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sabato 22 settembre 2018

Vite parallele delle due signorine Dickinson nella botanica


Nel XIX secolo la botanica era tra le scienze più popolari in Gran Bretagna e sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Uomini, donne e bambini delle classi alte e medie erano coinvolti in una frenetica caccia alle piante, e le zone verdi erano piene di persone che catalogavano muschi, identificavano felci, pressavano fiori e assemblavano erbari. Questa popolarità aveva diverse cause. Innanzitutto, era un’attività semplice, specialmente nei decenni in cui il sistema linneano cominciò a essere diffuso, perché facilitava il riconoscimento della maggior parte dei vegetali comuni. Inoltre, essa era salutare, perché offriva un sano esercizio all'aperto e opportunità rispettabili in cui incontrare membri del sesso opposto, sulla base di un interesse comune per un'attività dignitosa. In molti modi, la botanica era vista come un'estensione naturale del crescente interesse della classe media per il giardinaggio. Essa era economica, in quanto richiedeva solo strumenti poco costosi: una scatola di latta in cui venivano poste le piante appena colte, una piccola lente per l'identificazione, un libro o due con cui identificare e classificare le specie e una scorta di carta pulita usata per asciugare, premere e montare gli esemplari raccolti. Infine, era considerata una pratica devota, perché lo studio della natura era un aspetto fondamentale della teologia naturale, e si pensava che lo studio dell’opera del creatore potesse confermare sia la sua esistenza sia la sua bontà.

Tutte queste qualità ne facevano un passatempo adatto alle donne, perché era considerato poco femminile uccidere o sezionare gli animali. Inoltre, le piante si potevano studiare senza dover osservare gli animali copulare o uccidersi a vicenda. La botanica era associata alle tradizionali abilità femminili come la coltivazione, la disposizione e la pittura dei fiori. Come affermava il Young Lady's Book, un manuale di condotta della metà del secolo, "c'è qualcosa di particolarmente adatto alla tenerezza femminile nella cura dei fiori".

Questi fattori di successo costituivano, tuttavia, un problema per il piccolo ma influente gruppo di botanici dell’epoca che desideravano intraprendere carriere a tempo pieno. Le stesse qualità che rendevano popolare la botanica, per alcuni studiosi minacciavano la sua posizione come scienza vera e propria. Uno dei temi dominanti nella botanica vittoriana fu la lotta tra un'élite prevalentemente maschile, che stava cercando di ridefinire la botanica come una scienza seria, "filosofica" e la vasta maggioranza che voleva semplicemente migliorare la propria comprensione del mondo vegetale e godersi la bellezza dei fiori. La forte associazione tra botanica e genere femminile era indubbiamente un'altra ragione per la sua relativamente bassa considerazione nei consigli delle società scientifiche dominati dagli uomini. Il processo di professionalizzazione della botanica nel corso del secolo, accompagnato dallo sviluppo di orti botanici in cui lo scopo scientifico prevaleva su quello ornamentale o ci conviveva splendidamente (pensiamo ai Kew Royal Gardens presso Londra), creò una maggiore esclusione delle donne dalla cultura scientifica, che le portò a essere relegate nei circoli dei dilettanti e della scienza popolare. La progressiva ascesa di una professione riconoscibile di "scienziato", insieme alla lenta trasformazione della botanica in scienza, portò anche la “classe operaia” dei raccoglitori, classificatori e collezionisti di piante, soprattutto di genere femminile, a essere gradualmente esclusa dallo studio.


Di questa situazione, in cui il pregiudizio di genere accompagnò in modo determinante lo sviluppo scientifico, furono testimoni loro malgrado, su entrambe le sponde dell’Oceano, due geniali signorine, una poetessa americana e una botanica e illustratrice inglese, che il caso volle che si chiamassero entrambe Dickinson.

