Interno di una tipica casa borghese dell’Ottocento inglese, con tetti molto spioventi e un grande portico tutto intorno. Le mura esterne sono decorate con fasce a motivi floreali o geometrici, dipinte in colori accesi. C’è anche una torre ottagonale, e finestre a bovindo. Sul lato rivolto a mezzogiorno, al primo piano, c’è una grande sala, arredata con pesanti mobili scuri, un pianoforte e il pavimento coperto di tappeti. Una luminosa finestra porta sul terrazzo, che domina un elegante giardino fiorito. Alle pareti sono appesi numerosi ritratti. Sono poeti, scienziati, filosofi, tutti accomunati dal fatto di essere stati protagonisti di una stagione irripetibile, in cui scienza e poesia furono legate come mai sarebbe successo in seguito. Non è una raccolta completa: per motivi diversi il proprietario non si è procurato l’immagine di tutti coloro che avrebbero meritato un posto nella galleria. Spicca ad esempio l’assenza di Lewis Carroll, o quella di Edward Lear. In alcuni casi sembra che il collezionista si sia voluto divertire, con gusto vittoriano, a inserire i ritratti di tipi bizzarri, originali, o decisamente pazzi. Come ci si potrebbe aspettare data l’epoca e il criterio scelto per la raccolta, le donne sono poche.
Ogni ritratto racconta una storia che merita di essere conosciuta. Il visitatore trova per questo motivo su un tavolo posto all'ingresso una guida, intitolata Vortici e vertigini, che può sfogliare liberamente, soffermandosi sui personaggi che più lo interessano. Il libro è infatti organizzato in brevi capitoli, secondo un ordine approssimativamente cronologico, che tuttavia possono essere sfogliati in ordine sparso, secondo il desiderio e l’interesse del lettore. Il legame tra di essi non è infatti sequenziale, come se fossero stati scritti e pubblicati separatamente in un diario tematico (adesso magari penseremmo a un blog). In un momento successivo qualcuno ha pensato di riunire i testi relativi ai ritratti, dar loro una veste editoriale e farne quella guida.
Nel prologo, il visitatore trova scritto che il titolo è stato scelto perché le parole vortice e vertigine compaiono di frequente nell'Ottocento. Così, lo spaventoso vortice descritto da Edgar Allan Poe nel racconto Una discesa nel Maelström (1841) è più o meno coevo delle vertigini dei poeti (la “languida vertigine”, o la Vertigine – maiuscola! – indotta dall'apertura di una misteriosa boccetta di profumo orientale in Baudelaire, ad esempio), talvolta legate all'abuso di alcool e/o oppiacei (come in De Quincey), o ai capogiri delle delicate signore e signorine borghesi di fronte alla minima emozione improvvisa.
Ebbene, nella seconda metà del XIX secolo, accanto alle vertigini dei letterati, il concetto di vortice acquistò un particolare interesse nello sviluppo della fisica, svolgendo un ruolo fondamentale nella dinamica dei fluidi, nella nascente teoria dei campi elettromagnetici e nei primi tentativi di sintesi della struttura della materia. Per non parlare dello sconvolgimento degli schemi religiosi e sociali che portò l’idea di evoluzione delle specie e dell’uomo. E i turbamenti della mente e della materia si sono rivelati assieme nella poesia del tempo, forse perché le due parole vortice e vertigine hanno la stessa origine etimologica (dal lat. vèrtere, “girare, volgere”), o, più probabilmente, perché, in quell'epoca di continue scoperte scientifiche e tecnologiche, il poeta rischiava davvero di perdere la testa.
Sempre nel prologo, il lettore trova scritto che la guida che sta sfogliando non ha la pretesa di essere una raccolta di biografie, né tantomeno un saggio di storia della letteratura o di storia della scienza. Lo scopo è diverso: raccontare di persone, idee, scoperte, successi, fallimenti, pazzie, fare da guida al visitatore della galleria soffermandosi anche su aneddoti, particolari curiosi o poco conosciuti, quasi sempre seguendo il filo conduttore del rapporto tra scienza e poesia. La guida non è un libro di storia, ma di storie.
Questa storia inizia nell’aprile 1815 nella lontana isola indonesiana di Sumbawa, dove il vulcano Tambora, uno dei più pericolosi della Terra, si risvegliò dopo una lunga fase di quiescenza, con esplosioni intense e abbondanti emissioni di cenere che oscurarono il cielo dell'intera regione per giorni e provocarono potenti accumuli su tutti i villaggi circostanti. Tre mesi di simili manifestazioni violente provocarono nel Tambora una diminuzione di quota di 1.300 metri; da più dei 4.100 metri originari, l’edificio vulcanico era passato agli attuali 2.850. Complessivamente, vennero proiettati in aria circa 150 miliardi di metri cubi di roccia, cenere e altri materiali, oltre a impressionanti quantità di gas, soprattutto anidride solforosa (SO2). Le continue esplosioni crearono catastrofi in aree lontane anche più di mille chilometri, con una stima di 60-70 mila morti, dovuti sia direttamente all'esplosione che alle pesanti carestie che seguirono il disastro.
L'eruzione del Tambora si andava ad aggiungere ad altri eventi vulcanici recentissimi: nel 1812 era esploso con violenza il Soufrière, nei Caraibi, mentre nel 1814 fu il Mayon, nelle Filippine, ad entrare in attività. Tutte queste eruzioni sparsero enormi quantitativi di cenere e polvere nell'atmosfera, producendo un denso "velo" di polvere vulcanica nella stratosfera, che schermò parte dei raggi solari negli anni successivi, provocando un drammatico raffreddamento del clima terrestre. Agli effetti delle polveri si aggiunsero quelli dell’anidride solforosa che, quando raggiunge la stratosfera, si trasforma in particelle di acido solforico che riflettono i raggi solari, riducendo così ulteriormente la quantità di radiazione solare che raggiunge il suolo terrestre. Inoltre, l’emisfero settentrionale stava attraversando una fase fredda chiamata “piccola età glaciale”, iniziata a metà del XIV secolo e durata fino alla metà del XIX, con temperature medie inferiori a quelle odierne. Come somma di queste circostanze, il pianeta conobbe un'epoca di estati mancate ed inverni gelidi, che ebbero come effetto scarsissimi raccolti e un impoverimento considerevole di vaste aree del pianeta. Il 1816, l'anno successivo all'eruzione, fu ricordato come l'anno senza estate.
Le inusuali condizioni climatiche del 1816 furono disastrose nell'America nord-orientale, e nell’Europa centro-settentrionale, dove la primavera e l’estate furono segnate da grandi tempeste, piogge continue e insistenti, inondazioni, così come da nevicate inusuali e la presenza di ghiaccio in agosto. Il cielo era quasi sempre grigio e talvolta con riflessi giallo-brunastri, come è ben rappresentato dai quadri dipinti in quel periodo da William Turner.
I raccolti furono distrutti e molti capi di bestiame morirono. Il continente, che stava ancora riprendendosi dalle guerre napoleoniche, soffrì per la mancanza di cibo: in Gran Bretagna e in Francia ci furono rivolte per il cibo e i magazzini di grano vennero saccheggiati. Anche nella pacifica Svizzera si registrarono violenze tali da indurre il governo a dichiarare l'emergenza nazionale.
Proprio in Svizzera si trovava nell’estate di quell’anno il poeta e pari del Regno George Gordon Noel Byron, meglio noto come Lord Byron (1788 –1824). Il suo carattere difficile, le sempre più insistenti accuse di bisessualità, altri scandali di ordine morale (incesto con la sorellastra Augusta Maria, dalla quale ebbe una figlia, adulterio, sodomia, amore libero e altro ancora), la vita sentimentale assai poco regolare e la ostentata eccentricità lo avevano circondato di un diffuso sospetto, se non una vera e propria antipatia, tra i membri dell’élite aristocratica e letteraria che frequentava. Così, il 25 aprile, subito dopo la separazione dalla moglie Annabelle (la madre di Ada, futura contessa Lovelace) era partito per un secondo Gran Tour nell’Europa meridionale dopo quello intrapreso tra il 1809 e il 1811. Non avrebbe più rivisto la madrepatria.
Giunto sul lago di Ginevra, si stabilì, insieme al fedele domestico William Fletcher e al giovane medico personale John Polidori, nell'elegante villa Diodati, a Cologny. In una villa non molto distante, alla Maison Chapuis, fu raggiunto in giugno da Percy Bysshe Shelley (1792 – 1822), la sua futura moglie Mary Godwin Wollstonecraft (1797 – 1851) e la sorellastra di lei, Claire Clairmont (1798–1879), allora amante di Byron, incinta di lui e organizzatrice dell’incontro. In quel periodo Byron aveva perso interesse per Claire ma in Percy Shelley trovò un buon amico. Shelley scrisse che la vicinanza di Byron lo portò a raggiungere una propria espressione poetica, e che, un giro in barca fatto insieme, lo ispirò a scrivere l’Inno alla Bellezza Intellettuale.
Il tempo inclemente di quella “gloomy summer” limitò le possibilità della comitiva di fare gite nei dintorni o sul lago. Passavano le serate a leggere insieme un’antologia tedesca di racconti di fantasmi, Fantasmagoriana, finché, il 16 giugno, a Byron venne l’idea di invitare gli amici a scrivere una storia terrificante da leggere nelle sere successive. Il genere “gotico” (caratterizzato da storie soprannaturali di solito ambientate in edifici e cimiteri medievali) era iniziato in Inghilterra con il grande successo de Il castello di Otranto (1765) di Horace Walpole, cui fecero seguito i romanzi di Ann Radcliffe, il cui Misteri di Udolpho (1794) è tra i migliori esempi del genere. Un tipo più fantastico di romanzo gotico che sfruttava horror e violenza fiorì in Germania e fu introdotto in Inghilterra da Matthew Gregory Lewis con Il Monaco (1796).
