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sabato 1 gennaio 2022

Tyndall, polvere, malattie contagiose. E mascherine



Le mascherine per il viso sono elementi fondamentali dei dispositivi di protezione individuale nel settore della salute pubblica, come ci ha drammaticamente ricordato la pandemia di Sars-COV-2. A seconda del tipo, possono proteggere chi le indossa, ma per malattie come il COVID-19 che si diffondono tramite aerosol e goccioline nell’aria, possono anche aiutare a prevenire che le persone infette diffondano ulteriormente la malattia.

Possiamo far risalire la popolarità delle mascherine di protezione a un documento presentato alla Royal Institution di Londra il 21 gennaio 1870 dal grande scienziato irlandese John Tyndall, di cui mi sono già occupato qui e qui per le sue posizioni agnostiche. Con l'aiuto di un raggio di luce, Tyndall (che, come divulgatore, non aveva rivali, preparando attrezzature ed esperimenti e facendo le prove di quello che poteva essere ed era uno spettacolo scientifico) dimostrò non solo che è possibile vedere la polvere nell'aria (è l’effetto che da lui prende il nome), che essa poteva contenere germi patogeni, ma anche che un respiratore di ovatta poteva filtrarli. Tyndall divenne un sostenitore della teoria della diffusione delle malattie a causa dei germi, era in contatto con Louis Pasteur e Joseph Lister, di cui divulgava le scoperte, e fu un propugnatore della produzione di massa di respiratori in cotone idrofilo.


Furono le ricerche sulla luce e sulle particelle che portarono Tyndall a riflettere più attentamente su ciò che chiamò "Polvere e malattie", il titolo della sua conferenza dalla Royal Institution. Per studiare la decomposizione del vapore acqueo da parte della luce, Tyndall si accorse che aveva bisogno di rimuovere le particelle di polvere nell'aria che stavano complicando i suoi risultati sperimentali. Ciò si rivelò più difficile di quanto avesse previsto.

Mentre provava varie strategie per rimuovere la polvere che sembrava onnipresente nel raggio di luce, lasciò che alcune particelle di polvere passassero sulla punta d'una fiamma. A questo punto la materia bruciò in una scia di fumo, lasciando solo un'oscurità nel raggio di luce. Questo non era quello che Tyndall si aspettava e questo lo portò ad accettare che la questione fosse di natura organica.


“Ho cercato di intercettare questa materia fluttuante in vari modi; e il 5 ottobre 1868, prima di inviare l'aria attraverso l'essiccatore, fu accuratamente permesso di passare sopra la punta di una fiamma di lampada a spirito. La materia fluttuante non apparve più, essendo stata bruciata dalla fiamma. Era dunque materia organica. Non ero affatto preparato per questo risultato; avendo precedentemente pensato che la polvere della nostra aria fosse, in gran parte, inorganica e incombustibile. Secondo un'analisi gentilmente fornitami dal dottor Percy, la polvere raccolta dalle pareti del British Museum contiene il 50 per cento. di materia inorganica. Ho piena fiducia nei risultati di questo illustre chimico; mostrano che la polvere fluttuante delle nostre stanze è, per così dire, ventilata dalla materia più pesante”.

Scoprì presto che queste particelle di polvere organica non si trovavano solo nel suo laboratorio della Royal Institution, ma erano nell'aria ovunque, e quindi passavano costantemente nei polmoni umani ad ogni respiro. Come scrisse Tyndall:

“Non c'è tregua al nostro contatto con la materia fluttuante dell'aria; e la meraviglia è, non che si debba soffrire occasionalmente della sua presenza, ma che una parte così piccola di essa, e anche quella, ma raramente diffusa su vaste aree, sembri mortale per l'uomo. E qual è questa porzione? Era da tempo diffusa la credenza che le malattie epidemiche si propagassero generalmente da una specie di aria cattiva, che consisteva in materia organica in stato di decomposizione; che quando tale materia veniva introdotta nel corpo attraverso i polmoni, la pelle o lo stomaco, aveva il potere di diffondervi il processo distruttivo da cui era stata assalita”.

E spesso era davvero mortale. Tyndall riteneva che la materia fluttuante contenesse "i germi che causano malattie e decomposizione". Egli si allineò quindi alla "teoria dei germi" della malattia, che all'epoca era ancora molto contestata. La teoria dei germi sosteneva che la malattia epidemica era diffusa da microrganismi che potevano essere trasportati nell'aria e quindi entrare nel corpo delle persone e non dipendeva da “aria malsana” o “malaria” associata spesso a zone con aria umida e puzzolenti per la decomposizione di organismi morti.

“Ma per quanto riguarda la fermentazione, le menti dei chimici, influenzate probabilmente dalla grande autorità di Gay-Lussac, ricadevano sull'antica nozione di materia in stato di decomposizione. Non era la pianta del lievito vivente, ma le sue parti morte o morenti, che, attaccate dall'ossigeno, producevano la fermentazione. Pasteur, invece, dimostrò che i veri 'fermenti', mediati o immediati, sono esseri organizzati che trovano nei supposti fermenti il ​​loro alimento necessario.

Accanto a queste ricerche e scoperte, e rafforzata da esse e da altri, si è sviluppata la teoria dei germi della malattia epidemica. L'idea è stata espressa da Kircher, e favorita da Linneo, che le malattie epidemiche possono essere dovute a germi che galleggiano nell'atmosfera, entrano nel corpo e producono disturbi per lo sviluppo all'interno del corpo della vita parassitaria. La forza di questa teoria consiste nel perfetto parallelismo dei fenomeni della malattia contagiosa con quelli della vita. Come una ghianda piantata dà vita a una quercia, capace di produrre un intero raccolto di ghiande, ognuna dotata del potere di riprodurre il suo albero genitore; e come così da una sola piantina può nascere un'intera foresta; così, si sostiene, queste malattie epidemiche piantano letteralmente i loro semi, crescono e scuotono nuovi germi, che, incontrando nel corpo umano il loro cibo e la loro giusta temperatura, si impossessano infine di intere popolazioni. Non c'è nulla che io sappia nella chimica pura che assomigli al potere di propagazione e auto-moltiplicazione posseduto dalla materia che produce malattie epidemiche. Se semini grano non ottieni orzo; se semini vaiolo non ti viene la scarlattina, ma il vaiolo moltiplicato indefinitamente, e nient'altro”.

Attraverso i suoi esperimenti, Tyndall era convinto di aver aggiunto nuove prove per spiegare la causa delle malattie contagiose. Ma i suoi esperimenti indicarono anche un possibile modo per fermarne o ridurne la diffusione. Il primo consiglio, seguendo gli studi di Pasteur sulla pébrine, la malattia dei bachi da seta, fu quello dell’isolamento delle fonti contaminanti.

Il secondo, più attivo, fu quello di filtrare i germi. Sebbene la polvere organica non potesse essere spazzata via o in qualche modo espulsa dall'aria, Tyndall dimostrò che può essere filtrata attraverso un batuffolo di cotone. Ulteriori esperimenti mostrarono che il processo di filtraggio era più efficace se applicato alla respirazione umana. Sviluppò allora un progetto di mascherina di lana e cotone che illustrò nella conferenza. L'applicazione pratica degli esperimenti sembrava ovvia:

“Se un medico desidera tenere lontani dai polmoni del suo paziente, o dai suoi, i germi mediante i quali si dice che la malattia contagiosa si propaghi, impiegherà un respiratore di cotone idrofilo... Tali respiratori devono, credo, entrare in uso generale come difesa contro il contagio”.


Tyndall fu fortemente criticato dalla comunità medica londinese per aver oltrepassato i confini della sua competenza scientifica. Tuttavia, continuò i suoi esperimenti con la "materia fluttuante".

Applicando la sua ricerca, sviluppò tecniche per la conservazione degli alimenti e per la sterilizzazione mediante riscaldamento discontinuo, un processo ora noto come tindalizzazione. Divulgò anche gli esperimenti che a Edimburgo avevano condotto John Bennett a schierarsi per la “teoria dei germi atmosferici”, e Joseph Lister sulla necessità di disinfezione degli strumenti chirurgici con acidi o basi forti per uccidere i germi.

