Visualizzazione post con etichetta assioma della scelta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta assioma della scelta. Mostra tutti i post

lunedì 11 dicembre 2017

“Pietroburgo” e il paradosso di Banach-Tarski.

La copertina dell'edizione di Adelphi

Come far passare la voglia di costruire ponti


Il moscovita Andrej Belyj, pseudonimo di Boris Nikolaevic Bugaev (1880-1934), è stato un poeta e romanziere, teorico del movimento simbolista in Russia nei primi decenni del ‘900. La sua opera più nota è il romanzo Pietroburgo, inizialmente pubblicato a puntate tra il 1913 e il 1914 e poi in forma rivista e abbreviata nel 1922 (la prima edizione italiana comparve da Garzanti nel 1961, con traduzione e saggio introduttivo di Angelo Maria Ripellino, e fu poi riedita nel 2014 da Adelphi). Secondo Vladimir Nabokov (1899-1977), Pietroburgo fa parte dei quattro più grandi capolavori del ventesimo secolo, accanto a l’Ulisse di Joyce, a La Metamorfosi di Kafka e Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Nonostante tale prestigioso elogio, l’opera ha diviso la critica: a Trotsky non piacque, e altri non apprezzarono il suo stile modernista, le metafore insistite, l’atmosfera cupa e apocalittica. Per saperne di più invito a leggere la splendida recensione che scrisse Pietro Citati quando l’opera fu pubblicata da Adelphi.

La critica più recente (Citati lo accenna) ha messo in evidenza l’utilizzo frequente nel testo dell’immaginario matematico, il che non sorprende se si pensa che Belyj, oltre a essersi laureato in scienze naturali, era figlio di Nikolai Bugaev (1837-1903), allievo di Weierstrass e Liouville, fondatore della scuola matematica di Mosca, una delle più attive sullo scenario europeo del Novecento. Inoltre, suoi compagni di Università erano stati due studenti del padre: Nikolai Luzin (1883-1950), che avrebbe retto la scuola matematica moscovita per molti anni, e Pavel Florenskij (1882-1937), figura geniale del milieu spiritualista russo, matematico, prete ortodosso, scrittore, scienziato, filosofo e mistico. Anche Belyj fu a lungo influenzato da questo contesto, approdando all’antroposofia di Rudolf Steiner.

Una delle più ricorrenti immagini presenti in Pietroburgo è quella di una sfera che si espande e alla fine esplode. Ecco alcuni esempi, tratti dai pensieri del protagonista, Nikolaj Apollonovic Ableuchov:
“Il suo cuore prese a martellare e si espanse, mentre nel suo petto crebbe la sensazione di una sfera cremisi sul punto di rompersi in pezzi”
“la sua anima stava diventando la superficie di un’enorme bolla in rapida crescita, che si era gonfiata fino all’orbita di Saturno. Oh, oh, oh! Nikolaj Apollonovic fu percorso da brividi. Venti soffiarono sulla sua fronte. Tutto stava esplodendo”
Questa metafora è stata interpretata in vari modi, dall’ansia per una catastrofe imminente, personale o collettiva, a un simbolo della bomba che il protagonista si è impegnato a utilizzare per conto di un gruppo rivoluzionario contro il proprio padre, odiato e decrepito funzionario imperiale Apollon Apollonovic Ableuchov. Mancava, pensate un po’, un’ardita interpretazione matematica, che due ricercatori americani, Noah Giansiracusa e Anastasia Vasilyeva dello Swarthmore College (PA) hanno pubblicato il 16 ottobre scorso in un paper su ArXiv (From Poland to Petersburg: the Banach-tarski Paradox in Bely’s modernist novel).

Secondo i due autori, esiste un collegamento tra l’immagine della sfera in espansione e il cosiddetto paradosso di Banach-Tarski, che fu pubblicato una decina d’anni dopo la prima versione del romanzo (nel 1924). La sfera che si espande sarebbe in collegamento con il famoso, paradossale, teorema dei due matematici polacchi Stefan Banach e Alfred Tarski, di cui mi sono occupato in un articolo precedente, secondo il quale, applicando l’assioma della scelta, si può suddividere una sfera piena (una palla) nello spazio tridimensionale in 5 parti, in modo che sia possibile ricomporre con questi pezzi due sfere entrambe perfettamente identiche alla sfera iniziale prima della suddivisione. Una versione analoga dimostra che è possibile suddividere una sfera piccola (ad es. una pallina da golf) in modo tale che i pezzi ottenuti, una volta assemblati, possano ricomporsi in una sfera più grande, magari delle dimensioni di Giove.

