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giovedì 2 luglio 2015

Il ritratto sbagliato di Legendre


L’opera del grande matematico Adrien-Marie Legendre (1752–1833) è assai nota, ma della sua vita si sa poco, perché era una persona estremamente riservata. Di lui disse Poisson, celebrandolo ai funerali: 
 “Il nostro collega ha spesso espresso il desiderio che, nel parlare di lui, ci si riferisca solamente alle sue opere, che sono, in verità, tutta la sua vita.” 
Non sorprende pertanto che si conoscano pochi dettagli della sua giovinezza. Più sorprendente, quasi incredibile, è il fatto che per quasi cent’anni, fino al 2005, ci si sia sbagliati sulle sue fattezze. Il famoso ritratto che ha accompagnato articoli, saggi, voci di enciclopedie sull’opera di Legendre per tutto questo tempo non è infatti il suo. Si tratta invece del ritratto di un politico suo omonimo e contemporaneo, Louis Legendre, che partecipò attivamente alla Rivoluzione Francese, ma che di Adrien-Marie non era neppure parente. 


L’errore è stato rivelato solo con l’avvento della rete che, attraverso i suoi potenti motori di ricerca, ha facilitato grandemente l’arte di raccogliere informazioni. È stato così che due studenti dell’Università di Strasburgo, attorno al 2005, si resero conto che lo stesso ritratto accompagnava le biografie di due persone diverse. La loro scoperta fu messa sul sito del dipartimento di matematica alsaziano e l’errore fu confermato e attivamente discusso dalla rete dei blogger francesi che si occupano di matematica. 

Scoperto l’errore, ci si chiese subito di chi fosse il ritratto: del matematico o del politico? Fu ancora la collaborazione in rete che consentì infine di individuare una raccolta del 1833 di ritratti dei contemporanei realizzati dal litografo François-Séraphin Delpech (1778–1825). Sotto ogni ritratto è presente il cognome e una firma. La firma che compare sotto il ritratto, Legendre, è diversa da quella di Adrien-Marie, che si firmava LeGendre (come si può vedere in calce a una lettera del 1829 indirizzata a Jacobi), ma tale differenza non è stata notata per lungo tempo. Il libro contiene ritratti di matematici come Lagrange, Monge, Carnot e Condorcet. Tutti erano figure pubbliche, noti anche al di fuori dell’accademia. Poiché nel 1791 Legendre aveva fatto parte del comitato per l’unificazione dei pesi e delle misure, è facile capire come il ritratto possa aver tratto in inganno i matematici che anni più tardi vi si imbatterono. 


Louis Legendre (ca. 1755–1797) era un macellaio di Parigi che, durante la Rivoluzione, prese parte alla presa della Bastiglia e agli eventi successivi. Fu eletto deputato alla Convenzione Nazionale come membro della corrente radicale dei montagnardi, tra i quali militavano Danton, Marat, Robespierre e Saint-Just. Contribuì alla caduta dei girondini e votò per l’esecuzione del re. Lo troviamo in un ritratto di gruppo del 1793, estremamente somigliante al ritratto realizzato dalla mano di Delpech. 


Sistemato Louis, restava da cercare il vero ritratto di Adrien-Marie Legendre: se mai fosse esistito, perché la sua riservatezza potrebbe averlo indotto a non posare mai davanti a un artista, e la fotografia non era ancora stata inventata. Le ricerche, diventate febbrili, hanno raggiunto un risultato nel 2008, quando si è scoperta nella biblioteca dell’Institut de France di Parigi una rara collezione di 73 caricature di membri dell’Istituto, realizzata da Julien-Léopold Boilly (1796–1874) e mai conclusa. La raccolta era stata in mani private fino al 2001, quando fu donata all’Istituto dall’ultimo proprietario, che l’aveva comprata due anni prima a un’asta di Christie’s. 


Uno degli acquerelli mostra i volti di Legendre e Fourier, con i corpi solo abbozzati a matita. I nomi dei due matematici sono scritti sotto il disegno. Sembra che l’artista si sia divertito a mettere in contrasto le personalità dei due: Fourier è grasso e allegro, Legendre magro e arrabbiato. Fourier assomiglia ai ritratti già conosciuti, quindi si può pensare che ciò valga anche per Legendre. 

Una caricatura è quindi la sua unica immagine che possediamo.

mercoledì 21 gennaio 2015

I martiri di Cordova


Uno dei più singolari episodi di fanatismo religioso nella lunga storia dei rapporti tra cristiani e musulmani avvenne nella Spagna occupata dagli Arabi, per un decennio a partire dall'850. La vicenda, nota come "i martiri di Cordova", è riportata da varie fonti coeve, tra le quali la cronaca redatta da Eulogio, uno dei protagonisti. 

Tutto ebbe inizio quando il monaco Perfectus venne fatto oggetto di scherno da parte di alcuni musulmani mentre si trovava al mercato. Interrogato sulla divinità del Profeta, cercò di tergiversare, poi, incalzato dal gruppo, citò l'ammonimento evangelico contro i falsi profeti, infine proruppe in parole ingiuriose contro i suoi persecutori. L'offesa a Maometto comportava (e comporta tuttora, ahimé, secondo i più osservanti) la pena di morte, ma, consci di averlo provocato, i musulmani lo lasciarono andare indisturbato. In fondo, la legge coranica impone il rispetto della vita dei dhimmi, i cristiani e gli ebrei non convertiti, che devono tuttavia versare un contributo periodico e non possono testimoniare pubblicamente la loro fede (per i "popoli del Libro" non è prevista dal Corano l'alternativa tra conversione o morte). La vicenda si sarebbe conclusa senza danni se Perfectus non avesse deciso di tornare di proposito al mercato. Questa volta, circondato dalla folla che lo accusava di aver offeso il Profeta, fu condotto in carcere, dove "incominciò ad attaccare tutta la loro religione". Alla fine fu condannato e suppliziato in pubblico durante la festa per la fine del Ramadan. 


Il secondo episodio avvenne ancora al mercato e vide protagonista Giovanni, un mercante cristiano che aveva l'abitudine di giurare in nome del Profeta sulla qualità della sua merce. Le beghe commerciali, come ci ha insegnato la storia, possono rivestirsi di una veste (o sovrastruttura) religiosa, e il vezzo di Giovanni gli attirò l'ostilità dei mercanti musulmani suoi concorrenti, che lo accusarono di farsi credere musulmano pur essendo cristiano o, peggio ancora, di essere un rinnegato (circostanza che, se provata, comportava la pena capitale). Il giudice lo condannò a 400 frustate, a meno che il poveretto si fosse dichiarato musulmano, cosa che Giovanni si rifiutò di fare, accettando la dura pena che equivaleva alla morte. 

Questi due primi casi diedero inizio a una corsa di molti cristiani alla ricerca del martirio: una vicenda in cui si mescolarono fede autentica, vicende personali, fanatismo, l'esempio e la propaganda, attraverso veri e propri scritti apologetici che circolavano segretamente tra i cristiani di Cordova. Non mancarono motivi più generalmente “politici”, in quanto l’insofferenza delle comunità cristiane verso la dominazione araba, iniziata da poco più di un secolo, era viva e, in alcuni casi, per nulla rassegnata all’accettazione di essere servi in una terra dove si era stati i dominatori. 