Non molti sanno che Emily Dickinson (1830 - 1886) era un’esperta giardiniera, collezionista e botanica prima di diventare un’affermata poetessa. E, per quanto la sua poesia sia molto originale e persino "moderna" in molte delle sue caratteristiche stilistiche, Dickinson era una donna che viveva in una società governata da rigidi stereotipi e convenzioni. Nata a Amherst, Massachusetts, da una famiglia borghese di tradizioni puritane, manifestò sin dalla giovinezza un carattere contraddittorio e complesso. Infatti, non si sa ancora per quale motivo, a venticinque anni decise di trascorrere una vita solitaria e appartata nella sua camera, nella quale si recluse. La Dickinson incominciò a studiare botanica all'età di nove anni e a dodici aiutava la madre a coltivare le piante annuali e perenni nel giardino del loro cottage: rose, ciclamini, lobelie, tulipani e altre ancora. Fu però solo quando iniziò a frequentare il college femminile di Mount Holyoke nella sua tarda adolescenza, più o meno nel periodo (1847) in cui è stato scattato l'unico suo dagherrotipo autentico, che unì il rigore scientifico allo zelo dell’appassionata.


La chimica Mary Lyon (1797-1849), fondatrice del college nel 1837 e sua prima direttrice, era lei stessa un grande amante dei vegetali. Sebbene incoraggiasse tutte le sue ragazze a raccogliere, studiare e conservare i fiori locali negli erbari, l'erbario della Dickinson è un capolavoro di insolita diligenza e bellezza poetica: 424 fiori della sua regione del Massachusetts, che Dickinson celebrò come "bellissimi bambini di primavera", organizzati con una notevole sensibilità alle proporzioni nella pagina e alla cadenza cromatica, attraverso sessantasei pagine in un grande album rilegato in pelle. Sottili etichette di carta corredano gli esemplari con il loro nome, in genere quello comune, ma in sessantacinque casi classificato con il genere e la specie, secondo il sistema linneano.





In una lettera del 1845 alla sua amica Abiah Root, Dickinson chiedeva: "Hai già fatto un erbario? Spero che lo farai, se non l’hai ancora fatto: sarebbe un tale tesoro per te; la maggior parte delle ragazze ne fa uno. Se lo fai, forse posso fare delle aggiunte con i fiori che crescono qui intorno.” Emily esplorava i vicini boschi e prati per raccogliere nuovi fiori. Più tardi, una volta abbandonato il college, si sarebbe presa cura dei fiori nel suo giardino di due acri e nel giardino d'inverno che suo padre aveva costruito nell'angolo sudorientale della loro casa. Il suo carattere introverso, e il bisogno di estraniarsi dal mondo, fecero sì che stringesse pochi legami affettivi e professionali nella sua vita. Anche se non mancava qualche profonda amicizia: si legò a Susan Gilbert con la quale scambiò numerose lettere e Samuel Bowles, direttore del giornale Springfield Daily Republican.

Dal punto di vista sentimentale sembra che Emily Dickinson abbia vissuto alcuni grandi amori platonici, perché si innamorò di un reverendo sposato, Charles Wadsworth, e sembrerebbe anche dello stesso Bowles. Fece pochi viaggi nella sua vita, durante i quali però incontrò alcune personalità importanti nel mondo culturale, come lo scrittore e filosofo Ralph Waldo Emerson.

L'erbario originale è conservato nella Emily Dickinson Room presso la Houghton Rare Book Library di Harvard, ma è così fragile e delicato che persino agli studiosi è vietato esaminarlo, e il libro in facsimile fuori stampa è così costoso che questo capolavoro all'incrocio tra poesia e scienza è praticamente sparito dall'immaginazione popolare. Ma, in una esemplare testimonianza delle tecnologie digitali come fattore di attiva gestione culturale, Harvard ha digitalizzato l'erbario di Dickinson nella sua totalità.





Anche se durante la sua vita fossero state stampate solo alcune delle poesie di Emily, molte persone ricordavano di averne ricevuto una, spesso nascosta in un raffinato bouquet che lei aveva coltivato e sistemato personalmente. Questi interessi possono essere rintracciati anche nella sua opera letteraria. In effetti, più dei due terzi delle lettere liriche di Dickinson a familiari e amici scelti, e un terzo delle sue poesie straordinariamente personali citano i fiori, selvatici o coltivati. C’è persino una poesia in cui accenna una critica alla sua passata attività classificatoria.

