Visualizzazione post con etichetta fisica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fisica. Mostra tutti i post

martedì 27 giugno 2023

Antonio Garbasso, contro la separazione tra scienza e umanesimo

 


Non è vero che nel nostro paese il pregiudizio crociano e gentiliano contro le scienze fosse incontrastato e che la separazione tra le ”due culture”, con il primato assegnato a quella umanistica, non ebbe oppositori. Poche figure, abbastanza isolate, si spesero per difendere l’idea che il sapere è unico. Del matematico e filosofo Federigo Enriques ho già parlato in un’altra occasione, ma ci fu anche il fisico e politico (fascista) Antonio Garbasso, del quale penso sia utile conoscere le idee. Certo, è poco consolatorio constatare che entrambi provenivano dall’ambito scientifico (come del resto, più tardi, a suo modo, l’ingegner Carlo Emilio Gadda), e che nessuna voce si levò tra i letterati, ma almeno qualcuno ci fu.

Il vercellese Antonio Garbasso (1871-1933) aveva studiato all’Università di Torino, laureandosi in Fisica nel 1892. Formatosi in Germania con Hertz ed Helmholtz, dopo aver insegnato fisica a Pisa, a Torino e a Genova, nel 1913 ottenne la cattedra di fisica sperimentale dell’Università̀ di Firenze, dove contribuì̀ a far potenziare l’Istituto di Fisica di Arcetri. Fra gli allievi di Garbasso vi furono Lo Surdo, Occhialini, Rasetti e Ronchi. Il ‘Laboratorio di ottica pratica e meccanica di precisione’ fu inaugurato ad Arcetri nel 1918 e diverrà poi Istituto Nazionale di Ottica del CNR.

Per i suoi interessi sulla natura e propagazione della luce accolse con entusiasmo i lavori di Bohr sull’emissione degli spettri a righe e dal 1913 si fece promotore della concezione quantistica che ancora restava ostica per scienziati formati con una mentalità classica della meccanica.

Nel 1914 si dedicò all’effetto scoperto nel suo laboratorio da Antonino Lo Surdo e contemporaneamente da Johannes Stark in Germania (effetto Stark-Lo Surdo). Fu il suo ultimo lavoro scientifico, rimasto l’unico sull’argomento fino al 1931.

Garbasso fu protagonista di uno dei pochissimi tentativi italiani di teorizzazione critica e storica rispetto al dialogo fra le «due culture». Con una serie di saggi e di conferenze scritte negli anni ’10, e che sarebbero stati raccolti postumi nel volume Scienza e poesia (1934), egli offriva una prospettiva critica ed estetica che, anche se di carattere divulgativo, si conciliava con un certo razionalismo e con un paradigma di integrazione fra epistemologia e arti.


Garbasso fu convinto sostenitore della necessità di una seria divulgazione scientifica, per la quale era necessario costruire un ponte di dialogo e di comunicazione fra letteratura, filosofia e scienza, in un esercizio critico e storico capace di rendere conto della «totalità» della cultura, richiamando ognuna di queste discipline alla vocazione più propria della tradizione italiana. A questo proposito il suo nazionalismo conservatore lo portò a nutrire un interesse particolare per la tradizione italiana come, ad esempio, quella degli storici fiorentini, «naturali e positivi», quali «il Guicciardini e il Machiavelli», che è una vocazione di scambio pluridisciplinare e di interazione culturale. Uno dei problemi che affliggeva la cultura italiana di inizio secolo era, secondo Garbasso, il rifarsi della speculazione nazionale all’idealismo tedesco, filosofia del tutto estranea alla nostra tradizione culturale più profonda. Per l’idealismo tutta la realtà̀ è misura e proiezione, morale e epistemica del singolo, ma mentre «un idealista può̀ concedersi, senza peccare contro la logica, di scegliere la sua filosofia; un realista non può̀. A noi spetta, logicamente, un compito solo, di continuare la tradizione dei padri».

Secondo il fisico piemontese, “l’arte e la storia è la scienza e la filosofia sono una cosa sola e una cosa armonica e una cosa nostra”, perché “davanti al problema dell’Universo le attitudini che il pensiero umano può assumere si riducono in sostanza a due: o si ammette insieme a quella del soggetto la realtà del mondo esterno, o si afferma che lo spirito costruisce la natura. Si è realisti nel primo caso, e nel secondo idealisti”.

“Il fisico matematico, quali si siano le sue tendenze filosofiche particolari, o magari la convinzione o il proposito di non essere filosofo, appartiene però, a ragion veduta, ad una delle grandi famiglie nelle quali si suddivide il popolo degli uomini che non furon nati a vivere come bruti, ma a cercare virtude e conoscenza.

Chi assume di chiudere la legge di un fenomeno naturale in una formula matematica, cioè quantitativa, assume infatti, implicitamente, se anche non se ne renda conto, che la formulazione abbia valore per tutti e per tutti abbia il medesimo valore. Implicitamente il fisico matematico nega la costruzione individuale, o, in altri termini, è realista”.

Garbasso, dedicò a proposito alcune lezioni pubbliche alla Commedia di Dante discutendo di quelle conoscenze astronomiche, di cromatica e di meccanica presenti nel testo dantesco, e sottolineando, contro Croce, che Dante aveva «lo spirito scientifico; uno spirito non dissimile, in fondo, da quello di Galileo». Analogamente, mise in risalto una regola generale che caratterizza «tutti i nostri grandi Italiani, nel Medioevo e nel Rinascimento, Dante e Francesco d’Assisi, Galileo e Niccolò̀ Machiavelli, [che] ebbero tutti un tratto spirituale in comune che è il senso profondo della realtà̀».


La scienza poi possiede un proprio valore estetico:

“Il contrasto tra ciò che è bello e ciò che è vero, è di origine dottrinale, è non deriva dalla realtà delle cose. Che l’attività scientifica e l’estetica sieno essenzialmente distinte è appena un pregiudizio di pochi pensatori unilaterali, il quale non ha radici, da quella in fuori, profondissima senza dubbio, della loro personale ignoranza specifica.

Gli scopi invece delle arti figurative e della scienza sono identici come sono identici i mezzi. Perché artisti e scienziati cercano di intendere l’universo esteriore e per intenderlo e per farlo intendere procurano di darne una rappresentazione. Che questa poi si concreti in un quadro o in un modello meccanico, o in un’equazione differenziale, tocca la forma e non altera la natura logica del procedimento”.

Garbasso anticipò poi alcune questioni sociologiche molto generali che sarebbero state riprese da vari commentatori durante il Novecento. Cinquanta anni prima di C.P. Snow, propose una delle sue più note argomentazioni polemiche, sottolineando come:

“Una persona mezzamente colta, che si terrebbe disonorata quando non fosse capace di distinguere la maniera di Sandro Botticelli da quella di Paolo Veronese, o quando dovesse confessare di non conoscere l’Evolution créatrice o l’altra merce simile di fabbrica nazionale, trova invece naturalissimo di non sapere come si muovano in cielo i pianeti, o come si determini la figura della terra.”

Con un argomento che ritornerà̀ anche nelle memorie del fisico Carlo Bernardini, Garbasso deplorerà̀ il fatto che «i nostri grandi giornali danno notizia ai loro lettori di ogni giovinetto scrittore di novelle e di ogni pittore futuristeggiante; ma nessuno pubblicò regolarmente una rivista delle novità̀ scientifiche o tecniche».

A questo proposito, lamentandosi sia della cronica carenza di fondi destinati alla ricerca scientifica in Italia, che della sua marginalizzazione nei programmi scolastici del Regno, Garbasso esprimette a più̀ riprese la preoccupazione per il mutamento sostanziale dell’impianto pedagogico operante nella scuola italiana. Confrontando l’organizzazione didattica tedesca, austriaca e francese, dove esisteva «una letteratura matematica, fisica e meccanica, dedicata espressamente ai filosofi, ai medici e ai naturalisti», in Italia di inizio secolo venne invece ridotto «ad un terzo il programma d’algebra e di geometria nel Liceo, e gli sviluppi matematici furono sostituiti con una serie di lezioni su la cultura ellenica. Se il corso è fatto con coscienza, i giovinetti retori della terza Italia vi impareranno almeno, che certi ministri della pubblica istruzione non avrebbero potuto entrare nella scuola di Platone ateniese».

Al riguardo, Garbasso critica quei filosofi contemporanei che pretendono di essere «i moderatori supremi del movimento scientifico contemporaneo», ma, zavorrati da una preparazione inadeguata ricevuta nelle facoltà̀ filologiche, sanno poco o nulla di matematica, fisica o scienze. Soprattutto «hanno posto in oblio, i filosofi, [...] che i magni spiriti della Grecia erano sapienti prima di essere savi; che Talete Milesio trovò la teoria delle proporzioni e costruisse un telemetro [...] che il divino Platone risolse il problema della duplicazione del cubo [...]. I filosofi filologizzati non lo rammentano più, ma presso i Greci, per un mirabile simbolo, anche gli Dei si occupavano di Geometria». Per Garbasso bisognava inoltre andare contro la leggenda sulla incapacità̀ dei giovani italiani di capire la matematica e la fisica, e a qualsiasi presunta distinzione programmatica fra intuizione e ragione:

“Che le attitudini dello scienziato da una parte e quelle dell’artista dall’altra siano essenzialmente distinte è così essenzialmente falso che nel nostro Rinascimento i precursori della scienza moderna furono tutti quanti artisti e grandi artisti. Se poi un filosofo ci viene a raccontare che il meccanico e il fisico non ha quasi bisogno di intuizione mentre ne ha bisogno l’artista, tanto peggio per il filosofo e per la sua filosofia”.

All’entrata in guerra dell’Italia si arruolò come volontario. Da sottotenente del Genio ritornò col grado di Maggiore per avere creato il servizio ‘fonotelemetrico’ che permetteva di individuare la postazione di batterie lontane.

Fu Presidente della Società Italiana di Fisica dal 1912 al ’14 e dal 1921 al ’25, membro della settima Conferenza generale Pesi e Misure nel 1927, presidente del Comitato di Fisica del CNR. In questa carica incoraggiò e sostenne l’invio dei giovani più promettenti verso i più notevoli centri di ricerca e studio europei e ristabilì il contatto tra la fisica italiana del primo dopoguerra e le grandi correnti della ricerca sperimentale e teorica.