Il teorema di Banach Tarski: la sfera iniziale viene suddivisa e poi ricomposta in due copie identiche a se stessa
Giansiracusa e Vasilyeva si chiedono se Belij possa essere stato influenzato da versioni originarie del teorema, giunte chissà come dalla Polonia a Mosca, o addirittura se la lettura di Pietroburgo possa aver ispirato Banach e Tarski. Essi stessi ammettono che la risposta è “probably not,” nondimeno si preoccupano di tracciare gli sviluppi storici che potrebbero aver creato queste coincidenze. La premessa contenuta nell’Abstract iniziale merita una citazione:
“Belij credeva nelle corrispondenze spirituali e nelle predizioni mistiche, così, allo stesso modo, esploriamo anche le (talvolta sorprendenti) coincidenze che uniscono Pietroburgo al paradosso di Banach-Tarski. Questo articolo è la vera storia, parte storia e parte mistero, di un legame improbabile tra matematica e letteratura”.
Belij durante il viaggio in Sicilia nel 1905
Dopo questa allarmante premessa, l’articolo procede affrontando il teorema da un punto di vista matematico, poi analizzando il contesto in cui nacque (il dibattito sui risultati di Cantor, sull’assioma della scelta e la nascita della cosiddetta Scuola Polacca) e l’ipotetico “ponte” che sarebbe stato rappresentato dalla forzata permanenza a Mosca di Waclaw Sierpinski (1882-1969), il quale, allora insegnante a Lublino e già famoso specialista degli insiemi cantoriani e paradossi geometrici, allo scoppio della Prima guerra mondiale (1914), si trovava in Russia con la famiglia. Poiché sia l’impero austriaco sia quello russo tentavano di utilizzare la questione polacca come arma politica, egli fu arrestato e internato in un campo di prigionia, ma poco dopo fu liberato grazie all'intervento dei matematici russi Dmitrij Egorov e Nikolaj Luzin (amico di Belij). Sierpinski trascorse così gli anni della guerra a Mosca, collaborando soprattutto con Luzin, fino a quando tornò in Polonia nel 1918.

Ora, il fatto che Luzin conoscesse sia Belij sia Sierpinski è un legame talmente lasco che Giansiracusa e Vasilyeva sono costretti ad ammettere che “le somiglianze (...) tra le sfere in espansione nell’opera di Belij e di Banach-Tarski sono semplicemente una coincidenza”, anche perché compaiono già nelle prime versioni di Pietroburgo, date alle stampe, come si è detto, prima dell’arrivo a Mosca di Sierpinski e, giova ripeterlo, assai prima del 1924, anno in cui comparve lo storico teorema di Banach e Tarski. Ce ne sarebbe abbastanza per alzare bandiera bianca e ritirarsi dopo un’onorevole sconfitta. Invece no. I due autori dell’articolo si fanno allora esperti in analisi del testo (per fortuna non in senso strutturalista: ci mancava anche quello), ma per riportare alcuni brani di Pietroburgo che presenterebbero somiglianze con il teorema e - udite! udite! - “alcune previsioni e coincidenze che riguardano Belij e che altri studiosi hanno notato”. Il brano più significativo è questo:
“Una bomba è una rapida espansione di gas. La sfericità dell’espansione evocò in lui un terrore primordiale, a lungo dimenticato. Nella sua fanciullezza era stato soggetto a deliri. Nella notte, una piccola bolla elastica si materializzava talvolta di fronte a lui e rimbalzava intorno - fatta forse di gomma, forse della materia di strani mondi. [...] Gonfiandosi orribilmente, spesso assumeva la forma di un grasso compagno sferico. Questo grasso compagno, essendo diventato una sfera molesta, continuava a espandersi, espandersi ed espandersi e minacciava di precipitare addosso a lui. [...] Ed esplodeva in pezzi. Nikolenka incominciava a gridare cose senza senso: di incominciare anche lui a diventare sferico, che era uno zero, che tutto in lui si stava azzerando - azzerandO - zerO - O - O”.
E allora? Dov’è la sfera che si decompone in cinque parti e si duplica? Dove sono queste parti composte da insiemi di punti, che in realtà non possiedono alcuna misura? Queste nuvole di punti senza numero, senza volume, sono riconoscibili nell’accenno allo zero che si ritrova nel brano citato? Non ci sono, ma esistono invece, nell’ultima sezione dell’articolo, delle “coincidenze cosmiche”:
- il rivoluzionario doppiogiochista che consegna al protagonista la piccola bomba preparata per assassinare il padre si chiama Lippanchenko. Ebbene, Belij dichiarò di aver modellato la sua figura su quella dell’agente provocatore Evno Fishelevich Azef, che aveva lavorato sia per gli zaristi e i rivoluzionari. Più tardi Azef si rifugiò a Berlino e, dopo la pubblicazione di Pietroburgo, assunse proprio lo pseudonimo di Lipchenko!
- il sole svolge un ruolo importante nel pensiero antroposofico, e Belij morì nel 1934 per un’insolazione contratta in Crimea!
- la sfera di Banach-Tarski viene suddivisa in cinque parti, e ci sono almeno cinque frasi nel romanzo (riportate) in cui si cita il numero cinque in un contesto geometrico!

