli stessi genitori. Quando sono state misurate solo da due a sei paia di piante, i risultati sono manifestamente di poco o nessun valore, tranne in quanto confermano e sono confermati da esperimenti fatti su scala più ampia con altre specie”. Poteva essere, si domandò, che le differenze di altezza nelle piante fossero solo variazioni casuali? Il suo risultato poteva essere più significativo, ma voleva essere in grado di stabilire di quanto. 

Per farlo, tuttavia, era necessaria la matematica. Perciò si rivolse a suo cugino, Francis Galton, che era un leader nel campo emergente della statistica. Galton aveva recentemente inventato la deviazione standard o scarto quadratico medio, che è un indice di dispersione statistico, vale a dire una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una variabile casuale. 
“Poiché veniva misurato solo un numero modesto di piante incrociate e autofecondate, per me era di grande importanza sapere fino a che punto le medie fossero affidabili. Chiesi quindi al signor Galton, che ha molta esperienza in ricerche statistiche, di esaminare alcune delle mie tabelle di misura, in numero di sette, cioè quelle di Ipomoea, Digitalis, Reseda lutea, Viola, Limnanthes, Petunia e Zea”.

Galton non fu però di grande aiuto. Poteva calcolare la deviazione standard, ma non poteva usare quel numero per dire quanto fosse probabile che la differenza di altezza non fosse casuale. Inoltre, era abbastanza sicuro che ci fossero troppo poche piante per dirlo. Così rispose a Charles Darwin: 
“La determinazione della variabilità (misurata da quello che tecnicamente viene chiamato 'errore probabile') è un problema di maggior delicatezza di quello di determinare le medie, e dubito, dopo molte prove, che sia possibile trarre conclusioni utili da queste poche osservazioni. Dovremmo avere misure di almeno cinquanta piante per ogni caso, per poter dedurre risultati affidabili. Un fatto, tuttavia, relativo alla variabilità, è molto evidente nella maggior parte dei casi, anche se non in Zea mays, cioè che le piante autofecondate comprendono il maggior numero di esemplari eccezionalmente piccoli, mentre quelle incrociate sono più generalmente completamente cresciute. 

Se si arrivasse a conoscere che una serie segue la legge dell'errore o qualsiasi altra legge, e se d’altra parte si conoscesse il numero degli individui della serie, sarebbe sempre possibile ricostruire l'intera serie quando ne è stata data una frazione. Ma non ritengo che tale metodo sia applicabile in questo caso. Il dubbio sul numero delle piante in ogni riga [della tabella ricavata, NdR] è di minore importanza; la vera difficoltà sta nella nostra ignoranza della legge precisa seguita dalla serie. L'esperienza delle piante in vaso non ci aiuta a determinare tale legge, perché le osservazioni di tali piante sono troppo poche per permetterci di stabilire con precisione più che i termini medi della serie a cui appartengono, mentre i casi che stiamo ora considerando si riferiscono ai termini estremi di questa serie”. 
E la questione rimase a quel punto, in una frustrante incertezza, per 40 anni. 

Per risolvere l'impasse, ci voleva una Guinness. Nei primi anni del Novecento, la società produttrice di birra dublinese si dotò di un gruppo di ricerca per studiare in modo scientifico i parametri che influenzano la qualità della birra, applicando procedimenti che oggi prendono il nome di controllo di qualità. Un dipendente della Guinness, William Sealy Gosset, laureato in chimica e matematica, sviluppò un metodo di confronto fra campioni statistici che viene ampiamente usato ancora oggi in ogni campo, per esempio negli studi clinici di efficacia dei farmaci. 

A Gosset, tuttavia, non fu consentito di pubblicare il metodo con il proprio nome, perché Guinness voleva mantenere segreto il fatto che le statistiche potessero aiutare a produrre una birra migliore. Egli lo fece sotto lo pseudonimo di "Student", nel 1908. La tecnica è quindi diventata nota come “Student’s t-test”, un test statistico di tipo parametrico che ha lo scopo di verificare se il valore medio di una distribuzione si discosta significativamente da un certo valore di riferimento. 


Lo Student’s t-test fece ciò che Galton non sapeva come fare: data la deviazione standard calcolata da Galton, diceva quanto fosse probabile che la differenza di altezza tra gli ibridi e gli autofecondati fosse casuale. La risposta fu che la possibilità era di circa il 5%. Per gli standard statistici, è a malapena significativo. 

Ci vollero altri dieci anni e l'intervento di un altro genio statistico per la successiva svolta sul problema. Ronald Aylmer Fisher (1890-1962), un poliedrico biologo britannico che fu attivo come matematico, statistico e genetista. Per la sua opera nella statistica, è stato definito "la figura più importante nella statistica del XX secolo". In biologia, il suo lavoro utilizzò la matematica per combinare la genetica mendeliana e la selezione naturale; ciò contribuì alla rinascita del darwinismo nella revisione della teoria dell'evoluzione nota come sintesi moderna. Per i suoi contributi alla biologia, Fisher fu anche definito "il più grande successore di Darwin". 

Da studente universitario, Fisher venne a conoscenza dell’opera di Gregor Mendel sulla genetica e di quella di Darwin sull'evoluzione, ma la teoria che collegava le due non era ancora stata sviluppata. Fisher decise di creare la base statistica per rendere possibile la connessione. L'esperimento di Darwin con gli ibridi era proprio il tipo di problema che Fisher doveva essere in grado di risolvere. Notò qualcosa che Galton aveva ignorato: il metodo intelligente di Darwin per accoppiare le piante. Aveva calcolato la deviazione standard delle piante come un unico grande gruppo. 

Fisher rifece l'analisi ma calcolò la deviazione standard della differenza di altezza tra le coppie di piante in ogni vaso. Di colpo, invece di una possibilità del 5% che il risultato non significasse nulla, ottenne una possibilità dello 0,01%. In altre parole, era quasi certo che gli ibridi diventassero davvero più alti degli autofecondati. 


Fisher notò che lo Student’s t-test aveva un possibile difetto: presumeva che le altezze delle piante variassero in modo prevedibile (secondo una distribuzione normale, per essere precisi). Nel caso in cui tale ipotesi fosse stata sbagliata, escogitò un altro modo di analizzare i dati e confermò il risultato. Studiò la progettazione di esperimenti introducendo il concetto di randomizzazione e l'analisi della varianza, procedure oggi utilizzate in tutto il mondo. L'idea di Fisher era quella di organizzare un esperimento come un insieme di sotto-esperimenti suddivisi che differiscono l'uno dall'altro per l'applicazione di uno o più fattori o trattamenti. I sub-esperimenti sono progettati in modo tale da consentire di attribuire differenze nei loro risultati ai diversi fattori o combinazioni di fattori mediante analisi statistiche. Questo è stato un notevole progresso rispetto all'approccio allora esistente di variare solo un fattore alla volta in un esperimento, che era una procedura relativamente inefficiente. 

