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domenica 25 aprile 2021

Giulio Bisconcini, matematico e antifascista

Giulio Bisconcini è una figura minore della matematica italiana; non ha fatto scoperte eclatanti né teorie divenute famose. Di lui in rete non si trovano immagini, se non quelle delle sue numerose pubblicazioni didattiche.



Fondamentalmente è stato un professore di scuola superiore, che ha collaborato tutta la vita alla didattica universitaria, prima allievo, e poi fidato collaboratore, di Tullio Levi Civita. Il suo nome è per lo più associato a quella luminosa iniziativa di Guido Castelnuovo, durante il periodo buio delle leggi razziali, conosciuta come l’Università clandestina. Quando gli studenti e i professori ebrei furono esclusi dalle scuole italiane di ogni ordine e grado, Castelnuovo si adoperò per istituire alcuni Corsi Integrativi di Cultura Matematica: di fatto erano corsi di livello universitario, per consentire ai giovani diplomati ebrei di proseguire gli studi scientifici. Giulio Bisconcini, che non era ebreo, prese parte a questa iniziativa come professore. Dotato di una straordinaria fibra morale, la sua vita si interseca in modo significativo alla grande storia e mostra come il restringersi del cappio fascista abbia colpito anche gli intellettuali meno conosciuti.

Note biografiche - Giulio Bisconcini nacque a Padova il 9 marzo 1880, primo di tre figli. Aveva nove anni quando suo padre morì, lasciando la famiglia in condizioni difficili. La madre provvide al mantenimento di Giulio e di suo fratello e sua sorella minori lavorando presso un caffè e una bottega di fabbro. Giulio studiò all’Istituto tecnico di Padova, dove conseguì la licenza nella sezione fisico-matematica nel luglio del 1897. S’iscrisse alla facoltà di scienze nella stessa città, per il corso d’ingegneria, ma al terzo anno passò a matematica, dove fu allievo di Tullio Levi Civita, che era al tempo un giovane professore incaricato, responsabile del corso di meccanica razionale all’Ateneo patavino.

Bisconcini fu uno studente molto brillante: conseguì il massimo dei voti in tutti gli esami e si laureò in Matematica con pieni voti e lode l’8 luglio del 1901, discutendo la tesi “Di una classificazione dei problemi dinamici”. Pochi mesi dopo fu chiamato a Roma come assistente alla cattedra di Algebra, Geometria analitica e Calcolo Infinitesimale, ruolo che mantenne fino al 1908. Nel 1907 fu abilitato alla libera docenza in Meccanica Razionale. Nello stesso anno concorse alla cattedra di Meccanica Razionale a Bologna, con esito negativo. Dopo il periodo di precariato, trovò una posizione stabile all’interno delle scuole superiori, divenendo nel 1908 professore straordinario di matematica e fisica negli istituti tecnici. 

Durante gli anni di assistentato all’Università di Roma, l’attività di ricerca scientifica di Giulio Bisconcini si concentrò soprattutto su problemi di meccanica razionale: la classificazione dei problemi dinamici, le vibrazioni di una lamina di una membrana e il problema a tre corpi. È proprio su quest'ultimo argomento che egli formulò nel 1906 il suo lavoro più̀ importante e più̀ citato: Sur le problème des trois corps: Trajectoires le long desquelles deux au moins des trois corps se choquent. Conditions qui entraînent un choc.

In questi studi, condotti per lo più̀ a Roma, Bisconcini continuò ad avere come punto di riferimento scientifico il suo maestro Tullio Levi Civita, che nel 1903 era stato nominato a Padova professore straordinario di Meccanica Razionale. L’attività di ricerca scientifica di Bisconcini non fu vasta e andò rapidamente riducendosi, con il passare degli anni, per dare spazio a una fervida attività didattica. Egli condusse tutta la sua vita professionale divisa tra l’insegnamento negli istituti tecnici (soprattutto, commerciali) e l’insegnamento all’università, come libero docente di Meccanica Razionale. Tullio Levi Civita, trasferitosi a Roma nel 1919 sulla cattedra di Analisi Superiore, passò a quella di Meccanica Razionale nel 1921. Fu così che, nei primi anni Venti, Bisconcini venne comandato all’ateneo romano come assistente alla cattedra di Levi Civita, sospendendo per un periodo l’insegnamento scolastico. Intanto era divenuto professore ordinario di Fisica e Matematica all’Istituto tecnico commerciale Duca degli Abruzzi (ruolo che mantenne fino al suo collocamento a riposo, nel 1942). Nel 1924 Bisconcini fu anche comandato al Regio Istituto Fisico di via Panisperna “per compiere studi di meccanica” e incaricato del corso di Analisi Matematica alla Scuola di Architettura. In questo periodo Bisconcini fu professore anche di alcuni futuri “ragazzi di via Panisperna”, come Ettore Majorana.


La collaborazione di Bisconcini con Levi Civita nell’insegnamento della meccanica razionale durò quasi vent’anni, fino alla drammatica espulsione del suo maestro dall’università, a seguito delle leggi razziali del 1938. È interessante notare la stima e la fiducia riposta da Levi Civita in questo insegnante di scuola che era stato suo allievo. Bisconcini fu autore di numerosi libri di testo per le scuole e per l’università. Tra questi, un libro di esercizi e complementi di meccanica razionale pubblicato nel 1927, concepito come complementare alle monumentali Lezioni di Meccanica Razionale di Tullio Levi Civita e Ugo Amaldi, che furono pubblicate in fascicoli proprio dal 1923 al 1927 e divennero un caposaldo della didattica della meccanica razionale.

