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giovedì 17 agosto 2023

La matematica (e la scienza) in Arcadia

 



Sir Tom Stoppard (1937), è un drammaturgo, regista e scrittore britannico di origine cecoslovacca. Premio Oscar per la sceneggiatura di
Shakespeare in Love, Stoppard è uno dei più apprezzati e prolifici autori britannici del secondo Novecento. Tra le sue opere è molto nota Rosencrantz e Guildenstern sono morti, uno spin-off scespiriano poi divenuta un film nel 1990 premiato con il Leone d'oro a Venezia. Nella sua commedia Arcadia (1993), le idee matematiche formano uno dei principali sottotemi dell'opera. In particolare, argomenti contemporanei come i frattali formano parte integrante della trama, e giocano un ruolo importante anche elementi come l’ultimo teorema di Fermat e la seconda Legge della Termodinamica. L'opera è ambientata in due periodi di tempo, l'inizio del XIX secolo e il presente, nella stessa stanza della tenuta di Sidley Park.

Una stanza davanti al giardino di una grande casa di campagna nel Derbyshire nell'aprile 1809. Oggi sarebbe chiamata una casa signorile. Il muro di fondo è costituito principalmente da finestre alte, ben fatte e senza tende, una o più delle quali fungono da porte. Non c'è molto da dire o da vedere dell'esterno. Veniamo a sapere che la casa sorge nel tipico parco inglese dell'epoca. Forse ne vediamo una indicazione, forse solo luce, aria e cielo.

La stanza appare spoglia nonostante il grande tavolo che ne occupa il centro. Il tavolo, le sedie dallo schienale dritto e, l'unico altro elemento di arredo, il tavolo da disegno, sarebbero ora tutti pezzi da collezione, ma qui, su un pavimento di legno senza moquette, non hanno più pretese di un'aula scolastica, che è in effetti l'uso principale di questa stanza in questo momento. L'eleganza che c'è, è architettonica, e niente è impressionante se non la scala. C'è una porta in ciascuna delle pareti laterali. Queste sono chiuse, ma una delle portefinestre è aperta su un mattino luminoso ma senza sole.

Ci sono due persone, ognuna occupata con libri, carta, penna e inchiostro, occupate separatamente. L'allieva è THOMASINA COVERLY, 13 anni. Il tutor è SEPTIMUS HODGE, 22 anni. Ciascuno ha un libro aperto.

(...)

THOMASINA: Septimus, cos'è l'abbraccio carnale?
SEPTIMUS: L'abbraccio carnale è la pratica di gettare le braccia attorno a un pezzo di carne.
THOMASINA: Tutto qui?
SEPTIMUS: No… una spalla di montone, una coscia di cervo ben abbracciata, un abbraccio di gallo cedrone... caro, carnis-, femminile; carne.
THOMASINA: È peccato?
SEPTIMUS: Non necessariamente, mia signora, ma quando l'abbraccio carnale è peccaminoso è un peccato della carne, QED. (...) Pensavo stessi trovando una dimostrazione per l'ultimo teorema di Fermat.
THOMASINA: È molto difficile, Septimus. Dovrai mostrarmi come.
SEPTIMUS: Se sapessi come fare, non ci sarebbe bisogno di chiederlo. L'ultimo teorema di Fermat ha tenuto occupate le persone per centocinquanta anni, e speravo che ti avrebbe tenuto occupata abbastanza a lungo da permettermi di leggere la poesia di Mr. Chater in lode dell'amore con la sola distrazione delle sue stesse assurdità.
THOMASINA: Il nostro signor Chater ha scritto una poesia?
SEPTIMUS: Crede di aver scritto una poesia, sì. Vedo che potrebbe esserci più carnalità nella tua algebra che nel "Divano dell'eros" di Mr. Chater. THOMASINA: Oh, non era la mia algebra. Ho sentito [il maggiordomo] Jellaby dire alla cuoca che la signora Chater è stata scoperta in un abbraccio carnale nel gazebo.
(...)
THOMASINA: L'abbraccio carnale è un bacio?
SEPTIMUS: Sì.
THOMASINA: E abbracciare la signora Chater?
SEPTIMUS: Sì. Ora, l'ultimo teorema di Fermat.
THOMASINA: Lo pensavo. Spero che te ne vergogni.
SEPTIMUS: Io, mia signora?
THOMASINA: Se non mi insegni tu il vero significato delle cose, chi lo farà?
SEPTIMUS: Ah. Sì, mi vergogno. L'abbraccio carnale è il congresso sessuale, che è l'inserimento dell'organo genitale maschile nell’organo genitale femminile per scopi di procreazione e piacere. L'ultimo teorema di Fermat, invece, afferma che, quando x, y e z sono numeri interi elevati ciascuno alla potenza di n, la somma dei primi due non può mai essere uguale al terzo quando n è maggiore di 2.
(Pausa.)
THOMASINA: Puah!
SEPTIMUS: Tuttavia, questo è il teorema.
THOMASINA: È disgustoso e incomprensibile. Ora, quando sarò cresciuta per risolverlo da sola, non lo farò mai senza pensare a te.

Thomasina è una giovane ragazza di tredici anni che studia algebra e geometria. Ma non è la tipica studentessa di matematica; come diventa chiaro man mano che la commedia si svolge, Thomasina è un genio che non solo mette in discussione le fondamenta stesse della matematica, ma si prepara anche a cambiare la direzione di innumerevoli secoli di pensiero matematico.

A Thomasina non piace la geometria euclidea. All'inizio della commedia rimprovera Septimus, "Ogni settimana traccio le tue equazioni punto per punto, x contro y in ogni sorta di relazione algebrica, e ogni settimana si disegnano come geometria ordinaria, come se il mondo delle forme non fosse niente che archi e angoli. Verità di Dio, Septimus, se c'è un'equazione per una campana, allora ci deve essere un'equazione per una campanula, e se una campanula, perché non una rosa?" Così decide di abbandonare la geometria euclidea classica per scoprire l'equazione di una foglia, ma potrebbe aver cercato, se l’avesse conosciuto, quella di un broccolo romanesco.