Tra le sue poesie più curiose troviamo, infatti, Arcturus, scritta nel 1859, in cui Dickinson prende in giro la pretesa della scienza di classificare qualsiasi fenomeno naturale e inserirlo in una casella determinata, oltre a cancellare la magia del cielo riempiendolo di punti dai nomi strani. L'unica tutela è confidare che, una volta giunti colà dopo “la breve mascherata del Tempo” si possa ritrovare l'incanto della natura vista con gli occhi di bambina (traduzione di Giuseppe Ierolli)

"Arcturus" is his other name -
I'd rather call him "Star"!
It's very mean of Science
To go and interfere!

I slew a worm the other day,
A "Savan" passing by
Murmured "Resurgam" - "Centipede"!
"Oh Lord, how frail are we"!

I pull a flower from the woods -
A monster with a glass
Computes the stamens in a breath -
And has her in a "Class"!

Whereas I took the Butterfly
Aforetime in my hat,
He sits erect in "Cabinets" -
The Clover bells forgot!

What once was "Heaven"
Is "Zenith" now!
Where I proposed to go
When Time's brief masquerade was done
Is mapped, and charted too!

What if the "poles" should frisk about
And stand upon their heads!
I hope I'm ready for "the worst" -
Whatever prank betides!

Perhaps the "kingdom of Heaven's" changed.
I hope the "Children" there
Wont be "new fashioned" when I come -
And laugh at me - and stare!

I hope the Father in the skies
Will lift his little girl -
"Old fashioned"! naughty! everything!
Over the stile of "pearl"!

"Arturo" è l'altro suo nome -
Io lo chiamerei piuttosto "Stella"!
È proprio destino per la Scienza
Andare ad impicciarsi!

Ho ucciso un verme l'altro giorno,
Un "Sapiente" che passava di lì
Mormorò "Resurgam" - "Centipede!"
"Oh Signore, quanto siamo fragili!"

Strappo un fiore dai boschi -
Un mostro con la lente
Computa gli stami in un batter d'occhio -
E lo mette in una "Classe"!

Mentre io acchiappavo Farfalle
Un tempo nel mio cappello,
Lui siede diritto nei "Laboratori" -
Le corolle del Trifoglio dimenticate!

Ciò che una volta era "Cielo"
È "Zenit" adesso!
Dove mi proponevo di andare
Quando la breve mascherata del Tempo fosse finita
È in mappe di terra, e di mare pure!

Chissà se i "poli" gira e rigira
Non si trovino sottosopra!
Io spero d'esser pronta per "il peggio" -
Accada quel che accada!

Forse il "regno dei Cieli" è cambiato.
Spero che i "Bambini" di lassù
Non siano "all'ultima moda" quando arriverò -
E non ridano di me - e non mi squadrino!

Spero che il Padre nei cieli
Sollevi questa piccola fanciulla -
"Fuori moda"! capricciosa! e tutto il resto!
Oltre la soglia di "perla"!


A metà dell’Ottocento in molti pensavano che ogni fiore o pianta avesse un significato simbolico, compresa l'educatrice, autrice e editrice Almira H. Lincoln Phelps (1793-1885), grande divulgatrice di chimica, botanica e geologia, che, dopo Familiar Lectures on Botany (1829), scrisse Symbolical Language of Flowers (1852), testi che la Wilkinson possedeva, in cui spiegava che "oltre ai rapporti scientifici che devono essere osservati nelle piante, i fiori possono anche essere considerati emblematici degli affetti del cuore e delle qualità dell'intelletto". La Phelps considerò il suo elenco di significati floreali come punto di partenza. Raccomandava ai suoi lettori di compilare elenchi basati sui loro sentimenti e associazioni. In Gran Bretagna, i libri dedicati alla “florigrafia” incominciarono a invadere il mercato dopo l’ascesa al trono della Regina Vittoria nel 1837, che si diceva fosse appassionata di “linguaggio dei fiori”.