Il manifesto fascista e la reazione democratica - Il 21 aprile, data tradizionalmente attribuita alla fondazione di Roma, aveva per il fascismo aveva un valore simbolico molto forte, tanto che nel 1924 fu dichiarata festività nazionale con il titolo di “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Fu naturale scegliere il Natale di Roma come la data per pubblicare, nel 1925, Il Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali delle altre nazioni: un testo redatto da Giovanni Gentile e firmato da numerosi uomini di cultura, quali Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti e Gabriele D’Annunzio, che mirava a dare una veste teorico-dottrinale alla propaganda fascista. Fu pubblicato da numerosi giornali, in particolare Il Popolo d’Italia, quotidiano fondato da Benito Mussolini nel 1914 e ormai vero e proprio organo di stampa del PNF. Nel manifesto di Gentile gli ideali fascisti venivano identificati con gli ideali patriottici e gli intellettuali stranieri erano invitati a non farsi influenzare dalla cattiva propaganda fatta all’estero dalla stampa di parte, ma a venire a vedere con i propri occhi come i valori fascisti stessero donando all’Italia un nuovo stato di ordine e di prosperità.

La risposta degli intellettuali antifascisti non tardò ad arrivare. A prendere l'iniziativa fu Giovanni Amendola, direttore del quotidiano Il Mondo, che invitò Benedetto Croce a redigere una lettera di replica in rappresentanza degli intellettuali non fascisti. Il contro-manifesto crociano venne significativamente pubblicato nel giorno della Festa dei Lavoratori, il 1° maggio 1925, sei giorni dopo l’uscita del manifesto fascista. A pubblicare la replica degli intellettuali non fascisti al manifesto di Giovanni Gentile furono, però, solo due quotidiani: Il Mondo e Il Popolo, giornale di stampo cattolico e antifascista, vicino al pensiero politico di Don Luigi Sturzo e del Partito Popolare Italiano. Tra i primi firmatari del Manifesto compaiono Guido De Ruggiero, Carlo Fadda, Matilde Serao, Leonida Tonelli. A queste prime firme se ne aggiunsero moltissime altre, pubblicate come addendum in successivi due numeri de Il Mondo, il 10 e il 22 maggio. Nel terzo gruppo di firmatari compare anche il nome di Giulio Bisconcini. Il Popolo, dopo il primo manifesto, non continuò a pubblicare i nomi dei firmatari. Pochi mesi dopo il giornale fu costretto a chiudere, ad appena due anni dalla sua fondazione. Riaprirà̀ soltanto dopo la caduta del regime fascista. Il Mondo resistette più̀ a lungo, ma chiuse l’anno successivo, con la morte di Giovanni Amendola, suo fondatore, assassinato dai fascisti nell’aprile del 1926.

La lettera di una “madre fascista” - Negli anni successivi, tutti i firmatari del contro-manifesto furono tenuti sotto osservazione dal regime, nell’intento di costruire una capillare strategia del consenso. In quest’atmosfera sinistra di progressiva perdita della libertà d’espressione si svolse un episodio significativo nella vita professionale di Giulio Bisconcini. Nell’autunno del 1928 giunse agli uffici del Ministero della Pubblica Istruzione la lettera di una “madre” anonima che lamentava il fatto che 

“Per l’esame di meccanica al secondo anno del biennio d’ingegneria presso la R. Università̀ di Roma, i giovani studenti per essere approvati dall’assistente Bisconcini, che quasi sempre s’impone allo stesso professore titolare Levi Civita, hanno dovuto presentarsi agli esami senza il distintivo fascista, che altrimenti si sarebbero preso l’odio del predetto assistente con grave pregiudizio dell’esame. [] Perché́ i nostri giovani, che con tanto entusiasmo portano al petto un distintivo così caro, devono sottomettersi a questo basso rancore antifascista? Ve ne sono purtroppo di questi professori indegni d’insegnare in un Ateneo che dovrebbe essere il centro dell’intellettualità̀ fascista, ve ne sono molti, ed anche di quelli che hanno sottoscritta la protesta degli intellettuali”.

Il riferimento ai firmatari del contro-manifesto doveva apparire, nelle intenzioni del mittente, come una prova a sostegno della propria accusa contro l’intellettuale non fascista Bisconcini. Nella sua lettera, la sedicente madre incalzava ulteriormente, gettando discredito sull’attività privata del docente: “È possibile che si permette ancora al suddetto assistente Bisconcini di dare lezioni private al prezzo di quaranta lire l’ora, il più delle volte neppure intere?”.

Con sospetta solerzia, il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Belluzzo incaricò il Rettore dell’Università di Roma Federico Millosevich di indagare sul conto di Bisconcini. Egli aveva già̀ ricevuto lamentele riguardo a Bisconcini, come testimonia la lettera a Belluzzo datata 30 novembre 1928 in cui, pur ammettendo di non aver trovato () la certezza che il prof. Bisconcini perseguiti gli studenti che si presentano agli esami col distintivo fascista” sosteneva che il semplice sospetto era sufficiente a escluderlo dalle Commissioni d’esame e di laurea. Millosevich sottolineò anche che “non si possono fare obiezioni a che Bisconcini faccia lezioni private perché́, al contrario di come afferma la denunciante, non è più̀ assistente dell’università ma solo libero docente”.

