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domenica 9 dicembre 2018

Newton ci rassicura: la fine del mondo non sarà prima del 2060


Siamo abbastanza abituati alle dichiarazioni di sventura, dagli scienziati che predicono la sesta estinzione di massa a causa degli effetti del cambiamento climatico, agli estremisti religiosi che proclamano l'apocalisse (o lo stesso riscaldamento globale) a causa dell’eccesso di peccato. È quasi impossibile immaginare questi due gruppi di persone d'accordo su qualcosa di diverso dal sinistro portento dei loro rispettivi messaggi. Ma, agli albori della rivoluzione scientifica non era affatto insolito trovare entrambi i tipi di ragionamento, o di irragionevolezza, nella stessa persona, assieme a credenze in magia, divinazione, astrologia, ecc. 

Anche in questo vortice di pensieri e pratiche eterodosse, Isaac Newton si distinse con una strana coesistenza di profezia biblica esoterica, credenze occulte e matematica rigida e formale, che non solo aderì al metodo scientifico induttivo, ma estese anche il suo potenziale, applicando assiomi generali in casi specifici. Ciò nonostante, mentre stava formulando il principio di gravitazione universale e le tre leggi del moto, ad esempio, egli cercava anche la Pietra Filosofale e tentò di trasformare il metallo in oro. Inoltre, il devoto Newton scrisse trattati teologici che interpretavano le profezie bibliche e predicevano la fine del mondo. 

Newton sembrava fiducioso delle sue predizioni in questo campo come lo era nel mondo razionale della scienza. In una lettera esposta nel 2015 all'Università ebraica di Gerusalemme, Newton descrive la sua idea: 
“Quindi i tempi e la metà dei tempi sono 42 mesi o 1260 giorni o tre anni e mezzo, calcolando dodici mesi per un anno e 30 giorni per un mese come è stato fatto nel calendario dell'anno primitivo. E, sostituiti agli anni dei regni vissuti i giorni delle Bestie di breve durata, il periodo di 1260 giorni, se datato dalla completa conquista dei tre re dell'800 d.C., terminerà l'anno 2060 d.C. Potrebbe finire più tardi, ma io non vedo alcuna ragione perché termini prima”. 
Secondo gli esperti, la lettera di Gerusalemme sarebbe stata scritta dopo il 1704, e la scrittura malferma suggerisce una data piuttosto tarda nella vita di Newton. Egli dimostra la sua fiducia nella frase finale, scrivendo che il suo intento, "anche se non è di assicurare" una risposta, dovrebbe in ogni caso "porre fine alle sconsiderate congetture di uomini fantasiosi che spesso predicono il tempo della fine". Ma come è arrivato a questo numero? Newton ha applicato un metodo rigoroso, questo è certo.

Per Newton, la profezia biblica prevede gli eventi divinamente ordinati del futuro. Era certo che l'interpretazione della profezia biblica fosse non indifferente, ma un dovere della più grande importanza. La profezia permetteva a Newton di vedere la storia in anticipo. Identificò anche un sistema malvagio e apostata (Babilonia) che i puri cristiani devono fuggire per evitare la distruzione e l'ira di Dio. 

Egli credeva sia in Dio che nella Bibbia come rivelazione divina. Pensava anche che Dio non fosse legato dal tempo come gli umani, permettendogli di vedere la "fine dall'inizio". Quindi, per usare le stesse parole di Newton, era convinto che "le sacre profezie" della Scrittura non fossero nient'altro che "storie di cose a venire". Allo stesso tempo, la profezia biblica è scritta in un linguaggio altamente simbolico che richiede un'interpretazione qualificata. Newton fece proprio questo obiettivo mentre tentava di scoprire il futuro del mondo con le parole dei profeti. 

Newton era preoccupato che il tracollo delle fallibili previsioni umane basate sulla profezia divina avrebbe messo in discredito la Bibbia. Ironia della sorte, in una delle due volte in cui Newton annotò la data del 2060, inveiva contro chi arrischiava date sulla fine del mondo. Newton potrebbe essere stato sbalordito se avesse saputo che la sua previsione sarebbe stata diffusa in tutto il mondo nel ventunesimo secolo. I suoi calcoli sulla data del 2060 erano infatti riflessioni private fatte su un pezzo di carta non destinato al pubblico. 


Come molti commentatori profetici della sua epoca, Newton credeva che i periodi profetici di 1260, 1290, 1335 e 2300 giorni rappresentassero effettivamente 1260, 1290, 1335 e 2300 anni, usando il "principio del giorno per anno". 

Per Newton questi periodi (in particolare i 1260 anni) rappresentavano l'arco temporale dell'apostasia della Chiesa (per Newton ciò significa la Chiesa cattolica). Così, cercò nella storia la probabile data in cui l'apostasia era iniziata formalmente (un segno per lui era la data in cui la chiesa papale otteneva il potere temporale). Da lì era semplice aggiungere il periodo di tempo alla data di inizio. Tuttavia, le cose sono raramente così semplici con Newton. Come già accennato, Newton raramente stabilì la data di fine per un periodo di tempo, una volta che aveva stabilito una data di inizio. C'è un piccolo numero di eccezioni, e la data 2060, trovata due volte nella lettera di Gerusalemme, è una di queste. La data 2060 è anche significativa perché, oltre alla rarità delle date di fine negli scritti di Newton, il calcolo che dà la data del 2060 compare abbastanza tardi nella sua vita e viene affermato con insolito vigore. 

Trovare la data di inizio era di grande importanza per Newton, poiché, una volta aggiunti i periodi profetici a questa data, era in grado di determinare quando i grandi eventi apocalittici della fine del mondo sarebbero accaduti. 