Una caratteristica particolare dell'erbario di Dickinson è la sua scelta della pagina iniziale: il gelsomino tropicale - non una pianta originaria della flora tradizionale del suo tempo e luogo, ma una specie esotica, nativa, forse, della foresta selvaggia della sua immaginazione, la stessa dalla quale fiorirono i suoi versi di rottura della tradizione e di amori proibiti. Per Dickinson il gelsomino significava "passione" mentre dare a qualcuno una pianta rampicante di gelsomino significava: "Tu sei l'anima della mia anima". Spesso Dickinson si riferiva a questi significati nelle poesie poste nei bouquet che inviava.


I fiori preferiti di Dickinson erano la genziana, la corona imperiale, il geranio, la rosa e la monotropa (fiore fantasma) che l’amica Mabel Todd dipinse per adornare la copertina della prima edizione delle sue poesie nel 1890. Emily Dickinson si paragonò una volta a un giglio dorato ("rosso come i suoi capelli ramati").

I fiori sono anche al centro di quello che molti considerano il romantico "mistero" della vita di Emily Dickinson. Fu Samuel Bowles, l'editore di The Springfield Republican, che le regalò una pianta di gelsomino che lei curò per decenni. Inoltre, fu Bowles a chiamare Emily con l’appellativo di "Daisy", la sua "Regina". In quei tempi ella indossava l'abito bianco che avrebbe potuto significare il suo matrimonio con la Musa, la sua stessa consacrazione come artista. Questi riferimenti compaiono nella poesia The daisy follows soft the sun, "La margherita segue lieve il sole", che si crede sia stata scritta per un uomo, un amante immaginato, oppure reale, ma impossibile da raggiungere.

The Daisy follows soft the Sun
And when his golden walk is done
Sits shyly at his feet
He—waking—finds the flower there
Wherefore—Marauder—art thou here?
Because, Sir, love is sweet!

We are the Flower—Thou the Sun!
Forgive us, if as days decline
We nearer steal to Thee!
Enamored of the parting West
The peace—the flight—the Amethyst
Night's possibility!

La Margherita segue lieve il Sole -
E quando il suo dorato percorso è concluso -
Siede timidamente ai suoi piedi -
Lui - svegliandosi - trova là il fiore -
Per quale ragione - Predona - sei qui?
Perché, Signore, l'amore è dolce!

Noi siamo il Fiore - Tu il Sole!
Perdonaci, se quando i giorni declinano -
Ci avviciniamo furtive a Te!
Innamorate dell’Occidente che se ne va -
Della pace - del volo - dell'ametista -
Delle possibilità della notte! 

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La storia di Margaret Rebecca Dickinson (1821-1918) è anch'essa paradigmatica della trasformazione della botanica da passatempo a scienza. Favorita dalle capacità di disegno e pittura e dal ritmo più lento della vita, poté produrre illustrazioni di fiori meravigliosamente dettagliate e accurate. 

Era nata il 22 luglio 1821 a Newcastle-upon-Tyne. Suo padre aveva una manifattura di tabacco. Quando egli morì, il 20 marzo 1870, lasciò la sua tenuta di Norham alla moglie, che purtroppo morì a sua volta l’anno seguente. La casa e la terra finirono in eredità a Margaret e alla sorella Rebecca Ann. La Dickinson rimase a Norham fino alla sua morte. Aveva altre due sorelle due fratelli, i quali ereditarono il commercio del tabacco. 

Margaret Rebecca Dickinson seguì la sua passione per le piante in un periodo in cui la botanica non era ancora riconosciuta come scienza, ma era considerata come attività ideale per le donne. Tuttavia, la gamma di esemplari che raccolse durante i suoi lunghi viaggi - che la portarono non solo nel Kent ma anche in Scozia e nel Galles settentrionale e in Irlanda - suggerisce una dedizione più appassionata e informata di quella della semplice hobbista di sesso femminile. In quanto nubile, poté dedicare la maggior parte del suo tempo alla ricerca. Le sue meticolose raccolte e le sue belle opere d'arte rendono difficile considerarla una dilettante, sia come collezionista che come illustratrice.