Con l’argomentum numerologicum termina l’articolo di Giansiracusa e Vasilyeva e il vostro recensore si chiede se i due ci sono o ci fanno. Ci troviamo di fronte ad un livello infinitamente inferiore alla “manifesta ciarlataneria” che Sokal imputava agli strutturalisti francesi e ai loro seguaci americani. Posso augurarmi che si tratti di un gioco perverso, ma vedo nelle note che un articolo simile i due l’hanno già pubblicato sulla rivista Math. Intelligencer. Su queste basi, per questa volta, mi tocca dar ragione a quell’amico che continua a dire che tra scienza e umanesimo non esiste alcun ponte, nessun periglioso “passaggio a Nord-Ovest”, ma solo un abisso profondo e insuperabile come il Grand Canyon.



(scritto con la penna intinta nel veleno durante la prima nevicata d’inverno)

lunedì 10 aprile 2017

Andiamo a raddoppiare!

Il paradossale teorema di Banach-Tarski


Nel 1924, Stefan Banach e Alfred Tarski pubblicarono Sulla decomposizione di insiemi di punti in parti rispettivamente congruenti, un articolo in cui i due matematici dimostravano che si può suddividere una sfera piena (una palla) nello spazio tridimensionale (*) in 5 parti, in modo che sia possibile ricomporre con questi pezzi due sfere entrambe perfettamente identiche alla sfera iniziale prima della suddivisione. La ricomposizione utilizza solo delle isometrie, cioè delle traslazioni e delle rotazioni. In particolare, i pezzi non sono mai deformati. Ciò sfida il senso comune, ma talvolta la matematica lo fa. 
Una palla a tre dimensioni euclidee è equiscomponibile a due copie di se stessa. 
Come indica il nome, si tratta di un teorema: è una proprietà matematica che è stata dimostrata con tutti i crismi. Esso non può essere contraddetto, pur sembrando a prima vista paradossale perché mette in discussione una realtà del nostro mondo fisico: quando si taglia un oggetto in diversi pezzi, il volume dell’oggetto iniziale dev’essere assolutamente uguale alla somma dei volumi dei suoi pezzi. Nel mondo matematico questa proprietà è anch’essa assolutamente vera, con l’unica condizione che si possa attribuire a questi pezzi un volume. Questa idea è difficile da definire, ma quando lo si fa con precisione, ci si rende conto che certi oggetti matematici semplicemente non possono essere misurati.

Questa proprietà sfida molto l’intuizione perché al cuore della sua dimostrazione si nascondono due dettagli un po’ perturbanti. Il primo è il legame con i paradossi legati all’infinito, perché si utilizza più volte il paradosso dell’Hotel di Hilbert, cioè quello per cui due insiemi infiniti che sembrano diversi a prima vista possono in realtà essere equivalenti. Il secondo punto, che disturba ancor di più, è la comparsa nella dimostrazione dell’assioma più controverso della teoria degli insiemi: l’assioma della scelta, al quale si ricorre talvolta nelle dimostrazioni facendo storcere il naso a molti. 

La suddivisione in parti dell’enunciato è perfettamente definita dal punto di vista matematico, ma sfortunatamente è di impossibile realizzazione pratica. Dispiace, ma nella realtà fisica così come la conosciamo non si possono duplicare gli oggetti tagliandoli a pezzi. 

A che cosa assomigliano esattamente questi pezzi? Costruiamolo per vederlo! Ci occorre innanzitutto una sfera, poi due assi di rotazione su questa sfera. Prendiamo ad esempio quello che permette una rotazione Est-Ovest e viceversa, e quello che permette le rotazioni verso Nord o verso Sud. 



Oltre a questi assi di rotazione, ci serve un angolo di rotazione. Si può scegliere l’angolo che si vuole, ma occorre che sia irrazionale, in modo che sia impossibile che la sfera ritorni nella sua posizione iniziale dopo una o più rotazioni attorno a uno o all’altro dei due assi, Un angolo di 90° non è per esempio accettabile, perché la successione di 4 rotazioni riporterebbe la sfera nella sua posizione iniziale. Questo problema non si pone se invece se si prende un angolo irrazionale, come √2°. La serie di n rotazioni di quest’angolo non porterà mai la sfera nelle condizioni di partenza. Ciò succede anche con qualsiasi altro angolo irrazionale, come ad esempio ln(105)°. 

