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giovedì 7 marzo 2024

Beppo Levi, tra Torino, gli Appennini e le Ande

 


Beppo Levi (1875-1961) è stato un matematico autore di articoli su logica, equazioni differenziali, variabili complesse, sul confine tra analisi e fisica.

La famiglia di Beppo Levi era ebrea, e Beppo era il quarto di dieci figli. Il padre, Giulio Giacomo Levi, esercitava la professione di avvocato, ma fu anche autore di diversi libri su questioni politiche e sociali in cui manifestava le sue idee liberali messe in discussione dal nascente socialismo.

Studiò matematica all'Università di Torino, iniziando gli studi nel 1892. Frequentò i corsi tenuti da Corrado Segre, Enrico D'Ovidio e Giuseppe Peano, e questi matematici ebbero una grande influenza su di lui. Per tutti conservò un profondo affetto per il resto della sua vita.

Ebbe come maestri anche Vito Volterra e Mario Pieri. Corrado Segre, che aveva studiato a Torino con D'Ovidio, era stato nominato nel capoluogo piemontese alla cattedra di Geometria Superiore nel 1888. Divenne relatore della tesi di Levi,. Studió “...la varietà delle secanti delle curve algebriche, in vista dello studio delle singolarità delle curve spaziali”. Sono del 1897 e del 1898 una sua ampia memoria pubblicata dall'Accademia delle Scienze di Torino «Sulla varietà delle corde di una curva algebrica» e alcune note dei Rendiconti dei Lincei, in cui fra l'altro viene dimostrata la possibilità di mutare una data curva algebrica sghemba in un'altra priva di singolarità puntuali per mezzo di trasformazioni birazionali dello spazio e viene studiata la riduzione delle singolarità di una superficie algebrica mediante successive trasformazioni quadratiche. Ancora giovanissimo, Beppo Levi conquistò così un posto d'onore nel campo della geometria algebrica.

Negli ultimi tre anni di studio all'Università di Torino, Levi era sostenuto da una borsa di studio. Laureatosi nel luglio 1896, Levi fu nominato assistente di Luigi Berzolari a Torino e mantenne questo incarico fino al 1899. Suo padre era morto nel 1898 e questo diede a Levi la responsabilità di capofamiglia (era il figlio maggiore superstite). Per mantenere se stesso e gli altri membri della famiglia, assunse diversi incarichi di insegnante nelle scuole superiori. Insegnò prima a Sassari, poi a Bari, passando poi a Vercelli prima di insegnare in Emilia-Romagna, prima a Bobbio poi a Piacenza. Alcuni di questi incarichi lo portavano lontano dalla sua famiglia, cosa che lo angosciava e cercava di trovare lavoro più vicino alla sua città natale. Ritornò a Torino, dove insegnò all'Istituto Tecnico fino al 1906 quando il suo incarico venne reso permanente.

Durante questi sette anni come insegnante, Levi aveva tentato di ottenere diversi incarichi universitari ma senza riuscirci. Nel 1901, ad esempio, partecipò al concorso per la cattedra dell'Università di Torino indetto da Luigi Berzolari. In questa competizione arrivò terzo: il posto andò a Gino Fano.

Nel 1906 vinse il concorso per la nomina a professore di Geometria descrittiva e proiettiva all'Università di Cagliari. Mentre era sull’isola, Levi realizzò un lavoro eccezionale sull'aritmetica delle curve ellittiche che pubblicò in quattro articoli intitolati “Saggio per una teoria aritmetica delle forme cubiche ternarie” (un articolo nel 1906 e tre nel 1908). Riferì di questo lavoro nella conferenza “Sull'equazione indeterminata del terzo ordine” al Congresso Internazionale dei Matematici di Roma nel 1908. Rimase a Cagliari, insegnando geometria analitica, per quattro anni finché fu chiamato alla cattedra di analisi algebrica presso l'Università di Parma nel 1910. Mentre era a Cagliari, Levi aveva sposato Albina Bachi di Torre Pellice in Piemonte. Albina, come Levi, era ebrea; ebbero tre figli, Giulio, Laura ed Emilia. Anche se per Albina “...Cagliari era una località esotica; per lui era troppo lontano dalla sua famiglia”.

L'anno in cui Levi lasciò Cagliari era stato promosso a professore ordinario, ma era così ansioso di andarsene che era pronto ad accettare un posto inferiore a Parma, in un'università che non aveva il corso di matematica. Mario Pieri, però, che era stato uno dei maestri di Levi a Torino, era a Parma e desiderava che il suo ex allievo lo raggiungesse lì. Una volta a Parma (dal 1910), Pieri divenne l'amico più intimo di Levi. Trascorse diciotto anni a Parma impegnandosi notevolmente nello sviluppo scientifico dell'Università con una serie di politiche che produssero ottimi risultati. Levi occupò, oltre alla cattedra di Analisi algebrica, anche quella di Geometria analitica e, per un anno, anche quella di Fisica matematica. Ciò significava che il suo carico di lavoro era estremamente pesante. Tuttavia fece sforzi strenui per far sì che il corso di laurea in matematica si stabilisse a Parma e ottenne l'approvazione del rettore per tale scopo. Purtroppo, lo scoppio della prima guerra mondiale e l'entrata in conflitto dell'Italia nell'aprile 1915, impedirono la realizzazione dei piani di Levi. La guerra vide una tragedia colpire la famiglia Levi, poiché i suoi due fratelli Decio ed Eugenio furono entrambi uccisi in azione nel 1917.

Dopo la fine della guerra, Levi rinnovò i suoi sforzi per ottenere il corso di matematica a Parma. La sua posizione si rafforzò quando divenne presidente della Facoltà di Scienze. Tuttavia, negli anni '20, la situazione politica in Italia cominciò a rendere il suo lavoro sempre più difficile, incidendo seriamente sui suoi tentativi di migliorare lo status di Parma. Giovanni Gentile, professore di storia della filosofia all'Università di Roma nel 1917, divenne ministro dell'istruzione nel governo fascista italiano nel 1922 e nei due anni successivi portò avanti importanti riforme dell’istruzione. Gentile organizzò nel marzo 1925 a Bologna il primo Congresso delle Istituzioni Culturali Fasciste che portò in aprile al "manifesto Gentile" che cercava l'appoggio degli intellettuali al fascismo. Due matematici, Corrado Gini e Salvatore Pincherle, appoggiarono il manifesto mentre altri redassero un contro-manifesto sostenendo l'indipendenza degli intellettuali dalle interferenze politiche. Levi firmò il contromanifesto, così come Leonida Tonelli, Vito Volterra, Guido Castelnuovo, Tullio Levi-Civita e Francesco Severi. Tuttavia, le riforme fasciste continuarono, portando alla chiusura del corso di matematica presso l'Università di Parma. Tutti i matematici se ne andarono tranne Levi, che divenne professore di matematica speciale e preside della scuola di chimica. Nel 1928, però, nell'ambito della riforma fascista venne chiusa anche la scuola di chimica di Parma.

Nonostante queste estreme difficoltà, gli anni di Levi a Parma furono quelli in cui aveva ampliato la già ampia gamma dei suoi campi di ricerca. Prima di recarsi a Parma aveva già pubblicato oltre quaranta articoli su argomenti che spaziavano dalla geometria algebrica alla logica, lavorando in particolare sull'assioma della scelta.

Aveva studiato inoltre la teoria dell'integrazione, le equazioni differenziali alle derivate parziali e il principio di Dirichlet, producendo il "teorema di Beppo Levi", o della convergenza monotona di sequenze di funzioni misurabili, che permette di passare con il limite dentro il segno di integrale quando la successione di funzioni integrate è puntualmente crescente. Il teorema implica in particolare che possiamo calcolare l’integrale di una funzione positiva e misurabile come limite di una successione crescente di integrali di funzioni semplici. Quindi non solo come estremo superiore di integrali di funzioni semplici dominati da f. Data una funzione misurabile positiva, esiste sempre una successione crescente di funzioni semplici che converge a f.


Levi si interessò anche di storia della scienza e di fisica: in quest'ultimo ambito, è da ricordare, in particolare, la sua breve monografia
Nuove teorie della meccanica quantistica e le loro relazioni con l'analisi matematica (1926). A questa già ampia gamma di lavori, aggiunse contributi ad argomenti come la teoria dei numeri, l'ingegneria elettrica, la teoria delle misurazioni fisiche e la fisica teorica. Nel 1928 lasciò Parma e passò alla cattedra di teoria delle funzioni dell'Università di Bologna, dove ebbe un oneroso carico didattico e amministrativo, ma continuò a intraprendere la ricerca con le stesse passioni che aveva coltivato per tutta la vita. Scrisse articoli sulla logica, sulle equazioni differenziali, sulle variabili complesse, nonché sul confine tra analisi e fisica. Ebbe anche un ruolo significativo nella Unione Matematica Italiana come redattore del Bollettino dell'Unione Matematica Italiana e direttore dal 1931 al 1938. Per molti versi le cose andarono bene per Levi a Bologna: sua figlia Laura iniziò il dottorato in fisica, ebbe ottimi rapporti con Salvatore Pincherle, allora in pensione ma ancora attivo, e nel 1935 fu eletto alla Reale Accademia dei Lincei.