Galileo pensava che “il libro della natura è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche”. Ora, nella nostra esperienza quotidiana, il cerchio, il triangolo equilatero e le figure geometriche in generale sono un'eccezione e non la regola, anzi si può dire che esse non esistano in natura, ma solo come astrazione. Siamo portati dunque a chiederci quale sia la forma di un albero, di una montagna o di una nuvola. Per Galileo anche tali enti ricadevano sotto il campo della geometria, ma la matematica ha sempre preferito studiare la realtà ricercando di ogni fenomeno le sue caratteristiche più semplici, che potessero essere trattate evidenziandone la regolarità e l’armonia, ritenendo che non si potessero studiare oggetti reali dotati di un alto grado di complessità quali la forma di una montagna, o di un albero.

In questa ricerca di un modello sempre più aderente alla realtà, l’introduzione dei frattali ha consentito di compiere passi da gigante, in quanto tramite essi è possibile descrivere oggetti naturali (alberi, coste, il sistema sanguigno...) e fenomeni fisici che sembrano dominati dal caso (la disposizione delle galassie, la sequenza delle piene di un fiume, la frequenza degli errori nelle trasmissioni telefoniche, …), aspetti soltanto sfiorati dalla matematica e dalla geometria classica.

Lady Croom, la madre di Thomasina, capisce poco del potenziale intellettuale della figlia. Thomasina è mutevole, intensa, brillante e affascinante. Ha un rispetto senza compromessi per i fatti e la verità che si trova nei matematici e nei bambini.

L '"abbraccio carnale" a cui si riferisce Thomasina è solo uno dei tanti che si svolgono a Sidley Park, la tenuta dei Coverly. In effetti, il groviglio di amori incrociati di Arcadia ricorda le commedie vaudeville, anche perché Stoppard non fa mancare brillanti equivoci e doppi sensi.

Septimus (compagno di studi e amico di Byron) ha davvero avuto un'avventura con la moglie di Ezra Chater, un poetastro e botanico che è in visita a Sidley Park. Il vero amore di Septimus è però Lady Croom. Abbastanza non tradizionale, tuttavia, è la mutevole virtù di Lady Croom: si diverte con un pianista polacco in visita, con il suo vicino Lord Byron (che mai compare in scena) e, verso la fine della commedia, con lo stesso Septimus.

Quando lo spettacolo avanza fino ai giorni nostri, Sidley Park è la casa dell'ultima generazione dei Coverly. L'azione odierna si svolge sulla stessa scena, e i costumi sono l'unica indicazione che il tempo è diverso. L’erede dei Coverly, Valentine, è un matematico a Oxford. Usando duecento anni di cronache sui passatempi di Sidley Park (elenchi delle prede uccise durante le battute di caccia), egli sta esaminando i cambiamenti nella popolazione dei galli cedroni. A causa della caccia, dei cambiamenti del regime alimentare e di altri fattori, la popolazione di galli cedroni non è facilmente descritta da una funzione logistica; quindi, Valentine sta cercando di formulare un modello più complesso. A poco a poco, Valentine viene a conoscenza di alcuni dei vecchi misteri che circondano Sidley Park, comprese le scoperte di Thomasina, e questo pone le basi per una serie unica di scene che saltano avanti e indietro tra l'inizio del XIX secolo e il presente.

La matematica non è l'unico tema di questa commedia, ovviamente, ma le idee di geometria regolare contro irregolare o caos contro ordine sembrano pervadere tutti gli altri eventi che si verificano a Sidley Park. Siamo spinti ad esempio in un dibattito sugli stili paesaggistici britannici che caratterizzano lo stile classico ordinato contro lo stile irregolare, "pittoresco" che stava diventando di moda agli inizi dell’Ottocento e di cui era propugnatore il paesaggista Richard Noakes, nella residenza con l’incarico di rivoluzionare il giardino (tra i primi utilizzatori della macchina di Newcomen per drenare un lago).

La fiancée (forse) di Valentine, Hannah Jarvis, autrice di libri di successo sui giardini storici, procede metodicamente a scoprire i segreti di Sidley Park, in netto contrasto con la sua antitesi, l’affascinante e arrogante Bernard Nightingale, uno studioso di lettere della Sussex University che fa irruzione nella biblioteca di Sidley Park in cerca di prove che Byron aveva visitato la residenza, ma salta da una teoria all'altra con spericolata leggerezza. In effetti, l'intera commedia contrappone il razionalismo di Newton al romanticismo di Byron.

La teoria di Nightingale (Chater sarebbe stato ucciso in duello da Byron nella tenuta a causa di una perfida recensione), che annuncia in una conferenza stampa, viene diffusa su tutti i giornali ma viene rapidamente minata dalla scoperta di Hannah che Chater è morto in Martinica per il morso di una scimmia (dopo aver scoperto e descritto una nuova specie di dalia). All'estremo opposto, Valentine, essendo un matematico, è molto più circospetto e preciso nelle sue ricerche. Ma è Hannah che si rivela avere la vera anima di un'esploratrice. Ad un certo punto, Valentine vuole abbandonare il progetto sui galli cedroni, ma Hannah gli dice di non arrendersi. "È voler sapere che ci rende importanti", dice. "Altrimenti usciremo da dove siamo entrati."

In una delle scene più brillanti della commedia, Bernard offre a Valentine un'appassionata tirata contro la scienza. "Oh, mi fulminerai con penicillina e pesticidi. Risparmiami quello e ti risparmierò la bomba e gli aerosol. Ma non confondere il progresso con la perfettibilità. Un grande poeta è sempre puntuale. Un grande filosofo è un bisogno urgente. Non c'è fretta per Isaac Newton. Eravamo abbastanza contenti del cosmo di Aristotele. Personalmente l'ho preferito. Cinquantacinque sfere di cristallo agganciate all'albero motore di Dio sono la mia idea di un universo soddisfacente. Non riesco a pensare a niente di più banale della velocità della luce. Quark, quasar - big bang, buchi neri - a chi [importa]? Come ci avete fregato con tutta quella roba? Tutti quei soldi? E perché siete così soddisfatti di voi stessi?". E poi, alla fine della sua tirata, cita dolcemente Byron:
“She walks in beauty, like the night
Of cloudless climes and starry skies;
And all that’s best of dark and bright
Meet in her aspect and her eyes”
(“Cammina nella bellezza, come la notte / di climi senza nuvole e cieli stellati, e tutto ciò che c'è di meglio dell’oscurità e della luce / incontra nel suo aspetto e nei suoi occhi”).