Tra dicembre del 1928 e maggio 1929 furono numerosi i solleciti da parte del Ministero all’Università di Roma, perché́ le indagini fossero proseguite e ulteriormente approfondite. In particolare, nel fascicolo personale di Bisconcini conservato all’Archivio Centrale dello Stato, si trova un biglietto datato 18 febbraio 1929 dal Capo di Gabinetto del Ministero e indirizzato alla Direzione generale per l’Istruzione Superiore. Il testo riporta: “Si rinnova preghiera di far conoscere con sollecitudine il risultato delle indagini esperite nei riguardi del Prof. Giulio Bisconcini, libero docente presso l’Università di Roma, dovendosi fornire al riguardo precise informazioni a S. E. il Capo del Governo”. A interessarsi al caso era dunque Benito Mussolini in persona. Le prolungate indagini su Bisconcini non diedero l’esito auspicato nella lettera anonima: non fu possibile dimostrare che Bisconcini fosse più̀ severo agli esami con gli studenti fascisti che con gli altri.

L’università clandestina - La vicenda della denuncia a Bisconcini era indice di un clima politico sempre più autoritario e preludeva a un’azione ben più̀ profonda ed estesa da parte del governo sul mondo universitario, che era allo stesso tempo un luogo strategico per la propaganda fascista e il fronte della battaglia ideologica con gli intellettuali antifascisti. La volontà di controllo da parte del governo si espresse pienamente nel testo del nuovo giuramento imposto nel 1931 ai cattedratici nelle università. Accanto al giuramento di fedeltà al Re e ai suoi Reali successori, veniva aggiunto il giuramento al Regime Fascista, identificato con gli ideali della Patria. Furono soltanto dodici i professori che rifiutarono di giurare, tra i quali Vito Volterra.

Il peggio però doveva ancora arrivare, con l’emanazione delle leggi razziali, il 3 settembre 1938. Il Consiglio dei ministri deliberava l’esclusione dalle scuole italiane di tutti gli insegnanti e studenti ebrei. Allo stesso modo decadevano tutti i docenti universitari di ‘razza ebraica’. Veniva consentito di organizzare le scuole primarie e secondarie per studenti ebrei, sotto il controllo diretto di un commissario “ariano”. La formazione universitaria veniva invece preclusa: gli studenti ebrei che avevano già̀ intrapreso gli studi universitari erano autorizzati a finirli, ma nessun altro poteva iscriversi.

Il matematico Guido Castelnuovo cercava un modo per istituire dei corsi universitari per i giovani ebrei una volta diplomati, corsi che potessero essere formalmente riconosciuti da qualche ente o istituzione, nella speranza che, prima o poi, la situazione in Italia sarebbe finalmente cambiata. L’occasione, come ben raccontato da Emma Castelnuovo, si presentò nell’autunno del 1941 con la pubblicazione sul Journal de Genève di un’inserzione dell’Institut Technique Supérieur di Friburgo (Svizzera), che proponeva la possibilità̀ di istituire corsi ed esami anche a distanza. Guido Coen, organizzatore delle scuole secondarie ebraiche a Roma, mostrò l’inserzione a Guido Castelnuovo, che subito si attivò scrivendo al direttore dell’istituto svizzero, Guido Bonzanigo.

Il 1° dicembre 1941 i Corsi Integrativi di Cultura Matematica o “Scuola di Friburgo” ebbero inizio, con 25 allievi e dieci professori: Tra questi, tre erano professori non ebrei: Giulio Bisconcini, Nestore Cacciapuoti e Raffaele Lucaroni. 

Bisconcini insegnava ben tre materie: Analisi Matematica I, Analisi matematica II e Meccanica Razionale. I corsi furono tenuti per due anni (1941-42 e 1942-43) e alla fine della guerra gli esami furono riconosciuti dall’Università di Roma, che riaprì le porte agli studenti e ai professori ebrei.

Nel suo fascicolo personale all’Archivio Storico della Sapienza si trova una sua lettera al Rettore Caronia del 3 aprile 1946. Quest’ultimo gli aveva chiesto di rendere conto degli anni in cui non aveva esercitato la libera docenza, dato che, trascorso il quinto anno, l’abilitazione veniva a decadere. Dalla risposta di Bisconcini si apprende perché egli abbia cessato di esercitare l’insegnamento universitario nel 1938: “Essendo stato sottratto alla cattedra per ragioni razziali, quale grande maestro e scienziato di fama mondiale che mi onorava della sua stima, non mi sentii più di dare il mio contributo all’insegnamento”.

Giulio Bisconcini morì a Padova nel 1969.

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Questo articolo è il frutto di un mero lavoro di sintesi e di editing non concordato dell’originale Portrait of an antifascist: the mathematician Giulio Bisconcini scritto da Adele La Rana - Centro Fermi – Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, Roma; INFN Rome 1 Unit, pubblicato negli Atti del XXXVIII Convegno annuale SISFA – Messina 2018 (pp. 81-90). Spero che l’autrice mi perdoni. A mia attenuante invoco il fatto che volevo celebrare un coraggioso intellettuale antifascista proprio il giorno in cui si celebra l’Anniversario della Liberazione. Buon 25 Aprile a tutti, viva la Resistenza!




martedì 9 aprile 2019

Levi-Civita e il trasporto parallelo

A Padova

Tullio Levi-Civita (1873-1941) si era formato all'Università di Padova con il geometra Giuseppe Veronese e Gregorio Ricci Curbastro. Quest'ultimo, che aveva sviluppato il calcolo tensoriale tra il 1885 e il 1895, diresse la sua tesi di laurea, discussa nel 1892. Unendo il metodo di Ricci-Curbastro con alcuni risultati della teoria dei gruppi di trasformazione di Lie, Levi-Civita estese la teoria degli invarianti assoluti a casi più generali di quelli considerati dal suo maestro e risolse un problema classico della meccanica analitica, trasformando un sistema di equazioni della dinamica, in caso di assenza di forze esterne, in un sistema più semplice, avente le stesse traiettorie rappresentate dalle geodetiche in una varietà riemanniana a n-dimensioni. L'uso del calcolo tensoriale era essenziale per la soluzione di questo problema. 