«Cattolico, ma non scolastico», Garbasso era informato del dibattito epistemologico in corso a livello internazionale, compendiato in Fisica d’oggi, filosofia di domani (1910) che sottolineava come la conoscenza scientifica, dopo il periodo del «materialismo infantile» dei positivisti di fine Ottocento, riacquistava un interesse particolare per il discorso filosofico grazie soprattutto ai nuovi problemi della fisica, con particolarmente riferimento agli studi di Helmholtz, Mach, Poincaré́, Boltzmann, Duhem, Enriques.

Dopo la guerra si dedicò alla vita pubblica, secondo una concezione del mondo che definiva naturale e positiva, romana, italiana e toscana. Aderì al fascismo, pur opponendosi alla riforma Gentile dell’istruzione perché trascurava le discipline scientifiche:

“Un ministro della Pubblica Istruzione rese facoltativo, or sono alcuni anni, l’insegnamento delle matematiche nel liceo, e alle matematiche sostituì un corso di lezioni sulla cultura ellenica; gli era sfuggito senza dubbio che Euclide e Tolomeo sono classici greci quanto Tucidide ed Aristofane (per citare due nomi a caso), e che anzi essi hanno avuto sulla civiltà contemporanea una più grande influenza che non abbiano avuto Tucidide ed Aristofane.

D’altra parte, nella civiltà contemporanea sono fusi con gli elementi greci e latini anche quelli che furono aggiunti dal Rinascimento, principalissimo il metodo delle scienze sperimentali. E le scienze sperimentali, come scuola di una logica più complessa della aristotelica, sono dunque indispensabili alla formazione spirituale dell’uomo moderno”.


Fu sindaco e poi primo podestà di Firenze dal 1920 al 1928. In queste vesti contribuì alla nascita delle società calcistica Fiorentina: lui, un piemontese.

venerdì 30 dicembre 2022

Singolarità e cammini nello spaziotempo

 


Forse la conseguenza più eclatante della descrizione della gravità da parte di Einstein in termini di geometria curva dello spaziotempo, nel quadro della sua teoria generale della relatività, è la possibilità che lo spazio e il tempo possano presentare "buchi" o "bordi", cioè delle
singolarità.

Una singolarità dello spaziotempo è una sua rottura, nella geometria o in qualche altra struttura fisica di base. Purtroppo, non è così facile dare un significato preciso a ciò che questo significa. In altre teorie fisiche, le singolarità sono definite come una sorta di "comportamento patologico" che si verifica in un quadro ordinato fornito dallo spazio e dal tempo. Ad esempio, un modello che descrive un fluido potrebbe prevedere che, in determinate condizioni, la pressione diventa infinitamente grande da qualche parte in un determinato momento, chiaramente in contrasto con la realtà. Ma nella relatività generale, lo spaziotempo stesso può comportarsi in modo patologico, e può farlo in molti modi.

Quando è la geometria fondamentale a rompersi, le singolarità dello spaziotempo sono spesso viste come una fine, o un "bordo", dello spaziotempo stesso. Tuttavia, sorgono numerose difficoltà quando si cerca di precisare questo concetto. La relatività generale non solo ammette le singolarità (big-bang, buchi neri, ecc.), ma ci dice che sono inevitabili in alcune circostanze. Perciò abbiamo bisogno di comprendere la natura delle singolarità se vogliamo cogliere quella dello spazio e del tempo nell'universo reale.

I buchi neri, ad esempio, sono regioni dello spaziotempo da cui nulla, nemmeno la luce, può sfuggire e la gravità tende a infinito. Questa previsione della relatività generale ci dice che essa, mentre prevede l'esistenza dei buchi neri, non è sufficiente per descriverli. È necessaria una nuova fisica dei buchi neri. Naturalmente, la relatività generale è molto efficace nel descrivere molti altri aspetti dell'universo fisico. Ma, per il centro di un buco nero, che sperimenta un estremo di gravità, le equazioni della relatività generale non funzionano più. Che cosa accada oltre l’orizzonte degli eventi (se c’è), è una domanda senza senso, perché, dove non c’è spazio tempo, anche il verbo accadere è un paradosso.


Un altro modo per descrivere la singolarità di un buco nero è che è il punto in cui materia, energia, spazio e tempo scompaiono dal nostro universo. Notiamo che lo spazio e il tempo, essi stessi, scompaiono nella singolarità. Naturalmente, i fisici non sanno esattamente cosa significhi la scomparsa del tempo e dello spazio. Dove vanno? I buchi neri contengono genericamente una singolarità spaziotemporale al loro centro; quindi, non possiamo comprendere appieno un buco nero senza comprendere anche la natura delle singolarità, che può essere ancora più complicata se essi ruotano o emettono radiazioni (di Hawking) in obbedienza alle leggi della termodinamica.

Il secondo punto descritto come "singolarità" è il Big Bang. Questa singolarità, un punto più piccolo di un atomo, è considerata da molti scienziati come dotata di densità e massa infinite. Al momento del Big Bang, si espanse rapidamente, creando tutto lo spazio, il tempo, la materia e l'energia del nostro universo fisico. Come è successo? Gli scienziati non hanno equazioni che descrivono un punto più piccolo di un atomo che ha massa e densità infinite. Questo, come il centro di un buco nero, è una singolarità per la quale sono necessarie nuove leggi fisiche.

Le singolarità segnalano in qualche modo una rottura della geometria dello spaziotempo stesso, ma ciò presenta un'ovvia difficoltà nel riferirsi a una singolarità come a una "cosa" che risiede in qualche posizione nello spaziotempo: senza una geometria, non può esserci posizione.

I tentativi più comuni di definire le singolarità si concentrano su una delle due idee fondamentali. La prima è che uno spaziotempo ha una singolarità se contiene un percorso incompleto, che non può essere continuato all'infinito, senza possibilità di estensione. Il secondo è che uno spaziotempo è singolare solo nel caso in cui ci siano dei punti "mancanti".

Un’altra idea comune, a cui si fa spesso riferimento nella discussione delle due nozioni primarie, è che la struttura singolare, sotto forma di punti mancanti o di percorsi incompleti, debba essere correlata a un comportamento patologico di qualche tipo nella curvatura dello spaziotempo, cioè una deformazione fondamentale dello spaziotempo che si manifesta come “campo gravitazionale”. Ad esempio, una certa misura dell'intensità della curvatura ("la forza del campo gravitazionale") può aumentare senza limiti mentre si attraversa il percorso incompleto.

Sebbene esistano definizioni contrastanti delle singolarità dello spaziotempo, il criterio più ampiamente accettato si basa sulla possibilità che alcuni spaziotempi contengano percorsi incompleti e inestensibili. In effetti, le definizioni concorrenti (in termini di punti mancanti o patologia della curvatura) si basano sulla nozione di incompletezza del percorso.

Un percorso nello spaziotempo è una catena continua di eventi attraverso lo spazio e il tempo. I percorsi utilizzati nei più importanti teoremi di singolarità rappresentano possibili traiettorie di particelle e osservatori. Tali percorsi sono noti come linee di universo; consistono nella sequenza continua di eventi istanziati dall'esistenza di un oggetto in ogni istante della sua vita. 


Il fatto che i percorsi siano incompleti e inestensibili significa, in parole povere, che, dopo un periodo di tempo finito, una particella o un osservatore che segue quel percorso "scapperebbe dal mondo", per così dire, e precipiterebbe nello squarcio nel tessuto dello spaziotempo per poi svanire. 



In alternativa, una particella o un osservatore potrebbe saltare fuori dallo strappo per seguire tale percorso. Anche se non c'è alcuna contraddizione logica o fisica in tutto ciò, sembra fisicamente sospetto che a un osservatore o a una particella venga permesso di entrare o uscire dall'esistenza proprio nel mezzo dello spaziotempo: se ciò non basta per concludere che lo spaziotempo è singolare, è difficile immaginare cos'altro sarebbe. Nello stesso momento in cui fu proposto per la prima volta questo criterio per le singolarità, il lavoro pionieristico che prevedeva l'esistenza di tali percorsi patologici (Penrose, Hawking, Geroch alla fine degli anni Sessanta) non ha prodotto consenso su ciò che dovrebbe essere considerato una condizione necessaria per la struttura singolare secondo questo criterio, e quindi nessun consenso su una definizione fissa.

In questo contesto, un percorso incompleto nello spaziotempo è sia inestensibile che di lunghezza propria finita, il che significa che qualsiasi particella o osservatore che attraversi il percorso sperimentano solo un intervallo finito di esistenza che in linea di principio non può più continuare. Affinché questo criterio funzioni, tuttavia, dovremo limitare la classe di spaziotempo in discussione.

In particolare, bisogna considerare spazi-tempi che sono massimamente estesi (o semplicemente "massimali"). In effetti, questa condizione dice che la propria rappresentazione dello spaziotempo è “quanto più grande può essere”. Non c'è, dal punto di vista matematico, alcun modo per trattare lo spaziotempo come un vero e proprio sottoinsieme di uno spaziotempo più grande ed esteso. 




Se c'è un percorso incompleto in uno spaziotempo, sostiene il pensiero alla base del requisito, allora forse il percorso è incompleto solo perché non si è reso il proprio modello di spaziotempo abbastanza grande. Se si dovesse estendere al massimo la molteplicità dello spaziotempo, allora forse il percorso precedentemente incompleto potrebbe essere esteso nelle nuove porzioni dello spaziotempo più ampio, indicando che nessuna patologia fisica è alla base dell'incompletezza del percorso. L'inadeguatezza risiederebbe semplicemente nel modello fisico incompleto che avevamo usato per rappresentare lo spaziotempo.

Si può facilmente avere un esempio di uno spaziotempo non esteso al massimo, insieme a un'idea del motivo per cui intuitivamente sembrano in un modo o nell'altro carenti. Per il momento, immaginiamo che lo spaziotempo sia solo bidimensionale e piatto, come un foglio di carta senza fine. Ora asportiamo da qualche parte su questo piano un insieme chiuso della forma che si desidera. Qualsiasi percorso che passa attraverso uno dei punti nell'insieme rimosso ora è incompleto.