Tyndall morì nel 1893. A quel tempo la teoria della malattia da germi era ampiamente accettata, in gran parte grazie ai suoi esperimenti, e oggi è del tutto data per scontata. Oggi modella la nostra comprensione del COVID-19 e di come possiamo mitigare la diffusione della malattia, ad esempio utilizzando maschere non troppo diverse da quelle che Tyndall sollecitava di produrre 152 anni fa.

sabato 2 marzo 2019

La grigia estate del 1816


Questa storia inizia nell’aprile 1815 nella lontana isola indonesiana di Sumbawa, dove il vulcano Tambora, uno dei più pericolosi della Terra, si risvegliò dopo una lunga fase di quiescenza, con esplosioni intense e abbondanti emissioni di cenere che oscurarono il cielo dell'intera regione per giorni e provocarono potenti accumuli su tutti i villaggi circostanti. Tre mesi di simili manifestazioni violente provocarono nel Tambora una diminuzione di quota di 1.300 metri; da più dei 4.100 metri originari, l’edificio vulcanico era passato agli attuali 2.850. Complessivamente, vennero proiettati in aria circa 150 miliardi di metri cubi di roccia, cenere e altri materiali, oltre a impressionanti quantità di gas, soprattutto anidride solforosa (SO2). Le continue esplosioni crearono catastrofi in aree lontane anche più di mille chilometri, con una stima di 60-70 mila morti, dovuti sia direttamente all'esplosione che alle pesanti carestie che seguirono il disastro.

L'eruzione del Tambora si andava ad aggiungere ad altri eventi vulcanici recentissimi: nel 1812 era esploso con violenza il Soufrière, nei Caraibi, mentre nel 1814 fu il Mayon, nelle Filippine, ad entrare in attività. Tutte queste eruzioni sparsero enormi quantitativi di cenere e polvere nell'atmosfera, producendo un denso "velo" di polvere vulcanica nella stratosfera, che schermò parte dei raggi solari negli anni successivi, provocando un drammatico raffreddamento del clima terrestre. Agli effetti delle polveri si aggiunsero quelli dell’anidride solforosa che, quando raggiunge la stratosfera, si trasforma in particelle di acido solforico che riflettono i raggi solari, riducendo così ulteriormente la quantità di radiazione solare che raggiunge il suolo terrestre. Inoltre, l’emisfero settentrionale stava attraversando una fase fredda chiamata “piccola età glaciale”, iniziata a metà del XIV secolo e durata fino alla metà del XIX, con temperature medie inferiori a quelle odierne. Come somma di queste circostanze, il pianeta conobbe un'epoca di estati mancate ed inverni gelidi, che ebbero come effetto scarsissimi raccolti e un impoverimento considerevole di vaste aree del pianeta. Il 1816, l'anno successivo all'eruzione, fu ricordato come l'anno senza estate.


Le inusuali condizioni climatiche del 1816 furono disastrose nell'America nord-orientale, e nell’Europa centro-settentrionale, dove la primavera e l’estate furono segnate da grandi tempeste, piogge continue e insistenti, inondazioni, così come da nevicate inusuali e la presenza di ghiaccio in agosto. Il cielo era quasi sempre grigio e talvolta con riflessi giallo-brunastri, come è ben rappresentato dai quadri dipinti in quel periodo da William Turner. 


I raccolti furono distrutti e molti capi di bestiame morirono. Il continente, che stava ancora riprendendosi dalle guerre napoleoniche, soffrì per la mancanza di cibo: in Gran Bretagna e in Francia ci furono rivolte per il cibo e i magazzini di grano vennero saccheggiati. Anche nella pacifica Svizzera si registrarono violenze tali da indurre il governo a dichiarare l'emergenza nazionale.


Proprio in Svizzera si trovava nell’estate di quell’anno il poeta e pari del Regno George Gordon Noel Byron, meglio noto come Lord Byron (1788 –1824). Il suo carattere difficile, le sempre più insistenti accuse di bisessualità, altri scandali di ordine morale (incesto con la sorellastra Augusta Maria, dalla quale ebbe una figlia, adulterio, sodomia, amore libero e altro ancora), la vita sentimentale assai poco regolare e la ostentata eccentricità lo avevano circondato di un diffuso sospetto, se non una vera e propria antipatia, tra i membri dell’élite aristocratica e letteraria che frequentava. Così, il 25 aprile, subito dopo la separazione dalla moglie Annabelle (la madre di Ada, futura contessa Lovelace) era partito per un secondo Gran Tour nell’Europa meridionale dopo quello intrapreso tra il 1809 e il 1811. Non avrebbe più rivisto la madrepatria.


Giunto sul lago di Ginevra, si stabilì, insieme al fedele domestico William Fletcher e al giovane medico personale John Polidori, nell'elegante villa Diodati, a Cologny. In una villa non molto distante, alla Maison Chapuis, fu raggiunto in giugno da Percy Bysshe Shelley (1792 – 1822), la sua futura moglie Mary Godwin Wollstonecraft (1797 – 1851) e la sorellastra di lei, Claire Clairmont (1798–1879), allora amante di Byron, incinta di lui e organizzatrice dell’incontro. In quel periodo Byron aveva perso interesse per Claire ma in Percy Shelley trovò un buon amico. Shelley scrisse che la vicinanza di Byron lo portò a raggiungere una propria espressione poetica, e che, un giro in barca fatto insieme, lo ispirò a scrivere l’Inno alla Bellezza Intellettuale.

Il tempo inclemente di quella “gloomy summer” limitò le possibilità della comitiva di fare gite nei dintorni o sul lago. Passavano le serate a leggere insieme un’antologia tedesca di racconti di fantasmi, Fantasmagoriana, finché, il 16 giugno, a Byron venne l’idea di invitare gli amici a scrivere una storia terrificante da leggere nelle sere successive. Il genere “gotico” (caratterizzato da storie soprannaturali di solito ambientate in edifici e cimiteri medievali) era iniziato in Inghilterra con il grande successo de Il castello di Otranto (1765) di Horace Walpole, cui fecero seguito i romanzi di Ann Radcliffe, il cui Misteri di Udolpho (1794) è tra i migliori esempi del genere. Un tipo più fantastico di romanzo gotico che sfruttava horror e violenza fiorì in Germania e fu introdotto in Inghilterra da Matthew Gregory Lewis con Il Monaco (1796).

Non sappiamo se tutti aderirono, né che cosa scrissero. Di certo c’è che in quelle cupe giornate estive del 1816 nacquero in bozza due dei libri più importanti del genere gotico, che, per motivi diversi, lo hanno superato, diventando delle riflessioni sulla condizione umana: Il Vampiro di John Polidori e Frankenstein di Mary Godwin Shelley.


 La biografia di John William Polidori (1795 - 1821) è da sola un romanzo gotico, soprattutto verso la fine. Era figlio di Gaetano Polidori, un letterato toscano che era stato segretario di Vittorio Alfieri, emigrato in Inghilterra e stabilitosi a Londra come insegnante di italiano. John, la cui sorella Frances avrebbe sposato l’esiliato Gabriele Rossetti, fu lo zio dei fratelli Rossetti, tra i quali Dante Gabriel e Christina Georgina, nati dopo la sua morte.

Polidori fu educato in una scuola cattolica nello Yorkshire, e successivamente frequentò l'Università di Edimburgo, dove studiò medicina, scrivendo una tesi sul tema molto romantico del sonnambulismo. Ottenne la laurea alla giovane età di 19 anni. L'anno successivo, ancora non ancora legalmente adulto, accompagnò Lord Byron nel viaggio dell’estate del 1816. Il fatto che Byron si sia presto stancato dell'immaturità del suo protetto (“Polly Dolly”) è ben noto, ma Polidori era, in effetti, piuttosto inesperto, scontroso e anche abbastanza piantagrane.

Il giovane, nel settembre dello stesso anno, lasciò la Svizzera per l'Italia, dove viaggiò per molti mesi, tornando in Inghilterra la primavera successiva, ma era scontento della sua professione e pensò di dedicarsi alla giurisprudenza. Nel frattempo, come frutto dell'estate letteraria che aveva passato sul continente, iniziò una breve, ma produttiva carriera di scrittore. La sua prima opera, Un saggio sulla fonte del piacere positivo (1818), manifestò il suo interesse per la psicologia. L'anno successivo pubblicò un volume di poesie, Ximenes, the wreath: and other poems, il romanzo Ernestus Berchtold, e il racconto Il Vampiro.