Fisher pubblicò il frutto della sua ricerca in due libri fondamentali, Statistical Methods for Research Workers e The Design of Experiments. Quest'ultimo introdusse diverse idee fondamentali, tra cui l'ipotesi nulla H0 e la significatività statistica, che gli scienziati di tutto il mondo usano ancora oggi. 

L'analisi di Fisher fu possibile solo perché Darwin aveva progettato così bene i suoi esperimenti. In effetti, Fisher era spesso frustrato dalla qualità degli esperimenti di altre persone. "Chiamare lo statistico dopo che l'esperimento è terminato", disse in una conferenza a Calcutta nel 1938, "potrebbe essere nient'altro che chiedergli di eseguire un esame post mortem: potrebbe essere in grado di dire di cosa è morto l'esperimento"

Secondo Fisher, “Il principale contributo di Darwin, non solo alla Biologia ma all'intera scienza naturale, fu l'aver portato alla luce un processo per cui a contingenze improbabili a priori viene data, nel corso del tempo, una probabilità crescente, fino a quando non è la loro mancata occorrenza, e non il loro verificarsi, che diventa altamente improbabile”

Ciò che poterono fare gli statistici con i dati di Darwin fu semplicemente una conseguenza dello sviluppo nel tempo della loro scienza, ma nessuno mai mise in dubbio la raffinatezza della sua procedura sperimentale.

sabato 12 febbraio 2022

Patrick Matthew copiato da Darwin? No!

 


Scriveva Stephen Jay Gould nell’articolo
Natural Selection as a Creative Force (in The Structure of Evolutionary Theory, 2002) lamentando la stucchevole fatalità di certe scoperte postume: : 
“Questo tipo di incidente si è verificato più e più volte, sin dai tempi di Darwin. Un evoluzionista, sfogliando alcuni tomi pre-darwiniani di storia naturale, si imbatte in una descrizione della selezione naturale. Ah, dice; Ho trovato qualcosa di importante, una prova che Darwin non era originale. Forse ho anche scoperto una fonte di furto diretto e nefasto da parte di Darwin! Nella più famigerata di queste affermazioni, il grande antropologo e scrittore Loren Eiseley pensava di aver rilevato una tale anticipazione negli scritti di Edward Blyth. Eiseley si concentrò faticosamente sulle prove che Darwin aveva letto (e usato) il lavoro di Blyth e, commettendo un errore etimologico cruciale lungo la strada, alla fine accusò Darwin di aver strappato a Blyth l'idea centrale della sua teoria. Pubblicò la sua tesi in un lungo articolo (1959), poi ampliato dai suoi esecutori testamentari in un volume postumo intitolato "Darwin and the Mysterious Mr. X" (1979). 

Sì, Blyth aveva discusso della selezione naturale, ma Eiseley non si era reso conto - commettendo così il solito e fatale errore in questa comune linea di argomentazione - che tutti i bravi biologi lo facevano nelle generazioni precedenti a Darwin. La selezione naturale era un elemento standard nel discorso biologico, ma con una differenza cruciale rispetto alla versione di Darwin, l'interpretazione usuale invocava la selezione naturale come parte di un ragionamento più ampio sulla permanenza del creato.

Sono state notate solo due eccezioni a questa tendenza generale, entrambe nell'ambito delle anomalie che confermano la regola. Il frutticoltore scozzese Patrick Matthew (nel 1831) e il medico scozzese-americano William Charles Wells (nel 1813, pubblicato nel 1818) parlarono della selezione naturale come di una forza positiva per il cambiamento evolutivo, ma nessuno dei due riconobbe il significato della sua speculazione. Matthew seppellì le sue opinioni nell'appendice di un'opera intitolata "Legname navale e arboricoltura"; Wells pubblicò la sua congettura in una sezione conclusiva, che parlava dell'origine delle razze umane, di un articolo sul caso medico di una donna multicolore [un caso grave di vitiligine, NdR]. Presentò questo documento alla Royal Society nel 1813, ma lo pubblicò solo poco prima di morire nel 1818, in aggiunta ai suoi due famosi saggi sull'origine della rugiada e sul perché vediamo una sola immagine con due occhi.” 
Patrick Matthew (1790-1874) era un commerciante, imprenditore agricolo e proprietario terriero scozzese, che nel 1831 pubblicò il concetto di base della selezione naturale come meccanismo di adattamento evolutivo e speciazione, ma non sviluppò nè pubblicizzò le sue idee. Di conseguenza, quando Charles Darwin pubblicò L'origine delle specie nel 1859, lui e Alfred Russel Wallace furono considerati coloro che avevano dato origine (indipendentemente l'uno dall'altro) alla teoria dell'evoluzione per selezione naturale. Dopo la pubblicazione di On the Origin of Species, Matthew si mise in contatto con Darwin, che nelle successive edizioni del libro riconobbe che il principio della selezione naturale era stato anticipato dalla breve dichiarazione di Matthew, contenuta per lo più nelle appendici e nell'addendum del suo libro del 1831 On Naval Timber and Arboriculture


Patrick Matthew aveva studiato alla Perth Academy e all'Università di Edimburgo, ma non si laureò, a causa della morte del padre quando aveva solo diciassette anni, per cui dovette assumersi le responsabilità di gestire gli affari di alcune proprietà terriere tra Perth e Dundee. Nel corso degli anni trasformò con successo gran parte dei terreni agricoli e dei pascoli delle tenute in diversi grandi frutteti. Divenne un accanito sostenitore e ricercatore interessato alla silvicoltura e all'orticoltura, aspetti che influenzarono il suo interesse per le leggi della natura. 

Tra il 1807 e il 1831 (quando fu pubblicato On Naval Timber and Arboriculture) viaggiò periodicamente in Europa, a volte per affari, a volte in cerca di chiarimenti scientifici o consigli agrari o economici: un suo viaggio a Parigi nel 1815 dovette interrompersi durante i Cento Giorni, quando Napoleone tornò dall'Elba. Tra il 1840 e il 1850 viaggiò molto in quella che oggi è la Germania settentrionale; riconoscendo il potenziale commerciale di Amburgo; acquistò due fattorie nello Schleswig-Holstein. Sarebbe diventato in seguito un sostenitore della politica imperiale prussiana.