Ma da dove trasse i periodi profetici? Soprattutto da Daniele: il periodo di tempo di 1260 giorni appare in Daniele 7:25 (come "un tempo e tempi e la divisione del tempo" [= un anno, due anni e mezzo]), Daniele 12: 7 (come "un tempo, i tempi, e mezzo "[= un anno, due anni e mezzo anno]), Rivelazione 11: 3 (1260 giorni), Rivelazione 12: 6 (1260 giorni) e Rivelazione 13: 5 (42 mesi). Il periodo di tempo 1290 giorni appare in Daniele 12:11. Il periodo di tempo 1335 giorni appare in Daniele 12:12. Il periodo di tempo di 2300 giorni si trova in Daniele 8:14. Newton optò per il periodo più breve, ma si premurò di precisare che quella scelta indicava solamente un terminus post quem: “Potrebbe finire più tardi, ma io non vedo alcuna ragione perché termini prima”. Nonostante gli sforzi degli attuali governi mondiali, insomma, per un’altra quarantina d’anni, male che vada, possiamo stare tranquilli. 

L’operazione di Newton non comportò l'uso di nulla di "complicato" come i suoi calcoli infinitesimali, ma l'aritmetica piuttosto semplice che potrebbe essere eseguita da un bambino. A partire dal 1670, continuando fino alla fine della sua vita nel 1727, Newton considerò diverse date di inizio per l'istituzione formale dell'Apostasia, cioè la Chiesa romana. Le date di inizio considerate inizialmente furono il 607 e il 609, ma, invecchiando, Newton spinse il tempo della fine sempre più lontano nel futuro. Nel manoscritto di Gerusalemme, Newton fornisce per due volte l’anno 800 per l'inizio della "supremazia del Papa". L'anno 800 è significativo poiché è l'anno in cui Carlo Magno fu incoronato imperatore da papa Leone III a San Pietro a Roma. Poiché Newton credeva che i 1260 anni corrispondessero alla durata della corruzione della Chiesa, aggiunse 1260 a 800 d.C. e arrivò alla data 2060 per la "caduta di Babilonia", la cessazione della Chiesa cattolica. Sembra che Newton credesse che la caduta potesse forse iniziare un po’ prima della fine del periodo di 1260 anni e continuare per un breve periodo dopo. Qualunque sia la cronologia precisa, Newton pensava che qualche tempo dopo la caduta della chiesa corrotta (trinitaria, cattolica), Cristo sarebbe tornato e avrebbe istituito un regno di Dio di 1000 anni sulla terra. A pagina 144 delle sue osservazioni (1733), Newton citò Daniele 7: 26-27 come prova di ciò: 
"26 Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. 27 Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno".  
Newton sposò un'escatologia millenarista e così sostenne che Cristo sarebbe tornato sulla terra per stabilire il Millennio. 


Cosa credeva che sarebbe accaduto intorno al 2060? Newton era convinto che Cristo sarebbe tornato intorno a questa data e avrebbe stabilito un Regno globale di pace. Anche "Babilonia" (la corrotta Chiesa romana) sarebbe caduta, e il vero Vangelo sarebbe stato predicato apertamente. Prima della Seconda Venuta, gli ebrei sarebbero tornati in Israele secondo le previsioni fatte nella profezia biblica. Anche il Tempio sarebbe stato ricostruito. Un po’ prima, o attorno al tempo del ritorno di Cristo, la grande battaglia di Armageddon sarebbe avvenuta quando una serie di nazioni (la "confederazione di Gog e Magog" della profezia di Ezechiele) avrebbe invaso Israele. Cristo e i santi sarebbero quindi intervenuti per stabilire un regno di Dio di 1000 anni in tutto il mondo. Citando il profeta Michea, Newton credeva che questo Regno avrebbe inaugurato un periodo di pace e prosperità, un periodo in cui le persone avrebbero "trasformato le loro spade in vomeri e le loro lance in falci" e "le nazioni non avrebbero alzato la spada contro un’altra nazione, né avrebbero più conosciuto la guerra" (Michea 4: 3). Newton credeva che ci sarebbe stato un esito positivo alla guerra e alla distruzione che si sarebbe verificata alla fine dei tempi. Newton prese sul serio la visione profetica della pace mondiale trovata in Isaia 2 e Michea 4, una visione che vede Gerusalemme come l'inizio della pace. È quindi forse appropriato che la più grande collezione di documenti profetici di Newton si trovi ora a Gerusalemme. 

Newton non era uno "scienziato" nel senso moderno del termine. Era invece un "filosofo naturale". La filosofia naturale includeva non solo lo studio della natura, ma anche lo studio della mano di Dio sull'opera della natura. Newton aveva un’idea di filosofia naturale che vedeva la scoperta di Dio e dei suoi attributi come il suo fine principale. Per questo motivo, qualsiasi studio serio sulla filosofia naturale di Newton deve includere una comprensione delle sue opinioni teologiche. Per esempio, i famosi concetti di Newton sullo spazio e il tempo assoluti erano fondamentalmente basati sulla sua idea dell'onnipresenza di Dio e della durata eterna. È anche chiaro dai suoi manoscritti privati che Newton riteneva che il filosofo naturale ideale sarebbe stato anche un sacerdote della natura. Per Newton, non esisteva una barriera impermeabile tra la religione e ciò che ora chiamiamo scienza. Durante tutta la sua lunga vita, Newton si sforzò di scoprire la verità di Di,  sia nella Natura che nella Scrittura. Pur riconoscendo distinzioni disciplinari, Newton credeva che la verità fosse una. Quindi, lo studio di Newton sulla natura e le Scritture erano in un certo senso due metà di un tutto: la scoperta della mente di Dio. 