Nonostante il suo odio per il fascismo, Levi aveva firmato il "giuramento al fascismo" nel 1931 insieme a circa 1200 altri matematici (solo undici si rifiutarono di firmare). Forse anche per questo, per diversi anni poté svolgere le sue funzioni a Bologna con poche interferenze politiche. La situazione cambiò radicalmente nel luglio 1938 quando, sotto la pressione di Hitler, Mussolini presentò il Manifesto della Razza. Questa legge era totalmente antisemita, togliendo la cittadinanza italiana agli ebrei e vietando loro di lavorare nel campo dell’istruzione, del governo e delle banche. Ciò provocò la destituzione di Levi dal suo incarico a Bologna nel 1938. Aveva preso contatti con diversi matematici argentini attraverso il suo lavoro di redattore del Bollettino e, nonostante avesse sessantatré anni, iniziò subito a cercare di negoziare un trasferimento in Argentina. Cortés Plá invitò Levi a dirigere l'istituto di matematica recentemente fondato presso l'Università del Litoral di Rosario. Nell'ottobre del 1939 Levi, con la moglie e le due figlie, lasciò l'Italia ed emigrò in Argentina. In questo periodo emigrò in Palestina il figlio Giulio, che era biologo. Sorprendentemente, sebbene Levi avesse 64 anni quando assunse l'incarico di professore e direttore dell'Istituto di Rosario, poté continuare a insegnare, intraprendere ricerche e svolgere compiti amministrativi per altri 20 anni. Oltre a tenere corsi di analisi, geometria e meccanica razionale, fu molto attivo nella ricerca, pubblicando circa un terzo dei suoi lavori in spagnolo. Fondò la rivista Mathematicae Notae, la collana Publicaciones del Instituto de matemáticas e la serie di libri Monografias. Pubblicò “Sistemas de ecuaciones analiticas en terminos finitos, diferenciales y en derivadas parciales" (1944), un’esposizione scritta in modo chiaro dei teoremi fondamentali dell’esistenza dei sistemi di equazioni differenziali alle derivate parziali analitiche, insieme al necessario materiale preliminare sulle funzioni implicite e sulle equazioni differenziali ordinarie.

Nel 1947 Levi pubblicò “Leyendo a Euclides” (Leggere Euclide).LM Blumenthal scrive in una recensione:

“Questo simpatico libricino registra in modo informale alcuni pensieri di un matematico scaturiti dalla lettura degli 'Elementi' di Euclide. Sebbene l’autore neghi qualsiasi intenzione di scrivere uno studio storico serio o una critica moderna di Euclide, nel libro c’è molto di entrambi”

Nel 1956 Levi ricevette il Premio Antonio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei.

A Levi era stata offerta la possibilità di tornare alla sua cattedra a Bologna dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma scelse di restare in Argentina. Levi e sua moglie Albina fecero molte visite in Italia dopo essere emigrati in Argentina, e fu in Italia che Albina morì nel 1951. Morì a Rosario all'età di 86 anni e lì fu sepolto nel cimitero ebraico.

sabato 25 novembre 2023

Il solitario Barricelli e la nascita degli organismi numerici

 


Il MANIAC (acronimo di Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer), la cui architettura fu progettata quasi esclusivamente da John von Neumann agli inizi degli anni Cinquanta, era il più potente “cervello elettronico” dell’epoca e fu installato presso l’IAS (Institute for Advanced Study) di Princeton, nel New Jersey. Finanziato quasi interamente con fondi delle forze armate, serviva principalmente per eseguire i complessi calcoli che portarono alla costruzione della bomba termonucleare all’idrogeno. Il suo nome, scherzoso e non ufficiale, faceva il verso a quello dell’ENIAC, che lo aveva preceduto dal 1946, sempre con scopi principalmente militari (e per le previsioni meteorologiche). C'erano cinque kilobyte di memoria totale archiviati nella macchina. Un’inezia per gli standard odierni, ma allora era un arsenale.

Maniac è il nome anche della bella e documentata biografia romanzata di John von Neumann e storia dell’evoluzione del suo calcolatore elettronico, scritta dal cileno Benjamín Labatut (Adelphi, 2023). Di sicuro Labatut ha giocato con il significato della parola che, in inglese come in italiano, indica una persona con problemi mentali, un pazzo. E il libro abbonda di figure di persone geniali e un po’ folli, a cominciare dallo stesso matematico di origine ungherese. Ma von Neumann non è il solo. A metà circa di Maniac compare e scompare nel giro di due capitoli non consecutivi l’enigmatica e affascinante figura di Nils Aall Barricelli.


Nella finzione letteraria ne parla la testimonianza di Julian Bigelow, l’ingegnere informatico che fu il braccio destro di Von Neumann nella progettazione e nella realizzazione della macchina. Il capitolo si intitola proprio “Un vero scienziato pazzo”.
Appena il MANIAC cominciò a funzionare Johnny chiamò a lavorarci un vero scienziato pazzo. 
Nils Aall Barricelli. 
Mezzo norvegese e mezzo italiano. 
Totalmente folle.

A Johnny era venuta un'ossessione per la biologia, e quest'uomo lasciò nel suo ufficio un bigliettino scritto a mano. 
“Interessato a condurre una serie di esperimenti numerici allo scopo di verificare la possibilità che un'evoluzione simile a quella degli organismi viventi abbia luogo in un universo creato artificialmente”
Con accluse specifiche e alcune pubblicazioni accademiche. 
Johnny mi chiese cosa ne pensavo. 
Non aspettò la mia risposta. 
L'indomani gli accordò libero accesso. 
Gli disse che poteva far girare qualunque simulazione volesse. 
Una volta terminati i calcoli per la bomba, ovviamente.
Barricelli era nato a Roma il 24 gennaio 1912 da padre italiano e madre norvegese. Secondo Richard Goodman, un microbiologo che fece amicizia con il matematico negli anni '60, Barricelli affermava di aver inventato il calcolo infinitesimale prima del suo decimo compleanno. Quando il ragazzo mostrò i calcoli a suo padre, apprese che Newton e Leibniz lo avevano preceduto di un paio di secoli. Mentre era studente all'Università di Roma, Barricelli studiò matematica e fisica con Enrico Fermi. Un paio d'anni dopo la laurea nel 1936, emigrò in Norvegia con la madre recentemente divorziata e la sorella minore.

Mentre infuriava la Seconda guerra mondiale, Barricelli studiava. Nonostante avesse presentato una tesi di 500 pagine sull'analisi statistica delle variazioni climatiche nel 1946, Barricelli non completò mai il suo dottorato di ricerca. La commissione di tesi gli ordinò di ridurre l’articolo a un decimo delle dimensioni, altrimenti non avrebbe accettato il lavoro. Invece di capitolare, Barricelli rinunciò alla laurea.

Barricelli iniziò a modellare i fenomeni biologici su carta, ma i suoi calcoli erano lenti e limitati. Fece domanda per studiare negli Stati Uniti come borsista Fulbright, dove avrebbe potuto lavorare con la macchina IAS. Come scrisse nella sua richiesta di borsa di studio originale nel 1951, cercò di “effettuare esperimenti numerici per mezzo di grandi macchine calcolatrici”, al fine di chiarire, attraverso la matematica, “i primi stadi dell’evoluzione di una specie”. Desiderava anche socializzare con grandi menti: “comunicare con statistici e teorici dell’evoluzione americani”. Al momento della presentazione della domanda era un assistente di 39 anni presso l'Università di Oslo.

Sebbene il programma inizialmente lo respinse a causa di un problema di visto, all'inizio del 1953 Barricelli arrivò all’Institute for Advanced Study come membro in visita. "Spero che troverete il signor Baricelli [sic] una persona interessante con cui parlare", scrisse Ragnar Frisch, un collega di Barricelli che più tardi avrebbe vinto il primo Premio Nobel per l'economia, in una lettera a von Neumann. “Non è sempre molto sistematico nella sua esposizione”, continuava Frisch, “ma ha idee interessanti”. Comunque, non è vero che “fu chiamato”, ma fu presentato con ottime credenziali.
Le sue idee erano deliranti. 
Voleva imitare all'interno del MANIAC l’evoluzione della vita.

“Il primo linguaggio e la prima tecnologia sulla Terra non furono creati da esseri umani. Furono creati da molecole primordiali quasi quattro miliardi di anni fa. Sto pensando alla possibilità che un processo evolutivo potenzialmente in grado di condurre a risultati analoghi si possa avviare nella memoria di un calcolatore”.