Matthew si interessò alla colonizzazione della Nuova Zelanda e fu determinante nella creazione di una "Compagnia terriera scozzese della Nuova Zelanda". Su sua sollecitazione, due dei suoi figli, James e Charles, emigrarono dall’altra parte del mondo, dove fondarono uno dei primi frutteti commerciali utilizzando semi e piantine provenienti dalla Scozia. Suo figlio maggiore John, andò in America, inviando esemplari botanici a suo padre; tra questi vi erano (nel 1853) le prime piantine di sequoia piantate in Europa. 

Nel 1860, Matthew lesse nel Gardeners' Chronicle del 3 marzo una recensione (di Huxley), pubblicata in precedenza dal Times, di On the Origin of Species di Darwin, in cui si affermava che Darwin "dichiara di aver scoperto l'esistenza e il meccanismo di selezione e ne ha descritto i principi”. Una lettera di Matthew, pubblicata nel Gardeners' Chronicle il 7 aprile, affermava che l’idea era la stessa che aveva "pubblicato in modo molto completo e portato ad applicarsi praticamente alla silvicoltura" sul Naval Timber nel 1831. 


Citava poi integralmente una sezione dalle pagine 381 a 388 dell'Appendice. Era senza titolo, ma nei Contenuti appariva come "adattamento della vita organizzata alle circostanze, per ramificazioni divergenti". In esso, commentava la difficoltà di distinguere "tra specie e varietà". Il cambiamento della documentazione fossile tra le ere geologiche implicava che gli organismi viventi avessero "un potere di cambiamento, al variare delle circostanze", allo stesso modo dei "disordini e cambiamenti nell'esistenza organizzata, indotti da un cambiamento di circostanze dall'interferenza dell'uomo" che dava "la prova della qualità plastica di una vita superiore", definita "un potere di adattarsi alle circostanze". In seguito ai diluvi del passato, "si sarebbe formato un campo non occupato per nuove ramificazioni divergenti della vita" nel "corso del tempo, plasmando e adeguando il loro nuovo essere al mutare delle circostanze”'. Proponeva che "la progenie degli stessi genitori, in grande differenza di circostanze, potrebbe, in diverse generazioni, dare anche specie distinte, incapaci di co-riproduzione". 
"La disposizione adattiva autoregolante della vita organizzata, può, in parte, essere ricondotta all'estrema fecondità della Natura, la quale, come prima affermato, ha, in tutte le varietà della sua progenie, un potere prolifico molto al di là (in molti casi mille volte) di quanto necessario per riempire i posti vacanti causati dal decadimento senile. Poiché il campo dell'esistenza è limitato e occupato, sono solo gli individui più resistenti, più robusti, più adatti alle circostanze, sono in grado di lottare verso la maturità, abitando essi solo le situazioni a cui hanno un adattamento superiore e un potere maggiore di occupazione rispetto a qualsiasi altro tipo; i più deboli, meno adatti alle circostanze, vengono prematuramente distrutti”
Descrisse questo concetto come una "legge adattiva alle circostanze, che opera sulla piccola ma continua disposizione naturale alla mutazione nella progenie". Matthew citava quindi i tre paragrafi iniziali della Parte III del suo libro, Miscellaneous Matter Connected with Naval Timber: Nurseries, su "il rigoglio e le dimensioni del legname a seconda della particolare varietà della specie" e la necessità di selezionare semi dei migliori individui quando si coltivano alberi. 

Leggendo questa lettera pubblica, Darwin commentò in una lettera a Charles Lyell
“Ora una cosa curiosa sul mio Libro (...), Nella Saturday Gardeners' Chronicle di sabato scorso, un certo Patrick Matthews [sic] pubblica un lungo estratto dal suo lavoro sul legname navale e l'arboricoltura pubblicato nel 1831, in cui anticipa brevemente ma completamente la teoria della Selezione Naturale. Ho ordinato il Libro, poiché alcuni passaggi sono piuttosto oscuri ma è certamente, credo, un'anticipazione completa ma non sviluppata! Erasmus diceva sempre che sicuramente un giorno sarebbe successo. Comunque ci si può scusare per non aver scoperto il fatto in un'opera sul legno per le navi”. 
Darwin quindi il 13 aprile scrisse una sua lettera al Gardener's Chronicle, affermando: 
“Sono stato molto interessato dalla comunicazione del Sig. Patrick Matthew nel numero del vostro giornale datato 7 aprile. Riconosco liberamente che il signor Matthew ha anticipato di molti anni la spiegazione che ho offerto dell'origine delle specie, sotto il nome di selezione naturale. Penso che nessuno si sentirà sorpreso del fatto che né io, né apparentemente nessun altro naturalista, avessimo sentito parlare delle opinioni del signor Matthew, considerando quanto brevemente sono state fornite, e che sono apparse in appendice a un'opera sul legname navale e l'arboricoltura. Non posso fare altro che porgere le mie scuse al signor Matthew per la mia totale ignoranza della sua pubblicazione. Qualora fosse richiesta un'altra edizione della mia opera, inserirò un avviso in tal senso”. 
Come promesso, Darwin inserì una dichiarazione su Matthew, che aveva anticipato "precisamente la stessa visione sull'origine delle specie" nella terza (1861) e successive edizioni di On the Origin of Species, riferendosi alla corrispondenza e citando una risposta di Matthew pubblicata nel Gardener's Chronicle. Darwin scrisse che:
“Purtroppo, il punto di vista è stato fornito dal Sig. Matthew molto brevemente in passaggi sparsi in un'Appendice a un'opera su un argomento diverso, così che è rimasto inosservato fino a quando lo stesso Sig. Matthew non ha attirato l'attenzione su di esso nella Gardener's Chronicle, il 7 aprile 1860. Le differenze tra il punto di vista del Sig. Matthew e il mio non hanno molta importanza: egli sembra ritenere che il mondo sia stato quasi spopolato in certi periodi, e poi ripopolato; e propone, in alternativa, che nuove forme possono essere generate senza la presenza di alcuno stampo o germe di aggregati precedenti. Non sono sicuro di aver capito alcuni passaggi, ma sembra che attribuisca molta influenza all'azione diretta delle condizioni di vita. Egli vide chiaramente, tuttavia, tutta la forza del principio della selezione naturale. In risposta ad una mia lettera (pubblicata in Gard. Chron., 13 aprile), riconoscendo pienamente che il signor Matthew mi aveva anticipato, con generoso candore ha scritto una lettera (Gard. Chron. 12 maggio) contenente il seguente passaggio: "Per me la concezione di questa legge di natura è venuta intuitivamente come un fatto evidente, quasi senza uno sforzo di concentrazione del pensiero. Il signor Darwin qui sembra avere più meriti nella scoperta di quanto ne abbia avuto io; a me non sembrava la scoperta della produzione di specie come un fatto riconoscibile a priori, un assioma che richiede solo di essere messo in evidenza per essere ammesso da menti prive di pregiudizi e di sufficiente comprensione".” 