Il passaggio dal comico al serio funziona: nonostante le visioni retrive della scienza, Bernard ha illuminato un regno in cui la scienza non può avventurarsi. Ciò conduce a una delle domande centrali dell'opera: fino a che punto la scienza e la matematica possono portarci nello spiegare cos'è la vita? Il destino di Septimus è che doveva essere reso pazzo da ciò che Thomasina aveva previsto: la seconda legge della termodinamica assicura che il mondo diventerà sempre più incoerente e disorganizzato.

All’inizio dell’opera, Thomasina così si rivolge a Septimus:

THOMASINA: Quando mescoli il tuo budino di riso, Septimus, il cucchiaio di marmellata si spande intorno formando scie rosse come l'immagine di una meteora nel mio atlante astronomico. Ma se mescoli all'indietro, la marmellata non si unirà più. Il budino, infatti, non se ne accorge e continua a tingersi di rosa proprio come prima. Non pensi che sia strano?"
SEPTIMUS: No.
THOMASINA: Beh, lo so. Non puoi separare le cose.
SEPTIMUS: Non puoi più, il tempo dovrebbe necessariamente scorrere all'indietro, e poiché non lo farà, dobbiamo muoverci in avanti mescolando mentre procediamo, il disordine fuori dall'ordine nel disordine finché il rosa non è completo, immutato e immutabile, e abbiamo chiuso per sempre. Questo è noto come libero arbitrio o autodeterminazione.

Questa scena rivela la curiosità scientifica di Thomasina: anche mentre mescola il budino di riso, tenta di trovare spiegazioni scientifiche per il mondo che la circonda. Le scie di marmellata si muovono verso un disordine più ampio che non può essere rimescolato andando nella direzione opposta. Questo entropico movimento verso un disordine sempre maggiore è caratteristico della teoria del caos, come spiegato più avanti da Valentine. La teoría del caos, spiega Valentine ad Hannah, aiuta gli scienziati ad avvicinarsi agli avvenimenti quotidiani delle cose che li circondano da "ciò che accade in una tazza di caffè".

La sua comprensione che l'algebra era inadeguata a descrivere la natura tormenta Septimus fino alla fine dei suoi giorni. Hannah legge da una vecchia lettera che descrive la vita di Septimus, che finisce i suoi giorni come eremita per trent’anni in una capanna nel giardino della tenuta: era la “matematica francesizzata” che lo ha portato alla malinconica certezza di un mondo senza luce o vita ... come una stufa a legna che deve consumarsi finché cenere e stufa non sono come uno, e il calore è scomparso dalla terra. Hannah legge che” morì a 47 anni, canuto come Giobbe e magro come un torsolo di cavolo”, perseguitato dall’idea della morte termica dell’universo preconizzata da Thomasina. Arcadia presenta un'immagine affascinante di ciò che può accadere quando le persone si preoccupano davvero di ciò che la scienza e la matematica hanno da dire.

Hannah scopre alcuni vecchi taccuini in cui sembra che Thomasina abbia iniziato a sperimentare iterazioni di funzioni. Sebbene lo stesso Valentine stia usando l'iterazione per modellare la popolazione di galli cedroni, resiste all'idea che ciò che ha fatto Thomasina assomigli al suo stesso lavoro, protestando che avrebbe studiato solo matematica classica e che i suoi sarebbero stati solo divertimenti numerici. Dopo il suo tempo, "la matematica si è lasciata alle spalle il mondo reale, proprio come l'arte moderna, davvero", dice. “La natura era classica, la matematica era improvvisamente Picasso. Ma ora la natura sta avendo l'ultima risata. Le cose bizzarre si stanno rivelando essere la matematica del mondo naturale”.

Thomasina ha scoperto la procedura matematica che ora è chiamata sistema di funzioni iterate. Hannah chiede a Valentine come fa. Val spiega che un algoritmo è una ricetta, che se conoscessimo la ricetta per produrre una foglia, potremmo facilmente iterare l'algoritmo per disegnare un'immagine della foglia. "La matematica non è difficile. È quello che hai fatto a scuola. Hai un'equazione in x e y. Qualsiasi valore per x ti dà un valore per y. Quindi metti un punto dove è giusto sia per x che per y. Poi prendi il prossimo valore per x che ti dà un altro valore per y... quello che sta facendo è, ogni volta che calcola un valore per y, lo usi come prossimo valore per x. E così via: feedback.... Se conoscessi l'algoritmo e lo inviassi in risposta, diciamo diecimila volte, ogni volta ci sarebbe un punto da qualche parte sul piano. Non sapresti mai dove aspettarti il punto successivo. Ma gradualmente inizi a vedere questa forma, perché ogni punto sarà all'interno della forma di questa foglia."

Un sistema di funzioni iterate è un insieme di n trasformazioni affini (rotazioni, omotetie, traslazioni, rototraslazioni, riflessioni che non sono necessariamente isometrie, non preservano, cioè, angoli e distanze, mentre mantengono sempre il parallelismo tra le rette) che agisce sulla scala degli oggetti trattati.

Normalmente, vengono utilizzati due tipi di algoritmi, la versione deterministica o quella casuale.

L'algoritmo deterministico consiste nel prendere un insieme di punti, che può essere una qualsiasi figura geometrica, e applicarvi ciascuna delle n trasformazioni affini del sistema, per cui otteniamo n serie di punti trasformati. A ognuno di essi applichiamo di nuovo ognuna delle n funzioni, ottenendo n2 nuove serie di punti. Continuiamo in questo modo iterando i risultati, fino a quando l'unione di tutti gli insiemi ottenuti nell'ultima iterazione si avvicina sufficientemente alla figura che costituisce l'attrattore del sistema. Arriveremo sempre a questo attrattore, indipendentemente dall’insieme iniziale di punti selezionato. Normalmente, non ci vogliono molte iterazioni per ottenere questo insieme frattale.

Uno degli attrattori più comuni è il Triangolo di Sierpinski, un frattale così chiamato dal nome di Wacław Sierpiński, che lo descrisse nel 1915. È un esempio base di insieme auto-similare, cioè matematicamente generato da un pattern che si ripete allo stesso modo su scale diverse. Nell’immagine si può vedere come si ottiene da un triangolo equilatero, ma si potrebbe ottenere da qualsiasi altra figura.