Credeva nella simbiogenesi. 
Una teoria estremamente controversa opposta al darwinismo. 
Spiega la complessità degli organismi viventi attraverso le associazioni simbiotiche anziché mediante la selezione naturale dell'ereditarietà. 
Una fusione tra forme più semplici.
L'ipotesi simbiogenetica fu articolata per la prima volta dal naturalista russo Konstantin Merezhkovsky nel 1905. Egli era già a conoscenza del lavoro svolto dal botanico tedesco Andreas Schimper, che, avendo osservato nel 1883 come la divisione dei cloroplasti nelle piante verdi ricordasse quella dei cianobatteri, aveva proposto che le piante verdi derivino dall'unione simbiotica di due organismi. Successivamente, nel 1920, Ivan Wallin estese l'idea di un'origine endosimbiontica anche ai mitocondri. Ma tutte queste ipotesi furono inizialmente tralasciate o confutate. Analisi più dettagliate di cianobatteri e cloroplasti, effettuate grazie al microscopio elettronico, e la scoperta che i plastidi e i mitocondri contengono un proprio DNA (che fu riconosciuto come il materiale ereditario degli organismi) portarono a una rivalutazione dei fatti negli anni Sessanta.

Come avrebbe scritto lo stesso Barricelli in un lungo articolo riguardante il suo lavoro su Civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli (1955: a. 3, mag., fasc. 3, pp. 27-33), “Un'ipotesi ardita fu avanzata nel 1924 da Kozo-Polyansky quando già si cominciava a sapere qualche cosa di queste analogie. L'ipotesi di Kozo-Poliansky è che tutti i geni ed anche diverse altre molecole della cellula che sono dotate di potere autocatalitico discendono da altrettanti virus od organismi di natura simile ai virus che per simbiosi un po’ per volta si sono associati al resto della cellula. Secondo questa teoria, che Kozo-Polyansky chiama teoria della “simbiogenesi“, il processo di evoluzione che ha permesso la formazione della cellula fu iniziato da una simbiosi tra alcuni organismi di natura simile ai virus. A questi poi col tempo si sarebbero associati nuovi simbionti della stessa natura ed in numero sempre crescente, ed il processo di evoluzione così iniziato avrebbe reso possibile la formazione dei vari organi della cellula”


Sul registro del computer di Barricelli presso l’Institute for Advanced Study, in caratteri scritti a mano a matita datati 3 marzo 1953, c’è il titolo “Problema di simbiogenesi”.

La teoria della simbiogenesi nella sua moderna accezione fu esposta e diffusa per la prima volta nel 1975 da Lynn Margulis, che la ufficializzò nel 1981 nel libro Symbiosis in Cell Evolution (La simbiosi nell'evoluzione cellulare); nel libro viene spiegato come le cellule eucariotiche si siano originate come comunità di entità interagenti tra loro, tra cui ad esempio spirochete endosimbiontiche che svilupparono flagelli e ciglia eucariotici, ma la biologa andrebbe, con più ragione, ricordata per la sua opera di divulgatrice. Infatti, alle spalle dell’opera di Lynn Margulis c’è una lunga storia di idee, alle quali è molto debitrice (e stranamente non cita l’articolo di Kozo-Polyansky che Barricelli conosceva bene).

Attualmente la simbiogenesi è largamente accettata e supportata da prove scientifiche. Nei primi tempi venne accettata molto lentamente tra i biologi, ma grazie al largo numero di prove portate a sostegno nei 30 anni seguenti, è utilizzata su un numero sempre maggiore di sistemi biologici. Oggi è l'unica spiegazione plausibile esistente per l'evoluzione e la discontinuità esistente tra procarioti ed eucarioti.
Disseminò di numeri casuali la memoria del MANIAC.  
Introdusse regole per governare il loro comportamento. 
È così che li faceva “evolvere”. 
La sua ipotesi era che avrebbero cominciato a mostrare le stesse caratteristiche dei geni.

(...)

Ognuno degli organismi di Barricelli era una stringa di numeri. 
Entravano in contatto si fondevano mutavano morivano o procreavano. 
Potevano instaurare una simbiosi per diventare più complessi. 
Potevano regredire a forme piü semplici. 
Trasformarsi in predatori. In parassiti.
Barricelli codificò i suoi organismi numerici sulla macchina IAS per dimostrare la sua tesi. Scrisse che "È molto facile fabbricare o semplicemente definire entità con la capacità di riprodursi, ad esempio, nel regno dell'aritmetica".

Ma qual era il metodo che utilizzava? Lo spiega nell’articolo su Civiltà delle macchine:

“Per esempio, possiamo usare come elementi alcuni numeri scritti sulla prima linea di un foglio a quadretti - vedi fig. 1 dove i numeri negativi sono sottolineati - e scegliere ad arbitrio una regola di riproduzione di questi numeri.

In fig. 1 si è usata la seguente: in una unità di tempo (generazione) un numero positivo m si riproduce m caselle a destra ed un numero negativo n si riproduce n caselle a sinistra. Il risultato che si ottiene dalla prima riga seguendo questa regola di riproduzione è scritto nella seconda riga. Applicando la stessa regola di riproduzione sulla seconda riga si ottiene la terza riga, e così via. Naturalmente per continuare bisognerà fissare delle regole per fissare ciò che dovrà avvenire quando due numeri capitano nella stessa casella. Ma di ciò si parlerà più avanti.

L’altra facoltà essenziale per una evoluzione darwiniana, la capacità di subire cambiamenti ereditari, non è così diffusa come la capacità di riprodursi, ma si conoscono elementi in cui la detta capacità esiste (...) Artificialmente non vi è alcuna difficoltà a definire elementi che oltre alla facoltà di riprodursi hanno anche la facoltà di subire cambiamenti ereditari. Negli elementi numerici sopra definiti possiamo per esempio stabilire delle regole di mutazione approfittando dei casi in cui due numeri capitano nella stessa casella. Il numero da collocare nella detta casella potrà risultare diverso da entrambi e rappresenterà in tal caso una mutazione. (...)


In questo modo si ha una classe di elementi numerici capaci di riprodursi è di subire mutazioni. Le condizioni per un processo di evoluzione in base ai principi di Darwin sarebbero presenti. I numeri, che hanno maggiore probabilità di sopravvivere nell’ambiente creato dalle regole che abbiamo scelto, sopravviveranno. Gli altri verranno man mano eliminati. Si avrà un processo di adattamento all’ambiente, un processo di evoluzione darwiniana”.

Poi, per indurre processi di evoluzione, cambiava le regole: “Per mettere alla prova la teoria della simbiosi dei geni possiamo ricorrere ancora una volta all’impiego di elementi numerici. Basterà modificare le regole della riproduzione impiegate in maniera tale da favorire qualche forma di associazione utilitaria (simbiosi) tra elementi numerici diversi. Così si potrà vedere se è vero che associando elementi con le proprietà fondamentali precedentemente descritte si possa iniziare un processo di evoluzione che si svolga in base allo stesso meccanismo che regola l’evoluzione biologica. Per favorire l’associazione utilitaria (simbiosi) possiamo apportare alle regole di riproduzione adottate delle modifiche per (...) rendere possibile la riproduzione di un elemento numerico solo quando ne sono presenti degli altri da esso differenti. In tal modo si rende necessaria l'associazione utilitaria (simbiosi) di elementi numerici diversi onde rendere possibile la riproduzione. Alle suddette regole di riproduzione si possono poi associare delle regole di mutazione a piacere, per es. sfruttando i casi in cui due numeri cadono nella stessa casella”.

E così via, fino alla prova di compilare la prima riga (generazione) di soli 1 e -1 e caselle vuote (0) estraendoli a sorte in modo casuale con il lancio di due monete.

Il bello è che, all’inizio, faceva tutto con penna e fogli quadrettati. Solo successivamente ebbe la possibilità di ricorrere alla schede perforate del computer.

All'interno del dispositivo, Barricelli programmò mondi costantemente mutabili, ciascuno con file di 512 "geni", rappresentati da numeri interi relativi. Mentre il computer attraversava centinaia e migliaia di generazioni (il massimo fu 5.400) emergevano raggruppamenti persistenti di geni, che Barricelli considerava organismi. Il trucco consisteva nel modificare le leggi della natura create dall’uomo - “norme”, come le chiamava lui - che governavano l’universo e le sue entità. Doveva mantenere questi ecosistemi sull’orlo del disordine e della stasi. Troppo caos e le sue creature si sarebbero trasformate in un caos disorganizzato; troppo poco e si sarebbero omogeneizzate. Il punto nel mezzo, tuttavia, sosteneva processi realistici.