Fin qui la storia del rapporto tra Darwin e Matthew sulla genesi del concetto di evoluzione per selezione naturale. Sfortunatamente, in campo scientifico come in altri, sono nate molte polemiche, in gran parte ingiustificate, mosse più dal bisogno di visibilità che dall’amore per la verità storica. Sebbene Darwin insistesse sul fatto di non essere a conoscenza del lavoro di Matthew, come previsto da Gould, alcuni commentatori moderni hanno affermato che era probabile che lui e Wallace l’avessero letto, o avrebbero potuto essere indirettamente influenzati da altri naturalisti che lo avevano hanno letto e citato. L’ultimo in ordine di tempo, ampiamente pubblicizzato dai potenti mezzi della rete, è lo scrittore e criminologo inglese Mike Sutton. 

Nel 2014, Sutton, allora alla Nottingham Trent University, ha pubblicato in una rivista non sottoposta a peer-review un documento di ricerca, presentato in una conferenza della British Society of Criminology, in cui sosteneva che sia Darwin sia Wallace "molto probabilmente hanno commesso la più grande frode scientifica del mondo plagiando l'intera teoria della selezione naturale da un libro scritto da Patrick Matthew e poi affermando di non averne una precedente conoscenza”. Sutton ha poi pubblicato nel 2014 l’e-book Nullius in Verba: Darwin's Greatest Secret, ribadendo la sua argomentazione e affermando che “la versione darwinista ortodossa" è sbagliata poiché "Darwin e Wallace erano in corrispondenza, sono stati assistiti dal punto di vista editoriale, hanno ammesso di essere stati influenzati da altri naturalisti e di essersi incontrati con loro e che - è stato scoperto di recente - avevano letto e citato il libro di Matthew molto prima del 1858". Sutton ha inserito tra questi naturalisti l'editore Robert Chambers, e ha detto che era significativo che il libro di Matthew fosse stato citato nel settimanale di Chambers Edinburgh Journal il 24 marzo 1832; inoltre nel 1844 Chambers aveva pubblicato in forma anonima Vestiges of the Natural History of Creation che, secondo Sutton, aveva influenzato Darwin e Wallace. 


Nel 2015, Sutton ha ulteriormente ripetuto la sua affermazione di "contaminazione della conoscenza" nella rivista polacca Filozoficzne Aspekty Genezy (Aspetti filosofici della Genesi), che Sutton afferma essere sottoposta a revisione paritaria, ma uno dei redattori della rivista ha precisato, “Quanto a Sutton, non può legittimamente rivendicare molta credibilità per le sue idee solo perché queste sono pubblicate su un giornale come il nostro, che adotta il pluralismo feyerabendiano. Se la pensa diversamente, è solo un problema suo. Qualsiasi persona ragionevole dovrebbe saperlo bene." Oltre ai suoi articoli e ai suoi e-book, Sutton diffonde le sue idee contro Charles Darwin e Alfred Russel Wallace tramite diversi blog (patrickmatthew.com è curato da lui) e account Twitter e conferenze pubbliche. 

Tuttavia, non ci sono prove dirette che Darwin avesse letto il libro e la sua lettera a Charles Lyell in cui affermava di aver ordinato il libro indica chiaramente che non ne aveva una copia nella sua vasta biblioteca o accesso ad esso altrove. Anche l'affermazione particolare che Robert Chambers avesse letto e trasmesso le idee di Matthew che sono rilevanti per la selezione naturale non è supportata dai fatti. L'articolo dell'Edinburgh Journal di Chambers (1832, vol. 1, n. 8, 24 marzo, p. 63) non è una recensione ma solo un estratto ridotto dalle pp. 8–14 di On Naval Timber che non è niente altro che una guida per la potatura e non contiene nulla di rilevante per la selezione naturale. Si intitola “Sul trattamento delle tavole di legno". Anche se fosse stato scritto da Robert Chambers, ciò non significa che egli avesse letto o compreso, per non parlare della trasmissione, gli altri passaggi del libro di Matthew che contengono qualcosa di rilevante per la selezione naturale. Inoltre, The Vestiges of the Natural History of Creation non contiene nulla di importante sulla selezione naturale. Combinando questi fatti, Robert Chambers probabilmente non aveva letto il passaggio sulla selezione naturale nel libro di Matthew, e sicuramente non lo cita nei Vestiges, e probabilmente nemmeno nelle conversazioni. 


Nelle successive edizioni di L'origine delle specie, Darwin riconobbe il precedente lavoro di Matthew, affermando che egli "vedeva chiaramente... tutta la forza del principio della selezione naturale". È una leggenda urbana che, dal 1860 in poi, Matthew avrebbe rivendicato il merito della selezione naturale e avrebbe persino fatto stampare biglietti da visita con Discoverer of the Principle of Natural Selection.

Le critiche alla pretesa di priorità di Matthew, o quelle avanzate dopo la sua morte, hanno essenzialmente fatto riferimento agli stessi problemi, e cioè che la sua descrizione della selezione naturale non era accessibile e mancava di uno sviluppo più lungo. Altre critiche si sono concentrate sulle differenze tra le versioni della selezione naturale di Darwin e Matthew, e talvolta anche di Wallace. Se le idee di Matthew avevano avuto un impatto sul pensiero evolutivo successivo, come preteso, i segnali dovrebbero esserci, o durante la vita di Matthew o durante quella di Darwin. Tuttavia, le affermazioni moderne sulla priorità di Matthew non sono state in grado di fornire prove. 