In questo caso, l'estensione massima dello spaziotempo risultante è ovvia, e in effetti risolve il problema di tutti questi percorsi incompleti: incorporare l'insieme precedentemente asportato. 


La natura apparentemente artificiale e artificiosa di tali esempi, insieme alla facilità di correggerli, sembra militare a favore della necessità che lo spaziotempo sia massimale. Inoltre, l'inestensibilità è talvolta discussa sulla base del fatto che non esiste alcun processo fisico noto che potrebbe far sì che lo spaziotempo si avvicini, per così dire, e non continui come avrebbe potuto, se avesse avuto un'estensione.

Una volta stabilito che siamo interessati a spazio-tempo massimi, la questione successiva è quale tipo di incompletezza di percorso sia rilevante per le singolarità. Qui troviamo una buona dose di pareri discordi. I criteri di incompletezza in genere guardano a come cresce un parametro naturalmente associato al percorso (come la sua lunghezza corretta). Generalmente si pongono anche ulteriori restrizioni sui percorsi che si considerano: ad esempio, si possono escludere cammini che potrebbero essere percorsi solo da particelle che subiscono un'accelerazione illimitata in un periodo di tempo finito. Uno spaziotempo, quindi, si dice singolare se possiede un percorso tale che il parametro specificato associato a quel percorso non può aumentare senza limiti mentre si attraversa l'intero percorso massimamente esteso.

Per un percorso che è ovunque simile al tempo, cioè che non comporta velocità pari o superiori a quella della luce, è naturale prendere come parametro il tempo proprio che una particella o un osservatore sperimenterebbe lungo il percorso, cioè il tempo misurato lungo il percorso da un orologio naturale, come quello basato sulla frequenza vibrazionale di un atomo. L'interpretazione fisica di questa sorta di incompletezza per i percorsi simili al tempo è più o meno semplice: un percorso simile al tempo, incompleto rispetto al tempo proprio nella direzione futura, rappresenterebbe la possibile traiettoria di un corpo massiccio che non invecchia mai oltre un certo punto della sua esistenza. (Un'affermazione analoga può essere fatta, mutatis mutandis, se il percorso fosse incompleto nella direzione passata.)

Non possiamo, tuttavia, stabilire semplicemente che uno spaziotempo massimale è singolare solo nel caso in cui contenga percorsi di tempo proprio finito che non possono essere estesi. Un tale criterio implicherebbe che anche lo spaziotempo piatto descritto dalla relatività ristretta è singolare, il che è sicuramente inaccettabile. Ciò seguirebbe perché, anche nello spaziotempo piatto, ci sono percorsi simili al tempo con accelerazione illimitata che hanno solo un tempo proprio finito e sono anche inestensibili.

L'opzione più ovvia è quella di definire uno spaziotempo come singolare se e solo se contiene geodetiche simili al tempo incomplete, inestensibili, cioè percorsi che rappresentano le possibili traiettorie di osservatori inerziali, quelli in caduta libera. Questo criterio, però, sembra troppo permissivo, in quanto conterebbe come non singolari alcuni spazi-tempi la cui geometria sembra altrimenti patologica. Ad esempio, Geroch (1968) descrive uno spaziotempo che è geodeticamente completo e tuttavia possiede un percorso temporale incompleto di accelerazione totale limitata, vale a dire un percorso inestensibile nello spaziotempo attraversabile da un razzo con una quantità finita di carburante, lungo il quale un l'osservatore potrebbe sperimentare solo una quantità finita di tempo proprio. Sicuramente l'intrepido astronauta in un tale razzo, che non sarebbe mai invecchiato oltre un certo punto, ma che non sarebbe mai necessariamente morto o avrebbe cessato di esistere, avrebbe avuto motivo di lamentarsi del fatto che c'era qualcosa di singolare in questo spaziotempo.

Quando si decide se uno spaziotempo è singolare, quindi, vogliamo una definizione che non sia ristretta alle geodetiche. La soluzione più ampiamente accettata a questo problema utilizza una nozione di lunghezza leggermente diversa e tecnicamente complessa, nota come "lunghezza affine generalizzata" (che omette la nozione di misura della distanza e utilizza strumenti di calcolo quali il trasporto parallelo). A differenza del tempo proprio, questa lunghezza affine generalizzata dipende da alcune scelte arbitrarie. Se la lunghezza è infinita per una di queste scelte, tuttavia, sarà infinita per tutte le altre. Quindi la domanda se un percorso abbia una lunghezza affine generalizzata finita o infinita è una domanda ben definita, e questo è tutto ciò di cui avremo bisogno.


La definizione che ha ottenuto l'accettazione più diffusa, portando Earman (1995) a definirla la definizione semi ufficiale di singolarità, è la seguente:

Uno spaziotempo è singolare se e solo se è massimale e contiene un cammino inestensibile di lunghezza affine generalizzata finita.

Dire che uno spaziotempo è singolare significa quindi dire che esiste almeno un percorso che ha una lunghezza limitata (affine generalizzata). Per dirla in altro modo, uno spaziotempo è non singolare quando è completo, nel senso che l'unica ragione per cui un dato percorso potrebbe non essere estendibile è che è già infinitamente lungo (in questo senso tecnico).

Il problema principale che deve affrontare questa definizione di singolarità è che il significato fisico della lunghezza affine generalizzata è opaco, e quindi non è chiaro quale potrebbe essere la rilevanza fisica delle singolarità, definite in questo modo.

Recentemente, il filosofo e logico della scienza americano J. B. Manchak (2021) ha proposto una condizione che lo spaziotempo può soddisfare, rilevante per la questione di ciò che caratterizza il comportamento singolare, che chiama "completezza effettiva":

“Si consideri la raccolta U di varietà lorentziane lisce quadridimensionali (M, g). Di solito si identifica questa collezione di oggetti geometrici con i modelli della relatività generale. Ma, all'interno di U, si nascondono modelli di spaziotempo "fisicamente irragionevoli". Ad esempio, prendiamo qualsiasi (M, g) ∈ U e rimuoviamo un punto p ∈ M. La struttura risultante (M−{p}, g) ∈ U sembra essere “fisicamente irragionevole” nel senso che non è “grande come potrebbe essere”. Come si possono escludere tali esempi? Diciamo che un modello (M, g) ∈ U è inestensibile se non può essere propriamente e isometricamente incorporato in qualche altro modello (M’, g’) ∈ U. È stato suggerito di limitare il numero di modelli "fisicamente irragionevoli" nella relatività generale richiedendo che l'inestensibilità sia soddisfatta. (...) Facendo un passo indietro, il suggerimento generale sembra essere che, per una varietà P⊂U, si potrebbe modificare la relatività generale come segue: la nuova teoria deve essere la relatività generale, ma con la condizione aggiuntiva che solo [P] spazio-tempi sono consentiti”. Prendiamo seriamente questa idea in questo modo. Per ogni collezione "fisicamente ragionevole" di modelli P⊂U, abbiamo una variante della teoria della relatività generale – chiamiamola GR(P). Poiché dobbiamo ancora identificare una collezione privilegiata P⊂U di modelli "fisicamente ragionevoli", è utile pensare alla "relatività generale" in modo pluralistico; possiamo studiare una raccolta di tali raccolte di modelli "fisicamente ragionevoli".”

Sinceramente sembra che ci si voglia arrampicare sugli specchi della singolarità: “non è che se gli allarghi la stalla le mucche diventano Miss Universo” (pseudo-cit.) Il consenso sembra essere solamente che, mentre è facile concludere che percorsi incompleti di vario tipo nello spaziotempo rappresentano una struttura singolare, non è stata ancora formulata una sua definizione rigorosa e del tutto soddisfacente.

Molti ricercatori ritengono che una teoria unificata della gravitazione e della meccanica quantistica (la gravità quantistica a loop) permetterà in futuro di descrivere in modo più appropriato i fenomeni connessi con la nascita di una singolarità nel collasso gravitazionale delle stelle massicce e l'origine stessa dell'universo. Intanto aspettiamo.

martedì 27 dicembre 2022

Lo scandalo Schön




Il campo di ricerca del fisico tedesco Jan Hendrik Schön (1970) era la fisica della materia condensata e le nanotecnologie.  Aveva conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università di Costanza nel 1997. Alla fine dello stesso anno fu assunto dai
Bell Labs negli Stati Uniti, dove lavorò nell'elettronica dei semiconduttori costituiti da materiali organici cristallini.  Schön rivendicava una capacità spettacolare nel modificare la conduttività dei materiali organici, ben al di là di quanto ottenuto fino ad allora.  Le sue misurazioni nella maggior parte dei casi confermavano varie previsioni teoriche, in particolare che i materiali organici potrebbero essere realizzati per manifestare superconduttività o essere utilizzati nei laser. I risultati furono pubblicati in importanti pubblicazioni scientifiche, comprese Science e Nature, e attirarono l'attenzione di tutto il mondo. Tuttavia, nessun gruppo di ricerca in nessuna parte del mondo riusciva a riprodurre i risultati rivendicati da Schön.

Nel 2001, compariva come autore di una media di un documento di ricerca ogni otto giorni. Nello stesso anno, annunciò su Nature di aver prodotto un transistor su scala molecolare.  Schön sostenne di aver utilizzato un sottile strato di molecole di colorante organico per assemblare un sistema che, quando attraversato da una corrente elettrica, si comportava come un transistor.  Le implicazioni del suo lavoro erano significative.  Sarebbe stato l'inizio di un allontanamento dall'elettronica dal silicio verso l'elettronica organica.  Avrebbe consentito ai transistor di continuare a ridursi oltre il punto in cui il silicio si rompe, e quindi confermare la legge empirica di Moore sulla progressiva riduzione delle dimensioni dei componenti per molto più tempo di quanto previsto.  Avrebbe anche ridotto drasticamente i costi dell'elettronica.