Non sappiamo se tutti aderirono, né che cosa scrissero. Di certo c’è che in quelle cupe giornate estive del 1816 nacquero in bozza due dei libri più importanti del genere gotico, che, per motivi diversi, lo hanno superato, diventando delle riflessioni sulla condizione umana: Il Vampiro di John Polidori e Frankenstein di Mary Godwin Shelley.
La biografia di John William Polidori (1795 - 1821) è da sola un romanzo gotico, soprattutto verso la fine. Era figlio di Gaetano Polidori, un letterato toscano che era stato segretario di Vittorio Alfieri, emigrato in Inghilterra e stabilitosi a Londra come insegnante di italiano. John, la cui sorella Frances avrebbe sposato l’esiliato Gabriele Rossetti, fu lo zio dei fratelli Rossetti, tra i quali Dante Gabriel e Christina Georgina, nati dopo la sua morte.
Polidori fu educato in una scuola cattolica nello Yorkshire, e successivamente frequentò l'Università di Edimburgo, dove studiò medicina, scrivendo una tesi sul tema molto romantico del sonnambulismo. Ottenne la laurea alla giovane età di 19 anni. L'anno successivo, ancora non ancora legalmente adulto, accompagnò Lord Byron nel viaggio dell’estate del 1816. Il fatto che Byron si sia presto stancato dell'immaturità del suo protetto (“Polly Dolly”) è ben noto, ma Polidori era, in effetti, piuttosto inesperto, scontroso e anche abbastanza piantagrane.
Il giovane, nel settembre dello stesso anno, lasciò la Svizzera per l'Italia, dove viaggiò per molti mesi, tornando in Inghilterra la primavera successiva, ma era scontento della sua professione e pensò di dedicarsi alla giurisprudenza. Nel frattempo, come frutto dell'estate letteraria che aveva passato sul continente, iniziò una breve, ma produttiva carriera di scrittore. La sua prima opera, Un saggio sulla fonte del piacere positivo (1818), manifestò il suo interesse per la psicologia. L'anno successivo pubblicò un volume di poesie, Ximenes, the wreath: and other poems, il romanzo Ernestus Berchtold, e il racconto Il Vampiro.
Quest’opera, ispirata a tradizioni greche e balcaniche, non era certamente un capolavoro, ma stabilì il canone della figura del vampiro come la intendiamo oggi, molto di più del Dracula di Bram Stoker, benché la fama abbia favorito il secondo. Inoltre, essa fu attribuita a Lord Byron quando fu pubblicata sul New Monthly Magazine. Quando scoprì che il racconto stava per essere pubblicato in forma anonima da Byron, Polidori fece di tutto per rivendicare l’opera come sua, ma il sospetto di impostura lo perseguitò da allora in poi.
Il breve romanzo racconta le disavventure del giovane e ricco Aubrey dopo l'incontro con l'enigmatico Lord Ruthven, una creatura gelida e demoniaca, dallo sguardo «grigio e freddo come la morte». Polidori alludeva a Byron stesso, che intendeva sbeffeggiare per una specie di vendetta personale. In Ruthven ci sono già i caratteri che saranno di Dracula, uomo di freddo fascino:
"Nonostante il pallore mortale del suo viso, che mai fu colorato dall’amabile incarnato del pudore, né arrossito da un'emozione vivace, la bellezza dei suoi lineamenti induceva nelle donne l'idea di sedurlo, o di ottenere da lui almeno alcuni segni di ciò che è chiamato affetto”.
Viaggiando con lui a Roma, Aubrey si rende conto che egli possiede un vizio contagioso: il suo "personaggio profondamente depravato" e "i suoi talenti per la seduzione" lo rendono "pericoloso per la società".
Volendo distaccarsi da tale figura, Aubrey va in Grecia, dove si innamora della giovane Ianthe, che gli racconta storie di vampiri. Durante una notte tempestosa, sorprende un uomo che attacca una donna in una casa. Dopo la fuga dell'uomo, scopre inorridito che la donna morta è proprio Ianthe. Tormentato, Aubrey si ammala. È Lord Ruthven che viene a curarlo. Più tardi, durante una spedizione archeologica, Lord Ruthven viene ferito dai briganti. Prima di morire delle sue ferite, Lord Ruthven fa in modo che Aubrey prometta di "non rendere noti a nessun essere vivente [i suoi] crimini e [la] sua morte". Egli giura senza capire. Rovista tra le cose di Lord Ruthven: scopre che è lui ad aver ucciso Ianthe, ed è probabilmente un vampiro.
Aubrey torna a Londra e rimane stupito dall'incontrare Lord Ruthven, vivo e vegeto, sotto il nome di Conte di Marsden. Ruthven ricorda al giovane il suo giuramento. Poco dopo quest'incontro, Ruthven conosce e corteggia la sorella di Aubrey mentre questi, disperato, cade in depressione, e sprofonda nella follia. La sorella di Aubrey e Lord Ruthven si fidanzano; la data delle nozze è fissata per il giorno in cui termina il giuramento. Poco prima di morire, Aubrey scrive una lettera alla sorella, rivelando la natura e il passato di Ruthven. La missiva però non arriva in tempo e i due si sposano. Durante la prima notte di nozze, la sorella di Aubrey viene trovata morta, prosciugata del suo sangue. Ruthven è svanito nel nulla.
L’ultima opera di Polidori, Sketches Illustrative of Manners and Costumes of France, Switzerland, and Italy, resoconto del suo viaggio europeo, fu pubblicata nel 1821 con lo pseudonimo di Richard Bridgens. Quell'agosto, presumibilmente per aver contratto un debito di gioco che non poteva onorare, si suicidò bevendo acido prussico. Aveva venticinque anni.
Mary Shelley crebbe in un ambiente colto e illuminista. Sin da piccola studiò le grandi opere di letteratura, storia e mitologia e studiò francese e latino. Sua madre Mary Wollstonecraft (1759-1797), dopo un'adolescenza passata in una famiglia povera e afflitta dall'alcolismo del padre, si rese indipendente con il lavoro di governante e dama di compagnia e un'istruzione conseguita attraverso studi personali. Nel 1787 si trasferì a Londra e trovò un impiego nel mensile Analytical Review dell'editore e libraio Joseph Johnson. Il suo lavoro le consentì di conoscere il pensiero dei maggiori intellettuali francesi, traducendo articoli degli illuministi d'Alembert, Diderot, d'Holbach, Voltaire, Rousseau (con quest’ultimo fu anche in polemica per la misoginia espressa nell’Émile). In pochi anni divenne un’importante saggista e si affermò come teorica politica influente e controversa. Antesignana del femminismo, Mary Wollstonecraft è nota soprattutto per A Vindication of the Rights of Woman (1792), nel quale sostenne, contro la prevalente opinione del tempo, che le donne non sono inferiori per natura agli uomini, anche se sono socialmente condizionate a un ruolo di inferiorità e di dipendenza. Mary Wollstonecraft sosteneva il diritto delle donne all'autodeterminazione e all'uguaglianza nella sfera intellettuale, pubblica e domestica.
Il padre, William Godwin (1756-1836) individuò nelle istanze politiche sollevate dalla Rivoluzione francese un'opportunità per sviluppare una società egualitaria strutturata sulla ragione, sulla giustizia e sull'educazione universale. La sua casa londinese era frequentata da una cerchia che comprendeva scrittori come Samuel Taylor Coleridge e filosofi naturali come il chimico Humphry Davy, il poeta e medico Erasmus Darwin e il chimico-inventore William Nicholson. Godwin descrisse le sue idee proto-anarchiche e repubblicane nel fondamentale An Inquiry Concerning Political Justice (1793). Godwin e Mary Wollstonecraft si sposarono nel 1797; la figlia Mary nacque il 30 agosto 1797; dopo pochi giorni la madre morì di setticemia in conseguenza del parto.
Nel giugno 1816 Mary Godwin Shelley aveva ancora 18 anni. Quando concepì l’idea di Frankestein, o il Moderno Prometeo, avrebbe detto poi, l’opera le si formò nella mente come in un sogno. "Con gli occhi chiusi ma una visione mentale acuta", ricordò, "ho visto il pallido studioso di arti indecenti inginocchiato accanto alla cosa che aveva messo insieme”.
La storia è nota a tutti: un filosofo naturale e medico (la parola scienziato ancora non esisteva, perché la coniò l’erudito William Whewell nel 1833), Viktor Frankestein, porta in vita, grazie all’elettricità. una creatura con sembianze umane ottenuta assemblando parti di cadaveri, con conseguenze disastrose. La creatura è senza nome, e solo più tardi sarà identificata con il nome del suo creatore: "Frankenstein" arrivò a rappresentare il mostro tanto quanto il suo creatore.
Terminato quando aveva ancora 19 anni, il romanzo, che fu pubblicato due anni dopo, nel 1818, in forma anonima, non è mai andato fuori stampa. Solo nell’edizione del 1831 Mary Shelley comparve come autrice dell’opera. Da allora, ben poche opere letterarie hanno così conquistato l’immaginario comune, anche perché il mito è stato amplificato da altri media come il cinema, il fumetto, la televisione. È bene anche dire che il mostro subì una trasformazione. Da essere sensibile, ragionatore e articolato i cui crimini derivavano dai suoi maltrattamenti per mano dell'umanità, la creatura si trasformò in un bruto, la cui natura violenta e crudele poteva essere intesa solo come il prodotto della scienza che osava usurpare il divino potere della creazione.