Scrivendo a Darwin nel 1871, Matthew allegò un articolo che aveva scritto per The Scotsman e, oltre a desiderare di avere il tempo di scrivere una critica a The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, espresse la convinzione che ci siano prove di progetto e benevolenza in natura, e che la bellezza non può essere spiegata dalla selezione naturale. Tale convinzione è la teologia naturale tradizionale (un’anticipazione del Disegno Intelligente) e rivela quanto Matthew fosse lontano da Darwin nel realizzare il potenziale delle spiegazioni evoluzionistiche. 

Lo storico della scienza Peter Bowler (in Evolution: the history of an idea, 2003) ha riassunto succintamente alcune delle ragioni principali per cui Matthew non merita la priorità per la selezione naturale, concludendo che 
“Tali sforzi per denigrare Darwin fraintendono l'intero punto della storia della scienza: Matthew suggerì un'idea di base della selezione, ma non fece nulla per svilupparla; e lo pubblicò in appendice a un libro sulla coltivazione degli alberi per la cantieristica. Nessuno lo prese sul serio e non ebbe alcun ruolo nell'emergenza del darwinismo. La semplice priorità non basta per guadagnare a un pensatore un posto nella storia della scienza: bisogna sviluppare l'idea e convincere gli altri del suo valore a dare un contributo reale. I taccuini di Darwin confermano che non trasse ispirazione da Matthew o da nessuno degli altri presunti precursori”
L'opinione di Ernst Mayr (in The growth of biological thought, 1982) era ancora più chiara: 
“Patrick Matthew aveva indubbiamente l'idea giusta, proprio come fece Darwin il 28 settembre 1838, ma non dedicò i vent'anni successivi a trasformarla in una teoria convincente dell'evoluzione. Di conseguenza non ha avuto alcun impatto”. 
Richard Dawkins (in Darwin's Five Bridges: The Way To Natural Selection, 2010) ammetteva che Matthew aveva colto il concetto generale di selezione naturale, ma non ne aveva compreso il significato, né lo aveva sviluppato ulteriormente: 
“Sono d'accordo [...] che Matthew sia stato trattato in modo scortese dalla storia. Ma [...] esito ad assegnargli la priorità assoluta. In parte, è perché ha scritto in uno stile molto più oscuro di Darwin o Wallace, il che rende difficile sapere in alcuni punti cosa stesse cercando di dire (lo stesso Darwin lo notò). Ma soprattutto perché sembra aver sottovalutato l'idea, al punto che dobbiamo dubitare che abbia davvero capito quanto fosse importante. Lo stesso si potrebbe dire, con ancora più forza (motivo per cui non ho trattato il suo caso con gli stessi dettagli di quello di Matthew), di W.C. Wells, che anche Darwin ha scrupolosamente riconosciuto (nella quarta e nelle successive edizioni di The Origin). Wells ha fatto il salto per generalizzare dalla selezione artificiale a quella naturale, ma l'ha applicata solo agli esseri umani e la pensava come una scelta tra razze umane piuttosto che tra individui come facevano Darwin e Wallace. Wells sembra quindi essere arrivato a una forma di "selezione di gruppo" piuttosto che a una vera selezione naturale darwiniana come fece Matthew, che seleziona gli organismi individuali per il loro successo riproduttivo. Darwin elencò anche altri predecessori parziali, che avevano vaghi sentori della selezione naturale. Come Patrick Matthew, nessuno di loro sembra aver colto il significato sconvolgente dell'idea da cui erano illuminati, e userò il nome di Matthew per rappresentarli tutti. Sono sempre più propenso a concordare con Matthew sul fatto che la selezione naturale stessa non aveva bisogno di essere scoperta. Ciò che doveva essere scoperto era il significato della selezione naturale per l'evoluzione di tutta la vita”. 
In risposta a Sutton, lo storico della scienza e studioso di Darwin e Wallace, John van Wyhe ha commentato: 
“Questa teoria del complotto è così sciocca e basata su imitazioni così forzate e contorte del metodo storico che nessuno storico qualificato potrebbe prenderla sul serio”. 
Sfortunatamente, i più ostinati critici di Darwin non mancano di pertinacia. È di questi giorni la notizia, divulgata dal Times e da giornali popolari come il Sun e il Daily Mail, dell’imminente pubblicazione di un nuovo libro di Mike Sutton, intitolato "Science Fraud: Darwin's Plagiarism of Patrick Matthew's Theory" che fornirebbe “nuove prove” del “plagio” di Darwin e Wallace. 


Secondo Sutton, una lettera che la moglie di Darwin, Emma, avrebbe inviato a Patrick Matthew, è un'altra "testimonianza", in cui ella avrebbe riconosciuto che la teoria dell'evoluzione di Darwin era "figlia originale" di Matthew, ma che Darwin l'aveva cresciuta "come se fosse sua". Naturalmente, questa lettera è disponibile da anni, non aggiunge nulla di nuovo al dibattito e dimostra più l’onestà intellettuale di Darwin e consorte che quella di Sutton.



mercoledì 26 gennaio 2022

Darwin e il problema della datazione geologica


Una delle principali difficoltà di Darwin nel convincere un pubblico scettico, e alcuni fisici altrettanto scettici, fu che c'era stato abbastanza tempo dall'avvento della vita sulla terra perché il lento processo di selezione naturale avesse prodotto le piante e gli animali che vedevano intorno a loro. Darwin aveva bisogno di tempi geologici lunghi, affinché il lento meccanismo della selezione naturale potesse essere accettato come causa adeguata ed efficiente dell’evoluzione biologica.

Darwin si considerava più un geologo che uno zoologo o un botanico, specialmente nei suoi primi anni, e seguì Charles Lyell nell'indicare il ritmo lento di processi come l'erosione e la deposizione come prova di periodi di tempo geologico "incomprensibilmente lunghi". Così ragionava nella prima edizione del 1859 della Origin of Species, nel IX capitolo, intitolato On the imperfection of the geological record:
“Ma la quantità di erosione che gli strati hanno subito in molti luoghi, indipendentemente dal tasso di accumulazione della materia degradata, offre probabilmente la migliore prova del trascorrere del tempo. Ricordo di essere stato molto colpito dall'evidenza della erosione, quando ho visto isole vulcaniche, che sono state consumate dalle onde e tagliate tutt'intorno in scogliere perpendicolari di uno o duemila piedi di altezza; poiché il dolce pendio dei torrenti di lava, a causa del loro stato un tempo liquido, mostrava a prima vista fino a che punto i duri letti rocciosi si fossero un tempo estesi nell'oceano aperto. La stessa storia è raccontata ancora più chiaramente dalle faglie: quelle grandi crepe lungo le quali gli strati sono stati sollevati da un lato, o precipitati dall'altro, all'altezza o profondità di migliaia di piedi; poiché da quando la crosta si è incrinata, la superficie della Terra è stata così completamente spianata dall'azione del mare, che nessuna traccia di queste vaste dislocazioni è visibile esternamente. 