Levi-Civita fu nominato professore di meccanica razionale a Padova nel 1897 e continuò a lavorare con Ricci Curbastro. Nel 1901 pubblicarono insieme nei Mathematische Annalen l’articolo Méthodes de Calcul Differentiel Absolu et leurs Application, scritto su invito di Felix Klein, che diventò subito il manifesto del calcolo tensoriale. Nella memoria, Ricci Curbastro e Levi-Civita illustravano gli elementi fondamentali di questo metodo, che chiamarono "un nuovo algoritmo", grazie al quale erano in grado di esprimere diverse relazioni di geometria ma anche dell'analisi e della fisica matematica (come equazioni di elasticità o di elettromagnetismo) indipendentemente dal sistema di coordinate scelto. La loro teoria mostrò la sua efficacia soprattutto negli spazi con n dimensioni (varietà riemanniane), che Levi-Civita aveva già studiato nella sua tesi. 

La corrispondenza con Einstein 

Il calcolo tensoriale ebbe un ruolo essenziale nella formulazione della teoria della relatività generale elaborata da Albert Einstein. Nel 1923, ricordando il momento in cui si rese conto che il calcolo tensoriale poteva essere il linguaggio appropriato per esprimere la relatività generale, Einstein scriveva: 
"Tuttavia, ho avuto l'idea decisiva dell'analogia tra il problema matematico della teoria [della relatività generale] e la teoria gaussiana delle superfici solo nel 1912, dopo il mio ritorno a Zurigo, quando ancora non conoscevo le opere di Riemann, Ricci e Levi-Civita. Questi [lavori] sono stati portati alla mia attenzione per la prima volta dal mio buon amico Grossmann.” 

Marcel Grossmann era professore di matematica all'Università di Zurigo e amico di Einstein sin da quando erano studenti. Sebbene avesse indicato questi testi nel 1912, Einstein impiegò tre anni per apprendere le tecniche della geometria differenziale e del calcolo tensoriale che gli consentirono di superare le difficoltà matematiche del suo lavoro. Così diceva a un corrispondente: 
“Sto lavorando esclusivamente al problema della gravitazione, e credo di poter superare tutte le difficoltà con l’aiuto di un mio amico matematico di qui [Grossmann]. Ma una cosa è certa: non ho mai faticato tanto in vita mia, e ho acquistato un enorme rispetto per la matematica, le cui parti più sottili consideravo finora, nella mia ignoranza, come un puro lusso. Al confronto di questo problema, l’originaria teoria della relatività è un gioco da ragazzi”. 
Nel 1913 apparve il primo risultato della sua collaborazione con Grossmann: l’articolo Entwurf einer verallgemeinerten Relativitätstheorie und einer Theorie der Gravitation [Lineamenti di una Teoria della Relatività generalizzata e di una Teoria della Gravitazione], ma il problema cruciale delle equazioni di campo gravitazionale era irrisolto: nell’articolo le equazioni di campo non sono considerate generalmente covarianti, ma il loro gruppo invariante è limitato alle sole trasformazioni lineari. Questo punto di vista portò Einstein e Grossmann a fare supposizioni fisiche errate. In alcuni documenti successivi, Einstein e Grossmann tentarono di giustificare le equazioni di campo gravitazionale derivate nell’Entwurf per mezzo di principi variazionali. 

Le difficoltà connesse con la giusta espressione delle equazioni gravitazionali furono il soggetto principale della corrispondenza tra Einstein e Levi-Civita. Einstein fu sempre grato a Levi-Civita per il suo interesse per la relatività generale. Nelle lettere, Levi-Civita notò un errore nella dimostrazione presente nell’articolo, le cui conseguenze coinvolgono le proprietà covarianti del tensore gravitazionale. Einstein tentò più volte di confutare le obiezioni di Levi-Civita. In una lettera datata 5 marzo 1915, scrisse: 
“Caro collega, sono molto felice che lei sia così interessato al mio lavoro. Può immaginare quanto raro sia qualcuno che sia profondamente interessato a questo argomento con una mente indipendente e senza pregiudizi. [...] Quando ho notato che ha criticato la prova più importante della mia teoria, ottenuta con fiumi di sudore, ero non poco preoccupato dal fatto che so che sa gestire tali questioni matematiche molto meglio di me. Tuttavia, dopo un'attenta riflessione, penso che la mia dimostrazione può essere accolta”. 
Lo stesso Einstein scrisse a Levi-Civita, in italiano, il 2 aprile 1915: 
“Una corrispondenza così interessante non mi era ancora capitata. Dovrebbe vedere con quale ansia aspetto sempre le sue lettere.” 
Il 21 aprile 1915 Einstein scrisse a Levi-Civita che sperava di persuaderlo della validità del "suo Teorema", poiché - secondo lui - l'obiezione del suo corrispondente italiano poteva essere superata. La discussione epistolare tra Einstein e Levi-Civita andò avanti fino all'inizio di maggio. Il 5 maggio 1915, Einstein dovette ammettere che la sua dimostrazione era "difettosa". 

In una serie di quattro articoli presentati all'Accademia delle Scienze prussiana nel novembre 1915, Einstein pubblicò la versione finale delle equazioni del campo gravitazionale, ora chiamate equazioni di Einstein. L’articolo definitivo fu il quarto, Feldgleichungen der Gravitation [Le equazioni del campo gravitazionale]. 