È importante notare che Newton non credeva che il mondo avrà una "fine" nel senso di cessare di esistere o di bruciarsi in fiamme sacre. La sua filosofia dei tempi della fine assomiglia a quella di un numero sorprendente di evangelici di oggi: Cristo ritornerà e regnerà per un millennio, la diaspora ebraica tornerà in Israele e, scrisse, creerà "un regno fiorente ed eterno". 

Come in molti hanno sostenuto, nonostante la concezione di Newton della sua opera scientifica come baluardo contro altre teologie, alla fine essa è diventata una base per una visione laica, che può tollerare forme di teismo accanto a posizioni decisamente agnostiche, e ha permesso agli scienziati di fare previsioni accurate per centinaia di anni. La fisica del XX secolo ci ha mostrato un universo molto più radicalmente instabile di quanto Newton abbia mai immaginato; le sue teorie sono, come dice Isaac Asimov, "non tanto errate quanto incomplete", ma ancora essenziali per la nostra comprensione di certi fenomeni fondamentali. Ma per quanto stimolanti e curiosi possano essere gli altri interessi di Newton, non c'è ragione per accreditare i suoi calcoli profetici più di quelli di qualsiasi moderna setta apocalittica.


domenica 12 agosto 2018

John Tyndall, il Belfast Address e la laicità della scienza (2)

La prima parte di questo articolo si trova a questo link


La ricezione e le polemiche 

Nonostante il rifiuto di Tyndall del materialismo convenzionale, i pulpiti di Belfast lo sferzarono. A Belfast, protestanti e cattolici si unirono per definirlo un pericoloso materialista. Gli studiosi hanno valutato la controversia che circondò il Belfast Address come un evento importante nella "guerra" tra scienza e religione. È perciò necessario analizzare le reazioni e le principali interpretazioni della sua conferenza, che portò al mutamento della percezione pubblica su Tyndall, che a sua volta trasformò il modo in cui si considerava la scienza moderna. 

I naturalisti scientifici si affidavano a tre strategie strettamente correlate per la trasformazione della scienza e della cultura britanniche. In primo luogo, sostenevano che solo la scienza offriva una via verso la vera conoscenza della natura. Né la Chiesa né la Bibbia potevano essere considerate fonti autorevoli di verità scientifica. Durante la controversia sull'Origine delle specie di Darwin (1859) sostenevano che la teoria doveva essere giudicata unicamente per i suoi meriti scientifici, non per le sue implicazioni teologiche. Miravano a consentire agli scienziati di praticare le loro indagini sulla natura guidati da principi stabiliti indipendentemente dalle autorità religiose. Secondo, i naturalisti scientifici sostenevano che solo loro avevano l'esperienza per parlare a nome della scienza. La competenza era acquisita attraverso la formazione e poteva essere ottenuta solo in luoghi specifici, in particolare nel laboratorio, ed era realizzabile solo attraverso una disciplina di auto-rinuncia, un abbandono alla natura. Infine, i naturalisti scientifici sostenevano che la conoscenza scientifica forniva una buona conoscenza della condizione umana, non solo dello stato di natura. Spencer, ad esempio, applicò la teoria evolutiva per comprendere sia la natura che l'intero spettro del pensiero umano. I naturalisti scientifici sostenevano spesso che solo loro potevano comprendere le ramificazioni sociali, etiche e politiche di nuove teorie scientifiche come l'evoluzione. In breve, i naturalisti scientifici insistevano sul primato della scienza e della competenza scientifica. 

I tentativi dei naturalisti scientifici di ridefinire le basi intellettuali e istituzionali della scienza britannica e di usare la scienza come leva per trasformare la cultura e la società britanniche furono ostacolati da altri membri dell'élite intellettuale. Questi ultimi rifiutavano l’idea che una visione scientifica del mondo come quella di Tyndall e dei suoi colleghi potesse fornire un significato se separata da un fondamento religioso. Le teorie scientifiche materialistiche avevano perso la verità spirituale che si trova dietro tutti i fenomeni naturali. I rappresentanti del vecchio establishment aristocratico-anglicano includevano esponenti della Chiesa anglicana, come il vescovo Samuel Wilberforce, ai quali si unirono i principali rappresentanti cattolici, tra cui il filosofo, teologo e poi cardinale John Henry Newman, e altri importanti esponenti delle varie correnti religiose del Regno Unito. Eminenti scienziati anglicani, come l'anatomista Richard Owen, e potenti laici, come il filosofo e politico conservatore Arthur James Balfour, furono chiari nei loro attacchi al naturalismo scientifico. Altri membri dell'élite scientifica sfidarono le idee dei naturalisti scientifici, tra di essi i fisici con sede in Scozia, tra cui William Thomson (lord Kelvin) e James Clerk Maxwell, che volevano mantenere un quadro religioso per la scienza. Molti dei divulgatori della scienza, incluso John George Wood, erano desiderosi di perpetuare la tradizione della teologia naturale. Frances Power Cobbe, come altre femministe e antivivisezioniste, si scontrò con i naturalisti scientifici sulle loro opinioni sulle donne e sulla sperimentazione animale. Gli intellettuali socialisti liquidarono Darwin e Huxley come filo-capitalisti, a causa della loro enfasi sulla competizione nel processo evolutivo. 