In realtà il Frankenstein di Mary Shelley rifletteva l'interesse dei medici e filosofi naturali dell'inizio del XIX secolo per la dissezione umana e gli esperimenti sugli animali, esplorando le possibilità di generare vita, rianimare gli affogati e i morti recenti e rianimare i tessuti morti con l'elettricità. Questi ricercatori cercavano di far progredire l'umanità e porre fine alla morte e alle malattie attraverso le loro indagini sui "segreti della natura". Nella ricerca del principio vitale, Luigi Galvani (1737-1798), professore di anatomia a Bologna, eseguì una gran serie di esperimenti sulla "elettricità animale" negli anni ‘80 e ’90 del Settecento. Il medico Giovanni Aldini somministrò energia elettrica ai corpi di criminali appena giustiziati. La rianimazione di coloro che sembravano morti appassionava molti.
Mary Shelley mette nella bocca del protagonista queste parole, che riflettono il pensiero del suo tempo:
"Gli antichi insegnanti di questa scienza promettevano impossibilità e non eseguivano nulla. I maestri moderni promettono molto poco; sanno che i metalli non possono essere trasmutati e che l'elisir della vita è una chimera, ma questi filosofi, le cui mani sembrano fatte solo per riempirsi di sporcizia, e i loro occhi per sondare il microscopio o il crogiolo, hanno effettivamente compiuto miracoli”. (…) "Penetrano nei recessi della natura e mostrano come lavora nei suoi nascondigli. Salgono nei cieli; hanno scoperto come circola il sangue e la natura dell'aria che respiriamo. Hanno acquisito poteri nuovi e quasi illimitati; possono comandare i tuoni del cielo, imitare il terremoto e perfino deridere il mondo invisibile con le sue stesse ombre ".
Non c'è da meravigliarsi che queste possibilità siano state l'ispirazione per l'esperimento megalomane di Victor Frankenstein per la produzione di un essere vivente.
Quando Mary incontrò il suo amante e futuro marito, il poeta Percy Bysshe Shelley, c'erano due elementi del carattere di lui che influenzarono il modo in cui avrebbe infine presentato i temi del suo romanzo. Percy Shelley era un radicale politico e un ateo convinto. L'idea di un uomo che interpreta Dio era una naturale estensione delle sue idee. Egli era interessato alla scienza più avanzata, in tutti gli aspetti della filosofia naturale. Percy Shelley era un poeta, ma anche un uomo della nuova era. Era stato educato all'amore per la scienza quando era a Eton. Un suo insegnante, James Lind, catturò la sua immaginazione con gli esperimenti di Galvani con la bioelettricità, in particolare facendo scattare una gamba di una rana attraversata da una corrente elettrica.
La rivoluzione industriale aveva già iniziato a trasformare radicalmente la civiltà occidentale. La scienza sembrava muoversi a un ritmo incalzante e uomini come Percy Shelley che volevano stare al passo dovevano essere sempre informati. Le industrie del ferro, del carbone e del cotone stavano fiorendo, spinte dall'uso del motore a vapore come fonte di energia.
Davy stava usando la nuova scienza dell'elettrochimica per scoprire sempre più elementi chimici. La scienza medica faceva passi da gigante con l'invenzione dello stetoscopio e del galvanometro. Joseph Constantine Carpue condusse la prima rinoplastica e Davy scoprì l'effetto analgesico del protossido di azoto. Nel 1814, quando Mary e Shelley iniziarono la loro relazione, George Stephenson costruì il primo treno a vapore commerciale.
All'inizio del XIX secolo, la magia della scienza sembrava essere un mistero che, con gli strumenti giusti, poteva essere compreso e controllato dall'uomo. Nell'eccitazione, la scienza diventò uno spettacolo. C'erano spesso manifestazioni pubbliche o conferenze, in cui un "professore di filosofia naturale" esponeva quelli che sosteneva essere i suoi esperimenti scientifici.
A Londra, Percy portò Mary a un’esibizione di Monsieur Garnerin (il primo paracadutista) e del suo Theatre of Grand Philosophical Recreations. Lo spettacolo era straordinario, con l’uso dell'elettricità per imitare un fulmine e produrre fuoco dall'acqua. Finì con una meravigliosa esibizione di fuochi d'artificio che non produssero né odore né fumo. Ogni giorno il Times pubblicizzava esperti come il dottor Clutterbuck, che tenevano lezioni di filosofia sperimentale, astronomia, "teoria e pratica della fisica", "chimica degli animali", "materia medica", "filosofia elettrica con applicazione al miglioramento della scienza chimica e della sua applicazione ai fenomeni naturali ". Il pubblico era entusiasta.
Queste persone non erano necessariamente uomini di scienza, spesso erano più vicini ai prestigiatori o ai ciarlatani, ma c'erano anche molte lezioni serie, specialmente alla Royal Institution, che fu aperta al pubblico nel 1811, dove Davy affascinava uomini e soprattutto donne con il suo talento e il suo carisma. C'erano teatri di anatomia che tenevano lezioni di dissezione per studenti di medicina che erano aperti al pubblico in generale.
Fu in questo ambiente di meraviglia raggiungibile che Maria fece dire a Victor Frankenstein:
"Da dove, mi chiedevo spesso, procede il principio della vita? Era una domanda audace, e che è sempre stata considerata come un mistero; eppure con quante cose siamo sul punto di conoscere, se la codardia o la noncuranza non frenano le nostre ricerche”.
Spesso, leggendo alcune notizie di nuovi sviluppi nell’ingegneria molecolare o della medicina da parte di ricercatori senza troppe remore di tipo etico, la creatura di Frankenstein sembra risvegliarsi dal suo ignoto nascondiglio polare, con la faccia di Boris Karloff.
Il padre di Karl Marx (1818-1883), Heinrich, un avvocato di successo, era un illuminista, seguace di Kant e Voltaire. Sua madre, Henrietta Pressburg, era originaria dell'Olanda. Entrambi erano ebrei e discendevano da una lunga serie di rabbini, ma, circa un anno prima della nascita di Karl, suo padre, probabilmente perché la carriera professionale lo richiedeva, aderì alla Chiesa Evangelica. Karl fu battezzato quando aveva sei anni. Sebbene, da giovane, Marx fosse più influenzato dalle idee dell'Illuminismo che dalla religione, le sue radici ebraiche lo esposero a pregiudizi che lo avrebbero portato a mettere in discussione il ruolo della religione nella società e contribuito al suo desiderio di cambiamento sociale.
Studiò dal 1830 al 1835 alla scuola superiore di Treviri. Sospettata di ospitare insegnanti e allievi liberali, la scuola era sotto sorveglianza della polizia. Gli scritti di Marx durante questo periodo mostrano uno spirito devoto e una brama di sacrificio di sé a favore dell'umanità. Nell'ottobre del 1835 si iscrisse all'Università di Bonn. I corsi che frequentò erano esclusivamente nelle discipline umanistiche, con materie come la mitologia greca e romana e la storia dell'arte. Partecipava alle normali attività studentesche, combatté a duello, e passò un giorno in prigione per ubriachezza. Si unì a un’accolita di poeti che includeva alcuni attivisti politici. Molti studenti erano stati arrestati; alcuni erano stati espulsi, in particolare a causa di un tentativo di interrompere una sessione della Dieta Federale a Francoforte. Marx, comunque, lasciò Bonn dopo un anno e si iscrisse all'Università di Berlino per studiare legge e filosofia.
Quando Karl Marx iniziò a frequentare l’Università di Berlino, voleva diventare un poeta e drammaturgo. Ben presto capì che i suoi interessi erano altri, ma non senza aver scritto frammenti di un racconto, Scorpion e Felix, una manciata di poesie d’amore e il primo atto di una tragedia romantica in versi, dal criptico titolo di Oulanem, del 1839.
Scorpion e Felix, un romanzo umoristico (Skorpion und Felix, Humoristischer Roman) è l'unico racconto comico di Karl Marx. Scritto nel 1837, quando aveva 19 anni, probabilmente sotto l'influenza del Tristram Shandy di Laurence Sterne, rimase inedito.
Il racconto è narrato in prima persona al tempo presente. La trama ruota intorno a tre personaggi principali, Felix, Scorpion e Merten, alla ricerca delle loro origini. Il romanzo sembra accennare a una polemica ironica contro la filosofia. È stato anche descritto come satirico. Un paragrafo dell’opera appare, in forma leggermente modificata, in apertura de Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte.
Il romanzo non fu mai finito. Solo alcuni capitoli sopravvivono ai nostri giorni. Parti di esso potrebbero essere state bruciate dallo stesso Marx, insieme ad altri suoi primi tentativi letterari. Le parti che sopravvivono sono quei frammenti che Marx avrebbe incluso come supplemento quando pubblicò il suo Libro di Poesie (1837). Con il senno di poi, possiamo dire che il mondo non perse un grande poeta.
Mentre studiava all'Università di Berlino, nel 1836, Marx si innamorò della sorella di un compagno di scuola della sua città natale, Treviri, Jenny von Westphalen. Qui riproduco un estratto da uno dei tre sonetti che le inviò in una lettera, tra molte altre opere in versi che le scrisse.
"Per me, nessuna Fama terrestre
Che viaggia lontano attraverso terre e nazioni
Per tenerli tremanti in schiavitù
Con il suo riverbero remoto
Vale i tuoi occhi, quando splendono pieni,
Il tuo cuore, quando è caldo di esultanza,
O due lacrime profonde che cadono,
Strappate ai tuoi occhi dalle emozioni della canzone”.
Marx scriveva anche di argomenti umoristici. In una poesia intitolata Su una certa testa calva, egli letteralmente gioca con le sue conoscenze classiche per prendere in giro qualcuno che potrebbe aver avuto un certo significato nella sua vita per giustificare tale opera.