L’azione di equilibrio di Barricelli non era sempre facile. Le sue prime prove furono piene di parassiti: geni numerici primitivi, spesso singoli, invasero lo spazio e divorarono i loro vicini. In genere, era in grado di assistere solo a un paio di cambiamenti ereditari, o al massimo a una manciata, prima che il mondo si distruggesse. Per creare processi evolutivi duraturi, aveva bisogno di ostacolare la capacità di questi parassiti di riprodursi rapidamente. Quando tornò all'Istituto nel 1954 per iniziare una seconda serie di esperimenti, Barricelli apportò alcuni cambiamenti cruciali. Innanzitutto, limitò la proliferazione dei parassiti a una volta per generazione. Questo vincolo consentiva ai suoi organismi numerici un più ampio margine di manovra per superare il problema. In secondo luogo, iniziò a impiegare norme diverse per le diverse sezioni dei suoi universi. Ciò costringeva i suoi organismi numerici ad adattarsi sempre.

Anche negli universi precedenti, Barricelli si rese conto che la mutazione e la selezione naturale da sole non erano sufficienti a spiegare la genesi delle specie. In effetti, la maggior parte delle singole mutazioni erano dannose. Scrisse che “La maggior parte delle nuove varietà che hanno mostrato la capacità di espandersi sono il risultato di fenomeni di incrocio e non di mutazioni, sebbene le mutazioni (soprattutto quelle dannose) siano state molto più frequenti dei cambiamenti ereditari mediante incrocio negli esperimenti condotti".

Quando un organismo diventava perfettamente adatto ad un ambiente, la più piccola variazione non faceva altro che indebolirlo. In tali casi, furono necessarie altre modificazioni, effettuate mediante una fecondazione incrociata, per dare all'organismo numerico una qualche possibilità di miglioramento. Ciò indicava a Barricelli che le simbiosi, l’incrocio genetico e “una forma primitiva di riproduzione sessuale” erano essenziali per l’emergere della vita.

Barricelli programmò alcuni dei primi algoritmi informatici che assomigliano ai processi della vita reale: una suddivisione di ciò che oggi chiamiamo “vita artificiale”, che cerca di simulare i sistemi viventi nei computer. Barricelli lanciò una sfida coraggiosa al modello darwiniano standard di evoluzione per competizione, dimostrando che gli organismi si sono evoluti anche per simbiosi e cooperazione.


In effetti, i progetti di Barricelli hanno anticipato molte attuali vie di ricerca, compresi gli automi cellulari, programmi per computer che coinvolgono griglie di numeri abbinate a regole locali che possono produrre comportamenti complicati e imprevedibili. I suoi modelli hanno una sorprendente somiglianza con gli automi cellulari unidimensionali (reticoli realistici di schemi numerici) proposti da Stanislaw Ulam e, manco a dirlo, da von Neumann, e studiati da Stephen Wolfram.

Barricelli vedeva i suoi organismi informatici come un modello di vita, su questo pianeta e su qualsiasi altro. "La questione se un tipo di simbioorganismo si sviluppi nella memoria di un computer digitale mentre un altro tipo si sviluppi in un laboratorio chimico o mediante un processo naturale su qualche pianeta o satellite non aggiunge nulla di fondamentale a questa differenza", scrisse. Un mese dopo che Barricelli aveva iniziato i suoi esperimenti sulla macchina IAS, Crick e Watson annunciarono la forma del DNA come una doppia elica. Ma conoscere la forma della vita biologica non ha intaccato la convinzione di Barricelli di aver catturato i meccanismi della vita su un computer. Lasciamo che Watson e Crick definiscano il DNA una doppia elica. Barricelli li chiamava “numeri a forma di molecola”.
Ogni due cicli prendeva un campione dalla memoria del MANIAC e lo stampava.
Rigogliosi paesaggi matematici simili a giganteschi quadri espressionisti astratti.
L'elettroencefalogramma di un folle. 
Fissava un punto e gridava Perfetto! quando gli organismi si erano scambiati dei "geni" per creare un simbionte. 
Scandaloso! quando diventavano parassiti.
Gli esperimenti di Barricelli avevano anche un lato estetico. Insolitamente per l’epoca, convertì gli 1 e gli 0 digitali della memoria del computer in immagini pittoriche per evidenziare i suoi organismi numerici Quelle immagini, e le idee alla loro base, avrebbero influenzato gli animatori computerizzati nelle generazioni a venire.

Barricelli non si è limitato a creare un universo di organismi numerici, ha convertito i suoi organismi in immagini. I conteggi computerizzati di 1 e 0 si sarebbero poi auto-organizzati in griglie visive di squisita varietà e consistenza.

Barricelli era convinto che i numeri potessero cominciare a sviluppare una vita propria.
Sono l'inizio di una qualche forma di vita aliena o semplicemente modelli della vita? No, non sono modelli. Sono una particolare categoria di strutture autoreplicanti, già definite!
“Ma deve essere ben chiaro che il compito delle nostre ricerche non è stato quello di indagare come si siano svolte le prime fasi dell’evoluzione biologica. Il nostro compito è invece di indagare se processi di evoluzione in base agli stessi principi che, come si suppone, regolano l’evoluzione biologica sono possibili e come si svolgerebbero inizialmente partendo da elementi numerici o di qualsiasi natura anche se completamente diversi dai virus e dai geni, purché capaci di riprodursi, di mutare ereditariamente e di associarsi in organizzazioni (simbioorganismi) che offrono un vantaggio selettivo”.

(...)

“Processi di evoluzione secondo i principi dell’evoluzione biologica e i cui i fenomeni di incrocio (o riproduzione sessuale) hanno una parte preponderante, possono essere realizzati con molti tipi di elementi capaci di riprodursi, mutare ed associarsi in simbioorganismi. Non si tratta quindi di un fenomeno particolare caratteristico per un determinati tipo di elementi, come ad esempio le molecole degli acidi desossiribonucleici (virus e geni), ma di un fenomeno statistico generale che interessa molti tipi di elementi con le suddette proprietà”.

(...)

“La possibilità di produrre processi di evoluzione insieme agli stessi principi che regolano l’evoluzione biologica, ma partendo da elementi autoriproduttivi di natura qualsiasi, solleva la questione se gli organismi numerici ed eventualmente altri organismi che possono essere sviluppati in simili processi di evoluzione siano da considerarsi come organismi viventi. Teoricamente siffatti organismi, se sviluppati in universi di dimensioni sufficienti e in condizioni adatte, potrebbero avere le stesse e forse anche maggiori possibilità di evoluzione e varietà di forme. Che si voglia o no riconoscerli come organismi viventi, ciò potrà in definitiva essere una questione di definizione. Volendo scegliere una definizione molto comprensiva si potrebbe considerare come vivente ogni organismo capace di riprodursi e di subire cambiamenti ereditari. Con questa definizione sarebbero viventi non solo i virus e i geni, ma anche gli organismi numerici e gli elementi numerici che li compongono”.

(...)

“Ma anche volendo considerare come viventi soltanto i simbioorganismi di natura, diciamo così, albuminica, non bisogna credere che tutti questi organismi debbano necessariamente rassomigliare alle forme di vita che conosciamo sulla Terra né che la Terra debba essere necessariamente l’ambiente migliore per lo sviluppo di siffatte forme di vita”.
Ma alla fine i suoi esperimenti fallirono. 
Sebbene io abbia creato una classe di numeri capaci di riprodursi e di subire mutamenti ereditari, l’evoluzione numerica non va molto lontano e non ha prodotto in nessun caso un livello di fitness sufficiente a mettere la specie al riparo dalla totale distruzione e ad assicurare un processo evolutivo illimitato come quello che ha avuto luogo sulla Terra e che ha portato a organismi sempre più avanzati. Manca qualcosa che permetta di spiegare la formazione di organi e di facoltà complesse come quelle degli organismi viventi. Per quante mutazioni facciamo, i numeri restano sempre numeri. Non diventeranno mai organismi viventi! 
Appunti presi in preda alla disperazione.

Ciarlatano/visionario? 
Probabilmente entrambe le cose. 
Molto in anticipo sul suo tempo. 
Troppo.

Le sue entità numeriche evolvevano in un universo digitale vuoto nel corso dei pochi cicli di calcolo lasciati liberi dalla bomba all’idrogeno. 
Chissà cosa sarebbe riuscito a ottenere con più cicli a disposizione. 
Ma svanirono senza lasciare tracce. 
Molte delle sue idee furono riscoperte in seguito da altri ricercatori che non erano a conoscenza del suo lavoro.

Fu Johnny a seppellirlo? Forse. 
Fra loro accadde qualcosa. Litigarono di brutto. 
Nessuno dei due ha mai riconosciuto il lavoro dell'altro. 
Nemmeno una parola nei loro scritti. Ho controllato. 
Come se non si fossero mai conosciuti. 
Johnny è ancora riverito come il padre della vita artificiale. 
Mentre l'altro pazzo non lo ricorda nessuno. 
Un giorno di punto in bianco gli fu negato l'accesso al MANIAC. 
Non lo vedemmo mai più.
Ciò che ha sepolto Barricelli nell'oscurità è qualcosa di misterioso. Essere intransigente nelle sue opinioni e non un giocatore di squadra, senza dubbio ha portato all’isolamento di Barricelli dal mainstream accademico. Ma è probabile che Barricelli e l’indomabile von Neumann non andassero più d’accordo.