Ancora più antica è la
Curva di Koch, che fu descritta per la prima nel 1904 dal matematico svedese Helge von Koch. La generazione della curva di Koch avviene grazie all'esecuzione ripetuta di un programma di istruzioni o procedura ricorsiva: è una procedura perché precisamente definita da un numero finito di passi, è ricorsiva perché viene ripetuta meccanicamente. L'algoritmo della curva consiste nella ripetizione del ciclo sottostante:

Partendo da un segmento di determinata lunghezza:
• dividere il segmento in tre segmenti uguali;
• cancellare il segmento centrale, sostituendolo con due segmenti identici che costituiscono i due lati di un triangolo equilatero;
• tornare al punto 1 per ognuno dei nuovi segmenti.

Partendo da un segmento, se ne ottengono quindi quattro (costituenti una linea spezzata) nel primo ciclo, 4x4=16 nel secondo ciclo e così via, generando al limite un elegantissimo frattale. Ingrandendo un qualunque dettaglio del frattale si ottiene ancora lo stesso frattale: in questo consiste l'autosimilarità e la struttura fine dei frattali a qualunque livello di scala.


Il
fiocco di neve di Von Koch è una curva costruita operando nello stesso modo sui lati di un triangolo equilatero: si prende il lato, lo si taglia in 3 parti e si sostituisce quella centrale con due segmenti uguali a quello eliminato; si ripete l’operazione con ciascuno dei quattro segmenti così ottenuti e si continua per un numero infinito di volte. La figura che si ottiene, operando sui tre lati, dopo un numero infinito di iterazioni è il fiocco di neve di Koch. Mentre il merletto di Von Koch è chiaramente autosimilare, il fiocco di neve non lo è. Infatti, ingrandendo uno dei lati dopo la prima iterazione otteniamo una copia del merletto e non del fiocco.

L'algoritmo casuale è simile, ma invece di applicare le funzioni a un insieme di punti, li applichiamo di seguito a un singolo punto, disegnando il risultato ogni volta. Assegniamo un valore di probabilità a ciascuna delle trasformazioni del sistema, tenendo conto che la somma totale dei valori di probabilità delle funzioni deve essere 1. In ogni iterazione dell'algoritmo, selezioniamo una delle trasformazioni con probabilità
p. Per far questo è sufficiente ottenere un valore casuale compreso tra 0 e 1 e aggiungere le probabilità di ciascuna funzione una alla volta fino a ottenere un risultato maggiore del numero casuale ottenuto. Questa sarà la funzione selezionata. I primi punti della serie vengono scartati. Poiché di solito sono molto lontani dall'attrattore, il resto viene tracciato fino a ottenere il disegno frattale corrispondente, il che avviene solitamente dopo un numero di iterazioni compreso tra 1000 e 5000.

Assegnando dei valori di probabilità alle nostre trasformazioni possiamo “guidare” l’algoritmo verso forme autosimili che imitano oggetti naturali. Uno dei frattali biomorfi più riusciti è la foglia di felce, i cui dettagli riproducono sempre la stessa immagine di partenza. L’immagine in questione, chiamata felce di Barnsley dal nome del matematico che rese popolare questa procedura, pur essendo creata a computer, è molto simile ad una felce reale.


Valentine si diverte chiaramente in questa nuova matematica. "L'imprevedibile e il predeterminato si svolgono insieme per rendere tutto così com'è", dichiara. "È così che la natura si crea, su ogni scala, il fiocco di neve e la tempesta di neve."

Mentre Thomasina lotta con la sua nuova geometria, c'è uno sviluppo matematico parallelo in atto nell'opera. Valentine sta cercando di utilizzare l’iterazione di funzioni per spiegare l’andamento della popolazione di galli cedroni nella tenuta di Sidley Park. Conosce i dati sulle uccisioni di galli cedroni nella tenuta negli ultimi duecento anni e vorrebbe estrapolarli per prevedere le popolazioni future. Curiosamente, sta usando esattamente la stessa tecnica che Thomasina aveva sperimentato anni prima. Beh, non proprio. Come spiega Valentine, "In realtà lo sto facendo dall'altra parte. Lei ha iniziato con un'equazione e l'ha trasformata in un grafico. Ho un grafico - dati reali - e sto cercando di trovare l'equazione che darebbe il grafico se lo usassi nel modo in cui lei usava il suo. L'ho iterato. (...) È il modo in cui guardi ai cambiamenti della popolazione in biologia. Pesci rossi in uno stagno, diciamo. Quest'anno ci sono x pesci rossi. L'anno prossimo ci saranno y pesci rossi. Alcuni nascono, altri vengono mangiati dagli aironi, qualunque cosa. La natura manipola la x e la trasforma in y. Quindi y pesci rossi sono la tua popolazione iniziale per l'anno successivo. Proprio come Thomasina. Il tuo valore per y diventa il tuo prossimo valore per x. La domanda è: cosa succede a x? Qual è la manipolazione? Qualunque cosa sia, può essere scritta in matematica. Si chiama algoritmo”.

Uno degli algoritmi di questo tipo più semplici utilizzati dai biologi delle popolazioni è l'equazione logistica, nota anche come modello di Verhulst, un modello di crescita della popolazione che descrive una crescita con “andamento ad S”: lenta crescita iniziale, seguita da un’accelerazione e poi da un successivo rallentamento in prossimità̀ del valore massimo permesso, che costituisce un limite asintotico della funzione dove non c’è più̀ crescita. Secondo questo modello, il tasso di riproduzione è proporzionale alla popolazione esistente e all’ammontare delle risorse disponibili. Esistono anche strumenti matematici più raffinati, come ad esempio l’equazione di Lotka-Volterra, ma non è qui il caso di complicare le cose.


Stoppard ha capito qualcosa del cuore poetico di quest'area della matematica. Descrivendo i suoi sforzi con i dati "pieni di rumore" che ha sulla popolazione dei galli cedroni, Valentine dice che è
"come un pianoforte nella stanza accanto: sta suonando la tua canzone, ma sfortunatamente è fuori controllo, mancano alcune corde e il pianista è stonato e ubriaco ... [quindi] inizi a indovinare quale potrebbe essere la melodia. Cerchi di distinguerlo dal rumore. Provi questo, provi quello, inizi a ottenere qualcosa: è cotto a metà, ma inizi a inserire note che mancano o non sono proprio le note giuste. E poco alla volta...” E comincia a canticchiare “Happy Birthday to You”.