Con così tanti nemici, i naturalisti scientifici dovevano stare attenti a ciò che dicevano, che fosse sulla stampa periodica o davanti al pubblico delle conferenze. I loro oppositori potevano cogliere qualsiasi cosa dicessero per collegare il naturalismo scientifico con il materialismo, che era associato con la corruzione morale e la dissolutezza. La strategia principale per danneggiare la rispettabilità del naturalismo scientifico era quella di collegarlo con la presunta immoralità dell'arte e della letteratura d'avanguardia. Nel loro giudizio che L’origine dell’uomo (1871) di Darwin aveva trasgredito gli standard di rispettabilità vittoriani, i critici lo collegarono all'eccentrico Algernon Swinburne, noto poeta del movimento estetico e del decadentismo. Il libro di Darwin divenne sempre più implicato con il radicalismo politico, il sensualismo estetico e la depravazione sessuale palese di Swinburne. Alcuni detrattori si lamentarono del fatto che l'apparente ossessione di Darwin per il sesso rendesse il suo nuovo libro adatto alla lettura solo per i gentiluomini più mondani. Questi tentativi di connettere Darwin con l'immoralità divennero ostacoli significativi nello stabilire la visione del mondo dei naturalisti come un'alternativa moralmente accettabile a quella cristiana. Darwin modificò la sua opera per evitare ogni accenno di indecenza, e anche Tyndall e Clifford furono costretti a modificare parti dei loro scritti per ragioni simili. Se volevano essere considerati membri dell'élite intellettuale, i naturalisti scientifici non avevano altra scelta che costruire il loro modello di autorità scientifica professionale in linea con gli standard di rispettabilità degli avversari. Tyndall non era stato abbastanza attento nel suo Belfast Address per proteggersi dall'accusa di materialismo. La sua rivendicazione per l'autonomia di una scienza basata sul materialismo metodologico favorì gli attacchi alla sua reputazione. 

Prima della conferenza di Belfast, Tyndall veniva solitamente visto in una luce positiva nella stampa periodica, sebbene con alcune riserve. Non era etichettato come materialista. Ma dopo Belfast fu visto come un materialista aggressivo, disonesto, subdolo e chiaramente non britannico. Anche nel 1870, l'accusa di materialismo era seria. Raggruppava Tyndall insieme a atei della classe inferiore, gettando aspre aspirazioni sul suo status di membro dell'élite intellettuale. I cristiani conservatori, indignati dal Belfast Address, cercarono di approfittare di tutte le connotazioni sgradevoli associate all'etichetta di materialista. Anche se Tyndall aveva dichiarato di non accettare il materialismo come una completa filosofia di vita, la frase riportata del Belfast Address dove affermava che "la promessa e la potenza di tutta la vita terrestre poteva essere trovata nella materia" era citata o riferita da molti dei suoi critici. Questa frase era tra le più controverse del discorso, specialmente se presa fuori dal contesto, e molti periodici la citavano come prova che Tyndall era un materialista, nonostante il suo rifiuto del materialismo volgare. L’Edinburgh Magazine faceva riferimento al "vangelo del materialismo" di Tyndall; il Christian Observer sosteneva che "il professor Tyndall è un esponente accettato del materialismo"; e l’Irish Monthly dichiarò che "tutto ciò che dice tende a preparare la mente per quella professione di fede materialistica in cui culmina il suo discorso". I nemici di Tyndall credevano di avere ora la "pistola fumante" che dimostrava che fosse un materialista. 


Una volta identificato come materialista, Tyndall poteva essere criticato per una serie di peccati mortali. Il suo materialismo fu presentato come originario di tradizioni intellettuali eterodosse e straniere. L’Irish Monthly la ricondusse alla Germania, la "terra dei filosofi folli", mentre la Dublin Review la collegava al buddismo. Sia che il materialismo di Tyndall fosse presentato come tedesco o asiatico, i critici furono d'accordo che non era né ortodosso né britannico. Dal momento che il materialismo di Tyndall non derivava da un buon lignaggio intellettuale britannico, era moralmente corrotto. Gli oppositori di Tyndall affermarono che la sua mancanza di autorità morale poteva essere vista nella scadente qualità degli studi, nell'uso disonesto del linguaggio e nell'abuso del ruolo di presidente della British Association. Di conseguenza, il suo discorso ripeteva le inesattezze storiche delle fonti e mancava di originalità. Tyndall fu anche criticato per aver cercato di nascondere le pericolose conseguenze materialistiche ed eterodosse del suo pensiero. La Contemporary Review contestò l'uso da parte di Tyndall del termine "anima", che, per il pubblico della rivista, portava con sé vecchie e amate associazioni religiose. Poiché Tyndall non credeva in un'anima, usava il termine "in modo disonesto e trasandato". Infine, Tyndall fu accusato di rompere con la tradizione usando il prestigioso discorso per diffondere il materialismo piuttosto che rivedere gli sviluppi scientifici dell'anno precedente. Abusare del ruolo del presidente della società scientifica più pubblicamente visibile della Terra era un peccato imperdonabile. Nell’Edinburgh Magazine, Tyndall fu criticato per aver usato un "luogo di privilegio" per esprimere le sue opinioni religiose private, che non avevano nulla a che fare con gli scopi dell'Associazione. C'era un "grado di impertinenza nell'aver approfittato di un'occasione del genere". 

Dopo il Belfast Address, era discutibile se Tyndall fosse o meno idoneo a far parte dell'élite intellettuale, per non parlare dell'élite scientifica. Gli mancava la rispettabilità. Facendo affidamento su una retorica accesa nel Belfast Address per difendere i metodi e gli obiettivi del naturalismo scientifico, Tyndall aveva fornito ai suoi nemici un'occasione d'oro per minare la sua autorità culturale. Ma i suoi critici non si fermarono qui. Estesero il loro attacco a Tyndall per colpire il naturalismo scientifico nel suo complesso. 