In un successivo capitolo che Labatut attribuisce alla testimonianza di Barricelli, forse è contenuta la verità sul suo allontanamento da Princeton e dal MANIAC:
“Non sono pazzo. Non sono mai stato pazzo. Non sono folle, anche se molte mi hanno definito così. In tutti questi anni travagliati, questi anni infernali passati a lavorare lontano da tutti, ignorato, vilipeso e invisibile, non ho perso la testa, non ho lasciato che lo sconforto mi conducesse alla follia e mi precipitasse nel delirio. (...) Sono un uomo di scienza. Un sostenitore del potere della verità, un avversario dell'ignoranza e un nemico naturale del nichilismo e dell’incommensurabile abisso della disperazione, perché mi sono votato al futuro. (...) Ma io ho visto qualcosa che mi ha fatto capire che esistono lande selvagge irriducibili alla sola logica, qualcosa che si fa beffe dei venerati principi che gli scienziati hanno tanto a cuore, quel loro cuore debole è pavido - ho visto la vita digitale. Non è in arrivo, è qui. Le creature che ho immaginato si stanno evolvendo più in fretta di quanto potrebbe fare un qualunque sistema biologico. Tanto belle quanto inevitabili. (...) Perciò ho sopportato l’umiliazione di divenire un oggetto di scherno. Uno zimbello. Un esempio negativo, deriso da uomini inferiori sospinti in alto dalle volgari gerarchie del mondo. (...) Ormai è la rabbia a sostenermi (...) Perché è stato a causa della rabbia, del puro rancore cieco che una volta - una volta sola - sono andato vicino a perdere la testa. Ira e sdegno, stizza e odio nei confronti della gazza ladra, di quel demonio sorridente, John von Neumann.

Ha rubato le mie idee! Ha sabotato e usurpato i miei esperimenti, quei numeri scrupolosamente ibridati tra loro che già traboccavano di promesse di vita, e quando non è riuscito a piegarli ai suoi obiettivi li ha distorti e travisati. (...) Usando la sua influenza, ha seppellito la mia ricerca e anche il mio nome, prima negandomi l’accesso al suo calcolatore (il MANIAC, nome quanto mai appropriato), poi evitando deliberatamente qualunque riferimento diretto al mio lavoro in uno dei suoi libri, proprio quello che - per motivi che mi sfuggono - viene considerato da tutti come il compendio definitivo sugli automi e gli organismi digitali. (...) Non ho nemmeno potuto far ricorso: quel bastardo è morto prima di completare il suo libro. (...) Da allora sono rimasto impotente a guardare mentre altri sfruttavano e mietevano un campo che ero stato io il primo a concimare, seminare e far germogliare. (...) Ed è stato allora, quando mi trovavo a un passo dalla scoperta, quando la mia terra promessa cominciava a profilarsi all’orizzonte, che von Neumann ha preso a interessarsi al mio progetto.

All’inizio ne era affascinato quanto me. Arrivava all’istituto nel cuore della notte - l’unico momento in cui mi era concesso lavorare - e mi tempestava di domande molto insistenti. Da quel che sceglieva di chiedere si capiva la qualità del suo pensiero (...) ed ebbi l’opportunità di scrutare dentro la sua testa. Mi chiese se avessi sentito parlare delle macchine di Turing con oracolo. Col tempo sono giunto a considerare quella semplice domanda come un test (...) Turing anelava a qualcosa di diverso [dai calcolatori moderni], una macchina capace di guardare oltre la logica e comportarsi in modo più simile agli esseri umani, che sono dotati non solo di intelligenza, ma anche di intuito. (...)
Nella sua accezione più ampia, un oracolo può essere considerato come una serie di procedure di decisione in grado di superare i limiti di una Macchina di Turing, In pratica, l’accesso all’oracolo renderebbe una macchina ibrida capace di affrontare classi di problemi che nessun sistema algoritmico può risolvere. Un altro campo in cui gli oracoli hanno mostrato una funzione teorica è nella classificazione dei problemi “trattabili” o “intrattabili”, risolvibili cioè in tempo polinomiale o esponenziale in relazione alla dimensione n del problema. Ovviamente, il potere di calcolo di una macchina di Turing con oracolo è conseguenza diretta delle caratteristiche di decidibilità del linguaggio oracolo. Una macchina di Turing con oracolo è tale se, di fronte a un problema computazionale incalcolabile, almeno in certo tempo, in cui è necessaria una scelta (sì o no), tira a indovinare, esattamente come facciamo noi.
“Non dimenticherò mai quel momento. (...) Ero arrivato all’istituto a mezzanotte e stavo scendendo le scale che conducevano al MANIAC, quando (...) mi accorsi subito, con mio estremo sconcerto, che il MANIAC stava lavorando a pieno regime, e che von Neumann stava facendo girare il mio codice. Il mio codice!” (...) Lui mi assecondò è non parve risentirsi per il mio tono, ma quando notai che aveva ottimizzato diverse subroutine e introdotto importanti cambiamenti nei miei successivi cicli computazionali, alterando le mie istruzioni in modi che non riuscivo a comprendere, persi il controllo. Mi sentii a tal punto tradito che lo spinsi via è balzai in avanti per interrompere il processo prima che fosse troppo tardi. (...)

Non riesco a ricordare cosa dissi a quel mostro per allontanarlo dal mio esperimento, ma ricordo con assoluta chiarezza che lui reagì in modo sorprendentemente pacato. (...) Fece orecchie da mercante alle mie lamentele e si limitò ad andarsene senza proferire parola, e senza scusarsi per quel che aveva fatto. Né mai si sarebbe scusato in futuro. Quella fu l’ultima volta in cui ci parlammo, e capii subito che i miei giorni col MANIAC erano contati”.
Insomma, mentre Barricelli voleva ricreare la vita in un ambiente digitale, von Neumann voleva creare l’intelligenza artificiale. In più era molto più potente, e non certo uno stinco di santo.

Barricelli morì a Oslo nel 1993, solo e dimenticato.

giovedì 17 agosto 2023

La matematica (e la scienza) in Arcadia

 



Sir Tom Stoppard (1937), è un drammaturgo, regista e scrittore britannico di origine cecoslovacca. Premio Oscar per la sceneggiatura di
Shakespeare in Love, Stoppard è uno dei più apprezzati e prolifici autori britannici del secondo Novecento. Tra le sue opere è molto nota Rosencrantz e Guildenstern sono morti, uno spin-off scespiriano poi divenuta un film nel 1990 premiato con il Leone d'oro a Venezia. Nella sua commedia Arcadia (1993), le idee matematiche formano uno dei principali sottotemi dell'opera. In particolare, argomenti contemporanei come i frattali formano parte integrante della trama, e giocano un ruolo importante anche elementi come l’ultimo teorema di Fermat e la seconda Legge della Termodinamica. L'opera è ambientata in due periodi di tempo, l'inizio del XIX secolo e il presente, nella stessa stanza della tenuta di Sidley Park.

Una stanza davanti al giardino di una grande casa di campagna nel Derbyshire nell'aprile 1809. Oggi sarebbe chiamata una casa signorile. Il muro di fondo è costituito principalmente da finestre alte, ben fatte e senza tende, una o più delle quali fungono da porte. Non c'è molto da dire o da vedere dell'esterno. Veniamo a sapere che la casa sorge nel tipico parco inglese dell'epoca. Forse ne vediamo una indicazione, forse solo luce, aria e cielo.

La stanza appare spoglia nonostante il grande tavolo che ne occupa il centro. Il tavolo, le sedie dallo schienale dritto e, l'unico altro elemento di arredo, il tavolo da disegno, sarebbero ora tutti pezzi da collezione, ma qui, su un pavimento di legno senza moquette, non hanno più pretese di un'aula scolastica, che è in effetti l'uso principale di questa stanza in questo momento. L'eleganza che c'è, è architettonica, e niente è impressionante se non la scala. C'è una porta in ciascuna delle pareti laterali. Queste sono chiuse, ma una delle portefinestre è aperta su un mattino luminoso ma senza sole.

Ci sono due persone, ognuna occupata con libri, carta, penna e inchiostro, occupate separatamente. L'allieva è THOMASINA COVERLY, 13 anni. Il tutor è SEPTIMUS HODGE, 22 anni. Ciascuno ha un libro aperto.

(...)