Abbiamo bisogno di tutto ciò per attribuire a ciascun punto della superficie della sfera un indirizzo. Abbiamo anche bisogno di un punto d’origine, pure questo a piacere: lo chiamiamo A. 

Da questo punto possiamo giungere a 4 altri punti, a seconda che si faccia una rotazione dell’angolo scelto verso il nord, il sud, l’est oppure l’ovest. Ciascun punto dà accesso a 3 altri punti, e così di seguito. Abbiamo in questa maniera accesso a un certo gruppo di punti, che si potranno rappresentare con il loro indirizzo, cioè la successione di rotazioni da seguire per finire sulla loro posizione partendo dall’origine. Per esempio, l’indirizzo NNOS corrisponde a un punto ottenuto mediante una rotazione della sfera verso nord, poi ancora a nord, poi verso ovest, infine verso sud. Anche se è composto dalle stesse lettere, l’indirizzo SONN corrisponde a un altro punto, che si ottiene ruotando la sfera verso sud, poi l’ovest, il nord e ancora il nord. Bisogna tuttavia fare attenzione, perché certi indirizzi non sono validi, quando si succedono due rotazioni opposte l’una all’altra. Per esempio, l’indirizzo SNON non è valido, perché può essere semplificato in ON, dato che le rotazioni successive verso sud e verso nord si annullano reciprocamente. 



Alla fine, l’insieme di punti accessibili per rotazioni a partire dall’origine A possiede un indirizzo. Classifichiamo ora tutti questi punti in 4 insiemi: il primo è composto dai punti il cui indirizzo termina per N, il secondo dove l’indirizzo termina per S, il. terzo contiene i punti con indirizzo che termina per O e l’ultimo in cui termina per E. Resta il punto di origine A, che mettiamo da solo in un quinto insieme. 

Guardiamo più da vicino l’insieme numero 1, quello dei punti il cui indirizzo termina per N. Poiché si tratta di indirizzi semplificati, non vi si potrà mai trovare una penultima lettera uguale a S. 

Che cosa succede se si ruota questo insieme verso sud? Ciò aggiunge una S a ciascuno dei punti che vi si trovano. Siccome tutti gli indirizzi terminavano per N, ora sono semplificati. Si ottengono allora degli indirizzi che terminano per O, per E, per N, ma mai per S. Da notare che vi si ritrova anche il punto d’origine, ottenuto per semplificazione del punto di indirizzo N. In breve: dopo una rotazione verso sud, l’insieme 1 è composto ora dai punti usciti dagli insiemi 1, 3, 4 e 5. Si può dunque ricostruire la sfera iniziale a partire da due soli pezzi: l’insieme 2 e l’insieme 1 ruotato verso sud. 

Si può fare la stessa cosa prendendo l’insieme 3 e girando l’insieme 4, ottenendo una seconda versione della sfera. 

Con queste operazioni abbiamo suddiviso la sfera in 5 parti. Gli insiemi 1 e 2 possono formare una prima copia della sfera iniziale, mentre gli insiemi 3 e 4 formano una seconda copia. Abbiamo trasformato una sfera in due sfere identiche in ogni punto alla prima, tutto con semplici operazioni di suddivisione. Questo è l’argomento chiave che fa funzionare il teorema di Banach-Tarski. 



Restano ancora molti dettagli. C’è un quinto pezzo, composto solamente dal punto d’origine A. Si può eliminarlo, ma bisogna suddividere gli insiemi 1 e 2. Ciò che facciamo è spostare dal primo al secondo insieme tutti i punti il cui indirizzo è il simbolo N ripetuto una o più volte. Si aggiunge così l’origine all’insieme 2. Così si può essere sicuri che dopo una rotazione verso sud, questo nuovo insieme diventa l’unione degli insiemi 1, 3 e 4, di cui il complementare è proprio il nuovo insieme 2.

Abbiamo ora suddiviso la sfera in 4 parti che, opportunamente risistemate, formano due copie identiche di questa sfera. La dimostrazione appena fatta ricorda la storia dell’hotel di Hilbert, quando si è riusciti a far stare un numero infinito di clienti in un hotel infinito già pieno. Ci sono in effetti tanti punti in un insieme infinito che in due copie dello stesso insieme. 

Malgrado tutto, la prova appena fatta non è del tutto soddisfacente, perché non è stata suddivisa tutta la sfera, ma un sottoinsieme di questa, quello dei punti accessibili a partire da A attraverso una serie di rotazioni. Questi punti non sono in quantità numerabile, anche se resta ancora una quantità infinita innumerabile di punti inaccessibili. 