La faglia di Craven, per esempio, si estende per oltre 30 miglia, e lungo questa linea lo spostamento verticale degli strati è variato da 600 a 3000 piedi. Il Prof. Ramsay ha pubblicato un resoconto di uno spostamento verso il basso ad Anglesea di 2300 piedi; e mi informa che crede pienamente che ce ne sia uno nel Merionethshire di 12.000 piedi; eppure, in questi casi non c'è nulla in superficie che mostri movimenti così prodigiosi; la pila di rocce sull'uno o sull'altro lato è stata spazzata via senza intoppi. La considerazione di questi fatti impressiona la mia mente quasi allo stesso modo del vano tentativo di cimentarsi con l'idea dell'eternità. 

Sono tentato di citare un altro caso, quello noto della erosione del Weald. Sebbene si debba ammettere che la erosione del Weald è stata una sciocchezza, in confronto a quella che ha rimosso masse dai nostri strati paleozoici, in parti di diecimila piedi di spessore, come mostrato nelle magistrali memorie del Prof. Ramsay su questo argomento. Eppure, è una lezione ammirevole stare sui North Downs e guardare i lontani South Downs; poiché, ricordando che a non grande distanza a ovest le scarpate settentrionale e meridionale si incontrano e si chiudono, ci si può tranquillamente immaginare la grande cupola di rocce che deve aver ricoperto il Weald in un periodo così limitato come dall'ultima parte del Formazione di gesso. La distanza dal nord al sud Downs è di circa 22 miglia, e lo spessore delle varie formazioni è in media di circa 1100 piedi, come mi ha informato il prof. Ramsay. Ma se, come suppongono alcuni geologi, una serie di rocce più antiche è alla base del Weald, sui cui fianchi i depositi sedimentari sovrastanti potrebbero essersi accumulati in masse più sottili che altrove, la stima di cui sopra sarebbe erronea; ma questa fonte di dubbio probabilmente non influirebbe molto sulla stima applicata all'estremità occidentale del distretto. Se, quindi, conoscessimo la velocità con cui il mare consuma comunemente una linea di scogliera di una data altezza, potremmo misurare il tempo necessario per aver spogliato il Weald. Questo, ovviamente, non può essere fatto; ma possiamo, per farci qualche rozza idea sull'argomento, supporre che il mare possa inghiottire scogliere alte 500 piedi al ritmo di un pollice in un secolo. Questa a prima vista sembrerà una quantità troppo piccola; ma è lo stesso che supporre che una scogliera alta un metro venga divorata lungo un'intera linea di costa al ritmo di un metro ogni ventidue anni. Dubito che qualche roccia, anche tenera come il gesso, cederebbe di questo passo, tranne che sulle coste più esposte; sebbene senza dubbio il degrado di un'alta rupe sarebbe stato reso più rapido dalla rottura dei frammenti caduti. D'altra parte, non credo che nessuna linea di costa, lunga dieci o venti miglia, subisca mai contemporaneamente un degrado lungo tutta la sua lunghezza frastagliata; e dobbiamo ricordare che quasi tutti gli strati contengono strati o noduli più duri, che per lunga resistenza all'attrito formano un frangiflutti naturale alla base. Quindi, in circostanze ordinarie, concludo che per una scogliera alta 500 piedi, una denudazione di un pollice per secolo per l'intera lunghezza sarebbe un'ampia concessione. A questo ritmo, sui dati di cui sopra, la denudazione del Weald deve aver richiesto 306.662.400 anni; o diciamo trecento milioni di anni. 

L'azione dell'acqua dolce sul distretto di Wealden leggermente inclinato, una volta sollevata, non avrebbe potuto essere grande, ma ridurrebbe in qualche modo la stima di cui sopra. D'altra parte, durante le oscillazioni di livello, che sappiamo ha subito quest'area, la superficie può essere esistita per milioni di anni come terraferma, e quindi sfuggire all'azione del mare: quando fosse stata sommersa in profondità per periodi forse altrettanto lunghi, sarebbe, parimenti, sfuggita all'azione delle onde costiere. Così che con ogni probabilità è trascorso un periodo molto più lungo di 300 milioni di anni dall'ultima parte del periodo secondario. 

Ho fatto queste poche osservazioni perché è molto importante per noi acquisire una nozione, per quanto imperfetta, del trascorrere degli anni. In ognuno di questi anni, in tutto il mondo, la terra e l'acqua sono state popolate da schiere di forme viventi. Che numero infinito di generazioni, che la mente non può cogliere, devono essersi succedute nel lungo corso degli anni! Ora è nei nostri musei geologici più ricchi e che spettacolo irrisorio vediamo!” 

Nel 1858 Darwin si era stabilito con la sua famiglia a Down House, a circa 20 miglia a sud di Londra, nella bucolica campagna del Kent, lontano da tutte le pressioni della grande città. A sud della sua casa ci sono due colline, alte circa 250 metri, chiamate North e South Downs. Si tratta dei lembi erosi di una anticlinale, una cupola di rocce stratificate del Cretaceo inferiore tagliate dagli agenti atmosferici per esporre gli strati come creste di arenaria e valli argillose. Le rocce più antiche esposte al centro dell'anticlinale formano una valle poco profonda chiamata Weald e sono attribuite al Giurassico superiore. Al di sopra di queste giacciono le rocce del Cretaceo, che includono il gruppo Wealden di sabbie e argille alternate. Geologicamente, i Downs sono i resti di una grande cupola di gesso, la cui sommità è stata erosa nel tempo. Un capitolo dei Principles of Geology di Lyell descrive l'enorme erosione coinvolta nella formazione del Weald, che era stata studiata, come dice Darwin, anche dal grande geologo scozzese Andrew Ramsey nel saggio On the Denudation of South Wales and the Adjacent Counties of England (1846), nel quale aveva sostenuto il potere del mare di formare grandi pianure di erosione. 