Tyndall era considerato il tipico rappresentante degli scienziati moderni. Secondo il Christian Observer, "il professor Tyndall può essere considerato un rappresentante della scienza moderna in grado eminente". I critici del naturalismo scientifico quindi lanciarono uno sforzo concertato per scuotere la fede del pubblico britannico nei confronti dell'autorità dei principali scienziati che si schierarono con Tyndall. 

Una strategia per minare l'autorità scientifica di Tyndall e dei suoi alleati era quella di metterli contro altri scienziati. Approfittando di una conferenza nel 1877 di Rudolf Virchow, professore di patologia a Berlino, che sosteneva che l'evoluzione non era ancora stata sperimentalmente dimostrata, la Quarterly Review sfidò la posizione di Tyndall secondo cui gli scienziati accettavano l'evoluzione umana come un fatto. "Ciò getta", dichiarò il commentatore, "come abbiamo detto, un grave discredito sul giudizio del professor Tyndall come uomo di scienza, che non dovrebbe trattare come una verità consolidata una speculazione che attualmente non è assolutamente scontata in base alle nostre recenti conoscenze". La Contemporary Review, per spezzare il legame di Tyndall tra teoria atomica e materialismo, sosteneva che i fisici moderni non credevano più che "polverizzando il mondo nelle sue particelle minime e contemplando le sue componenti dove sono vicine al nulla, ci imbatteremo in qualcosa di estremo oltre il quale non c’è nulla”. Porre Tyndall e i suoi amici contro stimati scienziati sia in Gran Bretagna che in Europa era una strategia per mettere in dubbio la loro autorità scientifica, la loro pretesa di parlare a nome della scienza.

L’universo invisibile di Tait e Stewart 


Nel 1875, preannunciato da un oscuro messaggio in codice su Nature, fu pubblicato in forma anonima il libro The Unseen Universe (L’universo invisibile). Il libro era senza dubbio l’opera di uno o più fisici e, siccome essi allora non erano poi molto numerosi, non fu difficile determinare la paternità dall'evidenza interna. Esso fu attribuito al fisico e matematico scozzese Peter Guthrie Tait, professore a Edimburgo e amico d’infanzia di Maxwell, e all'altro fisico scozzese Balfour Stewart, professore a Manchester. I loro nomi comparvero sulla copertina di The Unseen Universe solo con la quarta edizione, nel 1876. 

Nel testo i due cercavano di conciliare le ultime scoperte della fisica del tempo, di cui erano tra i protagonisti, con la religione, in un modo che oggi appare ingenuo e che allora affascinò alcune tra le menti più brillanti della scienza britannica. Il libro era una risposta alle posizioni razionaliste di Tyndall, realizzata, com'era nel loro stile, cercando di evitare i toni troppo polemici. I due autori affermavano che i miracoli e la fede nell'Aldilà sono compatibili con la scienza moderna, invocando un “Principio di Continuità” per il quale le idee umane, condizionate dal reale, possono svilupparsi verso l’incondizionato, l’assoluto. Così scrivevano nella prefazione:

“L’oggetto della presente opera è tentare di mostrare come la presunta incompatibilità di Scienza e Religione non esiste. Ciò, infatti, dovrebbe essere evidente a tutti coloro che pensano che il Creatore dell’Universo è egli stesso l’Autore della Rivelazione. Ma è stranamente impressionante notare come spesso pochissimo è sufficiente ad allarmare anche la fede più salda”. 

Preceduto da un primo capitolo ambizioso e sproporzionato, contenente una panoramica sulle idee riguardanti l’immortalità dell’anima presso i popoli antichi, il nucleo dell’opera può essere considerato l’affermazione che la materia è fatta da molecole, paragonate ad anelli a vortice immersi in fluido imperfetto, cioè l’etere. A sua volta, l’etere è fatto da particelle molto più piccole, che sono anelli a vortice di un secondo etere. Queste particelle più piccole, con l’etere nel quale fluttuano, costituiscono l’universo invisibile. 

Queste idee erano in perfetto accordo con le teorie prevalenti allora. Nel 1867 Tait aveva dimostrato la mutua relazione degli anelli di fumo, scoperta che a William Thomson, Lord Kelvin, ispirò la teoria degli atomi vortice, formati da un'onda intrecciata in un nodo chiuso. Annodandosi in maniere più o meno complicate, le onde darebbero origine ai diversi tipi di atomi, con differenti proprietà. Le molecole deriverebbero dall'unione dei nodi. La teoria fu presto falsificata, ma contribuì alla nascita della teoria dei nodi, la branca della topologia che si occupa delle curve chiuse intrecciate nello spazio, con applicazioni in fisica subatomica, chimica molecolare e biologia. Quando scrisse The Unseen Universe, Tait si stava occupando della classificazione dei nodi. 