Il salto di qualità si ebbe con il terzo nostro protagonista, un certo Isacco. Di famiglia agiata e colta, egli occupava un'importante carica amministrativa nel governo della città. All'improvviso lasciò tutto e si fece monaco in un romito monastero sui monti, di cui era abate il fratello della zia. Non avendo ancora raggiunto la pace interiore, dopo un po' di tempo sentì l'ispirazione di tornare in città in cerca di guai. Si presentò così al Cadì, con la scusa di voler ricevere un'educazione musulmana. Il giudice acconsentì, esponendo giudiziosamente la sua dottrina. Una volta che ebbe finito di parlare, Isacco lo accusò di essere un bugiardo e lo invitò a convertirsi al cristianesimo. Il Cadì, in un impeto d'ira, lo colpì con un ceffone, poi, resosi conto di aver sbagliato, si giustificò con i presenti dicendo che Isacco era ubriaco. Niente da fare: l'intrepido monaco sostenne di essere lucidissimo, ribadendo il suo invito alla conversione. Incarcerato, Isacco fu mandato a morte il 3 giugno 851 su ordine dell'emiro in persona. Il suo comportamento "eroico" fu contagioso: nel giro di un paio di settimane l'abate suo zio e altri cinque monaci lo imitarono, cercando deliberatamente il martirio e finendo accontentati dalle autorità musulmane, che incominciavano a essere preoccupate dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Tra il mese di luglio è quello di ottobre di quell'anno cruciale, altri cinque cristiani, uomini e donne, scelsero la morte in nome della loro fede un po' esaltata. 

Significativa per l'intreccio di contrasti religiosi e famigliari è la vicenda della vergine Flora, nata da un matrimonio misto tra un musulmano e una cristiana. Il padre era morto in giovane età, lasciando la vedova con tre figli, un maschio e due femmine. Flora era stata educata dalla madre come cristiana, mentre il fratello era un fervente musulmano. Meditando sul passo delle scritture che dice "Chi mi rinnegherà davanti agli uomini io lo rinnegherò davanti al Padre", Flora prese la decisione di lasciare la casa senza neanche avvisare la madre e andò a vivere in un monastero. Il fratello, infuriato, la andò a cercare per tutta la città, facendo arrestare anche alcuni religiosi. Alla fine, per evitare guai ulteriori alla sua comunità, la ragazza tornò a casa, ma sfidò il fratello dichiarandosi apertamente cristiana, nonostante le minacce e le percosse. La cosa finì davanti al Cadì, al quale Flora, che ancora non pensava al martirio, disse di essere sempre stata cristiana, evitando così l'accusa di apostasia. Fu tuttavia frustata ferocemente dalle guardie. Dopo alcuni giorni, tornata in grado di camminare, fuggì di nuovo e fu ospitata in una casa cristiana. 

Il caso che volle che, dopo qualche settimana, Flora incontrasse in una chiesa un'altra giovane, di sentimenti ancor più radicali: si trattava di Maria, sorella di uno dei monaci martirizzati per seguire l'esempio di Isacco. L'amicizia tra le due si trasformò in una smania di martirio. Si recarono dal Cadì, dove Flora dichiarò di essere "di stirpe araba", quindi una musulmana rinnegata, e Maria qualificò la religione islamica come "invenzione diabolica". Processate, ribadirono le loro accuse al Profeta e all'Islam, finendo decapitate il 24 novembre 851. 


La situazione dell'ordine del pubblico provocata dall'ondata di "martiri" preoccupava sempre di più le autorità di Cordova, che si rivolsero alle gerarchie ecclesiastiche affinché mettessero fine a quella che ai loro occhi era una forma crescente di follia collettiva. Si tenne allora nell'852 un concilio a Cordova, presieduto da Reccafredo, arcivescovo di Siviglia, che stabilì che la ricerca intenzionale della morte per mano dei musulmani non poteva essere ritenuta un martirio, tanto più che non c'era stata alcuna persecuzione, ma andava considerata una sorta di suicidio, come tale da condannare secondo la dottrina cristiana. Il Concilio condannò inoltre l'indegno traffico di reliquie dei "martiri" che era incominciato già subito dopo la morte di Perfectus e aveva costretto le autorità a ordinare che i corpi degli ultimi condannati fossero bruciati o gettati nel fiume. L'intervento del Concilio rallentò ma non bloccò subito il fenomeno dei "martiri", che durò altri sette anni, con altre trenta esecuzioni. 

L'ultimo "martire" di cui è interessante riportare la storia è Eulogio, che fu uno degli ideologi segreti del movimento dei martiri dopo aver conosciuto in carcere Flora nell'851 e averne raccontato la Passio in uno dei libelli apologetici che circolavano segretamente (e che ci è pervenuto). Eulogio era un sacerdote di posizioni apparentemente moderate e concilianti, al punto da essere considerato un interlocutore dalle autorità musulmane. Nell'859 venne eletto arcivescovo di Toledo, cioè Primate di Spagna, ma non poté insediarsi perché nel frattempo subì il martirio. Era successo infatti che Leocrizia, una ragazza di genitori musulmani, era stata convertita al cristianesimo da una monaca e aveva chiesto di essere consigliata e istruita presso di lui. Un delatore tuttavia denunciò la cosa, e tutti gli abitanti della casa furono arrestati. Interrogato, Eulogio disse che era sua dovere istruire una neofita, cosa che avrebbe fatto anche se il convertito fosse stato il Cadì. Questi ordinò allora che fossero portati dei bastoni, dicendo che intendeva ammaestrarlo. L'insofferenza del prelato contro i musulmani, accumulata in tanti anni, esplose in tutta la sua virulenza: facessero pure, disse, producendosi poi in una "impavida" invettiva contro il Profeta e la loro religione. Portato di fronte all'emiro, che lo conosceva come persona saggia, gli fu offerto il perdono in cambio della ritrattazione, ma Eulogio oramai aveva preso la sua decisione. Fu giustiziato l'11 marzo 859, pochi giorni prima di Leocrizia. 


Con queste morti ebbe termine il movimento dei martiri di Cordova: in totale furono cinquanta, tondi tondi.

sabato 22 novembre 2014

Sonetto svergognato

PHILOSOPHIE
Sonnet honteux 

L’anus profond de Dieu s’ouvre sur le Néant, 
Et, noir, s’épanouit sous la garde d’un ange. 
Assis au bord des cieux qui chantent sa louange, 
Dieu fait l’homme, excrément de son ventre géant. 

Pleins d’espoir, nous roulons vers le sphincter béant 
Notre bol primitif de lumière et de fange; 
Et, las de triturer l’indigeste mélange, 
Le Créateur pensif nous pousse en maugréant. 

Un être naît : salut ! Et l’homme fend l’espace 
Dans la rapidité d’une chute qui passe: 
Corps déjà disparu sitôt qu’il apparaît. 

C’est la Vie: on s’y jette, éperdu, puis on tombe; 
Et l’Orgue intestinal souffle un adieu distrait 
Sur ce vase de nuit qu’on appelle la tombe. 