L'andamento di una popolazione in natura viene condizionato da diversi fattori che costituiscono la cosiddetta resistenza ambientale e che pongono un limite a tale sviluppo. Per cui una data popolazione avrà sì un accrescimento esponenziale, ma solo inizialmente, per poi subire un flesso ad un certo punto a causa della resistenza ambientale, la quale pone un limite superiore alla curva sotto forma di un asintoto orizzontale K, per cui tale curva avrà̀ un andamento sigmoidale. L'asintoto rappresenta l'equilibrio raggiunto tra popolazione ed ecosistema. Tale parametro è di tipo sperimentale e dipende dalle condizioni iniziali. Come tale, dovrebbe rimanere costante. In realtà̀ l'ambiente è un sistema dinamico, soggetto quindi a continue variazioni, e, di conseguenza, sia l'asintoto sia la curva di accrescimento di una certa popolazione subiscono continue fluttuazioni in ragione di di diversi fattori limitanti (disponibilità di cibo, epidemie, predatori, tra cui l’uomo, ecc.). In ragione delle condizioni iniziali e dell’evoluzione del sistema, l’andamento della popolazione può convergere verso attrattori molto diversi, da un comportamento più o meno stabile a uno più o meno ciclico, che varia nel tempo entro certi limiti, a uno caotico (deterministico), assolutamente imprevedibile, e il pianista sembra pigiare sui tasti in modo casuale: la melodia ci è inaccessibile, o, diremmo, indecidibile.


L'opera di Stoppard approfondisce l'inquietante esperienza di nuove idee, l'interazione tra ipotesi e prove e il ruolo del carattere umano nella scoperta. Si tratta di argomenti difficili, eppure la conversazione rimane vivace e divertente e i personaggi coinvolgenti e confusi in modi molto umani.

Arcadia funge da utile antidoto all'impressione che molte persone hanno che la matematica non sia cambiata molto dai tempi di Euclide e generalmente proceda con incrementi imperscrutabili. La matematica si evolve e ha il potere di riorganizzare il modo in cui pensiamo al mondo che ci circonda.

Lo commedia porta anche la matematica a "... le cose di dimensioni ordinarie che sono le nostre vite, le cose su cui le persone scrivono poesie - nuvole - narcisi - cascate - e cosa succede in una tazza di caffè quando entra la panna".

Alla fine dello spettacolo, i personaggi degli anni '90 si vestono in abiti antiquati in preparazione di un ballo che si terrà a Sidley Park. E poi a un certo punto, mentre Hannah e Valentine si siedono a leggere, Thomasina e suo fratello entrano improvvisamente nella stanza, due bambini che si prendono in giro a vicenda. Personaggi di entrambe le epoche, che erano stati separati nelle scene precedenti, appaiono improvvisamente sul palco insieme. L'effetto è magico, rafforzando la sensazione che, sebbene il mondo sia imprevedibile, gli schemi emergono e riappaiono con il passare del tempo. Un attimo dopo, Valentine e Septimus stanno, nei loro tempi separati, esaminando il rozzo disegno di Thomasina di un motore termico, prova concreta che aveva anticipato la seconda legge della termodinamica (mentre da Parigi giunge la notizia che il rendimento di una macchina termica non può mai essere del 100%). Come una palla che rompe una lastra di vetro, dice Valentine, "Puoi rimettere a posto i pezzi di vetro, ma non puoi raccogliere il calore dello scontro". "Quindi l'Universo newtoniano migliorato deve cessare e raffreddarsi", fa eco Septimus.

La musica arriva da dietro le quinte e Thomasina implora Septimus di insegnarle a ballare il valzer. Ma è perso nei suoi pensieri e le dice: "Quando avremo trovato tutti i misteri e perso tutto il significato, saremo soli, su una spiaggia deserta". La soluzione che propone risuona come una campana suonata nel cuore della notte: "Allora balleremo!" A differenza di Septimus, Thomasina può scandagliare le profondità della matematica e riemergere con la sua esuberanza intatta per la vita. Stoppard, intanto, ci ha informato che sarebbe morta nell’incendio della sua camera appena compiuti i diciotto anni e che, sì, un bacio a Septimus l’aveva dato, nell’eremo appena costruito e ancora vuoto.

martedì 10 aprile 2018

La dimostrazione matematica come dramma


Dennis Guedj ha usato la bella metafora del "dramma dell'assiomatica" per descrivere il fatto che, in una teoria matematica assiomatizzata, i contenuti di un teorema sono impliciti negli assiomi e che, nella derivazione di un teorema dagli assiomi, c'è un'inesorabilità del tipo che caratterizza un dramma. Forse possiamo chiederci quali siano i dettagli del percorso dagli assiomi al teorema (cioè i dettagli della trama), ma non vi è alcuna via di fuga da un possibile epilogo della storia.

In realtà, Guedj sembra riferirsi a ciò che viene definito “dramma chiuso”, tipico della tradizione greca antica, in cui l'azione, condotta in modo disciplinato, segue uno sviluppo continuo e le singole scene sono legate da rapporti di causalità: la scena C deve seguire per forza la scena B e deve precedere la scena D. Nel dramma greco (e in quelli successivi che ne hanno adottato lo schema fondamentale) vigono i vincoli di azione, tempo, luogo, personaggi e linguaggio.

Per fortuna esiste anche un “dramma aperto”, moderno, da Shakespeare in poi, dove il filo conduttore dell'azione non è riconoscibile in modo univoco. La successione delle azioni si può ricostruire solo mediante la coesione delle scene complementari. Gli episodi si susseguono in modo abbastanza autonomo e si collegano tra loro più per affinità di contesto che per consequenzialità temporale o di azione. Ogni scena si rifà all'intera problematica del dramma (quasi una “ricapitolazione”), in modo da sembrare autonoma e permutabile. Nel dramma aperto anche i livelli stilistici e i registri espressivi vengono mescolati.

Nella matematica moderna, e penso a una dimostrazione come quella di Andrew Wiles della congettura di Fermat, nella dimostrazione si cerca la perfetta complementarità delle tecniche usate (analitiche e geometriche), anche se a prima vista lontane: un risultato di per sé di enorme valore, che costituisce una parte innovativa della dimostrazione del teorema stesso. L'enorme lavoro interessa in maniera approfondita diverse branche della matematica, con un utilizzo e un perfezionamento originali di strumenti potenti ed inediti, e con l’uso di una commistione di vari linguaggi specialistici.

