Sant'Agostino afferma di aver visto qualcuno,
che comandava al suo didietro tutte
le scoregge che voleva: e [...] Vives offre
un altro esempio del suo tempo, di scoregge
organizzate, secondo il tono di voce
che loro si rivolgeva.
Montaigne, Essais, 1.20
La Ars honeste petandi in societate (“L’arte di scoreggiare onorevolmente in società”) è un trattato attribuito a un tal M. Ortuinum. Il libro è menzionato da François Rabelais nel VII capitolo del secondo libro di Gargantua e Pantagruel, dove si legge che Pantagruel arriva a Parigi e, “dopo aver assiduamente studiato le sette arti liberali”, visita la biblioteca di San Vittore e “giudicò che la biblioteca era magnifica, specialmente per certi libri che vi trovò”. L’autore fornisce un elenco di 135 volumi in essa custoditi, tra i quali figura anche il trattato. L’elenco dell’umanista Rabelais è evidentemente parodistico e molti dei titoli presentano numerosi riferimenti scatologici, come il De modo cacandi (“Sul modo di cacare”) di un tal Tartaretus o l’anonimo Cacatorium medicorum (“Cesso dei medici”); altre opere sono invece parodie culinarie, come il De modo faciendi boudinos (“Sul modo di fare i budini”) di un certo Major o il De optimitate triparum (“Sull’eccellenza delle trippe”), attribuito addirittura al venerabile Beda. Simili titoli hanno da sempre indirizzato la critica a giudicare l’intero elenco come frutto della fantasia di Rabelais.
Se la biblioteca di San Vittore esisteva davvero nel XVI secolo, i titoli elencati da Rabelais, al contrario, si riferiscono più spesso a libri immaginari e servono a denunciare lo spirito antiumanista dei monaci parigini, che avevano preso di mira, tra gli altri, Erasmo da Rotterdam. L'interpretazione più comune di questa Ars petandi, formulata da Paul Lacroix in Le catalogue de la bibliothèque de l'abbaye de Saint-Victor au seizième siècle (1862), vuole che Rabelais qui si prenda gioco di Arduino di Graës (Ortuinum Gratus), teologo di Colonia e feroce oppositore dell'umanesimo. L'idea di attribuirgli il trattato sarebbe venuta dal fatto che era “Maestro di arti liberali” (bonarum artium professor), e il tema del peto sarebbe stato suggerito dall'equivoco, per le orecchie francesi, del titolo di un opuscolo pubblicato nel 1525: Fasciculus rerum expetendarum ac fugiendarum (Piccolo trattato delle cose da cercare e da evitare).
Questo
non è tuttavia il caso dell’opera di Ortuinum. Sebbene dell’autore non si
sappia nulla, e le attribuzioni a un umanista tedesco in vena di scherzi,
contemporaneo di Rabelais, non hanno retto alle verifiche stilistiche e
lessicali degli esperti, il trattato è noto da secoli, a partire dal
ritrovamento nel 1923 di una manoscritto nell’abbazia benedettina di Reichenau,
sul lago di Costanza, e, successivamente, con variazioni minime, a Cracovia, Erfurt,
Lione e Codogno.
La
copia di Lione è persino un esemplare a stampa, Ars petandi in societate,
cum scholiis, F. R. M., Lyon, apud Seb. Gryphium, 1532, scoperta in
un fondo bibliografico dallo storico letterario e scrittore canadese Claude La
Charité nel 2008. Secondo La Charité, l'identità dell'autore non è rivelata sul
frontespizio o nel corpo dell'opera, ma l'edizione è corredata da scolii
di un certo "F.R.M.". Questa firma, indicante il medico François
Rabelais (Franciscus Rabelaesus Medicus) comparirebbe proprio nelle
lettere di dedica inserite in capo alle edizioni che Rabelais curò in latino
per lo stesso editore lionese, Sébastien Gryphe. Il trattato, scritto in
latino, è composto da sei parti (De flatibus et crepitis, De crepitis
et de regimine sanitatis, De natura crepitandi et de arte petandi, De
peditis ac eorum generibus, De decoro et de apte petandi arte e Encomium
pediti) per un totale di 64 pagine, ma, alla fine, si rivela per quello che
è: uno scherzo erudito del letterato del Québec, che rivela in modo criptato la
propria identità in una citazione finale tratta dalla prima lettera di San
Paolo ai Corinzi: αγάπη ου ζητεί τα εαυτής (la carità non cerca il proprio
interesse).

L’esemplare di Cracovia fu oggetto negli anni sessanta di un piccolo studio del filosofo e critico letterario sovietico Michail Michailovič Bachtin, tra le altre cose esperto di Rabelais, che mise in evidenza come l’opera sia anteriore alla fine del XIII secolo, sia nata in ambiente monastico, e rifletta e tradizioni del Carnevale (come del resto tutte le opere da lui prese in considerazione, dalle frammentarie cronache ecclesiastiche dell’alto medioevo ai romanzi di Thomas Mann, al Tractatus di Wittgenstein, ai testi di Domenico Modugno).
Più
approfondita è stata la trattazione della filosofa e filologa inglese Eleanor
Morris, che ritroviamo come prefazione alla prima edizione a stampa, curata
dall’Oxford University Press nel 1976 con il titolo The Choice of
Appropriately Farting in Society, che ha riconosciuto le profonde influenze
tomiste sull’autore, sia esso Ortuinum o chi per lui. Morris è stata la prima
commentatrice ad aver scelto di tradurre il latino Ars non come Arte, ma
come Scelta (choice), volendo sottolineare l’azione come libera volontà
del soggetto.