Quale che sia lo status che le accordiamo, la Dickinson fu una delle più competenti tra coloro che animarono l'attenzione verso la flora nativa e aprirono la strada per futuri studi scientifici. Nel periodo vittoriano, i fiori selvatici che caratterizzano opere d'arte, design e letteratura, sono spesso mostrati con cura amorevole per i dettagli. I Preraffaelliti, in particolare, li rappresentarono con precisione nei loro dipinti. Anche dopo che la sua vera fase preraffaellita era finita, John Everett Millais dipinse la veronica quasi fotograficamente, in Little Speedwell's Darling Blue (1891-92), mostrando la sua piccola nipotina che guarda con atteggiamento riflessivo la pianta nella sua mano.


Disegni come il motivo del caprifoglio di William Morris del 1876 divennero molto popolari. E nella poesia, anche le caratteristiche del tasso, considerata pianta funeraria, potevano ora essere meglio apprezzate: il poeta Coventry Patmore (1823-1896), nel molto vittoriano poema in prosa dedicato alla moglie The Angel in the House (sic), descrisse un'immagine allegra di un pettirosso che si nutre delle sue "gocce di rugiada cremisi". 


Gli esempi abbondano anche nei romanzi. Charlotte Brontë, in Jane Eyre, ad esempio, ricorda la ricerca di elfi tra "foglie e campanelle di digitale.
” (…) per quanto riguarda gli elfi, dopo averli cercati invano tra le foglie e le campanelle di digitale, sotto i funghi e sotto l'edera di terra che tappezzava i vecchi angoli del muro, alla fine avevo capito la triste verità era che se n'erano andati tutti dall'Inghilterra in un paese barbaro, dove i boschi erano più selvaggi e più fitti, e la popolazione più scarsa; (…) 
Rebecca Dickinson era una botanica di talento, che raccolse esemplari di piante provenienti da tutta la Gran Bretagna e li illustrò con dettagli preziosi in centinaia di disegni ad acquerello. Visse la maggior parte della sua vita nel Nord dell’Inghilterra, e lavorò al suo erbario di più di mille esemplari principalmente tra il 1846 e il 1874. Tra i suoi reperti più importanti c'erano molte rare orchidee del Kent. Quando morì, nel 1918, alla veneranda età di 98 anni, lasciò alla Natural History Society of Northumbria sia gli esemplari raccolti, sia gli acquerelli, ora visibili nel suo erbario e negli archivi del Museo Hancock di Newcastle-upon-Tyne. Ci sono 468 immagini della collezione di Margaret Dickinson nella galleria online del museo. Il testo di accompagnamento fornisce una breve descrizione dell'illustrazione con il nome della pianta registrato da Dickinson e il suo equivalente moderno. La Dickinson registrò ulteriori dettagli sugli esemplari di piante in un catalogo di manoscritti che accompagna la sua collezione di immagini. 




In un altro periodo, il lavoro di Dickinson avrebbe potuto essere meglio conosciuto, e considerato un valido contributo allo Zeitgeist. La sua occasione poteva arrivare durante la vita, quando la botanica iniziò a trovare il suo posto nello studio della storia naturale. Ma, ironia della sorte, quando divenne riconosciuta come una scienza, la botanica divenne un campo esclusivo degli uomini. Analogamente, la giovane Beatrix Potter trovò difficile essere presa sul serio tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta del secolo. Il direttore dei Giardini di Kew in quel periodo non era nemmeno disposto a guardare i suoi disegni botanici molto accurati. Non sorprende che Margaret Rebecca Dickinson  rimase in gran parte sconosciuta e di lei non si possieda neanche un ritratto.