Il “dramma” della dimostrazione moderna, che contempla anche strumenti un tempo impensabili come l’enorme capacità di calcolo del computer, consiste tuttora della necessità del rispetto degli assiomi di partenza, ma lo sviluppo dell’azione può fare a meno, superandoli e integrandoli, dei vincoli “aristotelici” dati dall'ambito e dal linguaggio settoriale, o da un’impostazione schematicamente rigorosa, direi bourbakista. È questo che rende la matematica moderna difficile, appassionante e sempre più articolata grazie alle continue estensioni e generalizzazioni. Come ha scritto il matematico brasiliano-canadese Paulo Ribenboim:
“Non c’`e alcun epilogo. La ricerca continua. Nuovi metodi verranno inventati per risolvere nuovi problemi. O, al contrario, nuovi problemi motiveranno la ricerca di nuovi metodi. Ciò è quanto di meglio possa accadere, poiché è proprio il provare e riprovare, alla ricerca delle risposte alle sue questioni più profonde, che nutre la matematica.”

venerdì 3 maggio 2013

La quercia del Tasso

La quercia di Torquato Tasso esiste per davvero, sulle pendici del Gianicolo, nei pressi della chiesa di Sant’Onofrio. La leggenda vuole che il poeta si sedesse alla sua ombra negli ultimi tempi della sua vita, quando era ospite del convento annesso alla chiesa. La quercia, ora un tronco rinsecchito addossato a un muretto, si trovava allora nel giardino del convento, dove il poeta si spense il 25 aprile 1595. Il suo sepolcro si trova in una cappella laterale della chiesa. 

Anche questo luogo di memorie non è sfuggito alla prosa surreale di Achille Campanile (1899-1977), uno dei più grandi e prolifici umoristi italiani, scrittore di narrativa e di teatro, giornalista e critico televisivo, che con le sue opere ha percorso quasi tutto il '900, dalla fine degli anni ’20 fino agli ’70. Quasi uno scioglilingua, spesso recitato come monologo teatrale, la Quercia del Tasso, si regge principalmente su una serie di giochi di parole e di allitterazioni, basati sui diversi significati della parola tasso. Il raccontino comparve in Vite degli uomini illustri, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1979 ed è un classico dello stile di Campanile. Lo propongo nell'interpretazione di una brava attrice della compagnia degli ZappAttori, data presso il teatro "La Casetta" di Roma per la rassegna "I Volti della Follia" (2011). Sotto c’è il testo.

 

La quercia del Tasso 

Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa. 

Anche a quei tempi la chiamavano così. 

Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide. 

Meno noto è che, poco lungi da essa, c’era, ai tempi del grande e infelice poeta, un’altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi. 
Un caso. 

Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la “t” maiuscola e della quercia del tasso con la “t” minuscola. In verità c’era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall’altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso. 

Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano “il tasso del Tasso”; e l’albero era detto “la quercia del tasso del Tasso” da alcuni, e “la quercia del Tasso del tasso” da altri. 

Siccome c’era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch’egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: “E’ il Tasso dell’olmo o il Tasso della quercia?”. 

Così poi, quando si sentiva dire “il Tasso della quercia” qualcuno domandava: “Di quale quercia?” 

“Della quercia del Tasso.” 

E dell’animaletto di cui sopra, ch’era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: “il tasso del Tasso della quercia del Tasso”. 

Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta “la guercia del Tasso della quercia”, per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due). 

Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: “la quercia della guercia del Tasso”; mentre quella del Tasso era detta: “la quercia del Tasso della guercia”: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso. 

Qualcuno più brevemente diceva: “la quercia della guercia” o “la guercia della quercia”. Poi, sapete com’è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l’albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia. 

Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi. 

Viveva. 

E lo chiamarono: “il tasso della quercia della guercia del Tasso”, mentre l’albero era detto: “la quercia del tasso della guercia del Tasso” e lei: “la guercia del Tasso della quercia del tasso”. 

Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: “il tasso del Tasso”. 

Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l’animaletto venne indicato come: “il tasso del tasso del Tasso”. 

Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all’ombra d’un tasso perché non ce n’erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: “il tasso barbasso del Tasso”; e Bernardo fu chiamato: “il Tasso del tasso barbasso”, per distinguerlo dal Tasso del tasso. 

Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell’animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso. 

Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.

giovedì 29 novembre 2012

Tragedie famigliari in due battute


IL MARITO : “Ti ammazzo!”
LA MOGLIE: “No, non con quel coltello! È un ricordo di mamma!” 

LA MOGLIE: “Ti ammazzo!” 
IL MARITO : “Dopo, che c’è il rigore!” 

IL MARITO : “Ti ammazzo!” 
LA MOGLIE: “Ti ammazzo!” 
IL MARITO : “Facciamo bim-bum-bam?” 

IL MARITO: “Chi è quell'uomo nel nostro letto? Vi ammazzo!” 
LA MOGLIE: “Ma è un cliente!” 
IL MARITO: “Ah, meno male.” 

IL MARITO : “Ti ammazzo!” 
LA MOGLIE: “Ma mozzati!” 
IL MARITO : “Si anagramma anche come mimo tazza.” 
LA MOGLIE: “Se è per questo anche come ma ti mozza.” 


IL MARITO : “Ti am...”
LA MOGLIE: “Caro..."
IL MARITO : "...mazzo!"
LA MOGLIE: "...gna!"

IL MARITO : “Ti ammazzo!” 
LA MOGLIE: “Ti ammazzo!” 
(Rumore di spari) 
LA MOGLIE: Quando un marito con la pistola incontra una moglie con il fucile, quel marito è un marito morto. 

IL MARITO : “Ti ammazzo!”
LA MOGLIE: “Ti ammazzo!”
IL MARITO : “Copiona!”
LA MOGLIE: “Chi lo dice sa di essere!”
IL MARITO : “Specchio riflette!”
LA MOGLIE: “Arimo! Bolle l’acqua della pasta!”
IL MARITO: “Perché hai paura di perdere!”