Quest’opera, ispirata a tradizioni greche e balcaniche, non era certamente un capolavoro, ma stabilì il canone della figura del vampiro come la intendiamo oggi, molto di più del Dracula di Bram Stoker, benché la fama abbia favorito il secondo. Inoltre, essa fu attribuita a Lord Byron quando fu pubblicata sul New Monthly Magazine. Quando scoprì che il racconto stava per essere pubblicato in forma anonima da Byron, Polidori fece di tutto per rivendicare l’opera come sua, ma il sospetto di impostura lo perseguitò da allora in poi.

Il breve romanzo racconta le disavventure del giovane e ricco Aubrey dopo l'incontro con l'enigmatico Lord Ruthven, una creatura gelida e demoniaca, dallo sguardo «grigio e freddo come la morte». Polidori alludeva a Byron stesso, che intendeva sbeffeggiare per una specie di vendetta personale. In Ruthven ci sono già i caratteri che saranno di Dracula, uomo di freddo fascino:
"Nonostante il pallore mortale del suo viso, che mai fu colorato dall’amabile incarnato del pudore, né arrossito da un'emozione vivace, la bellezza dei suoi lineamenti induceva nelle donne l'idea di sedurlo, o di ottenere da lui almeno alcuni segni di ciò che è chiamato affetto”.
Viaggiando con lui a Roma, Aubrey si rende conto che egli possiede un vizio contagioso: il suo "personaggio profondamente depravato" e "i suoi talenti per la seduzione" lo rendono "pericoloso per la società".

Volendo distaccarsi da tale figura, Aubrey va in Grecia, dove si innamora della giovane Ianthe, che gli racconta storie di vampiri. Durante una notte tempestosa, sorprende un uomo che attacca una donna in una casa. Dopo la fuga dell'uomo, scopre inorridito che la donna morta è proprio Ianthe. Tormentato, Aubrey si ammala. È Lord Ruthven che viene a curarlo. Più tardi, durante una spedizione archeologica, Lord Ruthven viene ferito dai briganti. Prima di morire delle sue ferite, Lord Ruthven fa in modo che Aubrey prometta di "non rendere noti a nessun essere vivente [i suoi] crimini e [la] sua morte". Egli giura senza capire. Rovista tra le cose di Lord Ruthven: scopre che è lui ad aver ucciso Ianthe, ed è probabilmente un vampiro.

Aubrey torna a Londra e rimane stupito dall'incontrare Lord Ruthven, vivo e vegeto, sotto il nome di Conte di Marsden. Ruthven ricorda al giovane il suo giuramento. Poco dopo quest'incontro, Ruthven conosce e corteggia la sorella di Aubrey mentre questi, disperato, cade in depressione, e sprofonda nella follia. La sorella di Aubrey e Lord Ruthven si fidanzano; la data delle nozze è fissata per il giorno in cui termina il giuramento. Poco prima di morire, Aubrey scrive una lettera alla sorella, rivelando la natura e il passato di Ruthven. La missiva però non arriva in tempo e i due si sposano. Durante la prima notte di nozze, la sorella di Aubrey viene trovata morta, prosciugata del suo sangue. Ruthven è svanito nel nulla.

L’ultima opera di Polidori, Sketches Illustrative of Manners and Costumes of France, Switzerland, and Italy, resoconto del suo viaggio europeo, fu pubblicata nel 1821 con lo pseudonimo di Richard Bridgens. Quell'agosto, presumibilmente per aver contratto un debito di gioco che non poteva onorare, si suicidò bevendo acido prussico. Aveva venticinque anni.

Mary Shelley crebbe in un ambiente colto e illuminista. Sin da piccola studiò le grandi opere di letteratura, storia e mitologia e studiò francese e latino. Sua madre Mary Wollstonecraft (1759-1797), dopo un'adolescenza passata in una famiglia povera e afflitta dall'alcolismo del padre, si rese indipendente con il lavoro di governante e dama di compagnia e un'istruzione conseguita attraverso studi personali. Nel 1787 si trasferì a Londra e trovò un impiego nel mensile Analytical Review dell'editore e libraio Joseph Johnson. Il suo lavoro le consentì di conoscere il pensiero dei maggiori intellettuali francesi, traducendo articoli degli illuministi d'Alembert, Diderot, d'Holbach, Voltaire, Rousseau (con quest’ultimo fu anche in polemica per la misoginia espressa nell’Émile). In pochi anni divenne un’importante saggista e si affermò come teorica politica influente e controversa. Antesignana del femminismo, Mary Wollstonecraft è nota soprattutto per A Vindication of the Rights of Woman (1792), nel quale sostenne, contro la prevalente opinione del tempo, che le donne non sono inferiori per natura agli uomini, anche se sono socialmente condizionate a un ruolo di inferiorità e di dipendenza. Mary Wollstonecraft sosteneva il diritto delle donne all'autodeterminazione e all'uguaglianza nella sfera intellettuale, pubblica e domestica.


Il padre, William Godwin (1756-1836) individuò nelle istanze politiche sollevate dalla Rivoluzione francese un'opportunità per sviluppare una società egualitaria strutturata sulla ragione, sulla giustizia e sull'educazione universale. La sua casa londinese era frequentata da una cerchia che comprendeva scrittori come Samuel Taylor Coleridge e filosofi naturali come il chimico Humphry Davy, il poeta e medico Erasmus Darwin e il chimico-inventore William Nicholson. Godwin descrisse le sue idee proto-anarchiche e repubblicane nel fondamentale An Inquiry Concerning Political Justice (1793). Godwin e Mary Wollstonecraft si sposarono nel 1797; la figlia Mary nacque il 30 agosto 1797; dopo pochi giorni la madre morì di setticemia in conseguenza del parto.

Nel giugno 1816 Mary Godwin Shelley aveva ancora 18 anni. Quando concepì l’idea di Frankestein, o il Moderno Prometeo, avrebbe detto poi, l’opera le si formò nella mente come in un sogno. "Con gli occhi chiusi ma una visione mentale acuta", ricordò, "ho visto il pallido studioso di arti indecenti inginocchiato accanto alla cosa che aveva messo insieme”.


La storia è nota a tutti: un filosofo naturale e medico (la parola scienziato ancora non esisteva, perché la coniò l’erudito William Whewell nel 1833), Viktor Frankestein, porta in vita, grazie all’elettricità. una creatura con sembianze umane ottenuta assemblando parti di cadaveri, con conseguenze disastrose. La creatura è senza nome, e solo più tardi sarà identificata con il nome del suo creatore: "Frankenstein" arrivò a rappresentare il mostro tanto quanto il suo creatore.

Terminato quando aveva ancora 19 anni, il romanzo, che fu pubblicato due anni dopo, nel 1818, in forma anonima, non è mai andato fuori stampa. Solo nell’edizione del 1831 Mary Shelley comparve come autrice dell’opera. Da allora, ben poche opere letterarie hanno così conquistato l’immaginario comune, anche perché il mito è stato amplificato da altri media come il cinema, il fumetto, la televisione. È bene anche dire che il mostro subì una trasformazione. Da essere sensibile, ragionatore e articolato i cui crimini derivavano dai suoi maltrattamenti per mano dell'umanità, la creatura si trasformò in un bruto, la cui natura violenta e crudele poteva essere intesa solo come il prodotto della scienza che osava usurpare il divino potere della creazione.


In realtà il Frankenstein di Mary Shelley rifletteva l'interesse dei medici e filosofi naturali dell'inizio del XIX secolo per la dissezione umana e gli esperimenti sugli animali, esplorando le possibilità di generare vita, rianimare gli affogati e i morti recenti e rianimare i tessuti morti con l'elettricità. Questi ricercatori cercavano di far progredire l'umanità e porre fine alla morte e alle malattie attraverso le loro indagini sui "segreti della natura". Nella ricerca del principio vitale, Luigi Galvani (1737-1798), professore di anatomia a Bologna, eseguì una gran serie di esperimenti sulla "elettricità animale" negli anni ‘80 e ’90 del Settecento. Il medico Giovanni Aldini somministrò energia elettrica ai corpi di criminali appena giustiziati. La rianimazione di coloro che sembravano morti appassionava molti.