A queste considerazioni fisiche, Tait e Stewart vollero aggiungere considerazioni più ardite. Ogni pensiero che viene pensato è accompagnato da certi movimenti delle molecole più grandi nel cervello, e questi movimenti sono propagati attraverso l’universo visibile, ma una parte di ciascun movimento è assorbito dalle particelle fini nell'universo invisibile. Nell'universo visibile, l’etere non è sottile e perfetto e ciò spiega il principio di entropia, secondo il quale l’energia si degrada costantemente, e la morte è il destino di ogni vita materiale. Pertanto, l’immortalità è impossibile nell'universo conosciuto, ma può tuttavia esistere in un universo parallelo, accessibile teoricamente attraverso il mezzo etereo comune a entrambi: 
(…) la legge di gravitazione ci assicura che ogni movimento che avviene nel cuore più profondo della Terra si avverte in tutto l’universo, e possiamo immaginare che la stessa cosa possa valere anche per quei movimenti molecolari che accompagnano il pensiero. Perché ogni pensiero che pensiamo è accompagnato da un movimento delle particelle del cervello, e, in qualche modo – con tutta probabilità per il tramite del mezzo – possiamo immaginare che questi movimenti si propaghino in tutto l’universo”. 
L’elettromagnetismo di Maxwell forniva la chiave per spiegare come poteva avvenire il trasferimento molecolare tra l’universo visibile e quello invisibile. Per i due autori, l’elettromagnetismo era sufficientemente immateriale per comprendere sia il corpo sia la mente senza dover ricorrere eccessivamente ai concetti teologici di anima o spirito. La sopravvivenza dell’identità personale sarebbe stata assicurata dalla natura molecolare delle tracce di memoria e dal principio di conservazione dell’energia. Anche le temibili conseguenze dell’entropia sarebbero state azzerate.

Secondo Balfour e Tait, il pensiero può influenzare la materia di un altro universo e spiegare uno stato futuro. Esiste una struttura costituita dalle particelle più piccole nell'universo invisibile che possiamo assimilare all'anima, che è dotata di un suo organo di memoria “molecolare”. Durante la vita è unita al corpo. Alla morte di quest’ultimo, l’anima, con il suo organo di memoria, è semplicemente lasciata libera dall'associazione con le molecole più grandi della materia visibile. In questo modo, facendosi prendere la mano, i due autori ritenevano di aver dimostrato la possibilità fisica dell’immortalità dell’anima. 

L’ultima parte del libro era ancor più curiosa: gli autori trasformavano la possibilità dell’immortalità dell’anima in un assunto, che utilizzarono per spiegare le principali dottrine del cristianesimo. Così, in modo assai bizzarro, è possibile trovare ad esempio una discussione sul ciclo di Carnot accanto a lunghe citazioni tratte dagli apostoli e dai profeti. 

Nel suo complesso il testo falliva, come tutti i precedenti e i successivi, nel tentativo di dare una risposta ai misteri della vita, dell’universo e del tutto. Non riusciva neanche a rassicurare il teologo diffidente che la scienza non gli è nemica. Inoltre, era ripetitivo, talvolta superficiale quando i due autori si avventuravano in aree scientifiche al di fuori del loro campo di competenza, per tacere della parte più prettamente teologica. 



Ciò nonostante, il libro riuscì per qualche tempo a rassicurare il pubblico colto sempre più impaurito dalle stupefacenti scoperte e realizzazioni della fisica, compresi quegli scienziati credenti disposti a sorvolare le molte imperfezioni, le fallacie logiche, le lacune. Tra questi lo stesso Maxwell, che era credente e, ciò nonostante, più di una volta aveva sostenuto la tesi che scienza e religione costituiscono due dimensioni separate. In una bozza della lettera di risposta che intendeva inviare al Victoria Institute, un’associazione che intendeva riconciliare la scienza e il cristianesimo, aveva scritto:
“Penso che si debbano considerare i risultati ai quali perviene ciascuna persona nei suoi tentativi di armonizzare la sua scienza con il suo cristianesimo come aventi significato solo per la persona stessa (…) e non debbano ricevere nessun sigillo sociale”. 
Vi fu anche chi non lesinò feroci critiche all'universo invisibile di Tait e Stewart. Il matematico e filosofo William Kingdon Clifford, in una lunga ed elaborata recensione assai satirica, comparsa sul Fortnightly Review del giugno 1875, si chiedeva come mai, se erano possibili due eteri, perché non quattro o cinque o sei? E allora perché solo due universi con il loro apparato di “mitologia cristiana – corpi spirituali, pieni di energia, angeli, arcangeli, incarnazione, demoni molecolari, miracoli e giudizi finali”? Per Clifford, The Unseen Universe “ha tutto lo stampo dello scritto cristiano apologetico”. Gli autori, per quanto fisici rispettati, hanno raggiunto conclusioni che “sono talvolta sollevate da ali teologiche al di là dei confini dell’assennata deduzione”, ma “saranno ben accolte e ampiamente lette da coloro per sostenere le cui amatissime convinzioni [il libro] è concepito”. Il diffuso desiderio di immortalità non è prova di verità, infatti “la vita senza fine è una cosa inconcepibile” e la brama di non aver fine significa “semplicemente la negazione della morte”. L’alternativa teologica alla morte, tuttavia, “non è ordinata, non naturale, non salutare, ma mostruosa o soprannaturale; il cui aspetto nebuloso si rispecchia a malapena nei sogni di un sonno agitato o le follie di un malato di mente”. Tipo tosto, il Clifford.