"Come un fulmine nato dal fulgore
Brilla dai regni delle nuvole lontano,
Pallade Atena vittoriosa
Uscì dalla testa piena di pensieri di Zeus.
Ciò nonostante, nella giocosità sconfinata,
Sopra la sua testa essa è anche limitata,
E ciò che in profondità egli non poté mai sondare
Brilla visibilmente sul suo cranio".
L’azione di Oulanem si svolge invece in una città alpina dell’Italia, con sette personaggi, tra i quali il viaggiatore tedesco Oulanem e, guarda i casi della letteratura, il cittadino Pertini. Tutti i personaggi sono corrotti e consci della loro corruzione, in uno scenario privo di speranza.
"... il mondo plumbeo rapido ci trattiene,
E siamo incatenati, frantumati, vuoti, spaventati,
Eternamente incatenati a questo blocco di marmo dell'Essere ...
e noi -
Siamo le scimmie di un Dio freddo."
I critici dell’estrema destra religiosa hanno naturalmente parlato di affiliazione giudaico-massonico-satanista del futuro filosofo di Treviri, che sembra rifiutare ogni pensiero di salvezza. Sarà, ma poco più di cent’anni dopo l’opera “satanista” del giovane Marx, sarà un montanaro di nome Pertini a dare l’ordine di fare giustizia del criminale dittatore Mussolini. Nemesi storico-letteraria? Profezia? Caso fortuito?
La poesia del giovane Marx non era limitata a idee di amore, desiderio o gelosia. Incominciavano anche ad apparire temi di critica esistenziale e sociale, espressi nella forma romantica tipica dell’età e dei tempi, con toni talvolta apocalittici. In Sentimenti troviamo ad esempio:
"Comprenderei il cielo
Vorrei disegnare il mondo per me;
Vivere, odiare, intendo
Che la mia stella brilli luminosa"
(…)
"I mondi distruggerei per sempre,
non posso creare nessun mondo;
Poiché al mio appello mai fanno caso".
L'esperienza principale di Marx a Berlino fu l’introduzione alla filosofia di Hegel e la sua adesione ai giovani hegeliani. L’influenza hegeliana nella cultura studentesca rivoluzionaria era elevata, e Marx si unì a una società chiamata il Circolo del Dottore, i cui membri erano profondamente coinvolti nel nuovo movimento letterario e filosofico. La loro figura principale era Bruno Bauer, un giovane professore di teologia, che stava sviluppando l'idea che i vangeli cristiani non fossero altro che delle fantasie umane derivanti da bisogni emotivi e che Gesù non fosse un personaggio storico. I giovani hegeliani iniziarono a spostarsi rapidamente verso l'ateismo e parlavano vagamente di azione politica.
Il governo prussiano, temendo la sovversione latente dei giovani hegeliani, prontamente si impegnò a cacciarli dalle università. Bauer fu destituito dal suo incarico nel 1839. Due anni dopo, i giovani hegeliani erano diventati repubblicani di sinistra. Gli studi di Marx, nel frattempo, erano in ritardo. La sua tesi analizzava secondo i canoni hegeliani la differenza tra il materialismo di Democrito e quello di Epicuro. Il suo consigliere di tesi era Bauer, e la tesi era contestata all'Università di Berlino per l'ateismo dichiarato e gli attacchi espliciti alla teologia. Esortato dai suoi amici, Marx la presentò alla più liberale Università di Jena, dove conseguì il dottorato di ricerca nell'aprile del 1841.
Nel 1841 Marx fu molto colpito dalla pubblicazione di L’essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach. Il suo autore, secondo Marx, criticava con successo l’idealismo hegeliano, che anteponeva la mente e lo Spirito alla materia o all'esistenza storica. Feuerbach, dall'opposto punto di vista materialista, suggeriva che lo "Spirito Assoluto" fosse una proiezione de "l’uomo reale, che sta al fondamento della natura." Da allora gli sforzi filosofici di Marx si rivolsero verso una combinazione della dialettica di Hegel, l'idea che tutte le cose sono in un continuo processo di cambiamento derivante dai conflitti tra i loro aspetti contraddittori, con il materialismo di Feuerbach, che collocava le condizioni materiali sopra le idee.
Nel gennaio 1842, Marx iniziò a collaborare a un giornale appena fondato a Colonia, la Rheinische Zeitung (Gazzetta renana). Era l'organo democratico liberale di un gruppo di giovani commercianti, banchieri e industriali; Colonia era il centro della regione più industrialmente avanzata della Prussia. A questo stadio della vita di Marx appartiene un saggio sulla libertà di stampa e contro la censura.
Il 15 ottobre 1842, Marx divenne direttore del giornale e iniziò a scrivere editoriali su una gran varietà di questioni sociali ed economiche, che andavano dalle abitazioni dei poveri di Berlino, al furto di legna dalle foreste da parte dei contadini, al nuovo fenomeno del comunismo. Nei suoi scritti criticava regolarmente non solo il governo conservatore prussiano, ma anche i socialisti che pensava non capissero che fosse necessaria una reale lotta pratica per la rivoluzione, e che le riforme politiche graduali fossero insufficienti e potenzialmente controproducenti. Allo stesso tempo, si stava allontanando dai giovani hegeliani, per i quali scandalizzare i borghesi era il massimo dell’attività sociale. Marx, disponibile in quel momento con gli "uomini pratici di idee liberali" che stavano "lottando passo dopo passo per la libertà entro i limiti costituzionali", riuscì a triplicare la tiratura del giornale e a renderlo una testata di punta in Prussia. Le autorità prussiane lo sospesero per essere troppo esplicito e Marx accettò di collaborare con il filosofo e scrittore hegeliano Arnold Ruge a una nuova rivista, la Deutsch-französische Jahrbücher (Annali franco-tedeschi), che doveva essere pubblicata a Parigi.
In precedenza, nel giugno 1843, Marx, dopo un fidanzamento di sette anni, aveva sposato Jenny von Westphalen. Jenny era una donna attraente, intelligente e molto ammirata, di quattro anni più vecchia di Karl; proveniva da una famiglia di tradizioni militari e amministrative. Quattro mesi dopo il loro matrimonio, la giovane coppia, che aveva già una figlia, si trasferì a Parigi, che era allora il centro del pensiero socialista e delle sette più radicali, che si definivano comuniste. Lì, Marx divenne per la prima volta un rivoluzionario e iniziò a frequentare società comuniste di operai francesi e tedeschi. Le loro idee erano, a suo avviso, "assolutamente rozze e non intelligenti", ma il loro carattere lo commuoveva: "La fratellanza dell'uomo non è una semplice frase per loro, ma un fatto della vita, e la nobiltà dell'uomo ci illumina dai loro duri corpi temprati dal lavoro", scrisse nel suo cosiddetto Manoscritto economico-filosofico del 1844, rimasto inedito per quasi un secolo.
Gli Annali franco-tedeschi ebbero breve vita, ma, attraverso la loro pubblicazione, Marx ritrovò Friedrich Engels, che aveva conosciuto a Berlino durante il servizio militare di quest’ultimo. Engels diventò un sostenitore che sarebbe diventato il suo collaboratore e protettore per tutta la vita. Nelle pagine della rivista apparve l'articolo Verso la Critica della filosofia hegeliana del diritto, con l’affermazione, spesso citata. secondo cui la religione è "l'oppio del popolo ". Fu in quel testo che iniziò ad applicare la logica della dialettica hegeliana e adattare la critica della religione offerta dai giovani hegeliani alle relazioni economiche, fornendo il quadro per la critica più tarda e più dettagliata dell'economia politica e per il "socialismo scientifico" del Capitale. Egli sollevò la richiesta di una "rivolta del proletariato" per realizzare le concezioni della filosofia. Ancora una volta, il governo prussiano intervenne contro Marx. Fu espulso dalla Francia e partì per Bruxelles, seguito da Engels, nel febbraio 1845. Quell'anno in Belgio rinunciò alla sua nazionalità prussiana e cominciò a lamentare guai finanziari perché dagli Annali non era stato pagato.
I due anni successivi a Bruxelles videro il consolidarsi della collaborazione di Marx con Engels. Engels aveva osservato in prima persona a Manchester, dove si trovava una filiale della ditta tessile di cui suo padre era socio, tutti gli aspetti drammatici della rivoluzione industriale e aveva scritto nel 1844 La condizione della classe lavoratrice in Inghilterra. Era stato un giovane hegeliano e si era convertito al comunismo per il carisma di Moses Hess, che era chiamato il "rabbino comunista". Lui e Marx unirono le loro risorse intellettuali e pubblicarono La Sacra Famiglia (1845), una lunga critica dell'idealismo hegeliano. La loro opera successiva, L’ideologia tedesca, scritta nel 1845-46, conteneva l’esposizione della loro concezione materialistica della storia, che si proponeva di mostrare come, storicamente, le società fossero strutturate per promuovere gli interessi della classe economicamente dominante. Ma non trovò editore e rimase sconosciuto durante le vite dei due autori.
Durante gli anni di Bruxelles, Marx, definì la sua posizione intellettuale. Egli insisteva sul fatto che non si potesse saltare lo stadio della società borghese; il proletariato non poteva semplicemente conquistare il comunismo dall'oggi al domani; il movimento operaio richiedeva una base scientifica, non frasi moralistiche. Polemizzò contro il pensatore socialista Pierre-Joseph Proudhon in Miseria della filosofia (1847), un ficcante attacco al libro di Proudhon sottotitolato Philosophie de la misère (1846). Proudhon voleva unire le migliori caratteristiche di contrari come la concorrenza e il monopolio; sperava così di salvare le caratteristiche delle istituzioni economiche eliminando il male. Marx, tuttavia, dichiarò che non era possibile alcun compromesso tra gli antagonismi in un dato sistema economico. Le strutture sociali erano forme storiche transitorie determinate dalle forze produttive: "Il modo di ragionare di Proudhon - scriveva Marx - è tipico del piccolo borghese, che non riesce a vedere le leggi fondamentali della storia”.