FILOSOFIA
Sonetto svergognato 

L’ano profondo di Dio si apre sul Niente, 
e, nero, si schiude davanti a un angelo custode
Seduto sul bordo dei cieli che ne cantano la lode, 
Dio fa l’uomo, cacca di un ventre possente. 

Pieni di speranza corriamo allo sfintere beante 
il nostro primitivo bolo di luce e sozzura; 
e, stanco di triturare l'indigesta mistura, 
il Creatore pensoso ci spinge imprecante. 

Un essere nasce: ciao! E fende l'atmosfera 
con la rapidità d'una caduta passeggera: 
corpo già scomparso non appena è tratto. 

È la vita: ci si lancia, perduti, poi si piomba; 
e l'Organo intestinale suona un addio distratto 
su questo vaso da notte che chiamiamo la tomba. 

Edmond Haraucourt (1857 – 1941) pubblicò questo sonetto in La Légende des sexes, poëmes hystériqes et profanes, uscito nel 1882 sotto lo pseudonimo di Edmond de Chambley. Quest'opera di gioventù, scapigliata e irriverente, contrasta fortemente con quelle successive di Haraucourt, che sarebbe diventato una persona molto seria (direttore di musei, presidente della società degli autori) rimanendo un bravo poeta. Quando scrisse la sua Légende des sexes («Questo libro è l’epopea del basso ventre», dichiarò nella prefazione), era vicino ai decadentisti, e si definì come «poeta libertino della Terza Repubblica». Haraucourt fu autore anche del famoso «partir, c’est mourirun peu» e del Sonet Pointu molto esplicito sessualmente, che anticipò le calligrafie di Apollinaire.

mercoledì 11 settembre 2013

Il modo corretto di scrivere 4

4 o? Matematica o caso?

Ana Luzón, Manuel A. Morón 
Depertmento de Matemática Aplicada a los Recursos Natureles 
Universidad Politécnica de Madrid 

Il lettore può non essere informato sulla relazione tra le proprietà di divisibilità dei numeri e le proprietà topologiche delle cifre usate per rappresentarli. Si utilizzi qui la parola numero sia per il concetto che per la cifra. Dato un numero n, un divisore primo proprio di n è un numero primo, diverso da n, che divide n in parti uguali. Si noti il seguente: 

TEOREMA. Si consideri l’insieme di numeri S = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9}. Per a, b S sono equivalenti le seguenti proposizioni: 

i.)   a e b hanno lo stesso numero di divisori primi propri (contando le molteplicità); 
ii.)  a e b hanno lo stesso tipo di omotopia;
iii)  a e b tagliano un foglio nello stesso numero di pezzi se si scrivono con un punteruolo. 

COROLLARIO. Un numero in S (diverso da 1) è primo se, e solo se, possiede un tipo di omotopia banale e, in modo equivalente, non taglia il foglio in pezzi separati. 

Rispondiamo ora alla prima domanda nel nostro titolo: 

COROLLARIO. Il simbolo corretto per il numero quattro è 4 e non 4 .

Sebbene l’equivalenza tra (ii) e (iii) nel teorema dipende dalla dualità di Alexander-Pontryagin, la presente nota, in spirito, appartiene alla cosiddetta Teoria della Forma introdotta da K. Borsuk. Il lettore interessato può fare riferimento a: K. Borsuk, Theory of Shape, Monografie Matematyczne Tom 59, Polish Scientific Publishers, Warsaw, 1975. 


(NOTA DEL REDATTORE: Per coerenza topologica, cioè di forma, se i numeri primi più piccoli di 10 non hanno buchi, i numeri composti li devono avere. Il 4 non può fare eccezione, pertanto deve essere scritto come 4, con il buco).

giovedì 6 giugno 2013

George Boole vittima del pensiero omeopatico?

Il matematico, filosofo e logico George Boole morì l’8 dicembre 1864 a soli 49 anni, a causa di una polmonite contratta in seguito a un banale raffreddore non curato. Ciò che molti non sanno è che egli fu assai probabilmente ucciso dall'omeopatia, o almeno da una sua interpretazione eccessivamente letterale. 

Nel 1849 Boole, matematico autodidatta e insegnante, che già era diventato famoso per uno studio sui metodi algebrici per la risoluzione di equazioni differenziali (grazie al quale aveva ottenuto una medaglia della Royal Society), ottenne la nomina alla cattedra di matematica al Queen's College di Cork, in Irlanda. In questa sede egli insegnò per il resto della sua vita. A Cork, l’anno successivo, il futuro caposcuola della logica algebrica conobbe Mary Everest, che era la nipote del Colonnello George Everest, il Topografo Generale dell’India da cui il monte più alto del mondo prese poi il nome. A partire dal 1852, George Boole divenne l’insegnante privato di matematica di Mary e, quando il padre di lei morì nel 1855 senza lasciarle alcun mezzo di sostentamento, Boole le propose di sposarlo. La cerimonia ebbe luogo l’11 settembre 1855. Nonostante una grande differenza d’età (lei aveva 17 anni di meno), si trattò di un matrimonio felice, dal quale nacquero cinque figlie, una delle quali, Alicia, più tardi maritata Stott, nata nel 1860, sarebbe diventata una valente matematica, esperta nella geometria dimensionale (fu lei a coniare il termine politopo).

Mary Everest Boole era una donna intelligente, che sopravvisse al marito per 52 anni, durante i quali fu divulgatrice delle idee e delle scoperte di George, con una libertà di spirito e concezioni pedagogiche che l’hanno resa a suo modo un’icona del femminismo. Ella, tuttavia ebbe una grande responsabilità proprio nella sua morte. Vediamo come andarono i fatti, secondo il resoconto che ne diede Alexander Macfarlane in Lectures on Ten British Mathematicians of the Nineteenth Century (New York, 1916): 

“One day in 1864 he walked from his residence to the College, a distance of two miles, in the drenching rain, and lectured in wet clothes. The result was a feverish cold which soon fell upon his lungs and terminated his career (...) 

“Un giorno del 1864 egli percorse a piedi le due miglia dalla sua residenza al College sotto un violento acquazzone, e fece lezione con gli abiti bagnati. La conseguenza fu un’infreddatura con febbre, che ben presto si trasformò in una polmonite e pose fine alla sua carriera (…)”

Purtroppo per lui, il padre di Mary era stato un fervente seguace delle teorie mediche di Samuel Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia, e gli Everest avevano vissuto per anni nella residenza parigina del medico tedesco in rue de Milan, dove anche la futura signora Boole era diventata una discepola delle sue idee eterodosse. 

Mary Boole, affascinata dal principio dei simili, cardine del pensiero omeopatico, e cioè che similia similibus curantur (i simili si curano con i simili), pensò, forse su consiglio di un medico ciarlatano, che il freddo era la miglior cura per un raffreddore e che bisognava esporre George alle stesse condizioni che lo avevano fatto ammalare. Lo mise a letto e gli gettò addosso alcuni secchi d’acqua fredda. Per la donna questo trattamento, che oggi giudicheremmo crudele e avventato, era perfettamente logico. Per diversi giorni Boole rimase a letto mentre Mary bagnava le lenzuola. Il matematico, che i biografi descrivono come geniale ma assai ingenuo, lasciò fare, si ammalò di polmonite e morì. Vano fu il tentativo di un medico, il professor Bullen, chiamato troppo tardi al suo capezzale, di curarlo con metodi tradizionali. Il certificato di morte indicò la causa del decesso in una pleuro-polmonite e stabilì che la durata della malattia era stata di 17-19 giorni. 