THOMASINA: Septimus, cos'è l'abbraccio carnale?
SEPTIMUS: L'abbraccio carnale è la pratica di gettare le braccia attorno a un pezzo di carne.
THOMASINA: Tutto qui?
SEPTIMUS: No… una spalla di montone, una coscia di cervo ben abbracciata, un abbraccio di gallo cedrone... caro, carnis-, femminile; carne.
THOMASINA: È peccato?
SEPTIMUS: Non necessariamente, mia signora, ma quando l'abbraccio carnale è peccaminoso è un peccato della carne, QED. (...) Pensavo stessi trovando una dimostrazione per l'ultimo teorema di Fermat.
THOMASINA: È molto difficile, Septimus. Dovrai mostrarmi come.
SEPTIMUS: Se sapessi come fare, non ci sarebbe bisogno di chiederlo. L'ultimo teorema di Fermat ha tenuto occupate le persone per centocinquanta anni, e speravo che ti avrebbe tenuto occupata abbastanza a lungo da permettermi di leggere la poesia di Mr. Chater in lode dell'amore con la sola distrazione delle sue stesse assurdità.
THOMASINA: Il nostro signor Chater ha scritto una poesia?
SEPTIMUS: Crede di aver scritto una poesia, sì. Vedo che potrebbe esserci più carnalità nella tua algebra che nel "Divano dell'eros" di Mr. Chater. THOMASINA: Oh, non era la mia algebra. Ho sentito [il maggiordomo] Jellaby dire alla cuoca che la signora Chater è stata scoperta in un abbraccio carnale nel gazebo.
(...)
THOMASINA: L'abbraccio carnale è un bacio?
SEPTIMUS: Sì.
THOMASINA: E abbracciare la signora Chater?
SEPTIMUS: Sì. Ora, l'ultimo teorema di Fermat.
THOMASINA: Lo pensavo. Spero che te ne vergogni.
SEPTIMUS: Io, mia signora?
THOMASINA: Se non mi insegni tu il vero significato delle cose, chi lo farà?
SEPTIMUS: Ah. Sì, mi vergogno. L'abbraccio carnale è il congresso sessuale, che è l'inserimento dell'organo genitale maschile nell’organo genitale femminile per scopi di procreazione e piacere. L'ultimo teorema di Fermat, invece, afferma che, quando x, y e z sono numeri interi elevati ciascuno alla potenza di n, la somma dei primi due non può mai essere uguale al terzo quando n è maggiore di 2.
(Pausa.)
THOMASINA: Puah!
SEPTIMUS: Tuttavia, questo è il teorema.
THOMASINA: È disgustoso e incomprensibile. Ora, quando sarò cresciuta per risolverlo da sola, non lo farò mai senza pensare a te.

Thomasina è una giovane ragazza di tredici anni che studia algebra e geometria. Ma non è la tipica studentessa di matematica; come diventa chiaro man mano che la commedia si svolge, Thomasina è un genio che non solo mette in discussione le fondamenta stesse della matematica, ma si prepara anche a cambiare la direzione di innumerevoli secoli di pensiero matematico.

A Thomasina non piace la geometria euclidea. All'inizio della commedia rimprovera Septimus, "Ogni settimana traccio le tue equazioni punto per punto, x contro y in ogni sorta di relazione algebrica, e ogni settimana si disegnano come geometria ordinaria, come se il mondo delle forme non fosse niente che archi e angoli. Verità di Dio, Septimus, se c'è un'equazione per una campana, allora ci deve essere un'equazione per una campanula, e se una campanula, perché non una rosa?" Così decide di abbandonare la geometria euclidea classica per scoprire l'equazione di una foglia, ma potrebbe aver cercato, se l’avesse conosciuto, quella di un broccolo romanesco.

Galileo pensava che “il libro della natura è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche”. Ora, nella nostra esperienza quotidiana, il cerchio, il triangolo equilatero e le figure geometriche in generale sono un'eccezione e non la regola, anzi si può dire che esse non esistano in natura, ma solo come astrazione. Siamo portati dunque a chiederci quale sia la forma di un albero, di una montagna o di una nuvola. Per Galileo anche tali enti ricadevano sotto il campo della geometria, ma la matematica ha sempre preferito studiare la realtà ricercando di ogni fenomeno le sue caratteristiche più semplici, che potessero essere trattate evidenziandone la regolarità e l’armonia, ritenendo che non si potessero studiare oggetti reali dotati di un alto grado di complessità quali la forma di una montagna, o di un albero.

In questa ricerca di un modello sempre più aderente alla realtà, l’introduzione dei frattali ha consentito di compiere passi da gigante, in quanto tramite essi è possibile descrivere oggetti naturali (alberi, coste, il sistema sanguigno...) e fenomeni fisici che sembrano dominati dal caso (la disposizione delle galassie, la sequenza delle piene di un fiume, la frequenza degli errori nelle trasmissioni telefoniche, …), aspetti soltanto sfiorati dalla matematica e dalla geometria classica.

Lady Croom, la madre di Thomasina, capisce poco del potenziale intellettuale della figlia. Thomasina è mutevole, intensa, brillante e affascinante. Ha un rispetto senza compromessi per i fatti e la verità che si trova nei matematici e nei bambini.

L '"abbraccio carnale" a cui si riferisce Thomasina è solo uno dei tanti che si svolgono a Sidley Park, la tenuta dei Coverly. In effetti, il groviglio di amori incrociati di Arcadia ricorda le commedie vaudeville, anche perché Stoppard non fa mancare brillanti equivoci e doppi sensi.

Septimus (compagno di studi e amico di Byron) ha davvero avuto un'avventura con la moglie di Ezra Chater, un poetastro e botanico che è in visita a Sidley Park. Il vero amore di Septimus è però Lady Croom. Abbastanza non tradizionale, tuttavia, è la mutevole virtù di Lady Croom: si diverte con un pianista polacco in visita, con il suo vicino Lord Byron (che mai compare in scena) e, verso la fine della commedia, con lo stesso Septimus.

Quando lo spettacolo avanza fino ai giorni nostri, Sidley Park è la casa dell'ultima generazione dei Coverly. L'azione odierna si svolge sulla stessa scena, e i costumi sono l'unica indicazione che il tempo è diverso. L’erede dei Coverly, Valentine, è un matematico a Oxford. Usando duecento anni di cronache sui passatempi di Sidley Park (elenchi delle prede uccise durante le battute di caccia), egli sta esaminando i cambiamenti nella popolazione dei galli cedroni. A causa della caccia, dei cambiamenti del regime alimentare e di altri fattori, la popolazione di galli cedroni non è facilmente descritta da una funzione logistica; quindi, Valentine sta cercando di formulare un modello più complesso. A poco a poco, Valentine viene a conoscenza di alcuni dei vecchi misteri che circondano Sidley Park, comprese le scoperte di Thomasina, e questo pone le basi per una serie unica di scene che saltano avanti e indietro tra l'inizio del XIX secolo e il presente.

La matematica non è l'unico tema di questa commedia, ovviamente, ma le idee di geometria regolare contro irregolare o caos contro ordine sembrano pervadere tutti gli altri eventi che si verificano a Sidley Park. Siamo spinti ad esempio in un dibattito sugli stili paesaggistici britannici che caratterizzano lo stile classico ordinato contro lo stile irregolare, "pittoresco" che stava diventando di moda agli inizi dell’Ottocento e di cui era propugnatore il paesaggista Richard Noakes, nella residenza con l’incarico di rivoluzionare il giardino (tra i primi utilizzatori della macchina di Newcomen per drenare un lago).

La fiancée (forse) di Valentine, Hannah Jarvis, autrice di libri di successo sui giardini storici, procede metodicamente a scoprire i segreti di Sidley Park, in netto contrasto con la sua antitesi, l’affascinante e arrogante Bernard Nightingale, uno studioso di lettere della Sussex University che fa irruzione nella biblioteca di Sidley Park in cerca di prove che Byron aveva visitato la residenza, ma salta da una teoria all'altra con spericolata leggerezza. In effetti, l'intera commedia contrappone il razionalismo di Newton al romanticismo di Byron.

La teoria di Nightingale (Chater sarebbe stato ucciso in duello da Byron nella tenuta a causa di una perfida recensione), che annuncia in una conferenza stampa, viene diffusa su tutti i giornali ma viene rapidamente minata dalla scoperta di Hannah che Chater è morto in Martinica per il morso di una scimmia (dopo aver scoperto e descritto una nuova specie di dalia). All'estremo opposto, Valentine, essendo un matematico, è molto più circospetto e preciso nelle sue ricerche. Ma è Hannah che si rivela avere la vera anima di un'esploratrice. Ad un certo punto, Valentine vuole abbandonare il progetto sui galli cedroni, ma Hannah gli dice di non arrendersi. "È voler sapere che ci rende importanti", dice. "Altrimenti usciremo da dove siamo entrati."