Un'insolita sequenza di eventi portò Marx ed Engels a scrivere l’opuscolo Il Manifesto del partito comunista. Nel giugno 1847 una società segreta, la Lega dei Giusti, composta principalmente da artigiani tedeschi emigrati, si incontrò a Londra e decise di formulare un programma politico. Mandarono un rappresentante a Marx per chiedergli di unirsi alla lega; Marx vinse i suoi dubbi e, con Engels, si unì all'organizzazione, che cambiò il suo nome in Lega comunista e promulgò una costituzione democratica. Il compito di comporre il loro programma fu affidato a Marx ed Engels, che vi lavorarono dalla metà di dicembre del 1847 alla fine di gennaio del 1848. I comunisti di Londra stavano già impazientemente minacciando Marx di un'azione disciplinare quando inviò loro il manoscritto, che essi prontamente adottarono come loro manifesto. Il pamphlet enunciava la proposizione che tutta la storia era stata finora una storia di lotte di classe, riassunta in forma concisa nella concezione materialistica della storia elaborata nell'Ideologia tedesca, e affermava che l'imminente vittoria del proletariato avrebbe messo fine alla società di classe per sempre. Rifiutava la via delle "utopie sociali", piccoli esperimenti in comunità, come l'attenuazione della lotta di classe e quindi come "sette reazionarie". Proponeva alcune misure immediate come primi passi verso il comunismo, che andavano da una tassa progressiva sul reddito, all'abolizione delle eredità, all'educazione gratuita per tutti i bambini. Si chiudeva con le parole: "I proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Hanno un mondo da vincere. Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!"
Questo periodo della vita dei due padri del comunismo è stato descritto nel film Il giovane Marx del regista haitiano Raoul Peck, presentato fuori concorso al Festival di Berlino del 2017. Nella recensione pubblicata su Repubblica in occasione dell’uscita in Italia, nell'aprile 2018, Emiliano Morreale sostiene che “Il Marx raccontato è quello del periodo 1844-1848, dall'incontro con Engels alla stesura del Manifesto, alla vigilia dei moti che sconvolgeranno l'Europa. In mezzo l'espulsione dalla Francia, le difficoltà economiche, i rapporti con Proudhon, le polemiche e la trasformazione della Lega dei Giusti. È un mondo cosmopolita, quello raccontato, in cui i personaggi fra loro parlano inglese, francese e tedesco. (…) Per motivi anche di costo, rimane un po' sullo sfondo la descrizione delle contraddizioni sociali da cui quei movimenti politici partivano, ma in compenso viene fuori un dato non secondario: l'idea di un Marx figlio del Romanticismo, personaggio ottocentesco calato nei moti profondi della sua epoca, a suo modo personaggio da romanzo, non solo analista e teorico, ma anche avventuriero visionario”.
La rivoluzione liberale (e in certi casi patriottica, come in Italia) esplose improvvisamente in Europa nei primi mesi del 1848. Marx era stato invitato a Parigi da un membro del governo provvisorio appena in tempo per evitare l'espulsione dal governo belga. Con la rivoluzione in corso in Austria e in Germania, Marx ritornò in Renania. A Colonia sostenne una politica di coalizione tra la classe operaia e la borghesia democratica, opponendosi per questo motivo alla nomina di candidati indipendenti dei lavoratori per l'Assemblea di Francoforte e schierandosi caparbiamente contro il programma di rivoluzione proletaria sostenuto dai leader dell'Unione dei lavoratori. Era d'accordo con il giudizio di Engels che il Manifesto del Partito Comunista doveva essere per il momento accantonato e la Lega comunista sciolta. Marx insistette sulla sua politica attraverso le pagine della Neue Rheinische Zeitung, appena fondata nel giugno del 1849, che sollecitava una democrazia costituzionale e la guerra contro la Russia. Quando il leader dell'Unione dei lavoratori, Andreas Gottschalk, fu arrestato, Marx ne prese il posto e organizzò il primo Congresso democratico della Renania nell'agosto del 1848. Intanto il re di Prussia aveva sciolto il parlamento di Berlino, Marx incitò alla resistenza armata, allora i liberali borghesi ritirarono il loro sostegno al suo giornale, e lui stesso fu incriminato per diverse accuse, incluso l’invito a non pagare le tasse. La giuria lo assolse all'unanimità, ma egli fu espulso come straniero il 16 maggio 1849.
Espulso anche da Parigi, Marx si recò a Londra nell'agosto del 1849. Sarebbe diventata la sua residenza per il resto della vita, ma il rapporto del pensatore tedesco con la capitale inglese fu molto contrastato e, per molto tempo, egli vi avrebbe vissuto isolato, infelice e povero.
Nel settembre 1833 moriva improvvisamente a Vienna per un’emorragia cerebrale il poeta Arthur Henry Hallam, fraterno amico di Alfred Tennyson (1809-1992) sin dai tempi in cui entrambi studiavano a Cambridge. Fu, per il futuro Poeta Laureato e preferito dalla Regina Vittoria in persona (che lo fece Lord), una perdita gravissima, che gli ispirò l’opera considerata il suo capolavoro, In Memoriam A.H.H, un lungo poema in 131 canti completato nel 1849. Il titolo originale era The Way of the Soul (La Via dell’Anima), che può forse dare un’idea migliore di come l’opera sia il resoconto dei pensieri e delle emozioni dell’autore sull'esistenza e sul mondo. Tennyson considera la crudeltà della natura alla luce del suo pensiero combattuto in tema religioso, molto influenzato dalle scoperte scientifiche del tempo, tra le quali la neonata geologia, che apriva orizzonti temporali prima mai immaginati.
Una delle quartine più citate di In Memoriam si trova nel Canto 56, dove la frase, "nature, red in tooth and claw" (la natura, rossa di dente e artiglio) sembra anticipare di dieci anni le idee di Darwin sulla selezione naturale:
Who trusted God was love indeed
And love Creation's final law
Tho' Nature, red in tooth and claw
With ravine, shriek'd against his creed.
Che pensava che Dio fosse proprio amore
e amore la legge definitiva della Creazione
ma la Natura, rossa di dente e artiglio
con l’abisso, gridava contro il suo credo.
La frase "Nature, red in tooth and claw", quando uscì L’origine della Specie di Darwin (1859), venne presto adottata come motto dai seguaci del naturalista e ampiamente criticata dagli oppositori. Essa divenne un modo di dire, anche se non l’aveva inventata Tennyson. La si trova ad esempio sul periodico The Hagerstown Mail nel marzo del 1837: "Hereupon, the beasts, enraged at the humbug, fell upon him tooth and claw." (Di conseguenza, le bestie, infuriate dall’imbroglio, si lanciarono su di lui con dente e artiglio).
Tennyson sembra preoccuparsi delle difficoltà nel conciliare le leggi della "Natura" con la fede in Dio. Che la Natura abbia "gridato contro il suo credo" anticipa i problemi che più tardi geologi e naturalisti avrebbero dovuto affrontare nello sviluppo di nuove teorie che erano pienamente in accordo con la scienza moderna, ma contraddittorie con la religione.
Nello scrivere il poema, Tennyson fu influenzato dalle idee evoluzioniste della trasformazione delle specie presentate in Vestiges of the Natural History of Creation (anonimo, ma scritto da Robert Chambers), pubblicato nel 1844, una delle opere precorritrici del capolavoro scientifico di Darwin, che aveva causato una tempesta di controversie riguardo alle implicazioni teologiche di una natura impersonale che agisce senza diretto intervento divino. La credenza incondizionata nella verità rivelata, derivata da un'interpretazione letterale della Bibbia, stava già entrando in conflitto con le scoperte emergenti della scienza. Tennyson esprimeva le difficoltà che le idee evoluzionistiche suscitavano per la fede nelle "verità che non possono mai essere provate", mentre credeva all'idea che la ragione avrebbe alla fine armonizzato la scienza e la religione, in quanto non potevano esserci reali contraddizioni. Egli pensava che il progresso umano consiste nell'affrancarsi dallo stato iniziale di superstizione, attraverso il cristianesimo, a una comprensione del suo posto nell'universo basato più sulla ragione e sulla scienza.
Un’ulteriore notevole citazione riguardo agli interessi naturalistici di Tennyson è data dalla quartina che si trova nel Canto 123:
The hills are shadows, and they flow
From form to form, and nothing stands;
They melt like mist, the solid lands,
Like clouds they shape themselves and go.
Le colline sono ombre e scorrono
di forma alla forma, e nulla sta in piedi;
si sciolgono come nebbia, le terre solide,
come nuvole si modellano e vanno.
che fa riferimento alla recente scoperta da parte dei geologi della grande età e della mutevolezza della Terra, una meraviglia scientifica alla base delle idee emergenti sulla natura e sull'evoluzione, ben anticipate dai Principles of Geology di Charles Lyell (1830-33), che fu una delle prime opere a considerare seriamente che la Terra era probabilmente molto più antica della stima biblica di circa 6000 anni, il che significa che i concetti evolutivi che richiedevano grandi tempi erano diventati praticabili. Tennyson usa le immagini geologiche per creare uno sfondo in cui nulla è permanente e ogni oggetto o momento è semplicemente un anello d'una catena evolutiva. L'implicazione è chiara: la conoscenza da parte del poeta della moderna teoria scientifica lo ha portato alla conclusione che gli eventi nella sua vita non sono più importanti o significativi per una "Natura" impersonale e indifferente di qualsiasi altro processo naturale.