IL MARITO : “Ti ammazzo!”
LA MOGLIE: “Ti tolgo dagli amici!”
IL MARITO : “Quello no!”
LA MOGLIE: “LOL!”

IL MARITO : “Ti ammazzo! Tuttavia le parole non possono descrivere quello che sto per dirti.”
LA MOGLIE: “Comunque non si inizia mai una frase con tuttavia.”
IL MARITO : “Se questa frase non esistesse, nessuno l’avrebbe mai detta!”
LA MOGLIE: “Come al solito ti sei superato!”
IL MARITO: “Nel nostro rapporto solo le variabili rimangono costanti!”
LA MOGLIE: Qual è la domanda che contiene la parola melone senza alcun motivo apparente?

IL MARITO : “Ti ammazzo!”
LA MOGLIE: “Finalmente una decisione, coglione!”

IL MARITO : “Buh!”
LA MOGLIE: “Aaaaah!”
(muore)

lunedì 16 luglio 2012

Teatro laconico

Progenitore e maestro forse insuperato di tutti i raccoglitori di bizzarrie letterarie, Americo Scarlatti (pseudonimo e quasi anagramma del “dottore bibliotecario” Carlo Mascaretti, 1855-1928) pubblicò nei primi due decenni del Novecento una serie di volumi intitolati Et ab hic et ab hoc, nei quali registrò tutte le stranezze, intenzionali e soprattutto involontarie, in cui si imbatteva nella sua attività di instancabile e divertito bibliofilo dell’insensato e dell’eccentrico. 

In uno dei capitoli del compendio degli Et ab hic et ab hoc edito da Salani nel 1988 con la prefazione di Guido Almansi, lo Scarlatti si occupò del cosiddetto Teatro laconico, costituito da tragedie di un verso per atto, o persino di un solo verso in cinque atti. 

Un verso che contiene un intero dramma comparve nel 1913 sulla rivista dei futuristi fiorentini Lacerba, di cui mi sono occupato parlando di Luciano Folgore e dell’Almanacco Purgativo, trionfo dei versi maltusiani. Sono passati più di settant’anni e posso riportare l’intera opera senza i problemi che assillavano lo Scarlatti, che sosteneva che “per poterne dare un saggio, come la legge sulla proprietà letteraria consente, anche limitandomi a riportarne un verso solo, sono costretto, contrariamente alla legge stessa, a riprodurre il dramma intero!” L’opera è senza titolo, ma il nostro compilatore si ritenne autorizzato a immaginare che fosse UCCIDILA

Personaggi: MARITO e MOGLIE 

Atto unico – Scena unica 

Il MARITO alla MOGLIE che sopraggiunge:  
D’onde vieni?
La MOGLIE abbassa confusa lo sguardo. Il MARITO feroce: 
                     So tutto!
La MOGLIE con impeto: 
                                   Io l’amo!
Il MARITO cava il revolver e spara: 
                                                 Muori!

Si tratta indubbiamente di un capolavoro, che esprime in un verso conciso e armonioso un’intera tragedia. Tuttavia il pregio dell’opera, la cui trama descrive una terrificante realtà anche dei giorni nostri, cioè l’uomo geloso che uccide la moglie o la compagna, non risiede certo nell'originalità. Secondo Americo Scarlatti, “tali bizzarrie comico-drammatiche sono derivate direttamente dal teatro di Vittorio Alfieri, il quale nel suo stile energico e conciso giunse a chiudere un'intiera scena del Filippo in tre soli versi, di cui rimane celebre il primo pel dialogo tra Filippo e Gomez in esso concentrato”:

 – Udisti?
               – Udii.
                          – Vedesti?
                                           – Vidi.
                                                      – Oh rabbia!...

Anche in una scena dell’Antigone troviamo concisione ed tono icastico, nel dialogo tra Creonte e Antigone:

– Scegliesti?
                   – Ho scelto.
                                   –  Emon?
                                                  –  Morte!
                                                                 – L’avrai!

Ovviamente tale laconismo alfieriano ha solleticato ben presto l’estro degli umoristi. Una delle prime parodie, giuntaci anonima, fa così dialogare una REGINA e il suo CONSIGLIERE:

REGINA:                                                                                                           Sallo?
CONSIGLIERE:                                                                                                          Sollo!
REGINA:               Sallo il re?
CONSIGLIERE:                    Sallo.
REGINA:                                        Sassi ovunque?
CONSIGLIERE:                                                     Sassi, Sassi per tutta Roma e tutta Atene!

Cinque atti in verso solo costituiscono invece la stravagante prestazione del letterato salentino Leonardo Antonio Forleo (1794-1859), autore di questa ROSMUNDA

ATTO PRIMO 
ALBOINO e ROSMUNDA 

 ALBOINO:
                    Bevi!

ATTO SECONDO 
ROSMUNDA e ALBOINO 

ROSMUNDA (tra sé):
                              Morrai!

ATTO TERZO 
ROSMUNDA e ALMACHILDE 

ROSMUNDA:                  
                                            Deh!...schiavo!

ATTO QUARTO 
ALMACHILDE e ROSMUNDA  

ALMACHILDE:                                        
                                                                    È spento!

ATTO QUINTO 
ROSMUNDA e ALBOINO morto 

ROSMUNDA (sollevando al cielo una ciocca di capelli dell’estinto):
                                                                                     Oh padre!

Simili componimenti, a metà strada tra la presa in giro e l’esercizio di stile, ebbero un discreto successo, aprendo la strada a opere dall'intento esclusivamente umoristico, come fece il commediografo e poeta bolognese Alfredo Testoni (1856-1931), autore tra l’altro della celebre commedia Il Cardinale Lambertini, che ogni bolognese degno di questo nome deve aver visto almeno una volta nella vita. Il Testoni concentrò in un sonetto un’intera commedia, intitolata LA FELICITÀ CONIUGALE

PRIMO ATTO. – Scena prima. – LUI: Profonda
ferita ho qui nel cor! Non ho più pace
quando la guardo! Ohimè – Scena seconda. –
LEI: (da sola) È simpatico, mi piace!

SECONDO ATTO. – LUI: (Presso a lei) M’infonda
una speme nell’anima! – LEI: (tace).
LUI: Vuole un po’ di bene a me? Risponda!
LEI: Tanto! – LUI: Tesor! (molto vivace)

TERZO ATTO. – (Sala in Municipio. Arriva 
il SINDACO che dice sorridente):
Vi unisco, o Sposi! (Voci): Evviva! Evviva!