Non è così grave. Scegliamo uno dei punti inaccessibili e scegliamolo come il nuovo punto d’origine, diciamo B. Questo dà accesso a un numero infinito di nuovi punti. Con lo stesso sistema di indirizzi, si può aggiungere nella parte 1 tutti i punti usciti da B con indirizzo che termina per N, nella parte 2 quelli che terminano per S, è così via, senza dimenticare la piccola modifica che permette di aggiungere il punto d’origine B nell’insieme 2. Come in precedenza, questi quattro pezzi permettono di riformare due sfere. 

Non è ancora sufficiente. I quattro insiemi contengono sempre un numero infinito numerabile di punti non accessibili sulla sfera. Si può allora proseguire la costruzione scegliendo sempre dei punti, fino a che ciascuno dei punti della sfera appartiene a uno dei 4 pezzi. Per procedere a una tale operazione, non si potrà fare a meno di utilizzare l’assioma della scelta. È quindi in questo momento che si passa dal suo lato oscuro. Fin qui i pezzi erano infiniti numerabili, dunque di misura zero. Ora che è stato utilizzato l’assioma della scelta ci si ritrova con 4 pezzi che permettono di ricostruire due sfere, ma che non possiedono alcuna misura. È perciò possibile che associandoli a due a due essi formino dei nuovi pezzi di misura più grande. 

Il paradosso di Banach-Tarski non parla di una sfera vuota, ma di solidi pieni. Per ottenere una suddivisone soddisfacente, basta prendere non più dei punti sulla superficie della sfera, ma dei raggi della palla. Si ottiene allora una suddivisione del solido in quattro pezzi che permettono di ricostruirne due esemplari identici. 

Per quanto riguarda il quinto pezzo, rappresentato dal centro della sfera, è possibile procedere passo dopo passo come si è fatto in precedenza sulla superficie. Per farlo consideriamo un cerchio all’interno della sfera che passi per il centro e ancora un angolo irrazionale, in modo che sia impossibile tornare al punto di partenza. Procediamo come si sono assegnate le stanze nell’Hotel di Hilbert. Consideriamo proprio l’insieme dei punti del cerchio ottenuto dal punto mancante applicando una serie di rotazioni. Questo insieme è infinito, e non esiste un ultimo punto. Facendo ruotare questo insieme per l’angolo irrazionale scelto, il buco presente al centro della palla sarà riempito, senza che si sia formato alcun altro buco. 

È quindi quest’ultimo insieme di punti che forma il quinto pezzo della paradossale suddivisione di Banach e Tarski. 



Tralasciando qualche dettaglio, questa dimostrazione rappresenta un mezzo matematico e perfettamente definito di duplicare delle sfere piene. Essa può essere utilizzata per altri oggetti solidi, anche non è possibile dire in quante parti essi andranno suddivisi. Ragionando analogamente, si può dimostrare che è possibile suddividere una sfera piccola (ad es. una pallina da golf) in modo tale che i pezzi ottenuti, una volta assemblati, possano ricomporsi in una sfera più grande, magari delle dimensioni di Giove! 

Alla fine di tutto ciò, si può essere tentati di rifiutare completamente l’assioma della scelta, che mette talmente in crisi l’intuizione che ci si può fare degli oggetti matematici. Numerose discussioni hanno avuto luogo su questo argomento tra i matematici all’inizio del XX secolo e hanno dato vita a diverse correnti di filosofia matematica. Possiamo citare ad esempio l’intuizionismo, che rifiuta tutti gli oggetti matematici che non sono costruiti precedentemente in modo esplicito. 

Un atteggiamento che si deve evitare di fronte a tale paradosso è domandarsi se esso sia contraddittorio. Certo, sorprende l’intuizione, ma esso non mette in discussione alcun altro teorema. Infatti, ciò è stato dimostrato nel 1938 da Kurt Gödel, che ha provato che se gli assiomi della teoria ZF non sono contraddittori vicendevolmente, allora l’aggiunta dell’assioma della scelta non vi introduce alcuna contraddizione. Non ci sono perciò argomenti puramente matematici che autorizzano a rifiutare questo assioma. Diciamo che anche la negazione dell’assioma della scelta non comporta l’apparizione di contraddizioni nella teoria ZF. Si può perciò benissimo vivere in un mondo matematico dove le scelte sono impossibili… 

Ciò non impedisce che, ancora oggi, l’utilizzo dell’assioma della scelta da parte dei matematici resta sempre soggetto a cautela. Conviene preferire le dimostrazioni che non lo utilizzano e, se esso sembra inevitabile, indicare esplicitamente al lettori dove stanno per essere condotti. Più di cent’anni dopo la sua prima formulazione da parte di Zermelo, bisogna constatare che l’assioma della scelta e le sue conseguenze restano un terreno insidioso. 