Mary Shelley mette nella bocca del protagonista queste parole, che riflettono il pensiero del suo tempo:
"Gli antichi insegnanti di questa scienza promettevano impossibilità e non eseguivano nulla. I maestri moderni promettono molto poco; sanno che i metalli non possono essere trasmutati e che l'elisir della vita è una chimera, ma questi filosofi, le cui mani sembrano fatte solo per riempirsi di sporcizia, e i loro occhi per sondare il microscopio o il crogiolo, hanno effettivamente compiuto miracoli”. (…) "Penetrano nei recessi della natura e mostrano come lavora nei suoi nascondigli. Salgono nei cieli; hanno scoperto come circola il sangue e la natura dell'aria che respiriamo. Hanno acquisito poteri nuovi e quasi illimitati; possono comandare i tuoni del cielo, imitare il terremoto e perfino deridere il mondo invisibile con le sue stesse ombre ".
Non c'è da meravigliarsi che queste possibilità siano state l'ispirazione per l'esperimento megalomane di Victor Frankenstein per la produzione di un essere vivente.

Quando Mary incontrò il suo amante e futuro marito, il poeta Percy Bysshe Shelley, c'erano due elementi del carattere di lui che influenzarono il modo in cui avrebbe infine presentato i temi del suo romanzo. Percy Shelley era un radicale politico e un ateo convinto. L'idea di un uomo che interpreta Dio era una naturale estensione delle sue idee. Egli era interessato alla scienza più avanzata, in tutti gli aspetti della filosofia naturale. Percy Shelley era un poeta, ma anche un uomo della nuova era. Era stato educato all'amore per la scienza quando era a Eton. Un suo insegnante, James Lind, catturò la sua immaginazione con gli esperimenti di Galvani con la bioelettricità, in particolare facendo scattare una gamba di una rana attraversata da una corrente elettrica.

La rivoluzione industriale aveva già iniziato a trasformare radicalmente la civiltà occidentale. La scienza sembrava muoversi a un ritmo incalzante e uomini come Percy Shelley che volevano stare al passo dovevano essere sempre informati. Le industrie del ferro, del carbone e del cotone stavano fiorendo, spinte dall'uso del motore a vapore come fonte di energia.

Davy stava usando la nuova scienza dell'elettrochimica per scoprire sempre più elementi chimici. La scienza medica faceva passi da gigante con l'invenzione dello stetoscopio e del galvanometro. Joseph Constantine Carpue condusse la prima rinoplastica e Davy scoprì l'effetto analgesico del protossido di azoto. Nel 1814, quando Mary e Shelley iniziarono la loro relazione, George Stephenson costruì il primo treno a vapore commerciale.


All'inizio del XIX secolo, la magia della scienza sembrava essere un mistero che, con gli strumenti giusti, poteva essere compreso e controllato dall'uomo. Nell'eccitazione, la scienza diventò uno spettacolo. C'erano spesso manifestazioni pubbliche o conferenze, in cui un "professore di filosofia naturale" esponeva quelli che sosteneva essere i suoi esperimenti scientifici.

A Londra, Percy portò Mary a un’esibizione di Monsieur Garnerin (il primo paracadutista) e del suo Theatre of Grand Philosophical Recreations. Lo spettacolo era straordinario, con l’uso dell'elettricità per imitare un fulmine e produrre fuoco dall'acqua. Finì con una meravigliosa esibizione di fuochi d'artificio che non produssero né odore né fumo. Ogni giorno il Times pubblicizzava esperti come il dottor Clutterbuck, che tenevano lezioni di filosofia sperimentale, astronomia, "teoria e pratica della fisica", "chimica degli animali", "materia medica", "filosofia elettrica con applicazione al miglioramento della scienza chimica e della sua applicazione ai fenomeni naturali ". Il pubblico era entusiasta.

Queste persone non erano necessariamente uomini di scienza, spesso erano più vicini ai prestigiatori o ai ciarlatani, ma c'erano anche molte lezioni serie, specialmente alla Royal Institution, che fu aperta al pubblico nel 1811, dove Davy affascinava uomini e soprattutto donne con il suo talento e il suo carisma. C'erano teatri di anatomia che tenevano lezioni di dissezione per studenti di medicina che erano aperti al pubblico in generale.

Fu in questo ambiente di meraviglia raggiungibile che Maria fece dire a Victor Frankenstein:
"Da dove, mi chiedevo spesso, procede il principio della vita? Era una domanda audace, e che è sempre stata considerata come un mistero; eppure con quante cose siamo sul punto di conoscere, se la codardia o la noncuranza non frenano le nostre ricerche”.
Spesso, leggendo alcune notizie di nuovi sviluppi nell’ingegneria molecolare o della medicina da parte di ricercatori senza troppe remore di tipo etico, la creatura di Frankenstein sembra risvegliarsi dal suo ignoto nascondiglio polare, con la faccia di Boris Karloff.


giovedì 27 settembre 2018

Il ritorno del Panace gigante (Heracleum mantegazzianum)


L'epoca vittoriana, accanto alla rivoluzione industriale e alle squallide baraccopoli cittadine, vide anche l’esplosione dell’interesse popolare per la più britannica delle occupazioni, il giardinaggio. L'Impero Britannico in espansione aprì gli angoli più remoti del globo a intraprendenti commercianti di piante e fiori, e si diffuse una specie di mania del collezionismo di specie esotiche in tutta la Gran Bretagna, sia tra gli appassionati dilettanti, sia tra i botanici professionisti. 

A un livello più scientifico, molti botanici vittoriani erano affascinati dall'esplorazione per conoscere la distribuzione delle piante. Molti di loro pensavano che ciascuna specie fosse stata creata in un unico posto e che le piante fossero migrate dal loro punto di origine ai vari luoghi che occupavano attualmente. Tuttavia, questa teoria era difficile da riconciliare con il fatto che i membri della stessa famiglia venivano a volte trovati a migliaia di chilometri di distanza, senza mezzi comprensibili e naturali con i quali avrebbero potuto essere trasportati tra le loro posizioni. Ciò diede impulso a migliaia di spedizioni scientifiche in tutto il mondo, perché l'Impero Britannico non era solo costruito sull'industria, ma anche sull'agricoltura. Centinaia di prodotti vegetali erano vitali per la ricchezza dell'impero: gomma, cotone, legno, cereali, zucchero, tè, semi oleosi, spezie, indaco, frutta e noci erano solo alcuni di questi. La comprensione della distribuzione dei vegetali avrebbe consentito ai botanici di prevedere dove trovare nuove piante preziose e anche di sapere quali piante si potevano trapiantare con successo in nuovi paesi, dove si sarebbero potute coltivate in modo redditizio. Motivi estetici, scientifici ed economici portarono a una crescente importazione di specie alloctone, e ciò non sempre ebbe effetti positivi, come dimostra la vicenda del Panace gigante, o Heracleum mantegazzianum, o Giant Hogweed in inglese.

Long ago in the Russian hills, 
A Victorian explorer found the regal Hogweed by a marsh,  
He captured it and brought it home. 
Botanical creature stirs, seeking revenge. 
Royal beast did not forget. 
He came home to London, 
And made a present of the Hogweed to the Royal Gardens at Kew.

Il Panace gigante è un’Apiacea originaria del Caucaso. Alla fine di agosto del 1890, Emile Levier (medico e botanico svizzero divenuto fiorentino) e Stefano Sommier (botanico italiano di genitori francesi) raccolsero in Georgia i semi di una grande pianta ombrellifera che portarono in Svizzera e in seguito classificarono come Heracleum mantegazzianum in onore dello scrittore, patriota, fisiologo e antropologo Paolo Mantegazza. Diverse spedizioni botaniche, tuttavia, si erano svolte in precedenza nella regione e i semi erano presenti in Europa da decenni. Già nel 1812, in un giardino botanico vicino a Mosca, venne menzionato un Heracleum giganteum. La pianta fu introdotta anche in Inghilterra all'inizio del XIX secolo (nel 1817 nel Royal Botanical Garden di Kew) e la prima menzione della sua naturalizzazione risale al 1828. 