L’esame di McCosh


Molto meno ingenua fu la critica mossa a Tyndall e alla sua corrente di pensiero da James McCosh, filosofo scozzese divenuto insegnante di Filosofia Morale e poi presidente dell’università americana di Princeton. La sua replica, contenuta in Ideas in Nature Overlooked by Dr. Tyndall: Being an Examination of Dr. Tyndall's Belfast Address (1875), era sferzante e, per certi versi, documentata. La prima reprimenda allo scienziato irlandese riguardava la sua scarsa preparazione filosofica:
“Gli errori, che è sicuro che siano commessi da qualcuno che non è padrone della materia e confida nelle autorità secondarie, risaltano, e subito. Così [Tyndall] parla di Empedocle "che notò questa lacuna nella dottrina di Democrito", mentre ogni tirocinante in filosofia sa che Empedocle visse prima di Democrito. Parlando di Democrito e Lucrezio, Pitagora esegue "i suoi esperimenti sugli intervalli armonici", come se Pitagora non fosse morto prima della nascita di Democrito. [Tyndall] rappresenta Aristotele come se predicasse l’induzione senza praticarla, mentre egli praticava l'induzione nella sua storia naturale, ma certamente non la presentò come fece in seguito Bacone. Egli attribuisce, si potrebbe dimostrare, una dottrina a Protagora, il sofista, che nessuno studioso gli attribuisce. Uno scrittore (Thomas Davidson), nel numero di ottobre del Journal of Speculative Philosophy, dimostra che egli non ha dato un resoconto completamente corretto nemmeno della filosofia del suo prediletto Democrito, che sostiene fece dipendere tutte le varietà di cose dalle varietà di atomi "in numero, dimensioni e aggregazione", mentre Aristotele, l'unica autorità originale su questo argomento, dice che li fece dipendere dalla "figura, aggregazione, e posizione". Nello stesso articolo si dimostra che il Dr. Tyndall commette errori in tutte le poche allusioni che fa ad Aristotele”.  
Liquidate, non senza torto, le competenze filosofiche di Tyndall con il motto nec sutor ultra crepidam, McCosh si avventurava a sua volta in un terreno che non conosceva, trattando la teoria atomica. Citando Dalton e la legge delle proporzioni costanti, dubitava che lo stesso elemento possa manifestarsi in forme diverse e con pesi e densità diverse. Gli atomi erano mere creazioni intellettuali, alla stessa stregua del punto matematico, che non è altro che un indicatore di posizione. In fondo, affermava, nessuno ha mai visto un atomo isolato.
"Una disposizione", per usare l'espressione del dottor Chalmers, "di cose che non abbiamo difficoltà a immaginare siano state organizzate diversamente". Perciò conclude: "Sebbene nel corso dei secoli si siano verificate catastrofi e possano ancora accadere nei cieli, sebbene i sistemi antichi possano essere dissolti e nuovi sistemi si siano evoluti dalle loro rovine, le molecole da cui questi sistemi sono costruiti – le pietre di base dell'universo materiale – sono rimaste intatte e intonse. Continuano oggi come sono state create, perfette in numero, misura e peso, e, dai loro caratteri incancellabili, possiamo apprendere, dopo accuratezza nella misurazione, che quelle aspirazioni, la verità nell'affermazione e la giustizia nell'azione, che noi consideriamo i nostri più nobili attributi come uomini, sono le nostre perché sono componenti essenziali dell'immagine di Colui, che, all'inizio, ha creato non solo il cielo e la terra, ma i materiali con i quali cielo e terra sono fatti". 
Gli atomi e le molecole, affermava McCosh, sono ammissibili per spiegare l’organizzazione della materia, ma non potranno mai spiegare le leggi e le operazioni della mente:
“Non ci sono prove che c'è una sensazione in ognuno di questi atomi, o quella sensazione sarà prodotta da due o più di loro che si urtano l'uno con l'altro? Potremmo essere in grado di spiegare le forme di una pietra o di una montagna, di un pianeta o di una stella, da parte di agglomerati atomici. Ma possiamo, con ogni apparenza di plausibilità, spiegare in questo modo l'affetto di una madre per suo figlio, di un patriota per il suo paese, di un cristiano per il suo Salvatore? Aggregateli come preferite e lasciateli ballare come vogliono, ma non sembra esserci alcun potere in loro per generare le fantasie di Shakespeare, le sublimità di Milton, la penetrazione di Newton, o la grandezza morale della morte di Socrate”. 
McCosh criticava inoltre le idee riguardo alla casualità nell'evoluzione propugnate da Darwin, Huxley e Tyndall, cercando di dimostrare che la complessità di organi, organismi e sistemi biologici testimonia un’Intelligenza creatrice e un fine (una sorta di Disegno Intelligente, con persino i classici esempi della complessità dell’occhio o della collaborazione delle api alla riproduzione delle piante dotate di fiori). Inoltre, il materialismo di Tyndall non poteva giustificare l’emergere della vita e dell’intelligenza umana.

Il pamphlet di McCosh si concludeva con quello che allora sembrava l’attacco più penetrante, cioè quello alle credenze personali di Tyndall. Egli non sarebbe stato, per sua stessa ammissione, un ateo, ma non poteva nemmeno essere considerato un teista, perché non ammetteva un Dio al di fuori della natura, o un panteista, come Fichte, perché, in fondo, non vedeva nella natura alcunché di divino. Tindall era un materialista, ma il fatto di concedere che esiste un potere imperscrutabile e che "La scienza fisica non può coprire tutte le esigenze della natura umana", insomma di esprimere una posizione scettica e dubbiosa, lo esponeva a un altro genere di critica:
“Ma non c'è il rischio che questo sistema vuoto minacci i nostri sentimenti più grandi, dimostrando che questa regione al di fuori della scienza è una regione dell'oscurità? I nostri sentimenti, per essere permanenti e che non possono essere uccisi dalla malaria della "debolezza e del dubbio", devono essere fondati sulla convinzione e su una convinzione che può giustificarsi. Colui che rimuove il fondamento della convinzione dentro di sé mente per minare e disperdere le emozioni. La natura può suscitare in noi sentimenti di stupore, sublimità e amore, solo per quanto si suppone sia pervaso da intelligenza e bontà. Quali sono questi sentimenti, quali sono la loro natura e la loro origine? Qual è questa religione collocata nel cuore dell'uomo? Sono semplicemente il prodotto di atomi che fortunatamente si sono combinati in un certo modo in un periodo di "pensiero più forte e più sano", ma possono separarsi in un'ora immediatamente successiva di "debolezza e dubbio"? Se non lo sono, allora abbiamo qui qualcosa che gli atomi non possono spiegare, e l'intera teoria va in rovina (…) Sono convinto che la tendenza di questa teoria vuota, e la sua effettiva influenza, nella misura in cui è adottata dalla nuova generazione, è quella di sradicare quei più grandi sentimenti di ammirazione e di amore, che sono i più interessanti, vivificanti e influenti elementi nella nostra natura morale e religiosa. (…) Alla fine, i nostri sentimenti naturali e spontanei saranno più forti di qualsiasi forma artificiale di incredulità speculativa; e zampilleranno a volte come una fontana, nonostante tutti gli sforzi per reprimerle. Ma hanno un tale potere perché le acque sono profonde nella nostra natura e nella nostra costituzione e alimentate dal cielo sopra e dalla terra intorno, penetrate dalle influenze discese dal cielo". 
Così, con perfido ingegno, McCosh accusava Tyndall di propagandare una visione fredda e triste dell’universo e dell’uomo, privata dei sentimenti che, a suo dire, possono essere ispirati solo da Dio.