Che queste vicende non siano voci o leggende popolari è testimoniato da diverse fonti, tra le quali una significativa lettera scritta dalla figlia più piccola, Ethel sposata Voynich, che diventò una grande intellettuale e scrittrice apprezzata. Ethel non nasconde di attribuire alla madre la colpa della morte del padre: 

“… My sister Mary Hinton, who had a friendship with her, and who collected various anecdotes about the family, told me that, in Aunt Mary Ann’s view at least, the cause of father’s early death was believed to have been the Missus’ belief in a certain crank doctor who advocated cold water cures for everything. Someone – I can’t remember who – is reported to have come in and found Father “ shivering between wet sheets”. Now for myself, I am inclined to believe that this may have happened. The Everests do seem to have been a family of cranks and followers of cranks. The Missus’ father apparently adored Mesmer and Hahnemann and the Missus herself ran theories to death.” 

“(…) Mia sorella Mary Hinton, che fu sua amica, e che raccolse diversi aneddoti sulla famiglia, mi disse che, almeno secondo Mary Ann [la sorella di Boole], la causa della morte prematura di papà fu ritenuta la fede della Signora [Mary Everest Boole] in un certo bizzarro dottore che prescriveva cure con acqua fredda per ogni cosa. Qualcuno, non sono in grado di ricordare chi, pare che sia entrato in casa e abbia trovato il papà “che tremava tra lenzuola bagnate”. Ora, per quanto mi riguarda, sono incline a credere che ciò possa essere accaduto. Gli Everest sembra proprio che fossero una famiglia di gente eccentrica, che seguiva degli eccentrici. Il padre della Signora a quanto pare adorava Mesmer e Hahnemann e la stessa Signora seguì le teorie fino alla morte”. 

Di sicuro Hahnemann non avrebbe mai “curato” Boole con il metodo sciocco e disgraziato utilizzato dalla moglie Mary. Il principio dei simili riguarda i principi attivi, i rimedi, che il medico deve utilizzare per produrre una malattia artificiale simile a quella reale, che ad essa si sostituisce per poi scomparire. Le dosi da utilizzare devono essere ridotte al minimo indispensabile, in modo da minimizzare o annullare gli effetti sfavorevoli. Questi rimedi sono somministrati in dosi infinitesimali e opportunamente “dinamizzati”, al punto che è difficile trovarne traccia nella soluzione acquosa o nello zucchero. L’omeopatia fu la causa della morte di Boole solo perché interpretata in modo aberrante. Utilizzata correttamente, essa semplicemente non avrebbe avuto alcun effetto.

lunedì 25 marzo 2013

Le avventure dell’ameba


Il tormentone dell’ameba circola su alcuni siti anglosassoni di facezie e di biologia sin dai primi tempi di internet. Mi è capitato giorni fa di ritrovare un file di Word sul quale avevo salvato (su un floppy!) alcuni esempi di questo gioco, che consiste nell’usare i caratteri della tastiera per inventare situazioni e piccole storie in cui è protagonista un’ameba, rappresentata da un punto. Un esercizio apparentemente sciocco che però richiede il dispiegamento di un po’ di immaginazione, cosa che non fa mai male. Ne ho aggiunti alcuni inventati da me e li ho condivisi su Facebook, dove ho subito trovato alcuni estimatori e continuatori.

Qui di seguito pubblico il risultato dell’opera collettiva, alla quale hanno collaborato, oltre  a me e all’anonimo ideatore americano (e non inglese, perché usa period invece di full stop), gli amici Diana Beck (la più prolifica: quasi metà sono sue), Gae Spes e Emanuela Zibordi: il fatto che siamo tutti laureati costituisce un’attenuante:

./ |
Ameba che fa il salto con l’asta 

.!
Ameba sorpresa

!
Ameba con un cappello da cuoco 

,
Ameba con una gamba rotta 

@.
Ameba con un corno da caccia 

.−
Ameba con un fucile 

.<
Ameba con un megafono 

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Ameba con l’ombrello 

.}
Ameba con l’arco 

o.o
Ameba con gli occhiali 

_._
Ameba con i piedi piatti 

_
Ameba spiaccicata

.h
Ameba che si nasconde dietro una sedia 

..
Amebe che parlano 

.?
Ameba confusa

.........|
Amebe in fila alla posta 

#.#
Ameba in prigione

"."
Ameba con l’eyeliner 

¯.
Ameba depressa

.~
Ameba con la sciarpa al vento 

^.^
Ameba pipistrello 

.(
Ameba con un’antenna satellitare 

[. ]
Ameba in ascensore

.>
Ameba con un boomerang 

*
Ameba piovra 

.zZ
Ameba che dorme 

.€
Ameba ricca

.
Ameba che si nasconde dietro un punto

.
Ameba che copre un punto

| :=§
Due amebe che fumano fuori dal ristorante

._
Ameba con lo skateboard

.-O ° | O-.
Due amebe che giocano a tennis

. ° | .
E due che giocano a pallavolo

HL.ZF
Ameba in un labirinto

 .**
Ameba che guarda le stelle

..°
Due amebe innamorate al chiaro di luna

.....?.....
Ameba al Gay Pride con un vistoso copricapo da drag queen

.......O.......
Amebe nella redazione de “Il Foglio”

.! ....................
Amebe grilline

 .7
Ameba che aspetta l’autobus

~.~~~
Ameba che attraversa a nuoto lo stretto di Messina


Ameba immaginaria

 i
Ameba stilita

 H .
Ameba rugbista

. °Q °Q °Q °Q °Q
Ameba che guarda i gatti

 d.b
Ameba con gli orecchini

 ò .
Ameba che guarda un paramecio col taglio punk

............. |_._| .... +
Il funerale dell'ameba

 .°oO
Ameba che ha mangiato troppa zuppa di fagioli

 . _/
Ameba nerd

I*,I*, ., I*,I*
Ameba sul prato con i soffioni

.•________________!!!!! 
Ameba al bowling

._________________________________________________________
Ameba maratoneta

°I°.
Ameba sotto un lampione

o-;O
Ameba sul trattore

.°^Y^°
Ameba all’ombra di un albero

 T* °.
Ameba che gioca a pallacanestro

 ;i;
Ameba robot

:[]:
4 amebe che giocano a poker

à;é
Ameba farfalla

. >o);o);o);o);
L’ameba e il bruco

E = mc.c
Ameba relativistica

mercoledì 31 ottobre 2012

Il 6174 e il 495 di Kaprekar

Dattaraya Ramchandra Kaprekar (1905–1986) era un insegnante indiano di matematica. Pur non avendo una specializzazione accademica, fece molte scoperte nella teoria dei numeri, tra i quali una costante e una classe di numeri che da lui hanno preso il nome, divulgati attraverso una serie di articoli su riviste di modesto prestigio scientifico. Si occupò anche di quadrati magici e matematica ricreativa. Studioso solitario e poco apprezzato dai colleghi indiani, diventò famoso quando Martin Gardner nel 1975 si occupò di lui in un articolo della rubrica Mathematical Games che teneva sullo Scientific American

Nel 1949 fu resa nota una tra le più famose scoperte di Kaprekar, che riguarda la curiosa proprietà del numero 6174, che ricorre come risultato finale di una serie di semplici operazioni con i numeri di quattro cifre, purché non siano tutte uguali. Ecco il procedimento, che ha lo stesso gusto perverso della congettura di Collatz

1. Prendiamo un qualsiasi numero di quattro cifre, usandone almeno due diverse. (Si possono inserire degli zero anche all'inizio.) 
2. Sistemiamo le cifre in ordine decrescente e poi in ordine crescente così da ottenere due numeri di quattro cifre, aggiungendo degli zero iniziali se necessario. 
3. Sottraiamo il numero più piccolo da quello più grande. 
4. Ripetiamo il processo partendo dal punto 2. 