Quanto tempo, si domandò Darwin, ci era voluto prima che quella cupola di roccia originale venisse erosa fino al suo stato attuale? Il calcolo gli avrebbe dato una stima di almeno un particolare arco di tempo geologico. Darwin aveva bisogno solo di tre numeri. Innanzitutto, la distanza tra i due Downs, che è di circa 22 miglia (36 Km), poi lo spessore dello strato di gesso: circa 1100 piedi, 335 m. Infine, la velocità con cui avviene l'erosione, un numero più complicato da ottenere. Darwin immaginò una situazione simile a quella che coinvolge le scogliere di gesso di Dover, poche miglia più a sud, sul Canale della Manica, dove le onde stanno lentamente demolendo le bellissime scogliere bianche. La stima di Darwin era che "un’erosione di un pollice per secolo per l'intera lunghezza sarebbe un'ampia concessione".

Darwin si rendeva conto che questo numero era solo approssimativo, tuttavia arrischiò il calcolo, che richiedeva solo due passaggi: 
- Se ci vuole un secolo prima che una scogliera di 500 piedi si eroda di 1 pollice, quanto tempo impiegherebbe uno strato spesso 1100 piedi per essere eroso della stessa quantità? Usando le proporzioni, la risposta è 1100/500 = 2,2 secoli. 
- Se ci vogliono 2,2 secoli per erodere 1 pollice, quanto tempo impiegherebbe l’erosione di 22 miglia? Trasformando queste miglia in piedi, poi in pollici, si ottiene: 

(22 × 5280 × 12) × 2,2 secoli, cioè 306.662.400 anni 

Che è il numero che Darwin scrisse: circa 300 milioni di anni. E questa era solo una parte ("una sciocchezza", come diceva) del tempo geologico. La Terra stessa doveva essere molto più antica. Certamente un sacco di tempo, perché il lento processo di selezione naturale abbia luogo e le specie si evolvano. 

Purtroppo per lui, entro poche settimane dalla pubblicazione, Darwin fu oggetto di forti critiche, soprattutto su questo calcolo. La sua stima per il tasso di erosione, scrivevano i suoi critici, era totalmente ingiustificata. Era ridicolo, per esempio, usare semplici proporzioni. Il tasso di erosione poteva essere variato nel tempo e non esisteva certamente alcun motivo per presumere che il tasso in passato fosse lo stesso di oggi. Poteva essere mille volte più veloce, o più lento. I 300 milioni di anni erano totalmente inaffidabili. 

Si potrebbe quasi dire che il guaio di Darwin nacque originariamente per eccesso di fiducia in sé stesso. Lyell gli aveva detto che il tempo necessario per il cambiamento geologico e biologico era virtualmente senza limiti, e le sue stesse osservazioni avevano rafforzato questa convinzione al punto della certezza. Già nel saggio del 1842 sulle barriere coralline accettò l’estrema imperfezione della documentazione geologica e la realtà di lunghi tempi prima del Siluriano come cosa stabilita, e parlò confidenzialmente delle immense età trascorse durante ogni periodo geologico. Sebbene avesse confessato più volte che la sua fiducia riguardo l’imperfezione dei dati geologici era la parte più debole della sua idea, essa era una debolezza che nasceva dalle difficoltà di ricavare conclusioni dall’evidenza negativa piuttosto che da qualche dubbio sul significato delle lacune nell’evidenza stessa. Preparando l’Origin of Species, pertanto, presentò una meticolosa spiegazione delle sue ragioni di credere che i dati fossero imperfetti, ma abbandonò questa remora quando considerò la discussione della grandezza di questi dati espressi in anni. Piuttosto che tentare di dimostrare l’intervallo di anni attraverso la sua abituale raccolta di prove, scelse semplicemente di illustrare la sua idea con un singolo esempio ricavato da una fonte conosciuta. 

Dopo una critica anonima dell’Origin comparsa sulla Saturday Review del 24 dicembre 1859, che criticava fortemente la metodologia dei calcoli di Darwin, egli fu costretto a fare marcia indietro. Il 3 gennaio 1860, Darwin scrisse a Hooker al riguardo: "Alcune delle osservazioni sul passare degli anni sono molto buone, e il recensore mi fa dei colpi buoni e ben meritati, - accidenti, mi dispiace confessare la verità. Ma non riguarda affatto l'argomento principale." Il giorno dopo, disse a Lyell "Hai visto, suppongo la Saturday Review: argomento limitato alla geologia, ma mi ha dato dei colpi sulle nocche perfettamente giusti e severi." 


Nella seconda edizione, Darwin continuò a suggerire "una denudazione di un pollice per secolo" per l'intera lunghezza di una scogliera alta 500 piedi, e non cambiò le sue idee. Tuttavia, aggiunse questa frase come corollario, ammettendo che il suo calcolo poteva essere dimezzato o addirittura ridotto di due terzi: "Ma forse sarebbe più sicuro ammettere due o tre pollici per secolo, e questo ridurrebbe il numero di anni a centocinquanta o cento milioni di anni”. Nella edizione americana che uscì nel 1860 aggiunse una nota esplicativa:
“Confesso che un articolo capace e giustamente severo (...) mostra che sono stato avventato. Non ho sufficientemente tenuto conto della malleabilità degli strati sottostanti il gesso (...) Né ho considerato la denudazione in corso su entrambi i lati dell'antica Weald-Bay (...) È mia abitudine osservare da tempo la forma e lo stato della superficie dei frammenti alla base di alte scogliere in ritirata, e non trovo parole troppo forti per esprimere la mia convinzione dell'estrema lentezza con cui vengono consumati e rimossi. Prego il lettore di osservare che ho espressamente affermato che non possiamo sapere con quale velocità il mare logori una linea di scogliera: ho ipotizzato un pollice per secolo per avere una vaga idea del trascorrere degli anni; ma ho sempre supposto che il lettore avrebbe raddoppiato o quadruplicato o aumentato in qualsiasi proporzione che gli fosse parsa giusta il probabile tasso di denudazione per secolo. Ma ammetto di essere stato avventato e sconsiderato nel calcolo”. 
Nella terza edizione, pubblicata il 30 aprile 1861, Darwin invocò l'articolo del Saturday Review come motivo per rimuovere del tutto il suo calcolo. 