In una delle scene più brillanti della commedia, Bernard offre a Valentine un'appassionata tirata contro la scienza. "Oh, mi fulminerai con penicillina e pesticidi. Risparmiami quello e ti risparmierò la bomba e gli aerosol. Ma non confondere il progresso con la perfettibilità. Un grande poeta è sempre puntuale. Un grande filosofo è un bisogno urgente. Non c'è fretta per Isaac Newton. Eravamo abbastanza contenti del cosmo di Aristotele. Personalmente l'ho preferito. Cinquantacinque sfere di cristallo agganciate all'albero motore di Dio sono la mia idea di un universo soddisfacente. Non riesco a pensare a niente di più banale della velocità della luce. Quark, quasar - big bang, buchi neri - a chi [importa]? Come ci avete fregato con tutta quella roba? Tutti quei soldi? E perché siete così soddisfatti di voi stessi?". E poi, alla fine della sua tirata, cita dolcemente Byron:
“She walks in beauty, like the night
Of cloudless climes and starry skies;
And all that’s best of dark and bright
Meet in her aspect and her eyes”
(“Cammina nella bellezza, come la notte / di climi senza nuvole e cieli stellati, e tutto ciò che c'è di meglio dell’oscurità e della luce / incontra nel suo aspetto e nei suoi occhi”).

Il passaggio dal comico al serio funziona: nonostante le visioni retrive della scienza, Bernard ha illuminato un regno in cui la scienza non può avventurarsi. Ciò conduce a una delle domande centrali dell'opera: fino a che punto la scienza e la matematica possono portarci nello spiegare cos'è la vita? Il destino di Septimus è che doveva essere reso pazzo da ciò che Thomasina aveva previsto: la seconda legge della termodinamica assicura che il mondo diventerà sempre più incoerente e disorganizzato.

All’inizio dell’opera, Thomasina così si rivolge a Septimus:

THOMASINA: Quando mescoli il tuo budino di riso, Septimus, il cucchiaio di marmellata si spande intorno formando scie rosse come l'immagine di una meteora nel mio atlante astronomico. Ma se mescoli all'indietro, la marmellata non si unirà più. Il budino, infatti, non se ne accorge e continua a tingersi di rosa proprio come prima. Non pensi che sia strano?"
SEPTIMUS: No.
THOMASINA: Beh, lo so. Non puoi separare le cose.
SEPTIMUS: Non puoi più, il tempo dovrebbe necessariamente scorrere all'indietro, e poiché non lo farà, dobbiamo muoverci in avanti mescolando mentre procediamo, il disordine fuori dall'ordine nel disordine finché il rosa non è completo, immutato e immutabile, e abbiamo chiuso per sempre. Questo è noto come libero arbitrio o autodeterminazione.

Questa scena rivela la curiosità scientifica di Thomasina: anche mentre mescola il budino di riso, tenta di trovare spiegazioni scientifiche per il mondo che la circonda. Le scie di marmellata si muovono verso un disordine più ampio che non può essere rimescolato andando nella direzione opposta. Questo entropico movimento verso un disordine sempre maggiore è caratteristico della teoria del caos, come spiegato più avanti da Valentine. La teoría del caos, spiega Valentine ad Hannah, aiuta gli scienziati ad avvicinarsi agli avvenimenti quotidiani delle cose che li circondano da "ciò che accade in una tazza di caffè".

La sua comprensione che l'algebra era inadeguata a descrivere la natura tormenta Septimus fino alla fine dei suoi giorni. Hannah legge da una vecchia lettera che descrive la vita di Septimus, che finisce i suoi giorni come eremita per trent’anni in una capanna nel giardino della tenuta: era la “matematica francesizzata” che lo ha portato alla malinconica certezza di un mondo senza luce o vita ... come una stufa a legna che deve consumarsi finché cenere e stufa non sono come uno, e il calore è scomparso dalla terra. Hannah legge che” morì a 47 anni, canuto come Giobbe e magro come un torsolo di cavolo”, perseguitato dall’idea della morte termica dell’universo preconizzata da Thomasina. Arcadia presenta un'immagine affascinante di ciò che può accadere quando le persone si preoccupano davvero di ciò che la scienza e la matematica hanno da dire.

Hannah scopre alcuni vecchi taccuini in cui sembra che Thomasina abbia iniziato a sperimentare iterazioni di funzioni. Sebbene lo stesso Valentine stia usando l'iterazione per modellare la popolazione di galli cedroni, resiste all'idea che ciò che ha fatto Thomasina assomigli al suo stesso lavoro, protestando che avrebbe studiato solo matematica classica e che i suoi sarebbero stati solo divertimenti numerici. Dopo il suo tempo, "la matematica si è lasciata alle spalle il mondo reale, proprio come l'arte moderna, davvero", dice. “La natura era classica, la matematica era improvvisamente Picasso. Ma ora la natura sta avendo l'ultima risata. Le cose bizzarre si stanno rivelando essere la matematica del mondo naturale”.

Thomasina ha scoperto la procedura matematica che ora è chiamata sistema di funzioni iterate. Hannah chiede a Valentine come fa. Val spiega che un algoritmo è una ricetta, che se conoscessimo la ricetta per produrre una foglia, potremmo facilmente iterare l'algoritmo per disegnare un'immagine della foglia. "La matematica non è difficile. È quello che hai fatto a scuola. Hai un'equazione in x e y. Qualsiasi valore per x ti dà un valore per y. Quindi metti un punto dove è giusto sia per x che per y. Poi prendi il prossimo valore per x che ti dà un altro valore per y... quello che sta facendo è, ogni volta che calcola un valore per y, lo usi come prossimo valore per x. E così via: feedback.... Se conoscessi l'algoritmo e lo inviassi in risposta, diciamo diecimila volte, ogni volta ci sarebbe un punto da qualche parte sul piano. Non sapresti mai dove aspettarti il punto successivo. Ma gradualmente inizi a vedere questa forma, perché ogni punto sarà all'interno della forma di questa foglia."

Un sistema di funzioni iterate è un insieme di n trasformazioni affini (rotazioni, omotetie, traslazioni, rototraslazioni, riflessioni che non sono necessariamente isometrie, non preservano, cioè, angoli e distanze, mentre mantengono sempre il parallelismo tra le rette) che agisce sulla scala degli oggetti trattati.

Normalmente, vengono utilizzati due tipi di algoritmi, la versione deterministica o quella casuale.

L'algoritmo deterministico consiste nel prendere un insieme di punti, che può essere una qualsiasi figura geometrica, e applicarvi ciascuna delle n trasformazioni affini del sistema, per cui otteniamo n serie di punti trasformati. A ognuno di essi applichiamo di nuovo ognuna delle n funzioni, ottenendo n2 nuove serie di punti. Continuiamo in questo modo iterando i risultati, fino a quando l'unione di tutti gli insiemi ottenuti nell'ultima iterazione si avvicina sufficientemente alla figura che costituisce l'attrattore del sistema. Arriveremo sempre a questo attrattore, indipendentemente dall’insieme iniziale di punti selezionato. Normalmente, non ci vogliono molte iterazioni per ottenere questo insieme frattale.

Uno degli attrattori più comuni è il Triangolo di Sierpinski, un frattale così chiamato dal nome di Wacław Sierpiński, che lo descrisse nel 1915. È un esempio base di insieme auto-similare, cioè matematicamente generato da un pattern che si ripete allo stesso modo su scale diverse. Nell’immagine si può vedere come si ottiene da un triangolo equilatero, ma si potrebbe ottenere da qualsiasi altra figura.


Ancora più antica è la
Curva di Koch, che fu descritta per la prima nel 1904 dal matematico svedese Helge von Koch. La generazione della curva di Koch avviene grazie all'esecuzione ripetuta di un programma di istruzioni o procedura ricorsiva: è una procedura perché precisamente definita da un numero finito di passi, è ricorsiva perché viene ripetuta meccanicamente. L'algoritmo della curva consiste nella ripetizione del ciclo sottostante:

Partendo da un segmento di determinata lunghezza:
• dividere il segmento in tre segmenti uguali;
• cancellare il segmento centrale, sostituendolo con due segmenti identici che costituiscono i due lati di un triangolo equilatero;
• tornare al punto 1 per ognuno dei nuovi segmenti.

Partendo da un segmento, se ne ottengono quindi quattro (costituenti una linea spezzata) nel primo ciclo, 4x4=16 nel secondo ciclo e così via, generando al limite un elegantissimo frattale. Ingrandendo un qualunque dettaglio del frattale si ottiene ancora lo stesso frattale: in questo consiste l'autosimilarità e la struttura fine dei frattali a qualunque livello di scala.


Il
fiocco di neve di Von Koch è una curva costruita operando nello stesso modo sui lati di un triangolo equilatero: si prende il lato, lo si taglia in 3 parti e si sostituisce quella centrale con due segmenti uguali a quello eliminato; si ripete l’operazione con ciascuno dei quattro segmenti così ottenuti e si continua per un numero infinito di volte. La figura che si ottiene, operando sui tre lati, dopo un numero infinito di iterazioni è il fiocco di neve di Koch. Mentre il merletto di Von Koch è chiaramente autosimilare, il fiocco di neve non lo è. Infatti, ingrandendo uno dei lati dopo la prima iterazione otteniamo una copia del merletto e non del fiocco.