sabato 1 settembre 2018

Scienza e poesia nell’Ottocento


La storia del rapporto tra scienza e poesia, di tradizione antichissima (si pensi ad esempio a Lucrezio), è anche la storia del loro disincanto, dei loro conflitti e dell'opposizione tra correnti di pensiero divergenti. La poesia scientifica, esplosa nell'epoca dei Lumi e delle Enciclopedie e popolare fino alla fine del XIX secolo, il cui successo sociale fu ampio in Europa e in America, si trova oggi ridotta a genere periferico, coltivata da pochi appassionati, in genere provenienti dal mondo delle scienze. Gli umanisti, soprattutto i più tradizionalisti e lontani dagli esperimenti delle avanguardie, le rimproverano sia la banalità (trattamento di soggetti vili, lessico inappropriato alla nobiltà del linguaggio poetico), sia l’accademismo (nella sua mania descrittiva e nella sua lunghezza). Esistono dall'altro lato, tra chi si occupa di scienza, posizioni di rifiuto radicale, che, pur senza entrare nell'annoso dibattito sulla separazione tra le “due culture”, trovano improponibile un connubio tra due mondi giudicati inconciliabili: se la prosa può far proprie tematiche scientifiche, può addirittura ispirarsi a stili e strutture propri delle scienze (ad esempio i metodi dell’Oulipo, o il nostro Calvino), la poesia viene considerata troppo soggettiva, imprecisa, emotiva, come se dovesse essere giudicata con i criteri di una peer-review. Tra gli scettici, da entrambe le parti, si insiste sulla divergenza dei modi di espressione della scienza (la sua terminologia indigesta e poco incline al lirismo) e la poesia (il suo linguaggio è figurativo e quindi non preciso, giocando sull'indeterminatezza e la polisemia). Che cosa fare poi delle metafore e delle strutture di pensiero che la scienza fa proliferare? Servono per rinnovare il linguaggio poetico o per mitigarlo nelle perifrasi, con il rischio di sostituire un'oscurità con un'altra?

La poesia scientifica tuttavia rifletteva un tempo un ideale di modernità, fatto di un'attenzione acuta al presente, ai cambiamenti tecnologici e alle nuove conoscenze, di un'avidità di rinnovamento tematico e di revisione degli standard estetici. È perciò necessario abbandonare gli attuali criteri di valutazione, per portarci nel XIX secolo, quando la poesia scientifica esprimeva un’esigenza che era un appello per la libertà e per la fantasia: la libertà di trattare qualsiasi argomento, fosse esso oscuro o volgare, di essere aperti a tutta la conoscenza, fuori dai pregiudizi, con tutti i lessici, e di far dialogare la letteratura, la scienza e le arti (meccaniche e liberali). Samuel Taylor Coleridge, che pure da giovane aveva espresso un atteggiamento di diffidenza verso la capacità immaginativa della scienza, mutò parere in età matura: richiesto sul perché frequentasse dei corsi di chimica, rispose che voleva arricchire il suo bagaglio di metafore.

Ci fu chi colse le opportunità offerte al poeta su posizioni equilibrate, come Emily Dickinson, attratta dalle grandi prospettive della scienza, che non vedeva come nemica, ma complementare allo spirito lirico. Dalle lezioni di Edward Hitchcock, suo professore di scienze naturali, la poetessa era a conoscenza dei metodi grazie ai quali il paleontologo era in grado di ricostruire dalle poche ossa rinvenute lo scheletro di un animale preistorico. Secondo la Dickinson (A science - so the Savants say, 1860), le indagini della scienza possono rivelare i segreti della natura, ma basta un occhio capace di guardare in prospettiva futura per vedere in un semplice fiore, spuntato timidamente quando è ancora inverno, il preludio della rinascita primaverile. Alla scienza è necessaria anche la meraviglia:

A science—so the Savants say, 
"Comparative Anatomy"— 
By which a single bone — 
Is made a secret to unfold 
Of some rare tenant of the mold, 
Else perished in the stone — 

So to the eye prospective led, 
This meekest flower of the mead 
Upon a winter's day, 
Stands representative in gold 
Of Rose and Lily, manifold, 
And countless Butterfly! 

Una scienza – così dicono i Sapienti, 
"Anatomia Comparata" – 
per la quale un singolo osso – 
è costretto a svelare un segreto 
di qualche raro inquilino dello scavo
Altrimenti scomparso nella pietra – 

Così all'occhio la prospettiva condusse 
questo timidissimo fiore del prato 
in un giorno d'inverno, 
dorata rappresentazione 
di Rose e Gigli, molteplici, 
e di innumerevoli Farfalle! 