Il trasporto parallelo 

Levi-Civita pubblicò l’articolo sul trasporto parallelo Nozione di parallelismo in una varietà qualunque e conseguente specificazione geometrica della curvatura riemanniana nel 1917, in Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, che in quel periodo godeva di una grande reputazione internazionale e pubblicava articoli di matematica di altissimo livello.

La memoria di Levi-Civita, subito dopo la Grande Guerra, ebbe molto successo: numerosi articoli sul trasporto parallelo furono tempestivamente pubblicati, molti colleghi lodarono l'efficacia di questo nuovo metodo e gli studenti venivano a Roma per lavorare con Levi-Civita su questioni relative a questo nuovo metodo. Le lezioni presso l'Università di Roma sul calcolo tensoriale, pubblicate nel 1925 dalla casa editrice Stock in un volume tradotto in inglese e tedesco nel 1927 e nel 1928, poi usato dai matematici di tutto il mondo come strumento sia di ricerca sia d’insegnamento, diedero ulteriore impulso al concetto di trasporto parallelo. 

Che cos’è il trasporto parallelo? Nella geometria piana di Euclide, il parallelismo gioca un ruolo chiave. Per Euclide, due linee sono parallele se, infinitamente prolungate, non si incrociano mai. Una formulazione moderna del quinto postulato di Euclide afferma che, per un punto al di fuori di una data retta, passa solo una retta parallela ad essa. Cambiare questo postulato porta all'invalidazione di diversi teoremi della geometria euclidea ed è quindi il primo passo per sviluppare le geometrie non euclidee. Fu Levi-Civita a introdurre il concetto di parallelismo su uno spazio multidimensionale (varietà riemanniana) nel suo articolo del 1917. Il suo obiettivo non era quindi quello di elaborare una teoria geometrica, ma piuttosto di "semplificare" i simboli di Riemann che esprimono la curvatura di una varietà dando loro anche un'interpretazione geometrica. Infatti, come Levi-Civita dichiarò all'inizio del suo articolo, 
"La teoria della gravitazione di Einstein [...] considera la struttura geometrica dello spazio ambiente correlata, molto debolmente ma intimamente, ai fenomeni fisici che vi si verificano (sic); ciò differisce dalle teorie classiche [come la meccanica newtoniana], che considerano lo spazio fisico come un dato a priori. Lo sviluppo matematico della concezione grandiosa di Einstein (che trova il suo naturale strumento algoritmico nel calcolo differenziale assoluto di Ricci) fa della curvatura di una certa varietà quadridimensionale e dei simboli relativi di Riemann un elemento essenziale". 
Con curvatura si indica una serie di concetti geometrici che intuitivamente si riferiscono alla misura di quanto un determinato oggetto si discosti dall'essere piatto. La misura della curvatura viene definita in modi diversi a seconda dell'ente geometrico cui è applicata. Ad esempio, una linea nel piano o un piano nello spazio tridimensionale hanno curvatura nulla. Un cerchio nel piano ha una curvatura costante, tanto più grande quanto più piccolo è il raggio. Si distinguono due tipi essenziali di curvatura: 
• curvatura estrinseca: è la curvatura posseduta dall'oggetto in relazione ad uno spazio piatto di dimensione superiore in cui è immerso, determinabile solo confrontando elementi dell'oggetto in relazione ad elementi dello spazio contenitore; 
• curvatura intrinseca (o gaussiana): è la curvatura determinabile utilizzando solo operazioni eseguite su elementi dell'oggetto medesimo. 

Per quanto riguarda la definizione di parallelismo in questi spazi, consideriamo tale definizione nel caso più semplice di superfici curve. Levi-Civita nelle lezioni del 1925 adottò l'approccio pedagogico che consiste di definire prima il parallelismo per le superfici e poi generalizzarlo alle varietà. Inizialmente, egli osservava che nel piano euclideo, se consideriamo due punti P e P1 per ogni "direzione", da P si può costruire una e una sola direzione che passa per P1 e parallela alla direzione data; per lui, una "direzione" u è definita attraverso il "vettore unitario" che gli corrisponde. Questa costruzione, osserva Levi-Civita, può essere facilmente generalizzata alle cosiddette superfici sviluppabili. Una superficie Σ è "sviluppabile" se, immaginandola "flessibile e inestensibile", può essere sovrapposta a una regione del piano "senza strappi e senza duplicazione". Essa viene detta anche rigata, intendendo che è possibile costruire una famiglia infinita di rette interamente contenute in essa. Gli esempi più semplici di superfici sviluppabili sono i cilindri e i coni senza il vertice.


Se Σ è sviluppabile, Levi-Civita introduce un'applicazione - denominata "parallelismo di superficie" - tra le direzioni in P tangenti a Σ e le analoghe direzioni che escono da P1, un altro punto di Σ, in modo che a ogni direzione u corrisponde la direzione u1 che diventa parallela a u nel senso abituale quando si sovrappone Σ sul piano; le direzioni u e u1 sono allora dette "parallele nel senso della superficie".

Ovviamente tale criterio non sarà più valido se Σ non è una superficie sviluppabile, anche se si tratta di una superficie elementare, come per esempio la superficie sferica. In questo caso bisognerà considerare il punto P1 come proveniente da P seguendo una certa curva T, denominata "curva di trasporto." Questa è una visione cinematica che permette a Levi-Civita di definire il trasporto parallelo da P a P1 utilizzando la sviluppabile circoscritta a Σ lungo la curva T; questa superficie, che egli indica con ΣT, sarà perciò tangente a Σ lungo T e, in particolare, in P e P1. Levi-Civita chiama "la parallela da P1 a una direzione qualunque (superficiale) u attraverso P lungo la curva T, la direzione (superficiale) u1 che sulla sviluppabile ΣT è parallela a u nel senso appena definito." Ad esempio, nel caso di una sfera, se T è la linea equatoriale, allora la sua superficie sviluppabile ΣT sarà un cilindro; se T è un parallelo non equatoriale, ΣT sarà un cono. In generale, la superficie della sfera non è isometrica al piano, neanche localmente: in altre parole, nessun dominio della sfera, per quanto piccolo sia, può essere applicato su un dominio del piano in modo da conservare le distanze.