Un elemento chiave nel lavoro di Schön era l’affermazione che l'osservazione di vari fenomeni fisici nei materiali organici dipendeva dalla configurazione del transistor.  In particolare, Schön affermava di utilizzare un sottile strato di ossido di alluminio che incorporava nei suoi transistor utilizzando strutture di laboratorio presso l'Università di Costanza.  Tuttavia, mentre le apparecchiature e i materiali utilizzati erano comuni nei laboratori di tutto il mondo, nessuno riuscì a preparare strati di ossido di alluminio di qualità simile a quelli rivendicati da Schön.

Subito dopo che Schön ebbe pubblicato il suo lavoro sui semiconduttori a molecola singola, alcuni membri della comunità dei fisici si convinsero che i suoi dati contenevano anomalie.  Julia Hsu e Lynn Loo inizialmente notarono problemi nell'articolo di Schön che descrive l'assemblaggio di transistor molecolari, rendendosi conto che aveva figure duplicate.  Hsu e Loo avevano tentato esperimenti iniziali per raccogliere prove per un loro brevetto, ma si basavano sui risultati scientifici del lavoro di Schön.  Il 19 aprile 2002, Loo e Hsu si incontrarono con il loro avvocato specializzato in brevetti John McCabe, segnalando i dati duplicati.  Lydia Sohn, allora dell'Università di Princeton, notò che due esperimenti condotti a temperature molto diverse avevano un rumore identico.  Quando i redattori di Nature lo fecero notare a Schön, egli rispose di aver accidentalmente presentato lo stesso grafico due volte.  Paul McEuen della Cornell University trovò poi lo stesso rumore in un articolo che descriveva un terzo esperimento.  Ulteriori ricerche di McEuen, Sohn, Lynn Loo e altri fisici scoprirono una serie di esempi di dati duplicati nel lavoro di Schön.  Ciò innescò una serie di reazioni che indussero rapidamente la Lucent Technologies (che gestiva i Bell Labs per conto di AT&T) ad avviare un'indagine formale.

Nel maggio 2002, Bell Labs istituì un comitato di indagine, con Malcolm Beasley della Stanford University come presidente.  Il comitato ottenne informazioni da tutti i coautori di Schön e intervistò i tre principali (Zhenan Bao, Bertram Batlogg e Christian Kloc).  Esaminò le bozze elettroniche degli articoli contestati, che comprendevano dati numerici elaborati.  Il comitato chiese copie dei dati grezzi, ma scoprì che Schön non aveva tenuto quaderni di laboratorio.  I suoi file di dati grezzi erano stati cancellati dal suo computer.  Secondo Schön, i file erano stati cancellati perché il suo computer aveva uno spazio limitato sul disco rigido. Inoltre, tutti i suoi campioni sperimentali erano stati gettati o danneggiati irreparabilmente.

Il 25 settembre 2002, il comitato pubblicò il suo rapporto, che conteneva i dettagli di 24 accuse di cattiva condotta da parte di Schön.  Il comitato aveva trovato prove di cattiva condotta scientifica in almeno 16 esperimenti, mentre i restanti 8 non erano correlati a pubblicazioni e mancavano di prove convincenti di cattiva condotta.  Si scoprì che interi gruppi di dati erano stati riutilizzati in una serie di esperimenti diversi.  Inoltre, alcuni dei suoi grafici, che dovevano essere tracciati da dati sperimentali, erano stati invece prodotti utilizzando funzioni matematiche (un’ingenuità imperdonabile, a mio modesto parere).


Il rapporto rilevò che tutti i misfatti erano stati compiuti da Schön da solo.  Tutti i coautori (incluso Bertram Batlogg, che era il capo della squadra) furono prosciolti dall’accusa di cattiva condotta scientifica. Lo scandalo provocò tuttavia discussioni nella comunità scientifica sul grado di responsabilità di coautori e revisori di articoli scientifici.  Il dibattito si è incentrato sul fatto che la peer-review, tradizionalmente concepita per trovare errori e determinare la pertinenza e l'originalità degli articoli, debba essere richiesta anche per rilevare le frodi deliberate.

Schön riconobbe che i dati non erano corretti in molti articoli.  Affermò che le sostituzioni potevano essere avvenute per errore inconsapevole.  Aveva omesso alcuni dati e disse di averlo fatto per mostrare prove più convincenti dei fenomeni che aveva osservato.

Dopo questi fatti, i ricercatori della Delft University of Technology e del Thomas J. Watson Research Center eseguirono esperimenti simili a quelli di Schön, senza ottenere risultati simili.  Anche prima che le accuse diventassero pubbliche, diversi gruppi di ricerca avevano cercato di riprodurre la maggior parte dei suoi spettacolari risultati nel campo della fisica dei materiali molecolari organici senza successo.

Nel giugno 2004 l'Università di Costanza emise un comunicato stampa in cui affermava che il dottorato di Schön era stato revocato per "condotta disonorevole".  Il portavoce del Dipartimento di Fisica Wolfgang Dieterich definì la vicenda la "più grande frode in fisica degli ultimi 50 anni".  Schön impugnò la sentenza. Dopo un lungo iter giudiziario, il tribunale statale stabilì nel settembre 2011 che l'università aveva ragione a revocare il dottorato. Il tribunale amministrativo federale ha confermato la decisione del tribunale statale nel luglio 2013 e la Corte costituzionale federale l'ha confermata nel settembre 2014. 

Prima di essere smascherato, Schön aveva ricevuto diverse onorificenze e premi, che furono tutti successivamente revocati. Nell'ottobre 2004, il comitato misto della Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG, la Fondazione tedesca per la ricerca) annunciò sanzioni contro di lui.  L'ex borsista post-dottorato del DFG fu privato del suo diritto attivo di votare alle elezioni del DFG o di prestare servizio nei comitati del DFG per un periodo di otto anni, durante il quale, Schön non poté svolgere nemmeno il ruolo di revisore tra pari o di richiedere fondi DFG.

Schön poi andò a lavorare presso uno studio di ingegneria.

Nel 2010 è stato pubblicato un romanzo ispirato a questa vicenda, dal titolo “Il falsario”, edito da Mursia, scritto da Gianfranco D’Anna, che ha alle spalle un dottorato in fisica al Politecnico Federale di Losanna, il quale frequentò i Bell Labs nello stesso periodo di Schön.




mercoledì 7 dicembre 2022

Sul significato quantistico dello zero assoluto 



Nel 1930, i fisici erano affascinati da un numero α chiamato costante di struttura fine o costante di Sommerfeld, la costante di accoppiamento dell'interazione elettromagnetica, di cui esprime l'intensità relativamente alla carica elementare. Fu introdotta da Arnold Sommerfeld nel 1916 come misura della deviazione relativistica delle linee spettrali del modello atomico di Bohr ed è espressa da una relazione fra costanti fisiche nell'ambito dell'elettromagnetismo. Come tutte le costanti di accoppiamento, α è una quantità adimensionale, indipendente dal sistema di unità di misura usato. Essa vale esattamente 1/137, o almeno così si pensava allora.

A detta di Max Born, in The Mysterious Number 137, pubblicato nei Proceedings of the Indian Academy of Sciences nel 1935, la costante «Ha le conseguenze più fondamentali per la struttura della materia in generale». Tale costante definisce la scala degli oggetti naturali: le dimensioni degli atomi e di tutte le cose che sono costituite da atomi, l'intensità e i colori della luce, l'intensità delle forze elettromagnetiche, ecc. In sostanza, controlla e ordina tutto ciò che vediamo. 


La costante di struttura fine è di fondamentale importanza anche per quanto concerne il principio antropico, infatti, questo parametro adimensionale è determinante nel far sì che l'Universo si presenti così com'è, ossia in grado, tra le altre cose, di ospitare forme di vita. Una leggera variazione (del 10-20%) dal suo valore basterebbe infatti a influenzare in modo rilevante le leggi fisiche che governano l'Universo, in quanto si avrebbero cambiamenti nei rapporti tra le forze attrattive e repulsive tra le particelle elementari, con conseguenze dirette sulla costituzione della materia e sull'attività stellare.  

La sua esistenza venne interpretata da alcuni scienziati come un indizio dell'incompletezza del nostro attuale modo di interpretare le leggi della natura. Come mai questo numero è l'esatto inverso di un numero intero?  Alcuni, come Arthur Eddington, che perse molto tempo della sua gloriosa carriera in queste elucubrazioni numerologiche, credettero che questa coincidenza dovesse avere necessariamente un significato mistico. Eddington inizialmente pensava che α valesse 1/136, ma poi cambiò idea per accordarsi ai dati sperimentali, una evidente contraddizione rispetto alla sua idea platonica di derivare le costanti fondamentali della natura da speculazioni esclusivamente numeriche. Altri, come Wolfgang Pauli, interessato alla Kabbalah, che associa un numero a ogni lettera ebraica, fu sconvolto nel notare che il numero che la Kabbalah associa alla parola Kabbalah non è altro che... 137. Il 137 per Pauli fu una vera e propria ossessione (e lo fu anche per il suo amico e sodale lo psicanalista Carl Jung) e tale rimase fino al giorno della sua morte. Morì nella camera numero 137 dell’Ospedale di Zurigo.  


Per prendere in giro questi eccessi numerologici, un giovane fisico, Hans Bethe, che avrebbe ricevuto il Premio Nobel nel 1967, scrisse con altri un articolo [1] in cui affermava di spiegare perché lo zero assoluto della temperatura, lo zero Kelvin, è pari a −273° Celsius.  Questa corrispondenza non è convenzionale, spiegava, perché −273 è uguale a −274 + 1. Tuttavia, 274 è uguale a due volte 137, cioè due volte l'inverso della costante di struttura fine.  Hans Bethe continuava poi questa assurda
ratatouille mescolando alcuni argomenti speciosi, spiegando ad esempio che è l'esistenza del neutrone che richiede l'aggiunta di un "più uno" affinché il calcolo sia corretto. 
“Consideriamo un reticolo cristallino esagonale.  La temperatura dello zero assoluto è caratterizzata dalla condizione che tutti i gradi di libertà sono congelati.  Ciò significa che tutti i movimenti interni del reticolo cessano.  Questo ovviamente non vale per un elettrone su un orbitale di Bohr. Secondo Eddington, ogni elettrone ha 1/α gradi di libertà, dove α è la costante struttura fine di Sommerfeld.  Oltre agli elettroni, il cristallo contiene solo protoni, per i quali il numero di gradi di libertà è lo stesso poiché, secondo Dirac, il protone può essere visto come un buco nel gas di elettroni.  Per ottenere lo zero assoluto dobbiamo quindi rimuovere dalla sostanza 2/α −1 gradi di libertà per neutrone.  (Il cristallo nel suo insieme dovrebbe essere elettricamente neutro; 1 neutrone = 1 elettrone + 1 protone.  Un grado di libertà rimane a causa del movimento orbitale.) Per la temperatura dello zero assoluto otteniamo quindi: 

 T0= −(2/α −1)°. 