Si tratta di una pianta erbacea imponente, con un’altezza variabile tra i 2 e i 5 metri. Le sue foglie spesso misurano più di 1 m, e possono raggiungere i 3 m di lunghezza (con il picciolo) e fino a 1,5 m di larghezza. Il gambo principale è più o meno scanalato, verde chiaro, tinto di molte macchie viola e beige. Il fusto è cavo internamente. Il suo diametro esterno va da 3 a 8 centimetri (fino a 10 cm). Esso sorregge un'infiorescenza costituita da un'ombrella principale centrale, di circa 50 cm di diametro (fino a 80 cm), composta da 50 a 150 raggi, ciascuno con un'ombrella. Questa ombrella principale è circondata da un numero variabile di ombrelle satelliti più piccole, generalmente posizionate più in alto rispetto all'ombrella principale quando sono mature. L'intera infiorescenza può raggiungere una larghezza di 1,5 m. Ci possono essere una o due più piccole infiorescenze aggiuntive sui rami ausiliari. Nel complesso l’aspetto della pianta è gradevole, e ciò ne ha favorito inizialmente la diffusione a scopi ornamentali, prima che essa mostrasse la sua pericolosità per diverse ragioni, al punto che oggi è considerato una delle specie aliene invasive più pericolose per l’uomo e per la biodiversità degli ecosistemi.


Turn and run! 
Nothing can stop them, 
Around every river and canal their power is growing. 
Stamp them out! 
We must destroy them, 
They infiltrate each city with their thick dark warning odour. 
They are invincible, 
They seem immune to all our herbicidal battering.


La sua pericolosità è legata principalmente alla tossicità cutanea e oculare della sua linfa, che si verifica in presenza o in seguito a radiazione solare diretta o raggi UV. Essa provoca gravi infiammazioni della pelle, con estese lesioni e vesciche, che possono lasciare cicatrici permanenti. A volte può essere necessario il ricovero in ospedale. Piccole quantità di linfa negli occhi possono causare cecità temporanea o anche permanente. Queste reazioni sono dovute alla presenza, nelle foglie, nei fiori, nei semi, nel tronco e nella radice di furanocumarine, o furocumarine, che sono in grado di penetrare nel nucleo delle cellule epiteliali uccidendo le cellule.

Gli effetti fototossici delle furanocumarine sono dovuti all'interazione con il DNA quando assorbono la luce ultravioletta con una lunghezza d'onda tra 320-380 nanometri, cioè nella banda di radiazioni indicata come UVA, che rappresenta il 95% delle radiazioni ultraviolette che raggiungono la superficie terrestre. In queste condizioni, le furanocumarine possiedono l’energia sufficiente per reagire con le basi azotate del DNA, formando composti addotti che le danneggiano. Questi addotti possono quindi continuare a reagire con altre basi nei filamenti di DNA in seguito all'esposizione a ulteriori radiazioni UVA, causando collegamenti incrociati tra i filamenti. Ciò può causare la morte delle cellule e provocare il tipico arrossamento della pelle e le vesciche osservate. A voler essere precisi, le furanocumarine non sono contenute solo nel Panace, perché si trovano anche in lime, limone, pompelmo, pastinaca, finocchio, aneto e in alcuni membri delle Moracee: fotodermatiti simili a quelle indotte dal Panace sono ad esempio frequenti in chi spreme limoni per preparare bibite o long - drink esposto alla luce solare.

Waste no time! 
They are approaching. 
Hurry now, we must protect ourselves and find some shelter 
Strike by night! 
They are defenceless. 
They all need the sun to photosensitize their venom.

Alcuni casi di esposizione alla linfa del Panace sono stati così gravi che chi ne è stato esposto ha richiesto il ricovero in ospedale. I sintomi compaiono alcuni giorni dopo il contatto. La formazione di vesciche può richiedere fino a 48 ore per essere visualizzata. Si consiglia di lavare accuratamente tutte le parti interessate con acqua e sapone e la pelle esposta alla linfa deve essere protetta dalla luce solare per diversi giorni. È consigliabile ricorrere a cure mediche se in seguito si verifica un'infiammazione cutanea. Anche dopo la guarigione, l'iperpigmentazione della pelle a volte rimane per diversi anni e la sua esposizione al sole può fare apparire nuovamente i sintomi, anche senza nuovi contatti con la pianta.


Il Panace di Mantegazza è in grado di diffondersi con estrema rapidità ed è considerato, in particolare nelle isole britanniche e nell'Europa orientale, una delle specie più dannose. Nei territori che colonizza, la pianta invade principalmente ambienti marginali (argini, terreni incolti, bordi forestali, ecc.), dove forma popolamenti monospecifici. Predilige terreni fertili, umidi e profondi, poiché le sue radici possono raggiungere i 3 m. Tollera varie tessiture del terreno e valori di pH compresi tra 6 e 8,5. Vive anche su terreni asciutti e ben drenati. Si trova preferibilmente in luoghi soleggiati. Per quanto riguarda le esigenze climatiche, il Panace preferisce estati calde e umide e inverni freddi (può tollerare temperature fino a - 18 ° C), essendo le temperature invernali necessarie per la germinazione dei semi. L'invasione in habitat ad alto valore di conservazione non è stata registrata, ma la pianta ha requisiti ecologici così ampi da rappresentare un pericolo potenziale per aree di interesse, in particolare nelle zone umide.

Essa tende a formare facilmente popolamenti densi. Grazie alle grandi foglie che generano una densa ombra, causa il deperimento e la distruzione della vegetazione indigena. La radice a fittone consente alla pianta una crescita rapida e una grande capacità di rigenerazione. Il Panace gigante ha un'abbondante produzione di semi: da 5.000 a 100.000 semi per esemplare. Questi sono principalmente disseminati dal vento in un raggio relativamente piccolo: il 75% dei semi si trova entro 120 cm dalla pianta, molto raramente oltre i 10 m. I semi hanno anche la capacità di galleggiare per alcuni giorni, e i fiumi possono quindi essere un vettore di dispersione dei semi a diversi chilometri di distanza. Possono anche essere trasportati da animali. I semi possono rimanere nel terreno per 7-15 anni prima di germogliare alla fine dell'inverno. Anche il trasporto del suolo contaminato da parte dell'uomo è un mezzo di propagazione, così come lo spostamento involontario di semi mediante mezzi di trasporto.

La presenza di densi popolamenti di Panace gigante lungo le sponde riduce la presenza di altre specie e aumenta l'erosione delle rive, soprattutto durante gli inverni in cui la vegetazione è meno presente. Essa causa anche una modifica dei flussi di risorse, modificando le concentrazioni di nutrienti dei terreni invasi. Vi è anche un aumento della biomassa, che è collegato, tra le altre cose, a un più lento tasso di decomposizione dei rifiuti nei siti invasi e quindi a un rallentamento delle dinamiche del ciclo della materia organica.

Fashionable country gentlemen had some cultivated wild gardens, 
In which they innocently planted the Giant Hogweed throughout the land. 
Botanical creature stirs, seeking revenge. 
Royal beast did not forget. 
Soon they escaped, spreading their seed, 
Preparing for an onslaught, threatening the human race.

Per questi motivi la presenza della pianta va segnalata alle autorità, che intervengono per sua rimozione, che viene effettuata secondo rigidi protocolli e con tutte le cautele necessarie, da parte di personale specializzato dotato di indumenti protettivi. Anche una corretta gestione degli scarti aiuta a limitare la dispersione dei semi. 


Come molti miei coetanei avranno capito, il testo di questo articolo è intervallato con i versi di The return of Giant Hogweed, tratto dall'album Nursery Crime dei Genesis (1970). Il testo di questo quasi profetico brano suggerisce che l'attuale diffusione, simile in certi paesi a un’epidemia, è la vendetta della pianta per essere stata allontanata dalla sua terra d’origine, pertanto "La creatura botanica si muove, cercando vendetta”. I Panace giganti "Presto sono fuggiti, diffondendo il loro seme, preparandosi per un assalto, minacciando la razza umana." Speriamo che l'apparente previsione finale della canzone non si esaudisca, perché Peter Gabriel termina dicendo: "Il potente Hogweed viene vendicato, i corpi umani presto conosceranno la nostra rabbia. Uccidili con i tuoi capelli, Hogweed. "

Per fortuna, negli ultimi anni, è stato dimostrato che alcune furanocumarine (nel pompelmo) mostrano diverse attività biologiche tra cui attività antiossidante, antinfiammatoria e antitumorale e promuovono la salute delle ossa sia in vitro che in vivo. In particolare, le furanocumarine esercitano potenti attività antiproliferative contro la crescita delle cellule tumorali attraverso la modulazione di diverse vie molecolari. Forse il nostro gigante ha anche un angolo di cuore buono.

sabato 8 settembre 2018

Davy, chimico e poeta romantico


Sir Humphry Davy (1778-1829), il grande chimico inglese del XIX secolo isolò più elementi di quanti ne fossero stati isolati da qualsiasi altro scienziato fino ad allora. Ciò che oggi è meno noto è il fatto che egli scrisse versi per tutta la vita. Amico dei poeti romantici William Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge e Lord Byron, come loro scrisse poesie sulla natura, l’immaginazione e il sublime. I legami tra scienza e letteratura in epoca romantica furono infatti più stretti e fecondi di quanto si è generalmente portati a pensare. Gli sviluppi nella conoscenza del mondo naturale e il contemporaneo progresso delle scienze sperimentali ebbero un forte impatto sulle opere dei letterati, così come i naturalisti utilizzavano con una certa frequenza immagini letterarie e metafore poetiche negli scritti privati e nelle pubblicazioni scientifiche. Il mondo rivelava le sue meraviglie agli uomini di scienza e a quelli di lettere, che spesso si distinguevano solo per una leggera differenza, un clinamen.