Questo processo, conosciuto come operazione di Kaprekar, andrà sempre incontro al suo punto fisso, o kernel, il 6174. Una volta raggiunto il 6174, il processo continuerà a dare 7641 – 1467 = 6174. Per esempio, consideriamo il numero 2155: 

5521 – 1255 = 4266 
6642 – 2466 = 4176 
7641 – 1467 = 6174 
7641 – 1467 = 6174

Facciamo un altro esempio, questa volta con il numero 8082: 

8820 – 0288 = 8532 
8532 – 2358 = 6174 
7641 – 1467 = 6174 

Il numero fisso si raggiunge con 7 iterazioni al massimo, come nel caso del numero 2005: 

5200 – 0025 = 5175 
7551 – 1557 = 5994 
9954 – 4599 = 5355 
5553 – 3555 = 1998 
9981 – 1899 = 8082
8820 – 0288 = 8532 
8532 – 2358 = 6174 
7641 – 1467 = 6174 


Notiamo che, in ogni iterazione dell’operazione di Kaprekar, i due numeri di cui si fa la differenza hanno la stessa somma delle cifre, e quindi lo stesso resto (mod 9). Pertanto il risultato di ogni iterazione è un multiplo di 9. 

Il matematico giapponese Yutaka Nishiyama, con un programma specifico, ha verificato già nel 1975 le occorrenze del numero di iterazioni per tutti gli 8891 8991 numeri di quattro cifre da 1000 a 9999 nei quali non si hanno tutte le cifre uguali. Ne ha ricavato la seguente tabella: 


Si può dimostrare che 6174 è l’unico numero verso il quale convergono le successive iterazioni dell’operazione di Kaprekar. Consideriamo che per un numero di quattro cifre la combinazione ascendente può essere generalizzata come:

9 ≥ a b c d ≥ 0 

dove a, b, c, d non sono la stessa cifra. Così il massimo numero che si ottiene è abcd e il minimo è dcba. Quando eseguiamo la sottrazione, si ha che: 


che dà le relazioni: 

D = 10 + d a (poiché a > d
C = 10 + c – 1 – b = 9 + c b (poiché b > c – 1) 
B = b –1 – c (poiché b > c
A = a d 

Per i numeri in cui a>b>c>d.

Per trovare i numeri limite dell’operazione di Kaprekar, bisognerà considerare tutte le possibili combinazioni delle cifre di {a, b, c, d} e verificare che soddisfino le relazioni sopra scritte. Ciascuna delle 4! = 24 combinazioni dà luogo a un sistema di quattro equazioni con quattro incognite. Ne risulta un’unica combinazione che soddisfa 9 ≥ a b c d ≥ 0. Questa combinazione è bdac, con a = 7, b = 6, c = 4 e d = 1. Perciò ABCD = 6174. Non ne esistono altre: questo numero è unico. 

E se le cifre del numero non sono quattro? Lo stesso Kaprekar scoprì che un numero di due cifre non converge verso un solo valore, ma si impantana nel loop 9→81→63→27→45→9. Le cose cambiano con tre cifre: l’operazione questa volta converge verso un solo valore, il numero 495. Ad esempio, prendiamo 586. In ordine decrescente le cifre danno 865 e in ordine crescente danno 568. 

865 – 568 = 297. 
972 – 279 = 693. 
963 – 369 = 594 
945 – 459 = 495 
945 – 459 = 495. 

Con le cifre 4, 5 e 9 la cifra finale sarà sempre 495. 

Attraverso lo stesso procedimento usato per il caso delle quattro cifre e del numero 6174, si può dimostrare che 495 è l’unica soluzione possibile per un numero di tre cifre.

Per numeri con un numero di cifre superiore a 4 si è scoperto quanto riportato nella tabella, sempre fornita da Yutaka Nishiyama:


Notate la somiglianza tra i numeri che sono multipli di 2 e quella tra i numeri che sono multipli di 3: chissà che cosa c’è dietro. Dimostrazioni più avanzate e generali le trovate qui.

AGGIORNAMENTO DEL 2/11/2012

Gli amici di Webfract mi segnalano di aver reso disponibile online un calcolatore del procedimento di Kaprekar, che offre la possibilità di studiare il comportamento di interi positivi fino a un massimo di 16 cifre. Li ringrazio anche per avere segnalato il mio articolo.

lunedì 16 luglio 2012

Teatro laconico

Progenitore e maestro forse insuperato di tutti i raccoglitori di bizzarrie letterarie, Americo Scarlatti (pseudonimo e quasi anagramma del “dottore bibliotecario” Carlo Mascaretti, 1855-1928) pubblicò nei primi due decenni del Novecento una serie di volumi intitolati Et ab hic et ab hoc, nei quali registrò tutte le stranezze, intenzionali e soprattutto involontarie, in cui si imbatteva nella sua attività di instancabile e divertito bibliofilo dell’insensato e dell’eccentrico. 

In uno dei capitoli del compendio degli Et ab hic et ab hoc edito da Salani nel 1988 con la prefazione di Guido Almansi, lo Scarlatti si occupò del cosiddetto Teatro laconico, costituito da tragedie di un verso per atto, o persino di un solo verso in cinque atti. 

Un verso che contiene un intero dramma comparve nel 1913 sulla rivista dei futuristi fiorentini Lacerba, di cui mi sono occupato parlando di Luciano Folgore e dell’Almanacco Purgativo, trionfo dei versi maltusiani. Sono passati più di settant’anni e posso riportare l’intera opera senza i problemi che assillavano lo Scarlatti, che sosteneva che “per poterne dare un saggio, come la legge sulla proprietà letteraria consente, anche limitandomi a riportarne un verso solo, sono costretto, contrariamente alla legge stessa, a riprodurre il dramma intero!” L’opera è senza titolo, ma il nostro compilatore si ritenne autorizzato a immaginare che fosse UCCIDILA

Personaggi: MARITO e MOGLIE 

Atto unico – Scena unica 

Il MARITO alla MOGLIE che sopraggiunge:  
D’onde vieni?
La MOGLIE abbassa confusa lo sguardo. Il MARITO feroce: 
                     So tutto!
La MOGLIE con impeto: 
                                   Io l’amo!
Il MARITO cava il revolver e spara: 
                                                 Muori!