Anche in Idylls of the King ci sono accenni alle idee di Tennyson sull'evoluzione:
The old order changeth, yielding place to new,
And God fulfills Himself in many ways,
Lest one good custom should corrupt the world,
Il vecchio ordine cambia, dando luogo al nuovo,
e Dio si realizza in molti modi,
per evitare che una buona abitudine corrompa il mondo,
Oltre a occuparsi di pensiero scientifico, la poesia di Tennyson fa anche numerosi riferimenti alla tecnologia, in particolare allo sviluppo della ferrovia. L'Inghilterra in cui Tennyson nacque nel 1809 era considerevolmente diversa dal paese in cui morì nel 1892. Fu un periodo di grandi e accelerati cambiamenti industriali e sociali, cui Tennyson allude in poemi come Locksley Hall, che tratta (in parte) gli effetti della tecnologia sull'umanità. Una strofa notevole del poema fu scritta dopo che il poeta aveva preso un treno. “Quando andai per la prima volta da Liverpool a Manchester, pensavo che le ruote girassero in un solco ... poi ho scritto questa frase:
Not in vain the distance beckons. Forward, forward let us range,
Let the great world spin for ever down the ringing grooves of change.
Non invano la distanza chiama. Avanti, avanti lasciaci andare,
lascia che il grande mondo giri per sempre tra i solchi del cambiamento.
Le ruote del treno in realtà non scorrono in solchi, ma Tennyson era troppo interessato alle implicazioni della scienza per la vita umana per preoccuparsi di questo particolare. In ogni caso, anche grooves of change divenne un modo di dire celebre in Gran Bretagna.
There methinks would be enjoyment more than in this march of mind,
In the steamship, in the railway, in the thoughts that shake mankind.
There the passions cramp'd no longer shall have scope and breathing space;
I will take some savage woman, she shall rear my dusky race.
Mi sembra che ci sarebbe molta più gioia che in questa marcia della mente,
nella nave a vapore, nella ferrovia, nei pensieri che scuotono l'umanità.
Lì le passioni non più soffocate avranno più spazio e respiro;
prenderò una donna selvaggia, lei corromperà la mia razza oscura.
La preoccupazione di Tennyson risiede nella sua convinzione che le tecnologie moderne promettono progressi ma non riconoscono che la razza umana è "selvaggia". Essa non cambierà in modo significativo, nonostante la tecnologia. Gli sembrava che l'umanità stesse correndo verso il futuro, spinta dal pensiero scientifico e dai progressi tecnologici, avanzamenti che dovevano essere visti con eccitazione e trepidazione, ma anche con cautela. Più di tutti gli altri poeti inglesi dell’Ottocento, Tennyson rappresentò lo spirito della sua epoca e le sue contraddizioni.
George Boole è famoso per i suoi lavori sulla logica matematica, che aprirono la strada allo sviluppo dell’informatica e al mondo contemporaneo. In realtà fu un genio versatile, uno di quelli che nel mondo anglosassone chiamano polymath, termine riservato alle poche persone in grado di eccellere in quasi tutti campi del sapere.
Era nato, primo di quattro figli, il 2 novembre 1815 a Lincoln, in Inghilterra, in una famiglia di mezzi modesti, con un padre che era sicuramente più un buon compagno che un buon capofamiglia. Il padre John era infatti un calzolaio che non dedicava molto impegno alla sua attività, perché nutriva una grande passione per la scienza e la tecnologia, in particolare per l'applicazione della matematica agli strumenti scientifici. Questo amore per il sapere fu chiaramente ereditato da George. John fu infatti il primo insegnante di matematica del figlio, e ne incoraggiò la passione per il sapere. Insieme costruirono macchine fotografiche, caleidoscopi, microscopi, telescopi e una meridiana.
Dopo aver studiato il latino da un insegnante privato, George Boole imparò da solo il greco. A 14 anni era diventato così abile da provocare una piccola polemica. Tradusse un’opera del poeta greco Meleagro, che suo padre orgogliosamente fece pubblicare, suscitando la reazione di un insegnante locale, che dubitò che un quattordicenne avesse potuto scrivere con tanta profondità. A quel tempo George frequentava l'Accademia commerciale di Bainbridge a Lincoln, dove era entrato nel 1828. Questa scuola non forniva il tipo di educazione linguistica e scientifica che avrebbe desiderato, ma era ciò che i suoi genitori potevano permettersi. George fu tuttavia in grado di imparare il francese, l’italiano e il tedesco, studiando da solo anche le materie scientifiche che una scuola commerciale non trattava. La sua capacità di leggere le lingue straniere lo favorì negli studi matematici da quando, a 16 anni, lesse il Calcul Différentiel di Lacroix, ricevuto in regalo da un amico.
Alla stessa età George dovette trovarsi un impiego retribuito per sostenere i genitori e i fratelli, poiché suo padre non era più in grado di provvedere alla famiglia, in quanto la sua attività era fallita. Dopo aver lavorato per tre anni come insegnante nelle scuole private, decise, nel 1834, di aprire una sua piccola scuola a Lincoln. Sarebbe stato un insegnante privato di lingue e matematica per i successivi 15 anni. Con pesanti responsabilità verso la famiglia, è notevole che abbia comunque trovato il tempo di continuare la propria istruzione. John Boole frequentava spesso la Lincoln Mechanics Institution, che era essenzialmente un’associazione culturale che promuoveva la lettura, le discussioni e le lezioni sulla scienza. Era stata fondata nel 1833 dal matematico Sir Edward Bromhead, membro della Royal Society, che viveva a poche miglia da Lincoln. Nel 1834 John Boole divenne il curatore della biblioteca. Senza il beneficio di una scuola d'élite, ma con una famiglia unita e l'accesso a libri eccellenti, in particolare quelli prestati da Bromhead, George mostrò presto le sue doti. Mantenne il suo interesse per le lingue, iniziò a studiare seriamente la matematica, principalmente le equazioni differenziali e il calcolo delle variazioni legate ai lavori di Lacroix, Laplace e Lagrange, perfezionando scrupolosamente le sue abilità con letture ripetute, finché non comprese il loro uso del calcolo differenziale e integrale. Lesse e con profitto anche i Principia di Newton.
La motivazione iniziale di George Boole di studiare matematica era di approfondire la sua comprensione della scienza pratica, in particolare meccanica, ottica e astronomia. Con l'avanzare della sua padronanza dell'argomento, riconobbe che la matematica è estremamente eccitante e creativa a pieno titolo. Nel 1838, scrisse il suo primo articolo matematico (sebbene non il primo ad essere pubblicato), Su alcuni teoremi nel calcolo delle variazioni, concentrandosi a migliorare i risultati della Méchanique Analytique di Lagrange.
All'inizio del 1839 Boole si recò a Cambridge dove conobbe il giovane matematico Duncan F. Gregory (1813-1844), editore del Cambridge Mathematical Journal (CMJ). Gregory aveva fondato questo giornale nel 1837 e lo curò fino a quando la sua salute peggiorò nel 1843 (morì all'inizio del 1844, a soli 30 anni). Gregory divenne un importante mentore per Boole. Con il sostegno di Gregory, che gli insegnò come scrivere un articolo matematico, Boole entrò nel mondo delle pubblicazioni nel 1841.
Nei suoi primi anni di carriera, Boole pubblicò una trentina di articoli, tutti tranne due nel CMJ e, dal 1846, nel The Cambridge and Dublin Mathematical Journal, che ne aveva preso l’eredità. Si occupò di argomenti matematici standard, principalmente equazioni differenziali, integrazione e calcolo delle variazioni. L’articolo del 1841 Sull'integrazione di equazioni differenziali lineari con coefficienti costanti fornì un miglioramento significativo al metodo di Gregory per risolvere tali equazioni differenziali, basato su uno strumento standard in algebra, lo sviluppo in frazioni parziali.
Nel 1841 uscì anche il suo primo articolo sugli invarianti, un’opera che avrebbe persuaso Eisenstein, Cayley e Sylvester a sviluppare l'argomento. Arthur Cayley (1821-1895), futuro professore a Cambridge e uno dei più prolifici matematici della storia, scrisse la sua prima lettera a Boole nel 1844, complimentandosi con lui per l’eccellente lavoro. Diventò un caro amico, che sarebbe andato a Lincoln a trovare Boole e stare con lui negli anni prima che Boole si trasferisse a Cork, in Irlanda. Nel 1842 Boole iniziò una corrispondenza con Augustus De Morgan (1806-1871) che diede inizio ad un'altra costante amicizia.
Nel 1843 Boole concluse un lungo lavoro sulle equazioni differenziali, combinando una sostituzione esponenziale e una variazione dei parametri con il metodo della separazione dei simboli. L’articolo era troppo lungo per il CMJ. Gregory, e più tardi De Morgan, lo incoraggiarono allora a presentarlo come memoria alla Royal Society. Il primo referee respinse il lavoro di Boole, ma il secondo lo raccomandò per la medaglia d'oro per la migliore opera matematica scritta negli anni 1841-1844: questa raccomandazione fu accettata. Nel 1844, la Royal Society pubblicò l’opera di Boole e gli assegnò la medaglia d'oro, la prima attribuita a un matematico. L'anno seguente, nel giugno 1845, Boole tenne una conferenza alla riunione annuale della British Association for the Advancement of Science a Cambridge. Ciò portò a nuovi contatti e amici, in particolare William Thomson (1824-1907), il futuro Lord Kelvin, che era professore di filosofia naturale presso l'Università di Glasgow.