L'algoritmo casuale è simile, ma invece di applicare le funzioni a un insieme di punti, li applichiamo di seguito a un singolo punto, disegnando il risultato ogni volta. Assegniamo un valore di probabilità a ciascuna delle trasformazioni del sistema, tenendo conto che la somma totale dei valori di probabilità delle funzioni deve essere 1. In ogni iterazione dell'algoritmo, selezioniamo una delle trasformazioni con probabilità
p. Per far questo è sufficiente ottenere un valore casuale compreso tra 0 e 1 e aggiungere le probabilità di ciascuna funzione una alla volta fino a ottenere un risultato maggiore del numero casuale ottenuto. Questa sarà la funzione selezionata. I primi punti della serie vengono scartati. Poiché di solito sono molto lontani dall'attrattore, il resto viene tracciato fino a ottenere il disegno frattale corrispondente, il che avviene solitamente dopo un numero di iterazioni compreso tra 1000 e 5000.

Assegnando dei valori di probabilità alle nostre trasformazioni possiamo “guidare” l’algoritmo verso forme autosimili che imitano oggetti naturali. Uno dei frattali biomorfi più riusciti è la foglia di felce, i cui dettagli riproducono sempre la stessa immagine di partenza. L’immagine in questione, chiamata felce di Barnsley dal nome del matematico che rese popolare questa procedura, pur essendo creata a computer, è molto simile ad una felce reale.


Valentine si diverte chiaramente in questa nuova matematica. "L'imprevedibile e il predeterminato si svolgono insieme per rendere tutto così com'è", dichiara. "È così che la natura si crea, su ogni scala, il fiocco di neve e la tempesta di neve."

Mentre Thomasina lotta con la sua nuova geometria, c'è uno sviluppo matematico parallelo in atto nell'opera. Valentine sta cercando di utilizzare l’iterazione di funzioni per spiegare l’andamento della popolazione di galli cedroni nella tenuta di Sidley Park. Conosce i dati sulle uccisioni di galli cedroni nella tenuta negli ultimi duecento anni e vorrebbe estrapolarli per prevedere le popolazioni future. Curiosamente, sta usando esattamente la stessa tecnica che Thomasina aveva sperimentato anni prima. Beh, non proprio. Come spiega Valentine, "In realtà lo sto facendo dall'altra parte. Lei ha iniziato con un'equazione e l'ha trasformata in un grafico. Ho un grafico - dati reali - e sto cercando di trovare l'equazione che darebbe il grafico se lo usassi nel modo in cui lei usava il suo. L'ho iterato. (...) È il modo in cui guardi ai cambiamenti della popolazione in biologia. Pesci rossi in uno stagno, diciamo. Quest'anno ci sono x pesci rossi. L'anno prossimo ci saranno y pesci rossi. Alcuni nascono, altri vengono mangiati dagli aironi, qualunque cosa. La natura manipola la x e la trasforma in y. Quindi y pesci rossi sono la tua popolazione iniziale per l'anno successivo. Proprio come Thomasina. Il tuo valore per y diventa il tuo prossimo valore per x. La domanda è: cosa succede a x? Qual è la manipolazione? Qualunque cosa sia, può essere scritta in matematica. Si chiama algoritmo”.

Uno degli algoritmi di questo tipo più semplici utilizzati dai biologi delle popolazioni è l'equazione logistica, nota anche come modello di Verhulst, un modello di crescita della popolazione che descrive una crescita con “andamento ad S”: lenta crescita iniziale, seguita da un’accelerazione e poi da un successivo rallentamento in prossimità̀ del valore massimo permesso, che costituisce un limite asintotico della funzione dove non c’è più̀ crescita. Secondo questo modello, il tasso di riproduzione è proporzionale alla popolazione esistente e all’ammontare delle risorse disponibili. Esistono anche strumenti matematici più raffinati, come ad esempio l’equazione di Lotka-Volterra, ma non è qui il caso di complicare le cose.


Stoppard ha capito qualcosa del cuore poetico di quest'area della matematica. Descrivendo i suoi sforzi con i dati "pieni di rumore" che ha sulla popolazione dei galli cedroni, Valentine dice che è
"come un pianoforte nella stanza accanto: sta suonando la tua canzone, ma sfortunatamente è fuori controllo, mancano alcune corde e il pianista è stonato e ubriaco ... [quindi] inizi a indovinare quale potrebbe essere la melodia. Cerchi di distinguerlo dal rumore. Provi questo, provi quello, inizi a ottenere qualcosa: è cotto a metà, ma inizi a inserire note che mancano o non sono proprio le note giuste. E poco alla volta...” E comincia a canticchiare “Happy Birthday to You”.

L'andamento di una popolazione in natura viene condizionato da diversi fattori che costituiscono la cosiddetta resistenza ambientale e che pongono un limite a tale sviluppo. Per cui una data popolazione avrà sì un accrescimento esponenziale, ma solo inizialmente, per poi subire un flesso ad un certo punto a causa della resistenza ambientale, la quale pone un limite superiore alla curva sotto forma di un asintoto orizzontale K, per cui tale curva avrà̀ un andamento sigmoidale. L'asintoto rappresenta l'equilibrio raggiunto tra popolazione ed ecosistema. Tale parametro è di tipo sperimentale e dipende dalle condizioni iniziali. Come tale, dovrebbe rimanere costante. In realtà̀ l'ambiente è un sistema dinamico, soggetto quindi a continue variazioni, e, di conseguenza, sia l'asintoto sia la curva di accrescimento di una certa popolazione subiscono continue fluttuazioni in ragione di di diversi fattori limitanti (disponibilità di cibo, epidemie, predatori, tra cui l’uomo, ecc.). In ragione delle condizioni iniziali e dell’evoluzione del sistema, l’andamento della popolazione può convergere verso attrattori molto diversi, da un comportamento più o meno stabile a uno più o meno ciclico, che varia nel tempo entro certi limiti, a uno caotico (deterministico), assolutamente imprevedibile, e il pianista sembra pigiare sui tasti in modo casuale: la melodia ci è inaccessibile, o, diremmo, indecidibile.


L'opera di Stoppard approfondisce l'inquietante esperienza di nuove idee, l'interazione tra ipotesi e prove e il ruolo del carattere umano nella scoperta. Si tratta di argomenti difficili, eppure la conversazione rimane vivace e divertente e i personaggi coinvolgenti e confusi in modi molto umani.

Arcadia funge da utile antidoto all'impressione che molte persone hanno che la matematica non sia cambiata molto dai tempi di Euclide e generalmente proceda con incrementi imperscrutabili. La matematica si evolve e ha il potere di riorganizzare il modo in cui pensiamo al mondo che ci circonda.

Lo commedia porta anche la matematica a "... le cose di dimensioni ordinarie che sono le nostre vite, le cose su cui le persone scrivono poesie - nuvole - narcisi - cascate - e cosa succede in una tazza di caffè quando entra la panna".

Alla fine dello spettacolo, i personaggi degli anni '90 si vestono in abiti antiquati in preparazione di un ballo che si terrà a Sidley Park. E poi a un certo punto, mentre Hannah e Valentine si siedono a leggere, Thomasina e suo fratello entrano improvvisamente nella stanza, due bambini che si prendono in giro a vicenda. Personaggi di entrambe le epoche, che erano stati separati nelle scene precedenti, appaiono improvvisamente sul palco insieme. L'effetto è magico, rafforzando la sensazione che, sebbene il mondo sia imprevedibile, gli schemi emergono e riappaiono con il passare del tempo. Un attimo dopo, Valentine e Septimus stanno, nei loro tempi separati, esaminando il rozzo disegno di Thomasina di un motore termico, prova concreta che aveva anticipato la seconda legge della termodinamica (mentre da Parigi giunge la notizia che il rendimento di una macchina termica non può mai essere del 100%). Come una palla che rompe una lastra di vetro, dice Valentine, "Puoi rimettere a posto i pezzi di vetro, ma non puoi raccogliere il calore dello scontro". "Quindi l'Universo newtoniano migliorato deve cessare e raffreddarsi", fa eco Septimus.

La musica arriva da dietro le quinte e Thomasina implora Septimus di insegnarle a ballare il valzer. Ma è perso nei suoi pensieri e le dice: "Quando avremo trovato tutti i misteri e perso tutto il significato, saremo soli, su una spiaggia deserta". La soluzione che propone risuona come una campana suonata nel cuore della notte: "Allora balleremo!" A differenza di Septimus, Thomasina può scandagliare le profondità della matematica e riemergere con la sua esuberanza intatta per la vita. Stoppard, intanto, ci ha informato che sarebbe morta nell’incendio della sua camera appena compiuti i diciotto anni e che, sì, un bacio a Septimus l’aveva dato, nell’eremo appena costruito e ancora vuoto.