Secondo
Ortuinum, l'attività centrale della ragione pratica è la deliberazione su cosa
fare, soprattutto al sabato sera. Non si avrebbe bisogno di deliberare a meno
che non ci si trovasse di fronte a possibili alternative per l'azione (tipi di
opportunità) tra le quali si deve scegliere (nel senso che non si possono fare
entrambe le cose contemporaneamente) e si può scegliere. I criteri che sono le
guide appropriate per le proprie deliberazioni, scelte e azioni forniscono tale
indirizzo, non prevedendo ciò che si farà, ma dirigendo ciò che si dovrebbe
fare. Non ci potrebbe essere alcuna normatività, nessuna direttività pratica
che guidi la scelta, a meno che le scelte libere non siano realmente
possibili.
La
posizione di Ortuinum è, secondo la Morris, che non tutte le nostre attività
sembrano scelte liberamente: vi sono infatti “atti della persona umana”, forse
abbastanza frequenti, che non sono “atti umani” in senso proprio (liberamente
scelti) ma piuttosto spontanei e non deliberati, come quando si starnutisce o
si defeca. Né gli atti scelti devono essere immediatamente preceduti dalla
scelta: molti dei propri atti sono il frutto di scelte che sono state fatte in
passato e non hanno bisogno di essere rinnovate o ripetute ora, poiché nessuna opzione
appare attraente (l’uomo può rimpiangere un eccesso di lenticchie o cipolle la
sera precedente, ma non può tornare indietro). È che si può essere, e spesso ci
si trova, in una posizione tale che, di fronte a due o più possibilità
(compresa forse l'opzione del “non fare”), non c'è niente, né dentro né fuori
la propria costituzione personale, che determina la propria scelta, oltre alla
scelta stessa.
Ortuinum
intende la libertà delle nostre scelte come una realtà tanto primaria quanto
metafisicamente e concettualmente irriducibile, come la realtà delle leggi
fisiche, e pone tutte le sue riflessioni sulla morale e sulla ragion pratica
sotto il titolo di “dominio dei propri atti”. Pertanto, emettere un peto in
mezzo agli altri è un atto di libera scelta, anche quando sembra una
coercizione del nostro corpo, cioè della Natura stessa. Trattenerlo, con il
conseguente ribollio dell’intestino e la sofferenza che nasce da questo fatto,
sarebbe un peccato di hybris. Se non ci fosse tale libertà e
autodeterminazione, non potrebbe esserci alcuna responsabilità (colpa, merito,
ecc.), e nessun senso o contenuto a qualsiasi dovere (normatività) di cui si
occupa l'etica. L’espulsione di venti corporali è una scelta che, se viene
attuata, non può comportare un giudizio morale o di opportunità sociale, purché
venga intrapresa consapevolmente e onorevolmente.
A
parere di Morris, Ortuinum riunisce in una sintesi potente (anche se esposta in
modo confuso) una lunga tradizione di analisi degli elementi di comprensione
(ragione) e risposta intelligente (volontà) che costituiscono la deliberazione,
la scelta e l'esecuzione della scelta. L'analisi mostra la centralità
dell'intenzione nella valutazione delle opzioni e delle azioni. In senso
stretto, l'intenzione è sempre dei fini, e la scelta è dei mezzi; ma poiché
ogni mezzo è anche un fine relativo a un mezzo più prossimo, ciò che si sceglie
quando si adotta una delle due o più proposte per la propria azione, è
giustamente detta essere ciò che si intende, ciò che si fa con l'intenzione.
Un’azione è paradigmaticamente ciò che si intende essere; vale a dire, la sua
descrizione moralmente primaria - prima di qualsiasi valutazione o predicato
morale - è la descrizione che ha avuto nella deliberazione con cui si plasmava
la proposta di agire in tal modo. Il modo di pensare di Ortuinum è questo: gli
atti sono specificati dai loro oggetti, dove “oggetti” ha il significato focale
di fine prossimo come previsto dalla persona deliberante e agente.
Naturalmente, al comportamento implicato in quell'atto possono essere date
altre descrizioni alla luce di convenzioni di descrizione, o aspettative e
responsabilità, e così via, e all'una o all'altra di queste descrizioni può
essere data priorità per legge, consuetudine o qualche altro speciale interesse
o prospettiva. Tuttavia, il peto volontario trascende, o precede, ogni
considerazione di ordine morale, legale o sociale.
La
coscienza, secondo Ortuinum, non è un potere o una presenza speciale dentro di
noi, ma è la nostra intelligenza pratica all'opera, principalmente sotto forma
di una serie di giudizi sulla ragionevolezza (giusto) o irragionevolezza
(sbagliato) dei tipi di azione (tipi di opzione). Infatti, poiché è logicamente
impossibile che si possa essere consapevoli che il proprio presente giudizio di
coscienza è errato, contrapporsi al proprio fermo giudizio di coscienza è
contrapporsi ai beni di verità e di ragionevolezza, e ciò non può non essere
errato. La scoreggia in società è pertanto un atto onesto, deliberato e
cosciente, che, se può provocare qualche disagio (la puzza, ma la sensibilità
medievale per gli odori era assai diversa da quella dei nostri nasini raffinati)
va comunque inteso come libera adesione alla volontà divina.
Tra
le fonti:
La Charité, C. (2008). Rabelais et l’art de péter honnêtement en société. Contre-jour, (16), 111–124,
Finnis, John, Aquinas’ Moral, Political, and Legal Philosophy, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2021 Edition),
Edward N. Zalta (ed.),