Se prendiamo T0 = −273 otteniamo per 1/α il valore di 137 che concorda entro certi limiti con il numero ottenuto con un metodo completamente diverso.  Si può facilmente dimostrare che questo risultato è indipendente dalla scelta della struttura cristallina”. 
Per chiunque abbia basi rudimentali di fisica moderna, l’articolo è privo di senso ed è una evidente parodia di certi tipi di "numerologia" che sono popolari tra pseudoscienziati e invasati.  Per i suoi autori nel 1931 era ugualmente privo di senso; la fisica dello stato solido era meno avanzata di oggi e stava subendo alcuni cambiamenti drammatici causati dalla rivoluzione della fisica quantistica. Tuttavia, c’erano enormi lacune nella logica che avrebbero dovuto essere ovvie per i fisici di quel tempo. 

Ad esempio, α è indipendente dai sistemi di unità di misura, mentre il numero −273 per lo zero assoluto si applica solo ai gradi Celsius; in un altro sistema come i gradi Fahrenheit, lo zero assoluto è a −459° F. Questa è solo la sciocchezza più ovvia nel documento, ma avrebbe dovuto essere sufficiente per gli editori del giornale per capirlo. 

L'articolo fu pubblicato su una rivista molto seria il 9 gennaio 1931.  Tre mesi dopo, il direttore della rivista dovette pubblicare una nota spiegando che questa bufala aveva solo lo scopo di mettere in guardia contro la proliferazione di pubblicazioni che rientrano in quelle che ora vengono chiamate "scemenze".  Inoltre, ora sappiamo che la costante di struttura fine non vale 1/137 ma 1/137.035.999...  Non è il reciproco di un intero, quindi non c'era bisogno di fare tante speculazioni. 

[1] G. Beck, H. Bethe, W. Riezler, "Remarks on the quantum theory of the absolute zero of temperature", Die Naturwissenschaften, 2 (1931) 

domenica 4 dicembre 2022

La straordinaria invenzione di Claude Émile Jean-Baptiste Litre

 


Il Sistema internazionale delle unità di misura (SI) di solito consente l'uso della lettera maiuscola solo quando un'unità prende il nome da una persona. Ora, spesso è difficile distinguere tra il carattere "l" e la cifra "1" in determinati font o grafie, e quindi sia la minuscola (l) che la maiuscola (L) sono consentite come simbolo per litro. Il National Institute of Standards and Technology degli Stati Uniti ora raccomanda l'uso della lettera maiuscola L, una pratica ampiamente seguita anche in Canada e Australia.

Fu così che, per giustificare l'uso della L maiuscola per denotare i litri, nacque Claude Émile Jean-Baptiste Litre (1716-1778).

Kenneth Woolner pubblicò la bufala come pesce d’aprile 1978 in un lungo e serioso articolo di "CHEM 13 News", una newsletter dell'Università canadese di Waterloo di didattica della chimica per insegnanti. Secondo l’articolo, Claude Litre nacque il 12 febbraio 1716 nel villaggio di Margaux (è il nome di uno dei più prestigiosi bordeaux di Francia), figlio di un produttore di bottiglie di vino. In effetti, le bottiglie da un litro erano state un elemento vitale dell'industria vinicola di Bordeaux sin dagli anni '20 del Seicento, anche se nessuno si preoccupava del suo esatto valore. Questa tradizione familiare di interesse per i problemi di contenimento dei liquidi e la conoscenza delle proprietà del vetro ebbe senza dubbio una grande influenza sul lavoro successivo di Litre per la misurazione della capacità.

Litre mostrò subito talento matematico. Fu incoraggiato e protetto da diversi illustri scienziati (de Maupertuis e Celsius sopra tutti) nel corso della sua vita, durante la quale realizzò i primi cilindri di vetro con graduazioni accurate. Prima di Litre, nessuno aveva mai realizzato un cilindro preciso di vetro trasparente, e i suoi cilindri variavano di diametro interno di meno dello 0,1% su tutta la loro altezza. E nessuno, prima di Litre, aveva graduato con tanta precisione un cilindro di vetro, in decimi, centesimi e talvolta anche millesimi. I suoi cilindri graduati erano ambiti dai chimici di tutta Europa.


La sua principale opera scritta, gli
Études Volumétriques del 1763, fu tradotta in inglese nel 1764 da Joseph Priestley (1733-1804) e in tedesco nel 1767 da Karl Wilhelm Scheele (1742-1786). Nella prefazione alla traduzione, Priestley elogiò il lavoro di Litre come un perfetto esempio del fatto che "tutte le cose (e in particolare qualsiasi cosa dipenda dalla scienza) negli ultimi anni hanno avuto un progresso verso la perfezione più rapido che mai”.

Dei cilindri graduati di Litre non sopravvive un solo esemplare, ma durante la sua illustre carriera scientifica, Litre propose un'unità di misura del volume che fu incorporata nel Sistema internazionale di unità dopo la sua morte nel 1778.

Gli ultimi anni di Litre trascorsero nella fama e adulazione accumulata tra i sapienti di Parigi, e purtroppo furono turbati da una sequenza senza fine di contenziosi sui brevetti contro vetrai tedeschi, veneziani e boemi. Sebbene fosse il destinatario di ogni onore civile che la Francia potesse conferire, Litre non fu mai ammesso all'Académie des Sciences, anche se costruì apparati per tutti i filosofi dell’Accademia e molti di loro lo consideravano un amico. Si dice che Litre sia stato escluso da Lavoisier, che non voleva che l'atmosfera aristocratica del consesso fosse contaminata da un "fournisseur". Litre rifiutò di lasciarsi turbare da questa mancanza di riconoscimento ufficiale da parte dell'establishment scientifico. In effetti, sembra che non si sia mai lasciato turbare da nulla: era un individuo paziente, flemmatico, non portato all'argomentazione. Era astemio, laborioso e in ottima salute quando morì prematuramente il 5 agosto 1778, durante l'epidemia di colera di quell'anno.

Nei suoi Études Volumétriques Litre aveva scelto, per il suo volume standard, una misura molto vicina al vecchio flaçon royal di Enrico IV, introdotto nel 1595 per standardizzare la tassazione del vino. Tuttavia, riconobbe l'arbitrarietà di questa unità e suggerì che in qualsiasi sistema di unità razionalizzato, il volume avrebbe potuto essere specificato in termini di massa standard di un liquido standard. Ma il sogno di Litre di un sistema di unità razionalizzato non iniziò a concretizzarsi che 15 anni dopo la sua morte, quando il matematico Lagrange (1736 – 1813) fu nominato a capo di una commissione per elaborare un tale sistema. E nel 1795 nacque il sistema metrico decimale.


Il chimico Antoine de Fourcroy (1755-1809), che aveva studiato la costruzione di strumenti nella fabbrica di Litre prima del suo grande lavoro sulla nomenclatura con Lavoisier, fu probabilmente il primo a suggerire che il nome di Litre fosse usato per l'unità di volume.

Il finto tributo di Woolner era talmente adattato ai suoi potenziali lettori che fu preso sul serio. Nel 1980 fu pubblicato un abstract su Chemistry International, la rivista dell'International Union of Pure and Applied Chemistry (IUPAC), che fu ritrattato secondo i crismi nel numero successivo della rivista.

Per i più curiosi, aggiungo che il cognome del grande scienziato (poi nome dell'unità di capacità) deriva dal francese litre, da litron, nome di un’antica misura francese di capacità per il grano (XVI sec.), dal latino medievale litra, a sua volta dal greco λιτρα, "libbra" (unità di peso).

venerdì 18 novembre 2022

Fusione fredda: un caso di cattiva scienza

 


Stanley Pons (1943) e Martin Fleischmann (1927-2012) formavano una coppia alquanto eterogenea. Pons era un uomo tranquillo di una piccola città della Carolina del Nord. Fleischmann era un ceco estroverso quasi abbastanza vecchio per essere il padre di Pons. I due si erano conosciuti mentre Pons stava completando il dottorato di ricerca presso l'Università di Southampton in Inghilterra, dove Fleischmann era professore. Pons ammirava l'intelligenza e il talento di Fleischmann, che divenne presto suo mentore e amico. I due rimasero vicini nel corso degli anni, quando Pons passò da studente laureato a una cattedra presso l'Università dello Utah. Poco dopo aver assunto l'incarico di professore, Pons iniziò a collaborare ai progetti di ricerca di Fleischmann.

L'idea alla base del loro esperimento di fusione fredda fu innescata da uno degli studi precedenti di Fleischmann. Alla fine degli anni '60, Fleischmann utilizzava il palladio, un metallo raro, come ingrediente chiave per separare l'idrogeno dal deuterio. Il palladio può assorbire quantità insolitamente grandi di idrogeno, circa 900 volte il proprio volume. È un po' come usare una spugna da cucina per asciugare 30 litri di acqua versata. Questo straordinario potere di assorbimento è dovuto a una reazione sulla superficie del palladio che attira l'idrogeno all'interno del metallo. Poiché l'idrogeno e il deuterio sono isotopi e differiscono solo per un neutrone, la stessa reazione si verifica con il deuterio, che può essere risucchiato dal palladio in quantità sorprendentemente elevate. Fleischmann pensò che, poiché il deuterio assorbito dal palladio subisce una drastica riduzione di volume (di un fattore di circa 900), gli atomi di deuterio devono essere schiacciati all'interno del palladio. Cominciò a chiedersi se un processo simile potesse essere utilizzato per forzare gli atomi di deuterio abbastanza vicini da fondersi e rilasciare energia.