Si tratta indubbiamente di un capolavoro, che esprime in un verso conciso e armonioso un’intera tragedia. Tuttavia il pregio dell’opera, la cui trama descrive una terrificante realtà anche dei giorni nostri, cioè l’uomo geloso che uccide la moglie o la compagna, non risiede certo nell'originalità. Secondo Americo Scarlatti, “tali bizzarrie comico-drammatiche sono derivate direttamente dal teatro di Vittorio Alfieri, il quale nel suo stile energico e conciso giunse a chiudere un'intiera scena del Filippo in tre soli versi, di cui rimane celebre il primo pel dialogo tra Filippo e Gomez in esso concentrato”:

 – Udisti?
               – Udii.
                          – Vedesti?
                                           – Vidi.
                                                      – Oh rabbia!...

Anche in una scena dell’Antigone troviamo concisione ed tono icastico, nel dialogo tra Creonte e Antigone:

– Scegliesti?
                   – Ho scelto.
                                   –  Emon?
                                                  –  Morte!
                                                                 – L’avrai!

Ovviamente tale laconismo alfieriano ha solleticato ben presto l’estro degli umoristi. Una delle prime parodie, giuntaci anonima, fa così dialogare una REGINA e il suo CONSIGLIERE:

REGINA:                                                                                                           Sallo?
CONSIGLIERE:                                                                                                          Sollo!
REGINA:               Sallo il re?
CONSIGLIERE:                    Sallo.
REGINA:                                        Sassi ovunque?
CONSIGLIERE:                                                     Sassi, Sassi per tutta Roma e tutta Atene!

Cinque atti in verso solo costituiscono invece la stravagante prestazione del letterato salentino Leonardo Antonio Forleo (1794-1859), autore di questa ROSMUNDA

ATTO PRIMO 
ALBOINO e ROSMUNDA 

 ALBOINO:
                    Bevi!

ATTO SECONDO 
ROSMUNDA e ALBOINO 

ROSMUNDA (tra sé):
                              Morrai!

ATTO TERZO 
ROSMUNDA e ALMACHILDE 

ROSMUNDA:                  
                                            Deh!...schiavo!

ATTO QUARTO 
ALMACHILDE e ROSMUNDA  

ALMACHILDE:                                        
                                                                    È spento!

ATTO QUINTO 
ROSMUNDA e ALBOINO morto 

ROSMUNDA (sollevando al cielo una ciocca di capelli dell’estinto):
                                                                                     Oh padre!

Simili componimenti, a metà strada tra la presa in giro e l’esercizio di stile, ebbero un discreto successo, aprendo la strada a opere dall'intento esclusivamente umoristico, come fece il commediografo e poeta bolognese Alfredo Testoni (1856-1931), autore tra l’altro della celebre commedia Il Cardinale Lambertini, che ogni bolognese degno di questo nome deve aver visto almeno una volta nella vita. Il Testoni concentrò in un sonetto un’intera commedia, intitolata LA FELICITÀ CONIUGALE

PRIMO ATTO. – Scena prima. – LUI: Profonda
ferita ho qui nel cor! Non ho più pace
quando la guardo! Ohimè – Scena seconda. –
LEI: (da sola) È simpatico, mi piace!

SECONDO ATTO. – LUI: (Presso a lei) M’infonda
una speme nell’anima! – LEI: (tace).
LUI: Vuole un po’ di bene a me? Risponda!
LEI: Tanto! – LUI: Tesor! (molto vivace)

TERZO ATTO. – (Sala in Municipio. Arriva 
il SINDACO che dice sorridente):
Vi unisco, o Sposi! (Voci): Evviva! Evviva!

QUARTO ATTO, ultimo. – (Un luogo solitario).
LUI: Mia tu sei, nevvero, eternamente?
LEI: (sorridendo) Sì! (Cala il sipario).

Purtroppo la nostra lingua non consente le acrobazie verbali del francese, le cui omofonie consentono opere laconiche per noi inarrivabili. Un anonimo autore d’Oltralpe è riuscito ad esempio a comporre una tragedia mettendo in fila nel loro ordine le lettere dell’alfabeto francese, dimostrandosi così un vero plagiario per anticipazione delle opere di alcuni oulipiani. Il titolo è, ovviamente, LA TRAGEDIA DELL’ALFABETO:

Personaggi:
L’ABBÉ PÉQU (a, b, p, q)
Il principe ENO (n, o) amante di 
ACHIKA (h, i, k)
UVÉ (u, v) carnefice.

All'alzarsi della tela, l’abbé PÉQU è inginocchiato ai piedi di ACHIKA. Entra ENO e lo trova in quella posizione compromettente. 

ENO: a, b, c, d! (Abbé, cédez!).
PÉQU: con disprezzo: e, f! (effe)
ENO: j, h, i, k, l, m, n, o. (J’ai ACHIKA, elle aime ENO).
     L’abate non si muove. 
ENO: p, q, r, s, t! (PÉQU est resté!). Corre verso la porta e irritato chiama: u, v! (UVÉ!). Compare il carnefice. 
ENO, mostrandogli PÉQU e facendo un gesto espressivo: z! (zet…).
(Cala la tela

In realtà mancano g, w, x e y, e l’esclamazione effe di PÉQU non ha significato nel contesto, a meno che voglia indicare un sospiro di disappunto, ma non si può criticare una tale opera per delle quisquilie. 

Sempre restando in Francia, un’opera laconica davvero imperitura porta la firma nientedimeno che del grandissimo Paul Verlaine (1844-1896). Egli la compose in occasione di un concorso bandito dal giornale Comédie per un “dramma rapido”. L’opera, dal titolo TROPPA FRETTA è così compiuta da poter essere tradotta in qualsiasi lingua senza perdere in bellezza. Ciò nonostante, non è mai stata rappresentata: 

Dramma in un atto e in prosa 

SCENA I 

Quando s’alza la tela un signore e una signora sono in scena, ma abbracciati. 

SCENA II 

Un altro signore s’avvicina senza far rumore e uccide entrambi con una revolverata. I cadaveri rimangono uno accanto all’altro coi visi rivolti a terra. Il signore va a sollevarne uno e fa un movimento di sorpresa. Va poi a sollevare l’altro e si mostra anche più stupito. 

IL SIGNORE: Perbacco! Ho sbagliato!

(cala la tela


Scende il sipario anche sulle note di Americo Scarlatti dedicate al teatro laconico, ma quest’ultimo ha avuto una degnissima continuazione nell'opera di Achille Campanile (1899-1977), uno dei maggiori umoristi italiani, che, tra gli anni ’20 fino alla morte negli anni '70, rappresentò con le sue opere in modo ironico e surreale il costume e la vita della società italiana. Le sue Tragedie in due battute, rappresentate per la prima volta intorno al 1925, sono certamente il risultato di un approccio innovativo sulla scena teatrale, figlio del futurismo, ma sicuramente personale, capace di anticipare certi aspetti del teatro dell’assurdo di Beckett e Ionesco, anche se lui stesso rifiutò questa parentela. Ne scrisse nel corso degli anni più di seicento, e alcune di esse sono entrate nei modi dire degli italiani. Si tratta di piccoli atti, effettivamente composti da pochissime battute, che della tragedia hanno solo il nome e che furono concepiti più per la lettura che la scena, anche per i numerosi commenti inseriti nelle note di rappresentazione, che talvolta costituiscono l'intero contenuto dell’opera. Il gioco di parole la fa da padrone. Ne presento alcuni esempi. 