Davy era nato in una famiglia relativamente povera, figlio di un intagliatore di legno. Iniziò a scrivere versi già in gioventù. In questo esempio ritrae la differenza tra l'uomo comune, che trova nella superstizione le spiegazioni per le meraviglie naturali, e il talento scientifico:

While superstition rules the vulgar soul, 
Forbids the energies of man to rise, 
Raised far above her low, her mean control, 
Aspiring genius seeks her native skies. 

Mentre la superstizione governa l'anima volgare, 
proibisce alle energie dell'uomo di salire, 
elevate molto al disopra del suo basso, mediocre controllo, 
il genio ambizioso cerca i suoi cieli nativi. 

Dopo un breve apprendistato come farmacista, nel 1799 Davy iniziò a frequentare l’Istituto Pneumatico a Bristol (Pneumatic Institution for Relieving Diseases by Medical Airs), dove incominciò a farsi conoscere facendo esperimenti con il protossido d’azoto (il gas esilarante) e registrando i suoi effetti nei propri appunti, nelle lettere, nei versi e anche in un testo scientifico.

L’Istituto di Bristol era stato fondato proprio per testare l’efficacia dei nuovi gas che il grande fisico e chimico Joseph Priestley (1733-1804) aveva scoperto e analizzato. Era stato concepito come un centro medico, con annesso un ospedale dove si tentava di curare con i gas i pazienti le cui patologie erano ritenute incurabili, come la paralisi o la tubercolosi. Tramite Thomas Beddoes, che diresse la struttura prima di essere costretto alle dimissioni per le sue idee liberali, Davy entrò in contatto con molti intellettuali, tra i quali Coleridge, che associavano l’uso di gas nella medicina pneumatica a quello che il politico, filosofo e scrittore Edmund Burke chiamò il wild gas della libertà, in un’epoca di forti sconvolgimenti quali le rivoluzioni in America e in Francia. Erano anche gli anni in cui Thomas De Quincey consumava l’oppio e ne diventava dipendente, esperienza descritta nel celebre capolavoro Le confessioni di un mangiatore d'oppio (1821).

Il contributo di Davy alla medicina fu la scoperta che il protossido d’azoto, chiamato anche ossido nitroso (IUPAC monossido di diazoto), N2O, identificato da Priestley nel 1772, non era, come si pensava, mortale quando inalato sotto forma di gas. Nel suo libro Researches, Chemical and Philosophical, Chiefly Concerning Nitrous Oxide, pubblicato nel 1800, egli rilevò che esso attenua considerevolmente la sensazione del dolore, anche quando chi lo assume è ancora semi-cosciente, consigliando il suo utilizzo nella pratica medica. Purtroppo, benché Davy avesse descritto le sue proprietà anestetiche, passarono altri 44 anni prima che esso fosse utilizzato, dapprima nelle estrazioni dentarie e poi nella piccola chirurgia.


Davy fu molto coraggioso, e anche un po’ incosciente, a respirare il gas esilarante quando tutti temevano che fosse fatale, anche se c’è da dire che egli riporta nel testo anche la cronaca di suoi esperimenti altrettanto azzardati con il monossido di carbonio, l’ossigeno, l’idrogeno e altri gas. In una lettera ad un amico datata 10 aprile 1799 scrisse “Ieri ho fatto una scoperta che prova quanto sia necessario ripetere gli esperimenti”. La sua euforica relazione degli effetti della sostanza – “mi ha fatto danzare come un pazzo per il laboratorio, e da allora ha tenuto acceso il mio stato d’animo” – sembrava promettere grandi cose. Beddoes pensava che il protossido d’azoto potesse offrire il mezzo con il quale “l’uomo può, talvolta, arrivare a comandare le cause del dolore e del piacere, con un dominio tanto assoluto quanto quello che ora esercita sugli animali domestici e sugli altri strumenti del suo comodo”. Nel suo libro, Davy più o meno diceva le stesse cose: “Poiché l’ossido nitroso nella sua azione estensiva sembra capace di distruggere il dolore fisico, esso può probabilmente essere usato con profitto durante le operazioni chirurgiche nelle quali non si ha una grande perdita di sangue”. Il problema era che, in quell'epoca, si attribuiva poco interesse al concetto di anestesia, poiché si riteneva che il dolore fosse una parte importante della chirurgia, se non altro perché dimostrava che il paziente era ancora vivo. È impressionante considerare quanti pazienti avrebbero potuto essere risparmiati da inutili sofferenze nei successivi quattro decenni se Davy avesse proseguito lungo questa strada.

Tra il maggio e il luglio del 1800, Davy inalò regolarmente protossido d’azoto. Egli espresse sentimenti di “eccitazione estremamente piacevole” lungo le membra, il petto, le mani e i piedi. Spesso evidenziò una “pienezza” nella testa, sostenne che il suo udito e gli altri sensi diventavano più acuti, descrisse un “senso di potenza muscolare”, “un’irresistibile propensione all'azione” e scrisse che “idee nitide mi passavano per la mente”. Egli parlò della sua esperienza con il protossido d’azoto come di un intenso piacere, sebbene esso si manifestasse in maniere differenti: “talvolta (…) battendo i piedi o ridendo, altre volte danzando per la stanza e parlando ad alta voce”. Sembrava che la creatività fosse potenziata: egli descrisse ciò che definì “emozioni sublimi legate a idee molto lucide” e sperimentò fantasticherie di “immaginazione visiva” che occupavano la sua mente prima del sonno. Successivamente al luglio 1800, Davy abbandonò la sua “abituale pratica di inalazione” anche se continuava “a respirare occasionalmente il gas”, talvolta per “il mero piacere”. Davy aveva nuovi interessi, come la pila di Volta, che avrebbe poi usato per separare sali attraverso quella che oggi viene chiamata elettrolisi. Con alcune batterie in serie isolò il potassio e il sodio nel 1807 e, l’anno successivo, calcio, stronzio, bario, magnesio e boro. Studiò anche le energie coinvolte nella separazione di questi sali, divenendo uno dei padri dell'elettrochimica moderna.

Altri nella cerchia di Davy a Bristol, così come i pazienti dell’ospedale, sperimentarono il gas con risultati simili. Gli effetti del composto furono sperimentati da Coleridge e il poeta Robert Southey, in una lettera indirizzata al fratello il 12 luglio 1799, scrisse che “Davy ha inventato un nuovo piacere per il quale il linguaggio non ha nome”. James Webbe Tobin, membro del circolo e futuro abolizionista della schiavitù, il cui fratello John era un drammaturgo, paragonò l’esperienza a quella della “rappresentazione di una scena eroica sul palcoscenico, o alla lettura di un sublime passaggio poetico, quando le circostanze contribuiscono a risvegliare i più sottili sentimenti dell’anima”. In tutte queste testimonianze, il gas esilarante sembra abbia fornito una particolare ricettività alle qualità più alte della musica, della poesia e del teatro.

Tutte queste presunte qualità decretarono il successo del gas, che in effetti era una nuova droga, tra le classi sociali elevate, in cerca di euforia e deboli allucinazioni. Dal 1799 iniziarono i "laughing gas parties", festini a base di gas esilarante che fortunatamente non diventarono un fenomeno allarmante per la scarsa disponibilità della sostanza. 