Fleischmann accantonò le sue idee sulla fusione fino all'autunno del 1983, quando lui e Pons iniziarono a parlare della possibilità di utilizzare processi chimici per innescare un processo nucleare. Decisero di organizzare un esperimento per testare l'idea di Fleischmann. Lavorando nel laboratorio di Pons, i due misero insieme quella che definirono una "cella di fusione". La configurazione iniziale della cella di Fleischmann e Pons utilizzava un vaso di Dewar (vaso di vetro a doppia parete al cui interno era stato fatto il vuoto) riempito di acqua pesante per svolgere l'elettrolisi, in modo che fosse minima la dispersione termica (meno del 5% durante la durata di un tipico esperimento). La cella era poi immersa in un bagno tenuto a temperatura costante in modo da eliminare gli effetti di sorgenti di calore esterne.

I due scienziati utilizzarono una cella aperta, in modo da eliminare la pericolosa formazione di sacche di deuterio e ossigeno risultanti dalle reazioni di elettrolisi, anche se ciò avrebbe favorito qualche perdita termica e comportava quindi il ricalcolo della minore potenza prodotta dalla cella stessa a causa della perdita. Questa configurazione, a causa dell'evaporazione del liquido, rendeva necessario rabboccare di tanto in tanto il vaso con nuova acqua pesante. I due scienziati notarono che, se la cella era alta e stretta, le bolle di gas prodotte dalla elettrolisi potevano mescolare l'acqua pesante contenuta e portarla ad una temperatura uniforme.


Nella cella erano contenuti due barrette di metallo, una di palladio e l'altra di platino, immerse in un contenitore di acqua pesante (acqua in cui l'idrogeno di ciascuna molecola è sostituito dal deuterio). Sapevano che con l'elettricità si sarebbe innescato un processo di elettrolisi, in cui le molecole di acqua pesante si sarebbero divise, producendo gas di deuterio e ossigeno. Il deuterio avrebbe potuto quindi essere assorbito nel palladio tramite una reazione chimica. Pons e Fleischmann ipotizzarono che, una volta all'interno del palladio, gli atomi di deuterio sarebbero stati spinti così vicino da fondersi e rilasciare grandi quantità di energia sotto forma di calore. Pons e Fleischmann misurarono continuamente la temperatura della cella durante il suo funzionamento. Dopo alcune analisi dei dati, scoprirono che la cella stava producendo circa 100 volte più calore di quanto potesse essere spiegato dalla sola chimica. Interpretarono questo calore in eccesso come prova della fusione. Eccitati dalla possibilità di aver trovato un modo economico per sfruttare la fusione per la produzione di energia, Pons e Fleischmann erano ansiosi di testare ulteriormente la loro idea. Tuttavia, più esperimenti richiedevano più finanziamenti.


Con promettenti risultati preliminari a sostegno della loro ipotesi sulla fusione fredda, Pons e Fleischmann fecero domanda per una sovvenzione governativa per ottenere fondi per ulteriori esperimenti. Come parte del processo di sovvenzione, la proposta di Pons e Fleischmann dovette passare attraverso la revisione tra pari. Uno dei revisori era Steven Jones, un fisico nucleare della Brigham Young University, a sole 50 miglia di distanza. Jones e un gruppo di collaboratori stavano lavorando a un esperimento simile ma stavano studiando un tipo di prova diversa. Mentre Pons e Fleischmann si stavano concentrando sulla rilevazione del calore che sarebbe stato prodotto dalla fusione, il gruppo di Jones stava cercando un altro segno di fusione: i neutroni.


Secondo la teoria nucleare, gli atomi di deuterio si fondono e rilasciano energia in un processo in due fasi: 1) I due atomi di deuterio si uniscono per formare un singolo atomo di elio-4 (elio con due protoni e due neutroni). 2) Questo atomo di elio-4 ha molta energia, così tanta da renderlo instabile. L'atomo instabile libera rapidamente parte di questa energia in tre modi diversi: rilasciando un neutrone, o un protone o un raggio gamma.


Il processo di fusione, la formazione di elio-4 e il successivo rilascio di energia, generano una grande quantità di calore. Inoltre, la teoria nucleare ci dice quanto di ogni prodotto di fusione dovremmo aspettarci di osservare: per una data quantità di deuterio sottoposto a fusione, dovremmo vedere la produzione di un numero circa uguale di protoni e neutroni e un numero molto minore di raggi gamma. Il calore, i neutroni e l'elio-4 avrebbero potuto essere tutti rilevati dalle apparecchiature disponibili in quel momento. Ciò rendeva disponibili almeno tre linee di prova per far luce sul fatto che la fusione stesse avvenendo o meno. Rilevare questi tre prodotti nelle quantità appropriate sarebbe stata una forte prova a favore della fusione fredda.

Utilizzando un nuovissimo rilevatore di neutroni all'avanguardia, il team di Jones aveva trovato prove di un piccolo numero di neutroni provenienti dalla loro cella di fusione. Jones interpretò questo fatto come una prova della fusione. Nonostante questo accordo concettuale sulla possibilità della fusione fredda, i dettagli dei risultati di Jones non combaciavano con quelli di Pons e di Fleischmann. La quantità di fusione che Jones pensava di rilevare era così piccola da non avere alcuna applicazione pratica, mentre i risultati di Pons e Fleischmann indicavano che le celle di fusione potevano essere utilizzate come fonte di energia, alimentando in futuro intere centrali elettriche.


Poiché stavano cercando diversi tipi di prove per lo stesso fenomeno, Jones chiese al Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, di informare Pons e Fleischmann della sua ricerca e di suggerire una collaborazione. Scientificamente parlando, collaborare era una buona idea. Sebbene Pons e Fleischmann avessero una vasta formazione in chimica, nessuno dei due aveva studiato fisica nucleare, che era l'area di competenza di Jones. Ulteriori conoscenze di fisica sarebbero state particolarmente utili in questo caso, perché l'ipotesi sulla fusione che si verifica nel palladio non era convenzionale e andava contro le teorie fisiche che suggeriscono che gli atomi di deuterio all'interno del palladio non si sarebbero avvicinati abbastanza l'uno all'altro per fondersi. Entrambi i gruppi avevano una conoscenza rilevante che mancava all'altro. Collaborando, avrebbero ampliato la loro comprensione del problema, delle tecniche e delle prove e sarebbero stati maggiormente in grado di giudicare se la fusione si stava verificando o meno.

Sfortunatamente, i vantaggi della collaborazione non furono sufficienti a convincere Pons e Fleischmann a lavorare con il gruppo di Jones. Pons e Fleischmann erano convinti che Jones avesse utilizzato i dettagli raccolti dalla loro domanda di sovvenzione per sviluppare il suo esperimento.

Preoccupato che Jones li precedesse, Pons si precipitò a eseguire i suoi esperimenti sui neutroni, ma la sua ricerca di neutroni non iniziò bene. Inizialmente non era in grado di rilevare alcun segno di neutroni rilasciati dalla sua cella di fusione fredda, sebbene il gran numero di neutroni prodotti dalla fusione avrebbe dovuto essere relativamente facile da rilevare. Pons provò quindi una seconda tecnica per il rilevamento dei neutroni. Questa volta trovò i neutroni, ma cento milioni di volte meno del numero che si aspettava di rilevare. Tuttavia, i neutroni erano ancora molte volte più del numero che Jones aveva trovato. Nulla sembrava corrispondere: i risultati sui neutroni di Pons non erano d'accordo con le sue misurazioni del calore, con i risultati sui neutroni di Jones e con la teoria nucleare consolidata, che suggeriva che non avrebbe dovuto verificarsi alcuna fusione.

Come scienziati, la corretta linea d'azione era chiara. La condotta scientifica implica un equilibrio tra scetticismo e apertura mentale. Gli scienziati della fusione fredda dovevano tenere a mente sia i nuovi risultati che la vecchia teoria, mentre facevano del loro meglio per raccogliere più prove. Con risultati così sorprendenti, avevano una responsabilità ancora maggiore nel completare test approfonditi e accurati per supportare i loro risultati ed eliminare la possibilità di errori sperimentali.

Sebbene Jones, Pons e Fleischmann conoscessero le loro responsabilità scientifiche, c'era una grande pressione per pubblicare rapidamente, poiché i due gruppi sarebbero stati in competizione. Nella scienza, non è raro che due o più gruppi indaghino contemporaneamente sullo stesso problema, e la scienza ha una regola per l'assegnazione dei crediti. Il primo gruppo che pubblica una ricerca ottiene il merito di una nuova scoperta. Pertanto, se Jones o il gruppo Pons/Fleischmann passavano troppo tempo a fare ulteriori test prima della pubblicazione, correvano il rischio di perdere il credito scientifico (e i brevetti). Gli standard per la condotta scientifica (e il tempo richiesto per test approfonditi) erano in conflitto con il poco tempo imposto da altre preoccupazioni.

Solo due mesi dopo che Pons e Fleischmann avevano appreso di avere concorrenza, Jones li informò che era pronto a pubblicare. Jones onestamente propose che entrambi i gruppi inviassero i loro articoli alla stessa rivista nello stesso momento, in modo che il merito potesse essere condiviso. Mancavano solo 18 giorni alla data proposta per la presentazione, ma Pons e Fleischmann speravano in altri 18 mesi per completare i test. Nonostante il fatto che questo riducesse drasticamente il loro tempo per raccogliere i dati, Pons e Fleischmann ritenevano di non avere scelta e accettarono la presentazione congiunta del documento. Tornarono al laboratorio, determinati a raccogliere quante più prove possibili nei giorni rimanenti.