PREMIO LETTERARIO 

Personaggi: 
IL POETA 
L'AMICO 

La scena si svolge dove vi pare. All'alzarsi del sipario tutti i personaggi sono in scena. 
IL POETA: Ho scritto nove sonetti e un'ode saffica. 
L'AMICO: Cosicché, in totale, quanti componimenti poetici ci saranno nel tuo nuovo - e speriamo ultimo - volume? 
IL POETA: Dieci con l'ode. 
(Galoppo di cavalli in lontananza. Sipario) 

LO SCANDALO 

Personaggi: 
L'INQUILINO 
IL PADRONE DI CASA 

La scena si svolge nell'ufficio del PADRONE DI CASA. All'alzarsi del sipario, L'INQUILINO viene a fare un reclamo al PADRONE DI CASA. 
L'INQUILINO: (indignato, al PADRONE DI CASA) Signor padrone di casa, c'è nel casamento una signora che fa i bagni di sole su un balcone, in costume troppo succinto e in vista di tutti. Chiedo il vostro intervento acciocché facciate cessare questo intollerabile scandalo. 
IL PADRONE DI CASA: Ma, scusate, questa signora è giovane? 
L'INQUILINO: Sì. 
IL PADRONE DI CASA: È bella? 
L'INQUILINO: Sì. 
IL PADRONE DI CASA: E allora perché protestate? 
L'INQUILINO: Perché sono il marito. 
(Sipario) 

CAPRICCIO 

Personaggi: 
IL PICCINO 
SUO PADRE 

IL PICCINO: Papà, io non ho mai ammazzato nessuno. Potrei ammazzare il signor Giuseppe? 
IL PADRE: Va bene, ma il signor Giuseppe soltanto. 
(Sipario) 

SORPRESA 

Personaggi: 
IL MARITO 
LA MOGLIE 
L'AMANTE DELLA MOGLIE che non parla 

In una camera da letto, ai giorni nostri. 
IL MARITO: (giungendo improvvisamente, trova LA MOGLIE intenta a tradirlo con uno sconosciuto) Ah, infame, dunque non mentiva la lettera anonima, da me ricevuta un'ora fa: tu hai un amante! 
LA MOGLIE: E tu stai a credere alle lettere anonime? Andiamo! 
(Sipario)

lunedì 2 luglio 2012

Il viaggio sentimentale della signora Kurdyukòva



Il Grand Tour, la letteratura di viaggio e la reazione di Sterne 

A partire dalla fine del Seicento e fino all’Ottocento inoltrato, con la sola pausa del periodo della Rivoluzione Francese e delle guerre napoleoniche, con il nome di Grand Tour (introdotto dall’inglese Richard Lassels nel 1670 nel libro Voyage to Italy) si indicò il viaggio di istruzione, intrapreso dai rampolli delle case aristocratiche di tutta Europa, che aveva come fine la formazione del giovane gentiluomo attraverso l’esperienza di genti, tradizioni e culture diverse. Questo viaggio poteva durare da pochi mesi fino ad alcuni anni. Le mete principali erano Francia, Italia e Grecia, ma Il traguardo prediletto e irrinunciabile di tale lungo viaggio era il nostro paese, considerato terra dell’arte e della cultura, ma ambito anche per le sue bellezze naturali e paesaggistiche. 

Gli eredi delle nobili casate europee (inglesi in prevalenza, ma anche francesi, tedeschi, russi) videro ben presto affiancarsi i facoltosi figli della classe borghese in ascesa, che vedevano nel viaggio di istruzione una forma di consacrazione culturale. I giovani che percorrevano le strade italiane erano spesso accompagnati da guide-tutori forniti d'anni e di esperienza, spesso scelti tra gli artisti, i letterati, gli uomini di cultura che, privi di mezzi materiali, erano provvisti del senno e delle conoscenze adatti per guidare i loro giovani signori. 

Il viaggio in Italia spesso si traduceva in una serie di resoconti e opere letterarie, il cui numero è talmente vasto da essere considerato un genere a sé stante, anche se enormemente eterogeneo per stile, forma e temi. Il testo più famoso tra tutti è senz’altro il Viaggio in Italia (Italienische Reise) pubblicato da Goethe in due volumi nel biennio 1816-17, che è il resoconto di un viaggio compiuto dall'autore tra il 1786 e il 1788. 

A metà del Settecento in Inghilterra la travel literature era, dopo i romanzi, il genere letterario di maggiore successo tra il pubblico. La letteratura di viaggio costituiva una parte importante del mercato editoriale: le opere di questo genere erano usate come libri guida per chi aveva intenzione di partire per il continente, ma erano anche diffuse tra chi non aveva i mezzi per farlo ed era comunque curioso di sapere qualcosa del mondo al di là della Manica. Quasi per reazione naturale, soprattutto dopo l’uscita del lamentoso e ipocondriaco Travels through France and Italy di Tobias Smollet (1766), il genere fu oggetto dell’intelligente parodia del Viaggio Sentimentale (A Sentimental Journey through France and Italy) di Laurence Sterne, pubblicato nel 1768, pochi mesi prima della morte dell’autore. 

Sterne stravolse le due norme principali del genere, che doveva in primo luogo descrivere le bellezze naturali e artistiche, le tradizioni e le attività economiche dei luoghi visitati, e in secondo luogo concedere uno spazio minimo all’autore, che doveva parlare il meno possibile di sé e degli effetti del viaggio sulla sua persona, secondo una pretesa di massima oggettività. Al contrario, Yorick, protagonista e alter-ego di Sterne, che compì effettivamente il viaggio descritto, si concentra sui particolari, sulle trivialities, sugli episodi piccoli che tuttavia danno la cifra dei popoli visitati, e, soprattutto, parla continuamente delle sue reazioni durante il viaggio, diventando l’assoluto protagonista delle vicende narrate, talvolta paradossali e volutamente incredibili. Il viaggio sentimentale è così un nuovo tipo di viaggio di formazione, non tanto interessato all’erudizione, quanto all’ampliamento della comprensione della natura umana, che avviene attraverso il contatto con gli altri. Il libro di Sterne ebbe un grande successo in tutta Europa, e fu tradotto in italiano nel 1813 da Ugo Foscolo, che al Viaggio sentimentale si ispirò anche per creare il personaggio di Didimo Chierico, suo alter-ego come Yorick lo era stato di Sterne. 