I tentativi di Davy di rendere in parole le proprie esperienze con il protossido d’azoto lo portarono a scrivere una poesia che è stata trovata nei suoi appunti. Essa, come altre scritte da lui, non fu mai pubblicata mentre era in vita. Si intitola On breathing the Nitrous Oxide (Respirando l’ossido nitroso):

Not in the ideal dreams of wild desire 
Have I beheld a rapture wakening form 
My bosom burns with no unhallowed fire 
Yet is my cheek with rosy blushes warm 
Yet are my eyes with sparkling lustre filled 
Yet is my mouth implete with murmuring sound 
Yet are my limbs with inward transports thrill'd 
And clad with new born mightiness round. 

Non nei sogni ideali del desiderio senza confini 
ho osservato un’estasi che prendeva forma. 
Il mio cuore non brucia di fuochi divini, 
ma il mio viso di caldo rosato s‘informa, 
ma i miei occhi sono pieni di brillanti bagliori, 
ma la mia bocca è piena di suono fremente, 
ma le mie membra tremano di trasporti interiori 
e sono intorno coperte di potenza nascente. 

Per quanto non si tratti di un capolavoro, l’opera offre un resoconto personale e sincero dello stato fisico e mentale del suo autore dopo l’inalazione del gas esilarante. Essa completa gli appunti e il testo scientifico pubblicato, offrendo una visione più intima delle esperienze del grande chimico inglese con la sostanza. Davy ottenne nel 1801 un posto come docente universitario alla Royal Institution di Londra, proseguendo le sue ricerche scientifiche con crescente popolarità.

Fu a Londra che ricevette una richiesta dai proprietari delle miniere di carbone nel nord-est dell'Inghilterra e si mise al lavoro su una lampada di sicurezza per i minatori. Esistevano già altre lampade progettate in quegli anni, ma la più conosciuta è probabilmente la "lampada Davy".


Folle affascinate seguivano le sue lezioni di chimica alla Royal Institution di Londra negli anni a cavallo tra i due secoli, in cui Davy illustrava le ultime scoperte chimiche. Il pubblico non era solo composto da colleghi scienziati, ma anche da poeti e signore raffinate del West End. Le sue lezioni erano carismatiche ed esplosive (a volte letteralmente, come quando diede una dimostrazione realistica dell’eruzione di un vulcano). Ed erano spesso poetiche. Fu riferendosi alle lezioni di Davy che Coleridge disse che andava alle conferenze di chimica per aumentare il numero di metafore che poteva usare nelle sue poesie. 

Davy era all'avanguardia nella divulgazione scientifica. Con il suo amore per il linguaggio e la poesia dimostrò che era possibile praticare e amare sia la scienza sia le arti in egual misura. La poesia era per lui un modo per esprimere emozioni, pensieri e sentimenti che non avevano spazio nei suoi scritti scientifici. I libri da lui pubblicati potevano tuttavia descrivere esperimenti chimici con un linguaggio chiaramente poetico. 

Nel 1815 Davy avanzò l'idea che gli acidi fossero sostanze contenenti ioni di idrogeno, che potevano essere interamente o parzialmente sostituiti da metalli, ipotizzando che quando tali acidi reagiscono coi metalli, si formano i sali. Sempre secondo questa ipotesi, le basi sarebbero sostanze che, reagendo con gli acidi, formano sali e acqua. Le osservazioni si rivelarono utili ed ebbero ampio consenso per buona parte del XIX secolo. 

Una delle sue ultime composizioni, datata “Ullswater, 4 agosto 1825”, fu scritta durante un ricevimento al castello di Lowther, nel Lake District tanto caro ai romantici, proprio di fronte al lago che aveva ispirato a William Wordsworth, la celebre poesia I Wandered Lonely as a Cloud, conosciuta anche come Daffodils. In quell'occasione era presente anche Wordsworth: fu l’ultima occasione in cui si incontrarono.

La poesia rivela uno stile maturo e una chiara affermazione di ciò che Davy chiamava il suo istinto religioso in azione. La sua intima convinzione era che tutte le manifestazioni del potere spirituale e materiale devono la loro esistenza alla "luce dei soli", un’entità che aveva celebrato fin dalla sua adolescenza: 

Ye lovely hills that rise in majesty 
Amidst the ruddy light of setting suns 
Your tops are bright with radiance whilst below 
The wave is dark and gloomy and the plain 
Hid in obscurest mist. Such is the life 
Of Man. This vale of earth and waters dark 
And gloomy: but the mountain range above 
The skies, the heavens, are bright: there is a ray 
Of evening which does not end in night; 
A Sun of which we catch uncertain gleams 
In this our mortal state, but which 
For ever shines, wakening the spirit of Man 
To life immortal and undying glory. 

Voi adorabili colline che vi ergete maestose 
in mezzo alla luce rossastra dei soli al tramonto, 
le vostre cime brillano radiose mentre sotto 
l'onda è scura e cupa, e la pianura 
nascosta nella nebbia più oscura. Questa è la vita 
dell'uomo, questa valle di terra e acque scure 
e cupe: ma la catena di monti sopra 
i cieli, gli empirei, è luminosa: c'è un raggio 
di sera che non finisce nella notte; 
un Sole di cui cogliamo incerti bagliori 
in questo nostro stato mortale, ma che 
per sempre risplende, risvegliando lo spirito dell'Uomo 
alla vita immortale e alla gloria perenne. 


Davy morì a Ginevra, in seguito a un collasso respiratorio, minato da anni di audaci e imprudenti inalazioni chimiche. Aveva scritto centinaia di poesie. Fu a suo modo celebrato alla fine del secolo nel primo clerihew mai scritto da Edmund Clerihew Bentley (1875-1956), l’inventore di questa concisa forma di biografia umoristica: 

Sir Humphry Davy 
Abominated gravy. 
He lived in the odium 
Of having discovered sodium. 

Sir Humphry Davy 
detestava i sughi grevi. 
Visse nell’odio 
di aver scoperto il sodio.


venerdì 15 maggio 2015

Vaccinismi



C’era un cocciuto signore di Tolentino 
che non volle vaccinare il suo bambino, 
ma un rio bacillo 
gli portò il morbillo: 
povero bambino del cretino di Tolentino! 

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 Se si va all’Equatore per lavoro o per baldorie 
bisogna fare le vaccinazioni obbligatorie. 
Non è una fissazione, 
ma normale prevenzione. 
Chi è contrario vada invece a Medjugorie. 

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Brandendo il suo bio-credo come un'arma 
un tizio denunciava il complotto di Big Pharma: 
morì vicino a Piacenza 
per le complicanze d’una influenza. 
Bastava un’Aspirina, ma era il suo karma,