In realtà quella di Banach-Tarski era una provocazione che voleva dimostrare le conseguenze paradossali e controintuive dell’assioma della scelta. Finì che gli fecero pubblicità, un po’ come sarebbe successo al gatto di Schrödinger, pensato per contestare la casualità nella meccanica quantistica e diventato uno dei suoi meme più noti. In ogni caso, i due matematici polacchi un risultato importante lo raggiunsero, e cioè sottolineare la necessità di definire scrupolosamente ciò che è misurabile da ciò che non lo è. Come tutti i paradossi, quello della duplicazione della sfera possiede anche delle ricadute filosofiche sul senso reale che si attribuisce agli oggetti matematici, ma questa è un’altra storia. 

*È impossibile duplicare un disco (dimensione 2) o un segmento (dimensione 1). 

Fonte: 
Choux romanesco, vache qui rit et intégrales curvilignes : Deux (deux ?) minutes pour le théorème de Banach-Tarski, consultato il 16 ottobre 2016.

sabato 25 marzo 2017

Assioma della scelta e insiemi non misurabili

(non rigoroso, ma senza formule!)


Una teoria matematica si basa sempre su degli assiomi, cioè degli enunciati il più possibile semplici che si postulano come veri e che serviranno come punto di partenza per tutte le dimostrazioni. La teoria nella quale si pone implicitamente la maggior parte del mondo matematico è la teoria degli insiemi, chiamata teoria ZF (Z sta per Ernst Zermelo e F per Abraham Fraenkel). Questa teoria possiede, a seconda di come viene presentata, da 8 a 10 assiomi.

Si può citare per esempio, l’esistenza di un insieme vuoto:
Un insieme privo di elementi è detto insieme vuoto e si indica con {} o con ∅ 


o quella di un insieme infinito:
Un insieme infinito è costituito da un numero infinito di elementi. 
Si può parlare anche dell’assioma della coppia, che permette di costruire un nuovo insieme a partire da due insiemi dati:
Dati due insiemi A e B, possiamo trovare un insieme C i cui elementi sono esattamente A e B.
o dell’assioma delle parti, che permette di costruire l’insieme delle parti di un insieme dato:
Se consideriamo un insieme A formato da n elementi e tutti i possibili sottoinsiemi, compreso il vuoto e A stesso, l’insieme di questi insiemi viene chiamato insieme delle parti. 


Gli assiomi della teoria ZF permettono di costruire quasi tutti gli oggetti matematici e di dimostrare i teoremi ad essi correlati. Per esempio, per costruire i numeri interi, una delle procedure classiche consiste nel partire dall’insieme vuoto, che farà da 0. Con l’assioma della coppia, si può costruire un insieme che riunisce l’insieme vuoto con se stesso, il che darà un insieme contenente un unico elemento. Questo insieme farà da 1. Per il numero 2, si costruisce grazie all’assioma della coppia un insieme con due elementi distinti: 0 e 1. Continuando questo procedimento, si otterranno tutti gli interi naturali.



Così, nella teoria degli insiemi, tutti gli oggetti matematici sono degli insiemi. Per esempio, un triangolo nel piano è un insieme di punti. Un punto è un insieme ordinato di due numeri reali, e i numeri reali si costruiscono a partire dai numeri interi, che sono stati anch’essi costruiti grazie agli assiomi. La costruzione dei numeri reali è molto complicata, e qui non ne parliamo.

Certamente non c’è bisogno di tutto ciò per la matematica elementare. Si può senza difficoltà calcolare il risultato di 6 ×7 senza dover passare per la definizione insiemistica dei numeri interi, ma ciò non impedisce che qualsiasi risultato matematico si basa su meno di una dozzina di verità non dimostrate.

Esiste tuttavia un assioma, comparso nel 1904 ad opera di Zermelo,, che si aggiunge talvolta alla teoria ZF, che prende allora il nome di ZFC: l’assioma della scelta (choice in inglese, choix in francese):
Data una famiglia non vuota di insiemi non vuoti esiste una funzione che ad ogni insieme della famiglia fa corrispondere un suo elemento. 
A grandi linee, questo assioma enuncia che se si dispone di un insieme composto di insiemi non vuoti, si potrà costruire un nuovo insieme con degli elementi provenienti da ciascuno degli insiemi interni. Detto altrimenti, si può affermare che se dispone di un comò che ha diversi cassetti non vuoti, l’assioma dice che è possibile prendere un oggetto da ciascuno dei cassetti. Ciò sembra evidente se si pensa a un comò in una casa, ma diventa più complicato quando un comò possiede infiniti cassetti, e ogni cassetto contiene infiniti oggetti indiscernibili (indistinguibili per proprietà o relazione).