Il retaggio 

Un'analisi del Belfast Address e il conseguente dibattito offrono un eccellente punto di osservazione da cui partire per comprendere lo stato culturale del naturalismo scientifico vittoriano in quel particolare momento. Se figure come Tyndall o Huxley non fossero state molto attente al modo in cui difendevano il materialismo metodologico, una componente integrale del loro pensiero, avrebbero pagato un prezzo enorme: la loro autorità scientifica e culturale era sotto attacco. La loro appartenenza all'élite intellettuale fu contestata e la loro rispettabilità fu messa in discussione. Qualunque fosse la libertà intellettuale che erano riusciti a conquistare per coloro che desideravano rivendicare l'autonomia della scienza, l'espressione del sostegno al materialismo di qualsiasi tipo non era ancora tollerata in Gran Bretagna negli anni '70 dell'Ottocento. Qualunque potere avessero conquistato attraverso le loro strategie per riformare la scienza e la società britanniche, quel potere rimaneva precario. 

Eppure, lasciarono il segno nella cultura britannica. I naturalisti scientifici, in particolare Huxley e Tyndall, furono in grado di guidare la politica della scienza quando erano all'apice del loro potere, tra il 1870 e il 1880. Furono in grado di sfidare l'autorità scientifica, e persino quella culturale, del clero anglicano. Attraverso le loro conferenze e scritti, incoraggiarono il pubblico vittoriano a mettere in discussione credenze largamente diffuse sulla natura della società, sul ruolo dell'umanità nella natura e sul ruolo della religione in un mondo moderno e industrializzato. Di conseguenza, il Belfast Address fu considerato un evento culturale epocale ben oltre gli anni Settanta dell'Ottocento.

Quando Tyndall morì, nel 1893, terminate da tempo le dispute, la sua figura fu rivalutata, anche con quella certa dose di ipocrisia che da sempre i credenti mostrano quando un vecchio avversario indomito viene annoverato post-mortem tra le loro fila (penso ad esempio al Galileo di Zichichi). In un ricordo intitolato Professor Tyndall as a Materialist, pubblicato sulla North American Review il primo gennaio 1894, il filosofo e ministro presbiteriano John Gier Hibben, futuro presidente dell’Università di Princeton, sosteneva che Tyndall si distinse radicalmente dal rango dei materialisti puri. Trascurare questa differenza impediva una stima onesta e giusta dell'uomo, come scienziato e filosofo. È vero che trovava nella materia "la promessa e la potenza di ogni forma e qualità della vita", tuttavia, egli riconobbe francamente i limiti naturali alla posizione del materialista, vale a dire che, poste le proprietà e le leggi della materia, rimane da spiegare la sua genesi, altrimenti il problema è lasciato in uno stato irrisolto e insoddisfacente. Egli lo riconobbe, come pure riconobbe i limiti dell'ipotesi darwiniana come filosofia finale, e che anch'essa lascia senza risposta le molte domande su Dio, la natura e la vita umana. 

Al limite più estremo della sua indagine scientifica, Tyndall riconobbe sempre più un alone di mistero, verso cui guardò con interesse e riverenza. Si poteva definire la sua posizione agnostica, ma anche il suo agnosticismo doveva essere distinto da quello di molti che su di esso plasmano la loro filosofia o piuttosto la mancanza di filosofia. Per lui, la conoscenza era o un fatto osservato, o una legge indotta attraverso esperimenti verificati. Tutto il resto era al di là della sua comprensione. Egli era uno che ha un solo desiderio di conoscere la verità e aveva una sola paura: di credere a una bugia. Il suo agnosticismo non negava la possibilità che possa esserci una spiegazione alle domande sulla vita, presente e futura. Non aveva una risposta, ma era lontano dall'affermare che la risposta è impossibile. Riconosceva la parte che la natura emotiva dell'uomo ha giocato nella storia del suo sviluppo; e in questa natura emotiva i sentimenti e le aspirazioni religiose occupavano un posto di rilievo. Questo non è il linguaggio del materialismo. Qui c'è uno spirito non solo reverenziale, ma adorante; e non possiamo sopprimere la convinzione che nel profondo della sua anima c'erano molti tesori di fede e di speranza mai rivelati all'occhio umano. 

Così, all'ateo, materialista, perverso, indegno Professor Tyndall di vent'anni prima ora quasi si faceva indossare il colletto del bravo ministro protestante. Sic transit gloria Mundi.