Non molto tempo dopo aver iniziato a pubblicare articoli, Boole era ansioso di trovare un modo per ottenere un titolo in un’istituzione prestigiosa. Valutò l’ipotesi di frequentare l'Università di Cambridge per ottenere una laurea, ma gli fu consigliato che soddisfare i vari requisiti richiesti avrebbe probabilmente interferito seriamente con il suo programma di ricerca, per non parlare dei problemi di ottenere finanziamenti. Alla fine, nel 1849, ottenne la nomina alla cattedra di matematica al Queen's College di Cork, in Irlanda. In questa sede egli insegnò per il resto della sua vita. Boole si inserì nella vita accademica, godendo di un certo grado di indipendenza finanziaria e di un nuovo senso di libertà. A marzo dell'anno successivo scrisse al suo amico e corrispondente William Thomson:
"Posso dire in tutta onestà che provo un piacere sempre maggiore nei miei nuovi compiti".
Nel 1847 pubblicò la sua prima opera di logica, Mathematical Analysis of Logic, seguita da Laws of Thought del 1854. Inoltre, durante questo periodo, Boole pubblicò decine articoli di matematica tradizionale, e solo un articolo di logica. Nel 1851 gli fu conferita la laurea ad honorem presso l'Università di Dublino.
Per capire come Boole abbia sviluppato, in così poco tempo, la sua straordinaria algebra della logica, è utile ripercorrere le linee generali del dibattito sui fondamenti dell'algebra che era stato iniziato dai matematici affiliati all'Università di Cambridge nell'Ottocento prima dell’inizio della sua carriera matematica.
Il XIX secolo si aprì in Inghilterra con una stasi della matematica. I matematici inglesi erano in lotta con i matematici continentali sulla priorità nello sviluppo del calcolo infinitesimale, che portò gli inglesi a seguire la notazione di Newton, e i continentali quella di Leibniz. Uno degli ostacoli da superare nell'aggiornamento della matematica inglese era il fatto che i grandi sviluppi dell'algebra e dell'analisi erano stati costruiti su basi dubbie, e c'erano matematici inglesi che erano piuttosto espliciti riguardo a queste carenze. Nell'algebra ordinaria, a preoccupare era l'uso di numeri negativi e dei numeri immaginari.
Il primo grande tentativo tra gli inglesi di chiarire i problemi fondamentali dell'algebra fu il Treatise on Algebra, 1830, di George Peacock (1791-1858). Una seconda edizione apparve in due volumi, negli anni 1842-1845. Egli divise l’argomento in due parti: la prima era l'algebra aritmetica, vale a dire l'algebra dei numeri positivi (che non consentiva operazioni come la sottrazione nei casi in cui il risultato non era un numero positivo), la seconda era l'algebra simbolica, che non era governata da una specifica interpretazione, come nel caso dell'algebra aritmetica, ma solo da leggi formali. Nell'algebra simbolica non c'erano restrizioni all'uso della sottrazione, ecc.
La terminologia dell'algebra era alquanto diversa nel diciannovesimo secolo rispetto a quanto si usa oggi. In particolare, non si usava la parola "variabile"; la lettera x era chiamata simbolo, da cui il nome "algebra simbolica".
Peacock riteneva che, affinché l'algebra simbolica fosse un metodo utile, le sue leggi dovevano essere strettamente correlate a quelle dell'algebra aritmetica. A questo proposito, introdusse il principio della permanenza delle forme equivalenti, che collegava i risultati dell'algebra aritmetica a quelli dell'algebra simbolica. Questo principio consisteva di due parti:
1. I risultati generali nell'algebra aritmetica appartengono alle leggi dell'algebra simbolica.
2. Ogni volta che un'interpretazione di un risultato di algebra simbolica ha senso nell'impostazione dell'algebra aritmetica, il risultato dà un risultato corretto in aritmetica.
Un interessante uso dell'algebra fu introdotto nel 1814 da François-Joseph Servois (1776-1847), che affrontò le equazioni differenziali separando la parte dell'operatore differenziale dalla parte della funzione algebrica. Con questo nuovo metodo simbolico considerava un'equazione differenziale, per esempio:
e la scriveva nella forma Operatore (y) = cos(x). Ciò si otteneva (formalmente) ammettendo:
Portando a un’espressione dell’equazione differenziale come:
A questo punto entrava in gioco l'algebra simbolica, semplicemente trattando l'operatore D2 - D - 2 come se fosse un polinomio algebrico ordinario. Questa applicazione dell'algebra catturò l'interesse di Gregory, che pubblicò sul suo giornale diversi articoli sul metodo della separazione dei simboli, cioè la separazione tra operatori e oggetti. Egli si occupò anche dei fondamenti dell'algebra, dando un’interpretazione che Boole condivise quasi alla lettera. Gregory aveva abbandonato il principio di Peacock sulla permanenza delle forme equivalenti a favore di tre semplici leggi, una delle quali Boole considerava semplicemente una convenzione di notazione. Sfortunatamente, queste leggi non erano sufficienti a giustificare neanche i risultati più elementari dell'algebra, come quelli che implicano la sottrazione.
In On the foundation of algebra (1839), il primo di quattro articoli di De Morgan su questo argomento apparsi sulle Transactions of the Cambridge Philosophical Society, si trova un tributo alla separazione dei simboli in algebra, e l'affermazione che i moderni algebristi di solito considerano i simboli come denotanti operatori (ad esempio, l'operazione derivativa) invece di oggetti come numeri. La nota in calce:
"Il professor Peacock è il primo, credo, che ha distinto chiaramente la differenza tra ciò che ho chiamato i rami tecnico [sintattico] e logico [semantico] dell'algebra"
riconosceva a Peacock il merito di essere stato il primo a separare quelli che vengono ora chiamati gli aspetti sintattici e semantici dell'algebra. Nel secondo documento di fondazione (nel 1841) egli propose quello che considerava un insieme completo di otto regole per operare con l'algebra simbolica.
La strada verso la fama logica di Boole cominciò in modo curioso. All'inizio del 1847 fu stimolato a iniziare le sue indagini sulla logica da una disputa banale ma pubblica tra De Morgan e il filosofo scozzese Sir William Hamilton (1788-1856) – da non confondersi con il suo contemporaneo, il matematico irlandese Sir William Rowan Hamilton (1805-1865). Questa disputa ruotava attorno a chi spettasse il merito dell'idea di quantificare il predicato (ad esempio, "Tutto A è tutto B", "Tutto A è una parte di B", ecc.). Osservando la disputa a distanza, Boole intuì che i due approcci rivali potevano essere sintetizzati: ogni classe di oggetti poteva essere rappresentata da un singolo simbolo, mentre le relazioni tra classi potevano essere rappresentate da equazioni algebriche che collegavano i simboli. Nel giro di pochi mesi, Boole scrisse la sua monografia di 82 pagine, Mathematical Analysis of Logic, An Investigation of the Laws of Thought on which are founded the Mathematical Theories of Logic and Probabilities, fornendo un approccio algebrico alla logica aristotelica. (Pare che questa monografia e il libro di De Morgan, Formal Logic, apparvero lo stesso giorno nel novembre 1847). Boole stesso descrisse l’opera come:
"Un'indagine sulle leggi fondamentali di quelle operazioni della mente con cui viene eseguito il ragionamento; per dar loro espressione nel linguaggio simbolico di un calcolo e, su questa base, per stabilire la scienza della logica e costruire il suo metodo; fare di quel metodo stesso la base di un metodo generale per l'applicazione della dottrina matematica delle probabilità; e infine per raccogliere dai vari elementi di verità riportati nel corso di queste indagini alcuni probabili indizi riguardanti la natura e la costituzione della mente umana".
Boole accettava pienamente la logica di Aristotele. Gli obiettivi di Boole erano "andare sotto, sopra, e oltre" quella costruzione:
1. Fornendole basi matematiche che coinvolgono equazioni;
2. Estendendo la classe di problemi che poteva trattare mediante la valutazione della validità per la risoluzione delle equazioni;
3. Espandendo la gamma di applicazioni che poteva trattare, ad es. dalle proposizioni che hanno solo due termini a quelle che ne hanno arbitrariamente molti.
Più specificamente, Boole concordava con ciò che aveva detto Aristotele, ma ritenne necessario aggiungere qualche concetto., Boole ridusse le quattro forme proposizionali della logica di Aristotele alle formule sotto forma di equazioni, di per sé un'idea rivoluzionaria. In secondo luogo, nel campo dei problemi della logica, l'aggiunta di Boole della risoluzione di equazioni alla logica - un'altra idea rivoluzionaria - comprendeva la dottrina di Boole secondo cui le regole di inferenza di Aristotele (i "sillogismi perfetti") devono essere integrate da regole per la risoluzione delle equazioni. Terzo, nel campo delle applicazioni, il sistema di Boole poteva gestire proposizioni e argomenti a più termini, mentre Aristotele poteva gestire solo proposizioni e argomentazioni di soggetto-predicato a due termini.
Queste opere ampliarono l'orizzonte della matematica attraverso la logica simbolica. La matematica classica era incentrata sui concetti di forma e numero: quando venivano impiegati i simboli, venivano solitamente interpretati in termini di numero. Boole introdusse l’idea di interpretare i simboli come classi o insiemi di oggetti: lo studio di insiemi definiti di oggetti poteva essere affrontato attraverso la matematica. De Morgan elogiò il lavoro di Boole sulla logica dicendo:
"Il sistema logico di Boole è solo una delle tante prove di genialità e pazienza combinate ... Che i processi simbolici dell'algebra, inventati come strumenti di calcolo numerico, dovrebbero essere competenti per esprimere ogni atto di pensiero e per fornire la grammatica e il dizionario di un sistema di logica onnicomprensivo non sarebbe stato creduto fino a che non fosse stato dimostrato."