QUARTO ATTO, ultimo. – (Un luogo solitario).
LUI: Mia tu sei, nevvero, eternamente?
LEI: (sorridendo) Sì! (Cala il sipario).

Purtroppo la nostra lingua non consente le acrobazie verbali del francese, le cui omofonie consentono opere laconiche per noi inarrivabili. Un anonimo autore d’Oltralpe è riuscito ad esempio a comporre una tragedia mettendo in fila nel loro ordine le lettere dell’alfabeto francese, dimostrandosi così un vero plagiario per anticipazione delle opere di alcuni oulipiani. Il titolo è, ovviamente, LA TRAGEDIA DELL’ALFABETO:

Personaggi:
L’ABBÉ PÉQU (a, b, p, q)
Il principe ENO (n, o) amante di 
ACHIKA (h, i, k)
UVÉ (u, v) carnefice.

All'alzarsi della tela, l’abbé PÉQU è inginocchiato ai piedi di ACHIKA. Entra ENO e lo trova in quella posizione compromettente. 

ENO: a, b, c, d! (Abbé, cédez!).
PÉQU: con disprezzo: e, f! (effe)
ENO: j, h, i, k, l, m, n, o. (J’ai ACHIKA, elle aime ENO).
     L’abate non si muove. 
ENO: p, q, r, s, t! (PÉQU est resté!). Corre verso la porta e irritato chiama: u, v! (UVÉ!). Compare il carnefice. 
ENO, mostrandogli PÉQU e facendo un gesto espressivo: z! (zet…).
(Cala la tela

In realtà mancano g, w, x e y, e l’esclamazione effe di PÉQU non ha significato nel contesto, a meno che voglia indicare un sospiro di disappunto, ma non si può criticare una tale opera per delle quisquilie. 

Sempre restando in Francia, un’opera laconica davvero imperitura porta la firma nientedimeno che del grandissimo Paul Verlaine (1844-1896). Egli la compose in occasione di un concorso bandito dal giornale Comédie per un “dramma rapido”. L’opera, dal titolo TROPPA FRETTA è così compiuta da poter essere tradotta in qualsiasi lingua senza perdere in bellezza. Ciò nonostante, non è mai stata rappresentata: 

Dramma in un atto e in prosa 

SCENA I 

Quando s’alza la tela un signore e una signora sono in scena, ma abbracciati. 

SCENA II 

Un altro signore s’avvicina senza far rumore e uccide entrambi con una revolverata. I cadaveri rimangono uno accanto all’altro coi visi rivolti a terra. Il signore va a sollevarne uno e fa un movimento di sorpresa. Va poi a sollevare l’altro e si mostra anche più stupito. 

IL SIGNORE: Perbacco! Ho sbagliato!

(cala la tela


Scende il sipario anche sulle note di Americo Scarlatti dedicate al teatro laconico, ma quest’ultimo ha avuto una degnissima continuazione nell'opera di Achille Campanile (1899-1977), uno dei maggiori umoristi italiani, che, tra gli anni ’20 fino alla morte negli anni '70, rappresentò con le sue opere in modo ironico e surreale il costume e la vita della società italiana. Le sue Tragedie in due battute, rappresentate per la prima volta intorno al 1925, sono certamente il risultato di un approccio innovativo sulla scena teatrale, figlio del futurismo, ma sicuramente personale, capace di anticipare certi aspetti del teatro dell’assurdo di Beckett e Ionesco, anche se lui stesso rifiutò questa parentela. Ne scrisse nel corso degli anni più di seicento, e alcune di esse sono entrate nei modi dire degli italiani. Si tratta di piccoli atti, effettivamente composti da pochissime battute, che della tragedia hanno solo il nome e che furono concepiti più per la lettura che la scena, anche per i numerosi commenti inseriti nelle note di rappresentazione, che talvolta costituiscono l'intero contenuto dell’opera. Il gioco di parole la fa da padrone. Ne presento alcuni esempi. 

PREMIO LETTERARIO 

Personaggi: 
IL POETA 
L'AMICO 

La scena si svolge dove vi pare. All'alzarsi del sipario tutti i personaggi sono in scena. 
IL POETA: Ho scritto nove sonetti e un'ode saffica. 
L'AMICO: Cosicché, in totale, quanti componimenti poetici ci saranno nel tuo nuovo - e speriamo ultimo - volume? 
IL POETA: Dieci con l'ode. 
(Galoppo di cavalli in lontananza. Sipario) 

LO SCANDALO 

Personaggi: 
L'INQUILINO 
IL PADRONE DI CASA 

La scena si svolge nell'ufficio del PADRONE DI CASA. All'alzarsi del sipario, L'INQUILINO viene a fare un reclamo al PADRONE DI CASA. 
L'INQUILINO: (indignato, al PADRONE DI CASA) Signor padrone di casa, c'è nel casamento una signora che fa i bagni di sole su un balcone, in costume troppo succinto e in vista di tutti. Chiedo il vostro intervento acciocché facciate cessare questo intollerabile scandalo. 
IL PADRONE DI CASA: Ma, scusate, questa signora è giovane? 
L'INQUILINO: Sì. 
IL PADRONE DI CASA: È bella? 
L'INQUILINO: Sì. 
IL PADRONE DI CASA: E allora perché protestate? 
L'INQUILINO: Perché sono il marito. 
(Sipario) 

CAPRICCIO 

Personaggi: 
IL PICCINO 
SUO PADRE 

IL PICCINO: Papà, io non ho mai ammazzato nessuno. Potrei ammazzare il signor Giuseppe? 
IL PADRE: Va bene, ma il signor Giuseppe soltanto. 
(Sipario) 

SORPRESA 

Personaggi: 
IL MARITO 
LA MOGLIE 
L'AMANTE DELLA MOGLIE che non parla 

In una camera da letto, ai giorni nostri. 
IL MARITO: (giungendo improvvisamente, trova LA MOGLIE intenta a tradirlo con uno sconosciuto) Ah, infame, dunque non mentiva la lettera anonima, da me ricevuta un'ora fa: tu hai un amante! 
LA MOGLIE: E tu stai a credere alle lettere anonime? Andiamo! 
(Sipario)