lunedì 23 febbraio 2015

Ramazzini e le malattie professionali degli intellettuali

Bernardino Ramazzini (Carpi, 1633 – Padova, 1714) è considerato il creatore della medicina del lavoro e della difesa sociale del lavoratore. La sua fama si deve al De morbis artificum diatriba (Padova, 1700), opera di grande e duraturo successo, citata anche da Adam Smith e Karl Marx, rimasta insuperata per un secolo e mezzo e ancora operativamente consultata negli ultimi decenni del secolo scorso. Tra le varie categorie di lavoratori prese in esame, dai minatori ai chimici, dai calzolai ai fabbri, dalle balie ai domatori di cavalli, ha colpito la mia curiosità la lunga Dissertazione delle malattie de' Letterati, dove il termine indica, in una accezione molto vasta, tutti coloro che sono impegnati in attività intellettuali e liberali. Mi avvalgo della traduzione dal latino che fece l'abate Chiari diPisa per l'edizione italiana pubblicata a Venezia nel 1745. Sulla figura e l'opera del Ramazzini consiglio a chi voglia approfondire il bell'articolo pubblicato su Scienza in rete da Franco Carnevale.
“I Letterati, adunque, i quali, come dice il Ficino (de Stud.val.tu, c.3) quantum mente & cerebro negotiosi sunt, tantum corpore otiosi sunt, quasi tutti n’incontrano le malattie della vita sedentaria, se eccettueremo quei Medici, che si portano alle case per visitare l’infermi. Si sa comunemente, che l’uomo divien scienziato con istar a sedere; sedendo adunque giorno, e notte fra’ diletti letterari, non risentono i danni del corpo fin’a che quelle cagioni non conosciute delle loro malattie, avanzatesi ben bello, non gli abbiano confinati nel letto. Già n’accennammo di sopra quai nocumenti arrechi la vita sedentaria onde su di ciò non mi tratterrò più a lungo. (…) 
Infatti, generalmente parlando, tutt’i Letterati sogliono patire di debolezza di stomaco. At imbecilles stomacho, quo in numero magna pars urbanorum est, omnesque pene literarum cupidi & c. diceva Celso. Attesoche quasi niuno ritrovasi che seriamente attende alle lettere, il quale non abbia motivo di lamentarsi della languidezza di stomaco; perché mentre il cervello digerisce quelle cose che l’ardor di sapere, e l’appetito delle scienze gli suggerisce, malamente lo stomaco può digerire que’ cibi che messi dentro vi sono, val a dire per essere distratti gli spiriti animali, ed occupati circa il lavoro dell’intelletto, oppur non influendo pienamente gli spiriti medesimi come ricercherebbe il bisogno verso lo stomaco, a motivo di una gagliarda contrazione delle fibre nervose, e di tutto il sistema de’ nervi impiegati negli studj sublimi. (…) 
Quindi dunque n’anno origine le indigestioni, una quantità di fiati, pallidezza, e macilenza di tutto il corpo per essere abbandonate le parti dal suo succo geniale, in somma tutt’i danni, che vengono dietro una cattiva elaborazione di chilo. Così gli Studiosi a poco a poco, sebben dotati di temperamento allegro, diventano malinconici, e Saturnini, così suol dirsi, che i malinconici sono ingegnosi; ma forse meglio direbbesi che gli ingegnosi diventano malinconici, val a dire per essere consumata la parte più spiritosa del sangue intorno alle specolazioni mentali, e restata dentro la parte più fecciosa, e terrestre. (…)  
Sono adunque soggetti a passioni malinconiche per lo piu i Professori di lettere, e tanto piu se dal suo nascimento averanno incontrato un tal temperamento; così si osserva esser eglino gracili di corpo, di brutta cera, di color piombino, fastidiosi e bramosi di star soli, quei sono veramente letterati. In oltre poco a poco divengon soggetti alla debolezza di vista; poiche leggendo, e scrivendo con occhio fisso non puo esser a meno che non provino lesione della vista, il qual male n’accrescono mentre scrivono con carattere minuto, cosa solita di quei che hanno l’ingegno sottile. (…)  
Nulladimeno si è fuor di dubbio che coloro, i quali sogliono scrivere minuto, si fanno la vista ancor più corta, e poco, a poco si acquistano la cecità; stanteche in tal guisa l’occhio assuefassi a vedere solamente le cose vicine, e la tunica retina da tale assuefazione si ferma in sito piu lontano dalla pupilla, e s’indura talmente, che quella mobilità che la natura ha dato all’occhio si perde. (…)  
Di più gli studenti leggendo, e scrivendo col capo, e col petto piegato, comprimono lo stomaco, e ‘l pancrear, dalla cui compressione lo stomaco riceve lesione, e ne vien impedito il corso libero pei suoi dutti al corso del succo pancreatico, donde dappoi l’economia delle viscere naturali si perturba; un tal istagno del succo pancreatico a motivo della suddetta situazione il Doleo (encycl. Med. L. 3, de morb. abd. c. 11) lo considera come nocivo assai nelle malattie ipocondriache. La nefritide dunque, e l’artritide, che van dietro alla vita sedentaria, si fan compagne delle malattie de’ letterati. (…)” 
Dopo aver citato e discusso Plinio dalla Historia Naturalis (Atque etiam morbus est per sapientiam mori), Platone dal Timeo e Ippocrate, il Ramazzini sostiene, sulla scorta del sapere degli Antichi, che la troppa cura dell’anima (a cui compete il pensiero) non può che indebolire il corpo, con le conseguenti malattie, debolezza, atrofia e vecchiaia anticipata. 

Altri mali colpiscono alcune particolari categorie di intellettuali, come predicatori, filosofi che assiduamente disputano nelle scuole, avvocati e, soprattutto, i Professori dello Studio di Padova, i quali lamentano dolori al petto, voce roca, affanno e asma a causa del continuo parlare a voce alta nelle aule. I politici, poi, spossati dal servizio del Principe, sono assai soggetti all'ipocondria (non si tratta ovviamente dei politici come li intendiamo e conosciamo oggi). 
"Non meno cattiva messe di malattie raccolgono da' suoi studi i Poeti, i Filosofi, i Teologi, tutti gli Scrittori, e gli altri Letterati, occupati circa gli ufizj della mente. I Poeti specialmente a motivo delle idee fantastiche, le quali rivolgono giorno, e notte nella mente, sono storniti, fastidiosi, gracili, come dimostrano i ritratti de' medesimi". 
Questi ingegni sono spesso destinati a morte prematura, come successe ad esempio a Pico della Mirandola. 
"I Mattematici, poi, che sono forzati a tener l'animo separato da' sensi, e quali dal commercio del corpo, per contemplare, e dimostrare, cose astrusissime, e lontane da materialità, quasi tutti sono sbalorditi, pigri, sonnolenti, e come forestieri delle cose del mondo. Perciò bisogna forzatamente che le parti tutte, è tutto il corpo illanguidisca da un certo torpore, non alteramente, che un condannato a perpetua oscurità. Atteso che mentre la mente sta attenta a tali studi, tutta la luce animale n'è rinchiusa nel centro, e si espande per illuminare le parti esterne. Ne' Professori di tal sorta ha luogo di fatto quell'Oracolo d'Ippocrate (1, de dieta, n. 5) Lux orco, tenebrae Iovi: perché mentre il lume degli spiriti si va rivolgendo nelle pari più recondite del cervello, è forza che le parti esterne siano in tenebre, e torpidezza.  
Del resto essendo cotanto utile a ben pubblico, che le persone di senno, e letterate stiano in buona sanità, n'è cosa giusta, che per quanto sia possibile, si conservi la salute de' letterati, e qualora decada dal suo buono stato, vi venga rimessa. (...) Procurino di stare in aria pura, e sana lungi dalle acque stagnanti, e dalla paludi, e da' venti da Ostro, perché così facendo più puri saranno gli spiriti animali, stromenti principali delle operazioni dell'intelletto. (...)  
Perciò ad essi è cosa sana la villeggiatura, e il godere di un'aria più aperta, e variare la maniera di vivere, cioè talor essere in campagna, talor in città temperando così la frequenza del popolo con la solitudine (...). Debbon in oltre riguardarsi da venti gagliardi principalmente dallo Scirocco, e dalla Tramontana, dal freddo dell'inverno difendendo il corpo tutto, ma in specie la testa". 
A questo proposito il Ramazzini loda la moda delle parrucche, che acquistano così un valore salutare oltre che estetico. Riguardo alla dieta, i consigli per i Letterati sono quello di mangiare senza mescolare troppe varietà di cibo, di bere "caccolata" per contrastare la tendenza malinconica, di bere vino, ma senza esagerare. 
"In quanto al governo delle altre cose, per ischivare gl'incomodi del troppo sedere, e star in pie, ogni giorno dovranno fare un moderato esercizio di corpo, se però l'aria sia pura, e serena, e quieti i venti; le fregagioni piacevoli ancora potranno mettersi in uso più frequentemente sì per conservare, che per promuovere la traspirazione, un bagno ancora d'acqua dolce, in specie d'estate quando l'atrabile molesta i letterati, si è molto proficuo: stanteche l'acredine degli umori, in tal guisa si rattempera, e le viscere si ammolliscono. Il tempo più acconcio per bagnarsi sarà su la sera, dappoi potrà prendersi l'alimento, e andar a letto, mercecche gli antichi tenevano questo costume, e quell'ordine. (...)"

Quanto al tempo in cui dedicarsi allo studio, è preferibile la mattina, e non subito dopo aver mangiato, mentre la notte è sconsigliata, sia perché nell'ordine delle cose è fatta per il sonno, sia perché le candele possono sprigionare vapori che danneggiano gli umori del cervello. È consigliato lo studio in una camera grande e ben areata, anche d'inverno, quando ci si opporrà al freddo coprendosi abbondantemente. 
"I letterati dunque applichino bensì agli studj, ma con moderatezza, né con tanta applicazione siano occupati nella coltura dell'animo, da trascurare la cura del corpo, ma tenghino la via di mezzo, in guisa che l'anima e il corpo convivendo fedelmente insieme quali ospite, e albergatore, l'uno soccorra l'altro non già scambievolmente si logorino".
In quanto insegnante di matematica con velleità letterarie, avverto tutti i sintomi descritti, e voi?