La signora Kurdyukòva dan l’etranžé


La fama di Yorick raggiunse anche la lontana Russia, come sostiene Cesare G. De Michelis nel breve saggio L’Italia nello specchio deformante della signora Kurdyukòva, contenuto nel volume Il comico nella letteratura italiana. Teorie e poetiche (2005), curato da Silvana Cirillo per Donzelli Editore. L’esame di De Michelis è rivolto al bizzarro poema Sensàcii i zamečanija gospožì Kurdjukòvoj za graniceju, dan l’etranžé, “Sensazioni e osservazioni della signora Kurdyukòva all’estero, dan l’etrangé”, pubblicato tra il 1840 e il 1844 da Ivan Mjatlev, forse il più buffo resoconto di un “viaggio sentimentale” compiuto in Europa e in Italia che sia mai stato scritto. 

Ivan Petrovič Mjatlev (1796-1844) era un poeta, nato da una ricca famiglia aristocratica di San Pietroburgo, che, più che per le sue raccolte di poesie “serie”, è noto proprio per la stravagante descrizione in rima del tour che egli stesso compì tra il 1836 e il 1839 in Germania, Svizzera, Italia e Francia, dopo essere andato in pensione con il prestigioso grado di Consigliere effettivo di Stato. Scritta in un curioso linguaggio che mescola il russo della provincia e un francese maccheronico (dopo l’imperatrice Caterina la Grande, ammiratrice dei Philosophes, che aveva invitato a S. Pietroburgo Voltaire e Diderot, la lingua francese era allora lo strumento comunicativo e di studio dei russi colti e aristocratici), l’opera ha per protagonista una signora della provincia russa, curiosa mescolanza tra una bottegaia e uno Yorick che assomiglia più al clown di Shakespeare che all’omonimo personaggio di Sterne. I moduli di Sterne sono portati al loro estremo: la signora Kurdyukòva si imbatte in ogni genere d’avventura ordinaria, che per lei assume il fascino dell’esotico e del pittoresco, mentre per ogni cosa c’è il suo commento, detto con l’aria di saperla lunga. La satira verso i canoni romantici del resoconto di viaggio non poteva essere più pungente. 

Oggi il poema e il suo autore sono pressoché dimenticati (Wikipedia in russo dedica a Mjatlev una striminzita paginetta), ma grande fu il successo negli ambienti di corte, anche perché l’arguto e salottiero Consigliere era molto bravo a leggere e improvvisare in pubblico versi comici, al punto che la sua casa divenne un ambito salotto mondano e si realizzò anche una versione teatrale con musica della Sensàcii, che fu rappresentata al Teatro Alexandrinsky dell’allora capitale. Le reazioni della critica furono controverse: se vi fu chi parlò di divertente farsa, altri giudicarono il poema eccessivamente prolisso e banale. Penso che l’atout fondamentale dell’opera risiede nel suo linguaggio, tradotto in italiano con maestria da De Michelis nei brani presentati nel suo saggio. Il francese maccheronico, reso secondo la pronuncia e non l’ortografia nella traslitterazione russa (dove il marciapiede è Тротуар, trotuàr), raggiunge i massimi livelli del comico. La signora Kurdyukòva si presenta così al lettore: 

Akulina Kurdyukòv’ 
Rjuss, proviene da Tambòv, 
benestante, proprietér
sono in viaggio pur afér

Già nella prefazione la signora di Tambov rivela un entusiasmo di natura posticcia e libresca, splendidamente stonato rispetto ai canoni della letteratura di viaggio allora di moda anche in Russia: 

In Italia, ovvio, è tutto
pittoresco e interessante. 
Qui bisogna darci sotto 
per descriverlo all’istante. 

Tra gli scopi dichiarati del viaggio c’e la cultura italiana del passato: 

In Italia siamo tosto! 
E voi Tasso, Dante, Ariosto! 
Sembra proprio di sentirvi, 
provo anch’io un’extaz che dirvi, 
vorrei mettermi a cantar! 


Ma anche quella contemporanea, come appare nel capitolo dedicato ai laghi lombardi: 

Con la barca son tornata, 
pei dintorni son passata: 
sempre splendidi peisaži 
monti boschi e che vilaži
Lecco: qui Manzoni ha presi
i modelli per gli Sposi

Manzoni è anche lo spunto per ricordare il Cardinal Borromeo (ma il Federigo dei Promessi Sposi viene confuso con il cugino, San Carlo) con un elogio oltre le righe in uno dei capitoli milanesi: 

Dietro il mètr otèl (cammina) 
C’è una specie di cantina: 
ci son lampade aljumé
s’è San-Carlo Borromé! 
Protettore di Milano, 
fu tal quale un talismano. 
Quivi al tempo della peste 
eran tutti nelle peste. 
Rabbia, odio, agitazione, 
chiasso grande confusione, 
(…) 
Ogni cosa rifiorì! 
Un miracol si compì! 
E così salvò Milano! 
Un romanzo molto strano 
ci ha poi scritto su Manzoni. 


Il viaggio della Kurdyukòva prosegue a Venezia, dove vede Piazza San Marco, le chiese principali, ammira i capolavori di Tiziano e Tintoretto, ma si entusiasma per il caffè Florian, cuore pulsante della vita culturale e mondana della città: 

Io discesi sjur la plas 
ed andai a prandr jun glas 
(…) 
Famosissimo Florian! 
Tutti i popoli d’Orian
turchi, greci, persiani, 
son suoi ospiti, e i villani, 
pagan solo in redevans
Qui a Venezia è l’elegans 
al Florian stare e sorbire 
cioccolato, glas, e udire 
quel che suonan sjur la plas

Al culmine del luogo comune libresco, non perdona ai gondolieri di non cantare le ottave del Tasso, secondo il topos inaugurato da Madame da Staël (sempre meglio di adesso, quando i connazionali della signora Kurdyukòva pretendono dai rematori le canzoni napoletane): 

e dipoi è una fortuna 
passeggiare con la luna, 
fare come il gran poeta: 
la “Blondin’in Gondolèta”

Visitata Firenze e i suoi capolavori artistici e architettonici, naturalmente immune per costituzione dalla sindrome di Stendhal, la Kurdyukòva giunge finalmente a Roma, interessante per il patrimonio artistico e culturale, ma anche sede del papato, verso il quale l’ortodossa signora usa accenti critici che a Cesare G. De Michelis ricordano quelli del Belli: 

Era un popolo potente, 
il romano, ed eminente, 
mentre adesso è molto fiacco: 
ha per capo il pap, un vecchio, 
cappuccini – son legioni, 
anzi interi battaglioni, 
religiosi blanz e nuàr

Il fascino di Città Eterna non lascia tuttavia immune la russa, persino di fronte al centro del cattolicesimo: 

Per vedermi un po’ Sèn Pièr
se matén, senz’antiquèr 
io volevo andar da sola. 
(…)
Che edificio da giganti! 
Come quello di “Kazan’” 
ha due lunghi colonnati 
ai due lati sistemati. 

Qui il talento comico di Mjatlev gioca con l’ignoranza della Kurdyukòva, che non sa che la chiesa della Deipara di Kazan’, a San Pietroburgo, fu costruita a imitazione di San Pietro. Anche le altre chiese di Roma suscitano ammirazione e rispetto, come il patrimonio archeologico, testimone dei fasti della Roma imperiale. Ma quei tempi sono passati, e le rovine sono oramai meta solo di turisti stranieri accompagnati dalle loro guide: 

E la gluàr, dov’è finita? 
I Neroni, i Cincinnati? 
Ciceroni son restati.