La stima di Darwin fu attaccata in una disputa molto più ampia sull'età della terra tra geologi e fisici, il più notevole tra i quali fu William Thomson, Lord Kelvin. Il punto di disputa fu oggetto di una prima conversazione a tre con il botanico Joseph Dalton Hooker e Charles Lyell. "Non riesco a pensare come si possa attribuire così tanto peso ai fisici", disse Darwin a Hooker, "Sosterrò fino alla morte che il tuo studio su Fernando Poo [isola africana nel golfo di Guinea, oggi Bioko] e sull'Abissinia vale dieci volte di più della convinzione di una dozzina di fisici". La disputa andò avanti così a lungo che fu il figlio matematico di Darwin, George, solo un bambino quando fu pubblicata l’Origin, a dare finalmente a suo padre qualche speranza che i fisici sarebbero stati sconfitti. Lungo la strada c'era il continuo sostegno di geologi come Joseph Beete Jukes che si opposero fortemente quando Darwin propose di omettere del tutto l'argomento "Weald", portando Darwin a esclamare "Quanto è difficile accontentare tutti!" Anche Thomas Henry Huxley che Alfred Russel Wallace ebbero un ruolo in vari momenti. 

In quegli stessi anni (1860), il geologo inglese John Phillips (contrario sia alle teorie di Lyell che a quelle di Darwin), basandosi sullo spessore di strati di varia età e sulla presumibile velocità della loro deposizione, stimava invece, in risposta a Darwin, l’età della Terra intorno a 96 milioni di anni. Ma il parere dei geologi era, tutto sommato, poco rilevante. Quello che contava di più, per le implicazioni che aveva, era quello di Darwin. Nel 1863, quando l’Origin era alla sua terza edizione, Thomson calcolò sulla base del presunto tasso di raffreddamento da una massa incandescente, che la Terra stessa aveva solo tra 100 e 200 milioni di anni, e continuò a rivedere questa cifra inesorabilmente verso il basso negli anni successivi. 

Il ragionamento di Kelvin si basava sul convincimento che il Sole fosse una massa liquida incandescente che sta dissipando rapidamente la sua energia; e che l’origine del calore solare non potesse essere che gravitazionale, essendo da escludere come inadeguata quella chimica. Il punto di partenza di Kelvin era pertanto la formazione di una massa fusa, derivata dal collasso gravitazionale di una nebulosa, come quella postulata da Kant e Laplace. Se si conosce la massa globale del sistema (ricavata dalla massa stimata attuale del Sole), sistema che è immaginato all’inizio a riposo in tutte le sue parti, si può facilmente calcolare la quantità di calore che sarebbe stato generato come equivalente della energia meccanica delle collisioni avvenute in conseguenza del collasso gravitazionale. In base alla conoscenza del flusso di calore emanato oggi dal Sole e dell’energia disponibile all’inizio, si può risalire alla data di questo inizio. Peccato che allora non si avesse la minima idea dell'esistenza di sorgenti radioattive di energia. La scoperta delle leggi del decadimento radioattivo dei radionuclidi, all’inizio del Novecento, avrebbe affossato per sempre i calcoli di Lord Kelvin. 

L’assoluta supremazia delle “leggi fisiche note” su un qualunque altro ragionamento portava appunto a bollare come assurde le ipotesi di Darwin e dei geologi. Calcoli matematici sulla presunta velocità di raffreddamento del Sole e della Terra inducevano Kelvin a postulare un’età della Terra con tutta probabilità inferiore ai 100 milioni di anni. Che fosse un problema di “guerra ideologica” piuttosto che una questione meramente scientifica è messo in evidenza dall’arena su cui Kelvin aveva deciso di aprire le ostilità: il Macmillan’s Magazine, una rivista popolare. Kelvin parlava quindi direttamente al grande pubblico.


Quando Darwin stava lavorando alla quinta edizione, Thomson aveva concluso che 100 milioni di anni erano il limite superiore, piuttosto che inferiore, dell'età della Terra. Darwin spiegò il suo dilemma al geologo scozzese James Croll: "Sono molto turbato per la breve durata del mondo secondo Sir W. Thompson, poiché per le mie opinioni teoriche ho bisogno di un periodo molto lungo prima della formazione del Cambriano". In una lettera al figlio George del 1868, Darwin diceva di guardare, nel libro di Thompson e Tait Treatise on natural philosophy uscito l’anno precedente, la cifra indicata per il tempo trascorso dalla solidificazione della Terra. Egli era preoccupato per “la brevità del mondo” perché le creature pre-siluriane dovevano aver vissuto per età senza fine, “altrimenti le mie idee sarebbero sbagliate, che è impossibile”. Gli strati del Cambriano sono ricchi di fossili di vari tipi di animali, ma nessuno era stato trovato negli strati più antichi, così che la vita complessa sembrava essere sorta improvvisamente. Da allora sono state scoperte prove di animali più grandi dal corpo molle e di abbondante vita microscopica in periodi precedenti, ma Darwin fu costretto a solo postularne l'esistenza e spiegare la mancanza di prove con l'incompletezza della documentazione fossile. Anche allora, non c'era modo di sfuggire al fatto che la selezione naturale avrebbe potuto produrre una così ampia varietà di vita cambriana solo in un arco di tempo precedente molto lungo. 

Sebbene Croll avesse risposto cautamente, suggerendo che la crosta terrestre avrebbe potuto formarsi più rapidamente durante il raffreddamento di quanto consentito da Thomson, spingendo così indietro nel tempo il punto in cui avrebbe potuto inizialmente sostenere la vita organica, ciò non era ancora abbastanza per Darwin che, nel frattempo, aveva menzionato il problema al figlio George, neoeletto membro del Trinity College di Cambridge: "Oserei dire che vorrò molti consigli su Croll e Thompson ed essere impiccato da loro"

Nel 1877, George Darwin stava lavorando sull'effetto della gravità della Luna sulla Terra e suggerì che Thomson, che lo aveva appena sostenuto per la borsa di studio della Royal Society, avrebbe dovuto tenerne conto nei suoi calcoli. Seguirono alcuni mesi, ma alla fine Thomson fu convinto dalla proposta di George che l'attrito delle "maree" create nella struttura della Terra dall'attrazione della Luna avrebbe generato calore e avrebbe rallentato la velocità di raffreddamento del pianeta. “Sorrido anche molto per il calore interno. Come questo farà piacere ai geologi e agli evoluzionisti", suo padre esultò in una lettera del 29 ottobre 1878, "Evviva le viscere della Terra e la loro viscosità e la Luna e tutti i corpi celesti e mio figlio George!" 

Si ritiene oggi che il Cretaceo sia durato da 145 a 65 milioni di anni fa. Darwin sbagliò il suo calcolo di oltre i due terzi. L’età della Terra è stimata a circa 4,5 miliardi d’anni. Lord Kelvin sbaglio il suo calcolo di più di 45 volte.