In generale, questa definizione di parallelismo dipende dalla curva di trasporto. Levi-Civita non manca di sottolineare che la nozione geometrica di parallelismo è "vicina" a quella di lavoro in fisica. In effetti, il lavoro svolto per trasportare, ad esempio, un corpo materiale da A a B dipende dalla curva scelta per andare da un punto all'altro. Consideriamo alcuni esempi. Innanzitutto, sul piano euclideo, tutti i vettori torneranno esattamente a se stessi dopo il trasporto parallelo su qualsiasi curva chiusa. Nella figura, se portiamo il vettore parallelo da P lungo il circuito dato, esso coinciderà con il vettore iniziale dopo un giro completo, poiché nel piano troviamo la nozione abituale di parallelismo. Si potrebbe fare la stessa osservazione per tutte le superfici sviluppabili.


E su una superficie non sviluppabile? Consideriamo il caso della superficie sferica: da A il vettore della figura viene trasportato parallelamente lungo le curve AN, NB, BA che sono linee geodetiche. Per portare il nostro vettore in parallelo usiamo la definizione di Levi-Civita che impiega le superfici sviluppabili lungo una curva: in questo caso, ogni tratto di geodetica (cerchio massimo) si sviluppa su un cilindro. Tuttavia, alla fine del suo circuito, ritornando ad A, il vettore crea un certo angolo α con la sua direzione iniziale che era tangente alla curva. Invece, se il trasporto parallelo è fatto lungo un meridiano della sfera, ad esempio il circolo massimo ANSA, tornando ad A il vettore sarà ancora tangente alla curva: coinciderà con il vettore iniziale.

Pertanto, anche su una superficie di curvatura costante come la sfera, il trasporto parallelo non può essere pensato indipendentemente dalla curva scelta per trasportare il vettore. Il trasporto parallelo su tale tipologia di superfici non sviluppabili è si può effettuare mediante lo stesso processo geometrico-cinematico previsto per una superficie sviluppabile, con la sola condizione che la curva di trasporto T sia una porzione compresa tra P e P1 di una geodetica. Nel caso particolare di una sfera, le geodetiche sono tutti i paralleli e tutti i meridiani (usando una terminologia tipicamente geografica).


Una notevole proprietà del parallelismo, che è una conseguenza immediata della sua definizione, riguarda la conservazione degli angoli: infatti, Levi-Civita constata che, se a e b sono due direzioni per P, alle quali corrispondono le direzioni parallele a1 e b1 che passano per P1. allora formano lo stesso angolo. Questa proprietà non dipende dalla superficie (o dalla varietà) o dalla curva di trasporto. Un'altra conseguenza interessante della nozione di parallelismo si verifica quando la curva di trasporto è una geodetica. Come nel piano euclideo, in cui le geodetiche sono linee rette, possiamo considerare su una superficie una geodetica e una direzione che si muove in modo tale che il suo punto di applicazione appartenga sempre alla geodetica. Diremo che la direzione si muove "parallela" se forma sempre lo stesso angolo con la tangente alla geodetica. In particolare, la tangente a una geodetica sarà parallela a se stessa se si muove lungo la geodetica. In conclusione, scrive Levi-Civita, "le geodetiche sono curve auto-parallele". Inoltre, "da queste considerazioni deduciamo che l'auto-parallelismo è una proprietà caratteristica delle geodetiche e può essere usato per definirle". Ad esempio, se consideriamo i due percorsi 1 e 2 su una superficie sferica, la linea 1 è una geodetica perché la sua tangente si muove parallela a se stessa, mentre la linea 2 non è una geodetica perché, se si trasporta parallelamente il vettore inizialmente tangente alla curva, si ottengono vettori che in generale non saranno più tangenti alla curva. Si può quindi dire che nel trasporto parallelo di un vettore in un sistema generico di coordinate le sue componenti cambiano, a differenza di ciò che accade in metrica piatta: per trasporto parallelo si intende infatti il trasporto del vettore effettuato mantenendo costante l'angolo che esso forma con la superficie curva. 



Nel suo corso, Levi-Civita introduce l'apparato formale necessario per fare i calcoli in caso di parallelismo di superfici, e poi generalizza queste nozioni al caso delle varietà, arrivando a risolvere il problema iniziale dichiarato all'inizio del suo articolo del 1917: quello di dare alla curvatura della varietà un significato geometrico. Infatti, considerando su una varietà un circuito "infinitesimale" (formato da quattro archi di geodetica paralleli a due a due) e facendo muovere "per parallelismo" un vettore lungo questo circuito, trova una relazione che esprime il legame profondo tra il tensore di curvatura e il trasporto parallelo. 


Infine, si può osservare come l'introduzione di un nuovo e importante concetto di geometria differenziale, la deviazione geodetica, sia stata di nuovo ispirata dalla fisica. Nell’articolo pubblicato nel 1927, Levi-Civita analizza due punti infinitamente vicini appartenenti a due geodetiche diverse in una varietà riemanniana e ne studia la distanza. Fisicamente, le linee geodetiche possono essere interpretate come le traiettorie di due particelle di prova in caduta libera che sono infinitamente vicine l'una all'altra e che inizialmente si muovono parallelamente. È la curvatura dello spazio, che è responsabile di una deviazione tra le due particelle, che Levi-Civita chiama "deviazione geodetica" (e il pensiero corre per istinto verso il clinamen di Lucrezio). In generale, la fisica è una costante fonte di ispirazione per Levi-Civita. Inoltre, ai suoi occhi non ci sono veri e propri confini tra la fisica e la geometria differenziale: queste due discipline sono le facce di una stessa medaglia unificate da un linguaggio comune che è il calcolo tensoriale. 