Questo assioma è piuttosto contestato, ed è proprio per questo che lo si pone sempre a parte dagli altri assiomi della teoria degli insiemi. Un primo motivo di contestarlo è che, diversamente dagli altri assiomi, non è completamente evidente. Il principale ostacolo consiste nel fatto che, mentre gli insiemi sono costruibili all’infinito, l’assioma della scelta enuncia l’esistenza di insiemi che sono in pratica difficili da costruire. E ciò é piuttosto fastidioso: basta ricordare che, secondo Georg Cantor, un
«Insieme è una collezione di oggetti qualsiasi, ben definiti e distinguibili, che fanno parte della nostra intuizione e del nostro pensiero». 
Tale definizione è matematicamente corretta, perché le parole «ben definiti e distinguibili» rappresentano implicitamente un criterio di scelta.

Una classica illustrazione dovuta a Bertrand Russell fa intervenire un numero infinito di paia di scarpe. Esiste un metodo di scegliere una scarpa da ciascuna di queste paia? Dato che le due scarpe di un paio sono distinte, basta dire che si prende ogni volta la scarpa destra, e il gioco é fatto. La stessa domanda fatta per un numero infinito di paia di calze, tuttavia, non porta alla stessa risposta, perché é impossibile distinguere una calza destra da una sinistra. Sarà necessario allora scegliere caso per caso una calza per paio, il che non é possibile per un insieme infinito a meno di utilizzare l’assioma della scelta.


Il secondo dubbio che solleva la discussione sull’assioma della scelta è che i teoremi che implica sono talvolta controintuitivi. Esiste, ad esempio, il teorema di Banach-Tarski che consente di duplicare degli oggetti geometrici per semplice suddivisione, ma anche gli insiemi di Vitali, dei sottoinsiemi della retta dove non esiste più il concetto di lunghezza.

Parliamo allora di questo concetto di lunghezza o, più generalmente, della misura. Per degli oggetti unìdimensionali come gli estremi di un segmento, ciò che chiamiamo misura sarà allora la lunghezza del segmento. Per gli oggetti bidimensionali, la misura corrisponderà alla loro area o alla loro superficie. Per degli oggetti tridimensionali, la misura corrisponderà al loro volume.

In realtà, il concetto di misura è un po’ più sottile, ma teniamo a mente che si tratta di un numero positivo che, a seconda dei casi, sarà uguale a una lunghezza, a un’area o a un volume. Prendiamo per esempio il segmento unità, che corrisponde all’intervallo dei numeri compresi tra 0 e 1. Poiché questo intervallo è di lunghezza 1, la sua misura è uguale a 1. Se dividiamo questo intervallo in due parti uguali, otteniamo due segmenti di lunghezza 0,5. La misura totale è dunque due volte 0,5, cioè sempre 1. La nostra divisione non ha cambiato la misura di questo oggetto.

Altra suddivisione. Mettiamo da una parte il punto di ascissa 0,5 e dall’altra il resto. Poiché un punto non ha lunghezza, la sua misura è uguale a 0. Dall’altra parte abbiamo due segmenti di lunghezza ½, quindi la loro misura, cioè la lunghezza totale, è sempre uguale a 1. In effetti, togliere un unico punto da un intervallo non cambia la sua misura; questo oggetto rimane perciò di lunghezza 1. Se togliamo un secondo punto succederà la stessa cosa. Si può quindi togliere qualsiasi numero finito di punti a un intervallo senza cambiarne la misura. Un gruppo di punti isolati possiede sempre una misura totale uguale a 0.



E se mettiamo da una parte un numero infinito di punti? In questo caso le cose si complicano un po’. Dividiamo dunque l’intervallo in un modo più raffinato. Mettiamo da una parte tutti i punti dell’intervallo che corrispondono a un numero decimale, cioè i numeri che possono essere scritti con un un numero finito di cifre dopo la virgola, come 0,25 o 0,55 o 0,46. Dall’altra parte restano i punti che non corrispondono ai numeri decimali finiti, come ⅓, π-3 o √2–1, ecc. Abbiamo allora da una parte un insieme di punti decimali. Questo insieme viene detto “numerabile”, cioè che è possibile elencarne gli elementi. Infatti esiste la possibilità di ordinarli in modo d’avere un primo, un secondo, un terzo è così via.
Un insieme viene detto numerabile se i suoi elementi sono in numero finito oppure se possono essere messi in corrispondenza biunivoca con i numeri naturali. 
Se un insieme numerabile possiede un numero infinito di elementi, viene detto infinito numerabile, e, dato che può essere messo in corrispondenza biunivoca con i numeri naturali, si può dire che un insieme è infinito numerabile se ha la cardinalità di N. Si può dimostrare che ogni sottoinsieme infinito di un insieme numerabile è anch’esso numerabile, e che ogni insieme infinito contiene un sottoinsieme numerabile. Esempi di insiemi numerabili sono l’insieme dei numeri interi, quello dei numeri razionali o quello dei numeri primi.