Sebbene avessero appena accettato una presentazione congiunta in 18 giorni e nonostante il fatto che inizialmente avessero avuto bisogno di un altro anno e mezzo per completare i loro esperimenti, Pons e Fleischmann precedettero Jones e presentarono un articolo da soli solo cinque giorni dopo. Questa azione era contraria agli standard del comportamento scientifico su due livelli. In primo luogo, sul piano etico, violando l’accordo con Jones. In secondo luogo, non esposero sufficientemente le loro idee. Nella loro fretta di pubblicare, non eseguirono alcuni esperimenti di controllo semplici e ovvi, i cui risultati avrebbero fornito prove chiave sulla correttezza o meno della loro ipotesi sulla fusione fredda. Ad esempio, avrebbero potuto:
• Far funzionare la loro cella di fusione con acqua normale al posto dell'acqua pesante ricca di deuterio. Se l'esperimento avesse generato calore in eccesso anche senza deuterio, sarebbe stata una prova contro l'idea che la fusione fosse la causa del calore. 
• Usare un altro metallo al posto del palladio. L’ipotesi si basava sulla grande quantità di deuterio che il palladio può assorbire. Se un altro metallo con minore capacità di assorbimento avesse prodotto risultati simili, anche questa sarebbe stata una prova contro la fusione. 
• Utilizzare una tecnica di misurazione del calore più avanzata. Pons e Fleischmann utilizzarono una tecnica in cui ai gas era permesso di fuoriuscire dalla cella di fusione e quindi era stimata la quantità di calore portato via. Se avessero utilizzato una tecnica diversa in cui non fossero fuoriusciti gas, avrebbero ottenuto risultati più accurati. 
• Richiedere la consulenza di esperti sulla loro ricerca di neutroni e altri prodotti nucleari. Rilevare queste particelle non è facile, e Pons non aveva precedenti esperienze in questo settore. Inoltre, l'attrezzatura utilizzata da Pons non era molto sensibile. Attrezzature più sensibili e più esperienza nel gestirle avrebbero aggiunto credibilità alle loro affermazioni.

Pons e Fleischmann presentarono il loro articolo al Journal of Electroanalytical Chemistry, il cui editore ritenne che il peso della potenziale scoperta di Pons e Fleischmann meritasse un trattamento speciale. L'editore sottopose l'articolo a una forma abbreviata di peer-review. La revisione tra pari può rilevare una serie di carenze negli articoli prima che vengano pubblicati. Ad esempio, i revisori tra pari normalmente notano quando le prove sono insufficienti per supportare le affermazioni degli autori (come nel caso di Pons e Fleischmann) e suggeriscono di raccogliere ulteriori prove prima della pubblicazione. I revisori cercano anche potenziali difetti nel ragionamento e nella progettazione sperimentale. Un'adeguata revisione tra pari avrebbe potuto cogliere un grave difetto nella logica di Pons e Fleischmann: avevano calcolato in modo errato le grandezze delle forze che agiscono sul deuterio mentre si trova all'interno del palladio. Il calcolo corretto ha in seguito rivelato forze molto più piccole, troppo piccole per spingere gli atomi di deuterio abbastanza vicini tra loro da fondersi.

Tuttavia, questa e altre carenze nell'articolo di Pons e Fleischmann sono sfuggite alla revisione frettolosa. I revisori ebbero solo una settimana per esaminare l'articolo (quando di solito ci vogliono diverse settimane, se non mesi) e non poterono rivedere le modifiche apportate dagli autori nella seconda bozza. Questo breve periodo di revisione aggirò alcuni dei controlli istituiti nel processo scientifico e alla fine avrebbe contribuito a un'inutile confusione, oltre a uno spreco di tempo, energia e denaro.

Non è del tutto chiaro perché Pons e Fleischmann abbiano scelto di pubblicare molto prima di quanto inizialmente previsto, ma l'impatto sul loro studio è evidente. Molti scienziati, in seguito, hanno criticato la mancanza di completezza e la qualità del loro lavoro. Pons e Fleischmann non avevano eseguito gli esperimenti o l'analisi con molta attenzione, e un mese dopo la pubblicazione dell'articolo, dovettero pubblicare un elenco di correzioni lungo due pagine che includeva importanti modifiche ai loro dati. Tuttavia, prima che la comunità scientifica avesse la possibilità di valutare le idee di Pons e Fleischmann sulla fusione fredda, i due portarono le loro affermazioni al grande pubblico.

Invece di aspettare che la comunità scientifica dicesse la sua sulle affermazioni radicali di Pons e Fleischmann, o addirittura che il documento fosse pubblicato, l'Università dello Utah organizzò il 23 marzo 1989 una conferenza stampa per annunciare al mondo il successo della fusione fredda. Furono fornite pochissime informazioni concrete, ma i due scienziati e alcuni dirigenti universitari sottolinearono ripetutamente la quantità di energia che Pons e Fleischmann pensavano che le loro celle di fusione avrebbero potuto produrre in futuro se fossero state rese più grandi ed efficienti. Ciò presentò al pubblico una visione molto ottimistica della fusione fredda e suscitò molto entusiasmo, il tutto prima ancora che la comunità scientifica avesse avuto la possibilità di determinare se la fusione fredda fosse reale.

Sebbene pubblicizzare scoperte entusiasmanti sia normale, la pubblicità anticipata, combinata con una revisione paritaria ridotta, creò molti problemi. La comunità scientifica era in subbuglio dopo la conferenza stampa. Pons e Fleischmann avevano fatto affermazioni straordinarie, ma poiché il documento non era ancora disponibile, la comunità scientifica non aveva modo di valutare il lavoro presentato nel documento, figuriamoci provare a replicarlo.

Sebbene il processo della scienza non richieda che ogni esperimento venga replicato, con risultati sorprendenti come quelli di Pons e Fleischmann - risultati che contraddicevano una teoria consolidata - ciò era obbligatorio. Dopotutto, la scienza mira a scoprire le regole in base alle quali opera l'universo. Questo significa che un fenomeno dovrebbe funzionare allo stesso modo indipendentemente da chi lo sta testando e dove. La teoria nucleare aveva superato questo test, ma restava ancora da vedere se la fusione fredda potesse farlo.

Mancavano ancora diverse settimane alla pubblicazione dell'articolo di Pons e Fleischmann, ma gli scienziati non lasciarono che ciò li fermasse. Copie non autorizzate dell'articolo iniziarono a circolare via fax all'interno della comunità scientifica, ma quando altri scienziati tentarono di allestire lo stesso esperimento, scoprirono che l'articolo non descriveva tutti i dettagli rilevanti. Questo non è così insolito nella scienza di oggi. Molte procedure sono complesse e descriverle completamente richiederebbe troppe pagine. In questi casi, gli autori sono tenuti a fornire i relativi dettagli su richiesta. Tuttavia, Pons e Fleischmann si rifiutarono di fornire questi dettagli. I funzionari dell'Università dello Utah hanno successivamente rivelato di aver detto a Pons e Fleischmann di non rivelare troppi dettagli prima che fosse depositato un brevetto. Alla fine, l'articolo, frettoloso e impreciso, fu pubblicato ufficialmente il 10 aprile 1989.


Oltre a tentare di replicare l'esperimento di Pons e Fleischmann - tentativi che erano stati vanificati dalla mancanza di informazioni - gli scienziati provarono a verificare il lavoro in altri modi, esaminando il documento sulla fusione fredda alla ricerca di potenziali fonti di errore. Molti dei problemi che notarono sarebbero probabilmente stati rilevati in un'approfondita revisione tra pari e alcuni errori erano sorprendentemente banali. Ad esempio, gli scienziati rilevarono che Pons e Fleischmann non avevano agitato l'acqua pesante all'interno delle loro celle di fusione. Proprio come è probabile che non mescolare una pentola di zuppa sul fornello lasci alcune parti fredde e altre bruciate, non mescolare l'acqua in una cella di fusione porta a una distribuzione del calore non uniforme e misurazioni della temperatura imprecise.

Altri continuarono a provare a replicare i risultati provando molte diverse combinazioni sperimentali, sperando di trovare quella usata da Pons e Fleischmann. I risultati iniziali furono contrastanti. Mentre la maggior parte dei gruppi di ricerca riferì di non aver visto prove di fusione, alcuni gruppi sostennero di aver osservato calore in eccesso e/o neutroni provenienti dalle loro celle di fusione. Tuttavia, questi gruppi erano in conflitto tra loro sulle condizioni necessarie per la fusione. Ad esempio, alcuni scoprirono che erano necessari mesi per l'inizio delle reazioni nucleari, altri dissero di aver ottenuto risultati in poche ore. E spesso questi gruppi non furono nemmeno in grado di replicare i propri risultati.

Come è stato possibile che esperimenti molto simili producessero risultati così diversi? Alcuni dei risultati erano semplicemente errori. Molte delle conferme dei risultati di Pons e Fleischmann dovettero essere ritirate a causa di errori, ad esempio in un caso ci si era dimenticati di collegare un cavo chiave nell'allestimento sperimentale. Altre discrepanze erano dovute a differenze nell'analisi dei dati. Gli scienziati raccolgono dati grezzi, che devono essere analizzati e interpretati prima che possano dire qualcosa di significativo sul test. Ad esempio, molti degli scienziati della fusione fredda, inclusi Pons e Fleischmann, avevano cercato di valutare se la fusione stesse avvenendo misurando il calore prodotto dalla cella. Sembra che sia semplice (basta misurare la temperatura della cella) ma, in realtà, non lo è. La cella scambia calore con l'ambiente circostante e parte del calore viene portato via dai gas in fuga. L'impatto di questi fattori deve essere attentamente stimato e preso in considerazione nell'analisi dei dati. Se due gruppi gestiscono questi aggiustamenti in modo diverso nelle loro analisi, possono giungere a conclusioni diverse sui risultati sperimentali.


Gli scienziati possono anche fare interpretazioni diverse degli stessi dati analizzati. Un gruppo fu in grado di dimostrare che Pons e Fleischmann avevano interpretato male i dati della loro ricerca sui neutroni. A prima vista, i dati sembravano mostrare una chiara evidenza di neutroni - ma i neutroni, se fossero davvero presenti, porterebbero a una serie di reazioni con l'acqua intorno alla cella - e ai dati di Pons e Fleischmann mancava qualsiasi prova dell'ultimo collegamento in quella catena di reazioni. Ulteriori indagini hanno rivelato problemi con l'attrezzatura utilizzata per raccogliere i dati sui neutroni. Pertanto, sembra che i dati di Pons e Fleischmann sarebbero stati più ragionevolmente interpretati come prova di un errore dell'apparecchiatura, non come prova a favore dell'ipotesi della fusione fredda.