Il trasporto parallelo consentì allo stesso tempo lo sviluppo delle teorie fisiche e della geometria differenziale in modo significativo. Le lezioni universitarie semplici e pedagogiche di Levi-Civita furono uno strumento straordinario per diffondere le sue idee sul calcolo tensoriale e in particolare sul parallelismo. Il trasporto parallelo, che stabilisce il legame tra geometria e fisica, occupa un posto centrale in questi testi. 

A Roma 



Nel 1918, Levi-Civita diventò professore all'Università di Roma, dove ebbe l'opportunità di partecipare alla fondazione di una vera scuola matematica internazionale. Vito Volterra, Federico Enriques, Guido Castelnuovo e Francesco Severi furono alcuni dei matematici che animarono questa scuola. Nel corso degli anni ‘20, Levi-Civita fu il referente italiano dell’Educational Board della Fondazione Rockefeller, un'organizzazione internazionale che aiutava i giovani scienziati nel periodo tra le due guerre mondiali. Con questa posizione istituzionale, Levi-Civita e i suoi colleghi accolsero all'Università di Roma diversi borsisti, che lavoravano in varie discipline matematiche come la geometria algebrica, l’analisi funzionale, il calcolo tensoriale, l’idrodinamica e la geometria differenziale. Durante gli anni '20 e '30, molte opere ispirate alle idee di Levi-Civita apparvero sulle riviste di settore. Scritti di suoi studenti o collaboratori furono spesso comunicati da lui stesso all'Accademia dei Lincei e pubblicati nei Rendiconti


Lo scopo di molti libri sul calcolo tensoriale pubblicati dopo la formulazione della relatività generale era quello di aiutare i fisici a capire il formalismo usato da Einstein per dedurre le sue equazioni del campo gravitazionale. Al contrario, le lezioni di Levi-Civita erano rivolte ai matematici e mostravano il calcolo tensoriale da un diverso punto di vista, dove la geometria giocava il ruolo più importante. L'approccio di Levi-Civita poté essere apprezzato anche dai geometri che lavoravano nella tradizione del XIX secolo, poiché permise la riscrittura di molti concetti classici della geometria differenziale in forma tensoriale. Ad esempio, Luigi Bianchi scrisse un articolo sul trasporto parallelo di Levi-Civita e pubblicò le sue idee nell’Appendice al secondo volume delle Lezioni di geometria differenziale (1923). 


L'influenza della ricerca Levi-Civita, in generale, e in particolare quella relativa al trasporto parallelo si manifestò in vari modi: i dottorandi, borsisti post-dottorato, ma anche colleghi matematici cominciarono a utilizzare i risultati; inoltre, anche attraverso la sua corrispondenza privata, le sue idee si diffusero in tutta Europa. Giovani matematici da ogni dove studiarono per un certo periodo presso Levi-Civita grazie a una borsa Rockefeller, lavorando su problemi di geometria differenziale. Levi-Civita accolse anche colleghi stranieri, come l'americano Joseph Lipka, o giovani ricercatori già in servizio, come l'irlandese Albert Joseph McConnell. I rappresentanti della scuola rumena, come George Vranceanu e Octav Onicescu, e il matematico britannico e linguista Evan Tom Davies ottennero la loro specializzazione in matematica a Roma proprio sotto la direzione di Levi-Civita. Nella seconda metà degli anni ’20, secondo l’International Education Board, Roma era considerata il terzo centro matematico europeo, dopo Parigi e Gottinga. 

A partire dagli anni ’20 la fama del matematico italiano era indiscussa, ed egli fu invitato a congressi e conferenze in tutto il mondo. Inoltre continuò a pubblicare articoli in vari settori della matematica, come la dinamica dei fluidi e, più in generale, nella matematica applicata e nella geometria differenziale. Nel 1932 e nel 1934 i prestigiosi Seminari Hadamard furono dedicati all’opera di Levi-Civita. Nel 1933 iniziò una serie di conferenze negli Stati Uniti, nel 1935 fu a Mosca, nel 1936 tornò di nuovo Oltreoceano. A Houston dichiarò la superiorità del sistema universitario americano su quello italiano. Il console italiano chiese al Governo di prendere severe misure contro di lui, ma gli fu risposto che Levi-Civita era “troppo conosciuto” per andar oltre un richiamo ufficiale. Nello stesso anno si tenne a Oslo l’undicesimo Congresso Matematico Internazionale, ma agli scienziati italiani fu vietata la presenza, perché la Norvegia era un paese che partecipava alle sanzioni contro l’Italia a seguito della guerra coloniale contro l’Etiopia. Ciò nonostante, Levi-Civita fu nominato membro della commissione che doveva assegnare le Medaglie Fields. L’ultimo ciclo di conferenze all’estero di Levi-Civita si tenne a Lima nel 1937. 