Il più semplice esempio di insieme non numerabile è dato dall’insieme dei numeri reali, la cui non numerabilità è stata dimostrata per la prima volta da Cantor tramite il suo argomento diagonale.

La teoria della misura indica che un insieme numerabile di punti ha sempre una misura uguale a 0, poiché si può intuitivamente considerare un insieme numerabile come un insieme pieno di buchi. I punti sono in qualche maniera tutti isolati l’uno dall’altro, per cui la lunghezza totale dell’insieme è la somma delle lunghezze dei punti. Poiché la misura di ciascun punto equivale a 0, la misura totale è 0.

Il secondo insieme è invece non numerabile. I punti non possono essere separati gli uni dagli altri. I buchi dell’insieme esistono solo in apparenza. Essi non sono sufficienti a diminuire la sua misura. Questo insieme possiede una misura esattamente uguale a 1.

Continuiamo allora la suddivisione. Abbiamo da una parte i numeri decimali, e dall’altra i non decimali. Togliamo un nuovo insieme infinito numerabile, quello dei numeri decimali di forma ⅓+ x, dove x è un numero decimale. Ciò corrisponde ai numeri i cui decimali finiscono per un numero infinito di 3. Chiameremo questo insieme la classe d’equivalenza di 1/3, che contiene numeri come ⅓+0.1 o 0.124333… Diremo che ⅓ è un rappresentante di questa classe. Resta ancora un numero infinito di punti, che corrispondono ai non decimali e non appartengono alla classe di 1/3. Questo insieme possiede sempre misura 1, perché abbiamo tolto una parte numerabile.

Togliamo adesso la classe d’equivalenza di √2–1, cioè i punti che corrispondono ai numeri di forma √2–1+x, dove x è un numero decimale. Rimane sempre un numero infinito di punti, i non decimali che non appartengono né alla classe di 1/3 né a quella di √2–1. Ancora una volta, questo insieme misura 1.

Possiamo continuare a togliere tante classi di equivalenza di numeri quante ne vogliamo: non si esaurirà mai l’insieme iniziale, che non diminuirà mai la sua misura. In effetti si può, ma bisogna farlo un numero infinito di volte, e questo infinito dev’essere non numerabile. Solo che, per farlo, bisogna essere in grado di scegliere un rappresentante della classe a ogni tappa, e non esiste alcun mezzo di creare esplicitamente questa lista. Il solo mezzo per farlo è quello di utilizzare l’assioma della scelta, cioè riconoscere che la lista esiste ma senza poter dire a che cosa assomigli. L’assioma della scelta permette dunque di scegliere un rappresentante di ciascuna classe d’equivalenza, ma non fornisce esplicitamente questa lista.

Qual è la misura di questa lista di rappresentanti? Senza entrare nei dettagli, si può dimostrare che questo insieme non ha misura zero, ma si può ugualmente dimostrare che la sua misura non è esattamente più grande di zero. La sola via d’uscita è dire che il concetto stesso di misura non è applicabile a questo insieme. Questa lista di rappresentanti, chiamata insieme di Vitali, non può dunque essere matematicamente misurata. Si tratta di ciò che viene detto un insieme “non misurabile”: in genere, si costruiscono gli insiemi di Vitali a partire dai numeri razionali piuttosto che da quelli decimali, ma il risultato è lo stesso. Anche se le loro densità sono le stesse, intuitivamente si immaginano più buchi tra i decimali che tra i razionali. Più formalmente:

L’insieme di Vitali, che prende il nome dal matematico italiano Giuseppe Vitali, fornisce un esempio di sottoinsieme dei numeri reali. R che non è misurabile da nessuna misura che sia positiva. Per la costruzione dell’insieme di Vitali è indispensabile l’assioma della scelta.



In breve, è possibile costruire oggetti in cui il concetto stesso di lunghezza, di area, o di volume non può esistere. Questa cosa non sarebbe poi così grave se Banach e Tarski non se ne fossero impadroniti. Essi hanno dimostrato che, associando opportunamente più oggetti non misurabili, è possibile costruire dei nuovi oggetti che invece sono misurabili. Così sono giunti a suddividere una sfera piena in 5 pezzi di cui quattro non misurabili, che consentono di costruire due nuove sfere identiche a quella di partenza attraverso semplici rotazioni e traslazioni. Ma questa è un’altre storia e ce ne occuperemo un’altra volta. 

Fonte: 

Choux romanesco, vache qui rit et intégrales curvilignes : Deux (deux ?) minutes pour le théorème de Banach-Tarski, consultato il 16 ottobre 2016.