In The Laws of Thought, Boole utilizzò testi di Baruch Spinoza (1632-77) e altri filosofi e esaminò questi testi da un punto di vista logico. Perciò Boole rafforzò il ruolo della logica e questo ebbe un impatto importante sulla filosofia, in particolare attraverso il Circolo di Vienna che, nei primi anni ‘20 del Novecento, sviluppò la filosofia analitica. Dopo la morte di Boole furono scoperti numerosi manoscritti che mostrano che egli intendeva pubblicare un altro libro in cui le sue scoperte nella logica dovevano informare la sua visione personale della filosofia.
Sebbene l'algebra logica di Boole non sia l'algebra booleana degli insiemi con le operazioni di unione, intersezione e complemento, tuttavia lo scopo delle due algebre è lo stesso, cioè fornire una logica che contempli equazioni per il calcolo delle classi e la logica proposizionale. Il nome "algebra booleana" fu introdotto da Charles Sanders Peirce (1839-1914), poi adottato dal filosofo di Harvard Josiah Royce (1855-1916) intorno al 1900, e infine da tutti. Si riferiva essenzialmente alla versione moderna dell'algebra della logica, introdotta nel 1864 da William Stanley Jevons (1835-1882), una versione che Boole aveva respinto. Per questo motivo, alla parola "booleano" è preferibile il nome di algebra “di Boole” per descrivere l'algebra della logica che Boole effettivamente sviluppò nelle sue opere.
Boole fu colpito dalle capacità computazionali del suo nuovo tipo di algebra. Era sorpreso di scoprire che la sua algebra poteva essere applicata all'arduo compito di risolvere complessi problemi di logica aristotelica. Non fu la prima persona a confondere la logica con il pensiero, e per molti anni pensò di aver scoperto il modo in cui la mente umana funziona e morì deluso dal fatto di non essere riconosciuto per questo. Ma ciò che aveva effettivamente scoperto è come funziona la logica formale. Aveva sviluppato un modo pratico per rappresentare e risolvere matematicamente complessi problemi logici. Durante la sua vita, non ebbe che la sua algebra sarebbe stata la base per una rivoluzione di grande scala, Tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo, la sua logica trovò una pratica applicazione quando fu ampiamente utilizzata per verificare le implicazioni di contratti assicurativi complessi. Ma la logica booleana trovò la sua vera casa tecnologica a metà del XX secolo, quando il pioniere americano del computer Claude Shannon dimostrò nella sua tesi magistrale che i circuiti elettrici binari (quelli che sono rappresentati come solo o "chiusi" o "aperti") si comportano secondo le leggi dell'algebra booleana. Shannon mostrò che la logica complessa poteva essere rappresentata nei circuiti binari, che divennero la base per i computer digitali.
Durante gli ultimi dieci anni della sua carriera, dal 1855 al 1864, Boole pubblicò altri articoli e due libri di matematica, uno sulle equazioni differenziali e uno sulle equazioni alle differenze parziali, che costituivano il suo primo amore matematico. A Treatise on Differential Equations fu pubblicato nel 1859. Boole fu molto felice quando ricevette la notizia che l'Università di Cambridge aveva adottato questa sua opera lavoro come libro di testo. Tenendo conto dell'impatto del suo lavoro matematico negli ultimi 20 anni, Boole rivide la sua produzione e comprese che molti dei suoi metodi e tecniche in relazione ai problemi di calcolo dovevano essere rivalutati, a causa della loro gamma potenzialmente più ampia di applicazioni. Così si mise al lavoro sul suo quarto e ultimo libro, un libro di testo intitolato A Treatise on the Calculus of Finite Difference. Lo scopo di questo nuovo testo era quello di far luce sulle connessioni tra equazioni alle differenze e equazioni differenziali, mentre metteva a fuoco la potenza dei metodi dell'operatore astratto applicati a una nuova area della matematica.
In questo periodo arrivarono importanti onorificenze, dalla Royal Society (Fellowship, 1857), dalla Cambridge Philosophical Society (Membro onorario, 1858) e dall’Università di Oxford (Doctor Civilis Legis, Alto dottorato honoris causa).
A Cork, nel 1850, il futuro caposcuola della logica algebrica conobbe Mary Everest, che era la nipote del Colonnello George Everest, il Topografo Generale dell’India da cui il monte più alto del mondo prese poi il nome. A partire dal 1852, George Boole divenne l’insegnante privato di matematica di Mary e, quando il padre di lei morì nel 1855 senza lasciarle alcun mezzo di sostentamento, Boole le propose di sposarlo. La cerimonia ebbe luogo l’11 settembre 1855. Nonostante una grande differenza d’età (lei aveva 17 anni di meno), si trattò di un matrimonio felice, dal quale nacquero cinque figlie, una delle quali, Alicia, più tardi maritata Stott (1860-1940), sarebbe diventata una valente matematica, esperta nella geometria dimensionale (fu lei a coniare il termine politopo).
Mary Everest Boole era una donna intelligente, che sopravvisse al marito per 52 anni, durante i quali fu divulgatrice delle idee e delle scoperte di George, con una libertà di spirito e concezioni pedagogiche che l’hanno resa a suo modo un’icona del femminismo. Ella, tuttavia ebbe una grande responsabilità proprio nella sua morte. Vediamo come andarono i fatti, secondo il resoconto che ne diede Alexander Macfarlane in Lectures on Ten British Mathematicians of the Nineteenth Century (New York, 1916):
“Un giorno del 1864 egli percorse a piedi le due miglia dalla sua residenza al College sotto un violento acquazzone, e fece lezione con gli abiti bagnati. La conseguenza fu un’infreddatura con febbre, che ben presto si trasformò in una polmonite e pose fine alla sua carriera (…)”.
Boole non aveva mai goduto di salute robusta. Riguardo alla sua delicata costituzione, Mary Boole disse che soffriva di una "Malattia ereditaria dei polmoni, aggravata dalla residenza in un clima umido, con un sistema nervoso sensibile al massimo grado".
Ciò che la maggior parte delle persone non sa è che George Boole fu assai probabilmente ucciso dall'omeopatia, o almeno da una sua interpretazione eccessivamente letterale. Sfortunatamente per lui, il padre di Mary era stato un fervente seguace delle teorie mediche di Samuel Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia, e gli Everest avevano vissuto per anni nella residenza parigina del medico tedesco in rue de Milan, dove anche la futura signora Boole era diventata una discepola delle sue idee eterodosse.
Mary Boole, affascinata dal principio dei simili, cardine del pensiero omeopatico, e cioè che Similia similibus curantur (I simili si curano con i simili), pensò, forse su consiglio di un medico ciarlatano, che il freddo era la miglior cura per un raffreddore e che bisognava esporre George alle stesse condizioni che lo avevano fatto ammalare. Lo mise a letto e gli gettò addosso alcuni secchi d’acqua fredda. Per la donna questo trattamento, che oggi giudicheremmo crudele e avventato, era perfettamente logico. Per diversi giorni Boole rimase a letto mentre Mary bagnava le lenzuola. Il matematico, geniale ma assai ingenuo, lasciò fare, si ammalò di polmonite e morì. Vano fu il tentativo di un medico, il professor Bullen, chiamato troppo tardi al suo capezzale, di curarlo con metodi tradizionali. Boole morì l’8 dicembre 1864 a soli 49 anni. Il certificato di morte indicò la causa del decesso in una pleuro-polmonite e stabilì che la durata della malattia era stata di 17-19 giorni. Fu sepolto nel cimitero della chiesa di St. Michael a Blackrock, nella contea di Cork.
La veridicità di queste vicende è testimoniata da diverse fonti, tra le quali una significativa lettera scritta dalla figlia più piccola, Ethel sposata Voynich, che diventò una grande intellettuale e scrittrice apprezzata. Ethel non nasconde di attribuire alla madre la colpa della morte del padre:
“(…) Mia sorella Mary Hinton, che fu sua amica, e che raccolse diversi aneddoti sulla famiglia, mi disse che, almeno secondo Mary Ann [la sorella di Boole], la causa della morte prematura di papà fu ritenuta la fede della Signora [Mary Everest Boole] in un certo bizzarro dottore che prescriveva cure con acqua fredda per ogni cosa. Qualcuno, non sono in grado di ricordare chi, pare che sia entrato in casa e abbia trovato il papà “che tremava tra lenzuola bagnate”. Ora, per quanto mi riguarda, sono incline a credere che ciò possa essere accaduto. Gli Everest sembra proprio che fossero una famiglia di gente eccentrica, che seguiva degli eccentrici. Il padre della Signora a quanto pare adorava Mesmer e Hahnemann e la stessa Signora seguì le teorie fino alla morte”.
Di sicuro Hahnemann non avrebbe mai “curato” Boole con il metodo sciocco e disgraziato utilizzato da Mary Everest. Il principio dei simili riguarda i principi attivi, i rimedi, che il medico deve utilizzare per produrre una malattia artificiale simile a quella reale, che ad essa si sostituisce per poi scomparire. Le dosi da utilizzare devono essere ridotte al minimo indispensabile, in modo da minimizzare o annullare gli effetti sfavorevoli. Questi rimedi sono somministrati in dosi infinitesimali e opportunamente “dinamizzati”, al punto che è difficile trovarne traccia nella soluzione acquosa o nello zucchero. L’omeopatia fu la causa della morte di Boole solo perché interpretata in modo aberrante. Utilizzata correttamente, essa semplicemente non avrebbe avuto alcun effetto.