Le leggi razziali e gli ultimi anni

Nel 1938, il governo fascista aveva emanato le infami leggi razziali, che escludevano gli ebrei dall'educazione e da qualsiasi ufficio pubblico. Levi Civita, da ebreo, dovette ritirarsi e abbandonare tutte le posizioni istituzionali. Nel 1939 Francesco Severi, collega di Levi-Civita a Roma e particolarmente vicino a Mussolini, fu incaricato dall'Accademia d'Italia di organizzare il Congresso Volta dell’ottobre 1940 per la matematica, che doveva essere dedicato alla geometria differenziale. Incominciarono a partire i primi inviti agli scienziati stranieri, naturalmente dopo aver verificato attentamente che non fossero membri della "razza ebraica". È interessante vedere come Severi, con grande zelo, evitò di invitare matematici ebrei, sia in Italia che all'estero. Infatti, Levi-Civita non fu invitato. Lo stesso anno, il 4 maggio 1939, scrisse all'ex studente Vrânceanu sulle sue condizioni dopo le leggi razziali in Italia: 
"Sono in pensione e resto immobile: non in estate, tuttavia, se le condizioni generali mi consentono una certa mobilità. Come sapete, gli ebrei sono stati esclusi da qualsiasi partecipazione alla vita culturale italiana; in particolare, quindi, non parteciperò al Congresso Volta e non sarò a Roma a settembre". 
Quando il matematico olandese Jan Arnoldus Schouten, esperto in calcolo tensoriale, ricevette l'invito dell'Accademia d'Italia, rispose all'organizzatore del congresso, il 28 febbraio 1939: 
"Saranno invitati anche ebrei e parteciperanno matematici ebrei italiani? Penso in particolare al signor Levi-Civita che, come inventore del trasporto parallelo, è uno dei co-fondatori della moderna geometria differenziale. Partecipare a un congresso sulla geometria differenziale che escluda Levi-Civita per ragioni razziali sarebbe per me assolutamente inaccettabile." 
La seconda risposta a Severi arrivò dalla Francia, da Cartan, uno dei più grandi specialisti transalpini di geometria differenziale e di teoria dei gruppi di Lie. Con Schouten aveva pubblicato diversi articoli, e conosceva la lettera dell'olandese, che lo aveva inserito tra i destinatari per conoscenza. Dopo un po' di tempo decise di partecipare al Convegno, scrivendo a Severi. 
"Ho l'onore di comunicarvi il ricevimento dell'invito che mi avete fatto avere di partecipare al IX Convegno Volta che avrà luogo a Roma il prossimo ottobre. Sono molto onorato di questo invito e vi ringrazio. Parteciperò senza dubbio a questa manifestazione, salvo eventi imprevisti, e mi farà sicuramente molto piacere passare qualche giorno con i colleghi matematici di Roma". 
Non si trattava di condivisione da parte di Cartan delle leggi razziali. La lettera del francese nascondeva in realtà un desiderio: incontrare Levi Civita, che, in quanto membro anche della Pontificia Accademia delle Scienze, poté continuare in parte la sua attività. L'anno precedente l'italiano aveva inviato al francese un articolo, e Cartan gli aveva risposto con una lettera piuttosto lunga e più personale di quanto fosse sua abitudine scrivere. Eccone un brano: 
"Fubini, che ho visto recentemente [il matematico italiano di origine ebraica era transitato da Parigi prima di recarsi esule negli Stati Uniti], mi ha detto di numerosi nostri amici matematici italiani. È inutile dirvi quali siano i miei sentimenti. Spero che la signora Levi Civita e voi siate in buona salute e abbiate approfittato delle vacanze". 
Levi Civita, che aveva letto la lettera di Schouten perché era il secondo destinatario per conoscenza, rispose a Cartan dicendo: 
"[A voi vadano] Tutti i miei ringraziamenti per la simpatia che mi esprimete a seguito delle recenti manifestazioni antisemite. Fino ad ora non so nulla di ufficiale, ma ho già saputo abbastanza, o direi piuttosto troppo, dai giornali" 
Il IX Convegno Volta alla fine non si fece, perché il primo settembre era scoppiata la guerra e molti invitati dei paesi belligeranti erano impossibilitati a partecipare. 

Negli ultimi anni della sua vita, nonostante la sua depressione morale e fisica, Levi-Civita rimase fedele all'ideale dell'internazionalismo scientifico e aiutò colleghi e studenti vittime dell'antisemitismo; grazie a lui, molti di loro trovarono posti in Sud America o negli Stati Uniti. In molte lettere a lui indirizzate, il suo aiuto risulta evidente a favore di Leo Finzi, Guido Fubini, Alessandro Terracini, Berud Steinlerger e Enrico Volterra, il figlio di Vito, che era stato suo assistente dal 1933 al 1938. 

La morte di Levi-Civita il 30 dicembre 1941 fu ignorata dal mondo accademico italiano. Era stato uno dei più eminenti professori in Italia per oltre 40 anni, fu capace di creare una scuola e una tradizione e aveva attratto studenti in arrivo da tutti i paesi. Molte persone beneficiarono della sua gentilezza e conservarono un ricordo incancellabile della sua straordinaria personalità. 

La notizia della sua morte raggiunse Parigi solo nel luglio del 1942. Poiché era membro dell'Accademia di Francia, si decise di commemorarlo il 18 settembre, con un ricordo scritto proprio da Cartan. Anche in Francia erano entrate in vigore le leggi razziali, ma un ebreo morto si poteva pur ricordarlo: 
"Fu merito di Levi-Civita l’apportare un miglioramento finale [al calcolo tensoriale] con la scoperta, nel 1917, del concetto di trasporto parallelo. Rendendo più intuitive le nozioni fondamentali del calcolo differenziale assoluto [il calcolo tensoriale], egli introdusse una teoria, fino ad allora puramente analitica, nel campo della Geometria. Ne conseguirono profonde ripercussioni sullo sviluppo della Geometria stessa".
Riferimenti principali

 Le transport parallèle fête ses 100 ans