Nei mesi successivi, si  condussero esperimenti più sofisticati e sensibili sulla fusione fredda, ma nessuno fu in grado di trovare alcuna prova a sostegno di essa. Tuttavia, c'era ancora la possibilità che la scoperta non potesse essere replicata, non perché la fusione fredda non stesse accadendo, ma perché altri scienziati eseguivano test che non corrispondevano esattamente alle condizioni dell'esperimento originale. Forse Pons e Fleischmann stavano facendo qualcosa di speciale nel loro esperimento che non stavano rivelando o non ne erano consapevoli essi stessi, e fu questo "qualcosa di speciale" che aveva portato alla fusione fredda. Il modo migliore per verificarlo sarebbe chiedere a esperti indipendenti di cercare prodotti di fusione provenienti dalle celle  di Pons e Fleischmann. Molti scienziati si offrirono di collaborare, ma le loro offerte furono rifiutate. Pons e Fleischmann stavano attivamente ostacolando i test che avrebbero potuto far luce sulla correttezza o meno della loro ipotesi.

Dopo mesi senza alcuna risoluzione sulla reale esistenza della fusione fredda, la comunità scientifica cominciò a insistere affinché questi test venissero eseguiti. Non c'è nessun organo di governo della scienza che avrebbe potuto costringere Pons e Fleischmann a eseguire i test di follow-up; tuttavia, la comunità scientifica può esercitare pressioni per sostenere gli standard della buona scienza negando stima, finanziamenti o incarichi, essendo particolarmente scettica nei confronti della ricerca condotta con standard permissivi. Solo dopo una grande pressione da parte della comunità scientifica, Pons e Fleischmann accettarono finalmente di far eseguire i test con il loro apparato.

Uno studio di follow-up comportava la ricerca dell'elio-4, uno dei prodotti della reazione di fusione. Forse, si ragionava, le ricerche dei neutroni erano state a vuoto perché l'elio era bloccato nelle barrette di palladio e non stava rilasciando la sua energia in eccesso sotto forma di neutroni, ma in un altro modo. Pons e un gruppo di altri scienziati decisero di testare l'elio in cinque barrette di palladio, solo una delle quali era stata usata nella cella di fusione di Pons e Fleischmann. Se la fusione fosse effettivamente avvenuta, allora solo l'asta di fusione avrebbe dovuto avere livelli elevati di elio. Per ridurre la possibilità che i bias influenzassero i risultati, optarono per un progetto di studio "in doppio cieco". Pons avrebbe consegnato le bacchette a un intermediario, che avrebbe distribuito segmenti di tutte e cinque le barrette a sei diversi laboratori. Né l'intermediario né i laboratori di prova avrebbero saputo quale barretta fosse quella originale, e Pons non sarebbe stato in grado di avvertire involontariamente i laboratori al riguardo.

I sei laboratori testarono ogni segmento di barretta per l'elio e restituirono i loro risultati all'intermediario, che incontrò Pons per controllare i risultati e le informazioni sulla barretta. Pons aveva inizialmente accettato di rivelare quale era stata usata nella sua cella di fusione, ma cambiò idea e tenne per sé quei dettagli. Esaminò i dati sull'elio e vide che non c’erano livelli elevati. Lo studio non dimostrava la fusione fredda.

Sebbene questi risultati possano sembrare banali, Pons li mise in dubbio quando furono pubblicizzati. Spiegò che la particolare barretta di fusione che aveva sottoposto all'analisi dell'elio non aveva prodotto tanto calore perché poteva essere difettosa. Ma allora perché Pons aveva riportato livelli di calore così elevati per il suo originale esperimento di fusione? Stava manipolando i dati?

In un ultimo disperato tentativo di convalidare i risultati della fusione fredda, al collega professore dell'Università dello Utah Michael Salamon fu permesso di entrare nel laboratorio di Pons per condurre esperimenti alla ricerca di neutroni provenienti dalle celle di fusione. Se un esperimento avesse potuto replicare le condizioni dell'originale, sarebbe stato proprio questo. Durante il suo test di cinque settimane, Salamon non fu in grado di rilevare alcun neutrone. Pons cercò di mettere in dubbio questi risultati affermando che le celle non stavano producendo calore in eccesso (e quindi che la fusione non era in corso) durante quelle cinque settimane, tranne durante un periodo di due ore che coincideva con un'interruzione di corrente. Tuttavia, uno degli strumenti di Salamon era ancora in grado di raccogliere dati sui neutroni durante l'interruzione. Non sorprende che non sia stato osservato alcun picco di neutroni. Pons arrivò persino al punto di tentare di censurare i dati di Salamon minacciando azioni legali se Salamon non avesse ritirato volontariamente il suo rapporto. Tali tentativi di controllare l'informazione costituiscono una grave violazione dell'etica scientifica e rappresentano un ostacolo al progresso scientifico.

Nonostante tutte le prove contro di loro - conflitto con la teoria consolidata, problemi con gli esperimenti originali, molteplici tentativi di replica falliti e persino test che suggerivano che gli esperimenti originali non avevano prodotto fusione - Pons e Fleischmann si rifiutarono di modificare la loro ipotesi sulla fusione che si verifica nel palladio e, in questo modo, non rispettarono gli standard di buon comportamento scientifico. Sebbene ci si aspetti che gli scienziati abbiano una mentalità aperta riguardo alle nuove idee, quando si accumulano più prove contro di loro, anche le ipotesi più affascinanti devono essere abbandonate.

Un anno dopo la conferenza stampa che aveva attirato così tanta attenzione su Pons e Fleischmann, il processo scientifico era finalmente riuscito a vagliare le prove riguardanti la fusione fredda. Pochi gruppi avevano trovato supporto per l'ipotesi e quei pochi avevano risultati incoerenti e non potevano riprodurre in modo affidabile i loro risultati. Questa mancanza di prove replicabili fu un duro colpo per la fusione fredda. Se la fusione fredda funziona in un laboratorio in un certo insieme di condizioni, ci aspetteremmo che funzioni in altri laboratori in altri momenti nelle stesse condizioni. Quindi, la mancanza di riproducibilità è un problema serio per qualsiasi scoperta scientifica, mettendo in dubbio la validità del risultato originale e suggerendo che c'è stata un'errata interpretazione di ciò che sta accadendo. Nel caso di Pons e Fleischmann, la mancanza di riproducibilità indicava che qualunque cosa avessero scoperto in origine, probabilmente non si trattava di fusione fredda. Questa interpretazione è supportata anche dal fatto che scienziati indipendenti non sono riusciti a trovare alcuna prova che le stesse celle di Pons e Fleischmann avessero effettivamente prodotto la fusione. Alla luce di tutte queste prove, la maggior parte degli scienziati considera i risultati di Pons e Fleischmann un errore sperimentale.

Un errore come questo normalmente verrebbe rilevato prima che causi un tumulto nella comunità scientifiche e più ampie conseguenze. Tuttavia, nel caso della fusione fredda, i controlli inerenti al processo furono indeboliti quando Pons, Fleischmann e altri, presi dall'eccitazione, ruppero le norme per una buona condotta scientifica. Mentre il processo della scienza è resistente a una singola o anche a poche divergenze dalle migliori pratiche, la convergenza di più infrazioni può ostacolare il processo. L'editore della rivista che ha permesso la pubblicazione dell'articolo originale con una revisione paritaria minima non ha aderito agli standard che la scienza fissa per tali pubblicazioni. Pons e Fleischmann hanno nascosto i dettagli sperimentali alla comunità e hanno cercato di proteggere le loro idee dai test. Loro e gli altri scienziati che hanno "riprodotto" la fusione fredda, solo per ritrattare successivamente i loro risultati, non sono riusciti a eseguire test adeguati a valutare le loro idee. E, naturalmente, il comportamento di Pons durante l'esperimento sull'elio, così come il mancato accordo di pubblicazione con Jones, sapevano di disonestà. È importante notare che anche con un comportamento così non scientifico, il processo della scienza funzionava ancora. Entro un anno, la comunità scientifica aveva indagato sulle affermazioni di Pons e Fleischmann ed era giunta al consenso sul fatto che ciò che era stato osservato non fosse realmente fusione fredda. Tuttavia, c'era ancora un prezzo da pagare per questa cattiva condotta: tempo, energia e più di cento milioni di dollari dell’epoca di fondi pubblici furono sprecati per la fusione fredda.

Pons e Fleischmann hanno fatto anche danni più difficili da quantificare. Forse la cosa più preoccupante è l'effetto che questa débâcle ha avuto sulla percezione della scienza da parte del pubblico. Le dichiarazioni poco chiare di Pons e Fleischmann alla conferenza stampa, che hanno enfatizzato solo i benefici futuri della fusione fredda e non la fase iniziale dell'indagine, hanno contribuito al clamore mediatico e hanno sollevato le aspettative della società senza giustificazione. Queste aspettative disattese, insieme alle accuse di frode e disonestà, hanno danneggiato la fiducia del pubblico nella scienza. Poiché la scienza è così profondamente intrecciata con la comunità sociale, il cattivo comportamento scientifico ha implicazioni che vanno ben oltre il gruppo di fisici e chimici che hanno studiato la fusione fredda.

C’è infine da dire che la fusione fredda è stata un bel sogno, che in molti, a partire da quel lontano 1989 hanno sognato (anch'io, da profano). Sparuti gruppi di ricerca, in tutto il mondo e anche in Italia, hanno continuato, e continuano tuttora, a studiarne le basi teoriche e a eseguire esperimenti con vari materiali e nuove strumentazioni, scontrandosi finora con problemi insormontabili di consistenza e riproducibilità. Probabilmente è tempo perso e sono risorse economiche e intellettuali buttate al vento, ma sarebbe tanto bello essere smentiti, facendo sempre attenzione ai ciarlatani, che sono sempre in agguato e a volte ritornano con miracolosi Elettro-Catalizzatori.