In Italia, per cultura e tradizione, la poesia scientifica non ebbe quasi cultori, a meno che si vogliano considerare come tali certe opere di Leopardi. Unica vera eccezione fu l’opera di Giacomo Zanella (1820-1888), che fu sacerdote, patriota e professore di lettere e filosofia. La sua produzione poetica fu originale rispetto al panorama letterario del suo tempo per la capacità di presentare in versi argomenti di carattere scientifico e il tentativo di conciliare religiosità cattolica, cultura positivista e problemi sociali (come il lavoro operaio e la povertà). Le scelte poetiche dello Zanella contribuirono a collocarlo, nell'ambiente culturale del suo tempo, in una posizione anomala. Egli, infatti, fu mal visto sia dal mondo culturale laico, per il suo rifiuto delle tesi materialistiche, sia da una parte delle autorità ecclesiastiche per il patriottismo, la scienza e l’interesse per la questione sociale. La sua poesia più famosa è Sopra la conchiglia fossile - nel mio studio (1864), ode ispirata da una conchiglia fossile adoperata come fermacarte. Il poeta, contemplando la conchiglia, medita sulle età più antiche della terra e sul destino dell’umanità, il cui futuro nasce dalle ceneri del passato attraverso un percorso che coinvolge l’intero universo. Forse qualcuno dei miei lettori ne ricorderà l’incipit:

Sul chiuso quaderno 
di vati famosi, 
dal musco materno 
lontana riposi, 
riposi marmorea 
dell’onde già figlia, 
ritorta conchiglia. 

Occulta nel fondo 
d'un antro marino, 
del giovane mondo 
vedesti il mattino; 
vagavi co’ nautili, 
co’ murici a schiera, 
e l’uomo non era. 

Per quanta vicenda 
di lente stagioni, 
arcana leggenda 
d’immani tenzoni 
impresse volubile
nel niveo tuo dorso 
de’ secoli il corso! 


La democratizzazione del soggetto poetico e il rinnovamento (tematico o formale) della poesia per la scienza hanno incontrato, anche allora, delle critiche. La banalità dei soggetti della poesia scientifica e la mostruosità stilistica di certa poesia didattica attivavano due tipi di antagonismi: disaccordo tra registri nobili e volgari e conflitto dello spirituale contro il materiale. Il sospetto di materialismo che pesava sulle scienze applicate (e che spinse tutta l'ondata di protesta contro la società industriale e borghese) suscitava la resistenza. Come testimonia agli inizi del secolo il francese Louis de Bonald ("Sulla guerra delle scienze e delle lettere", 1807): 
“Da qualche tempo si notano sintomi di incomprensione tra la Repubblica della Scienza e la Repubblica delle Lettere. [...] Da entrambe nascono reclami e recriminazioni. Le scienze accusano le lettere di essere gelose dei loro progressi. Le lettere rimproverano alle scienze la presunzione e un'ambizione sproporzionata; e come sempre accade tra persone amareggiate, l'osservatore imparziale percepisce da entrambe le parti il desiderio di fare la guerra piuttosto che i soli motivi della guerra”
Il connubio di ragione tra poesia e scienza non era infatti indenne da critiche, anche aspre, e contraddizioni. Il XIX secolo è attraversato da una polemica, una vera e propria "guerra culturale", tra i sostenitori dell’arte pura e i seguaci di una benefica collaborazione tra i domini, tra coloro che considerano la poesia un accessorio estetico e un’integrazione emotiva e coloro che vivono questa combinazione come una degradazione e una concessione. L'incanto per la scienza sarebbe quindi solo un disincanto poetico del mondo, come è evidente nel sonetto To Science scritto nel 1827 da un giovanissimo Edgar Allan Poe (che pure, vent'anni più tardi, avrebbe pubblicato il profetico “poema in prosa” Eureka!, un vero proprio testo astronomico scritto da un poeta con profonde conoscenze scientifiche): 

Science! true daughter of Old Time thou art! 
Who alterest all things with thy peering eyes. 
Why preyest thou thus upon the poet’s heart, 
Vulture, whose wings are dull realities? 

How should he love thee? or how deem thee wise, 
Who wouldst not leave him in his wandering 
To seek for treasure in the jewelled skies, 
Albeit he soared with an undaunted wing? 

Hast thou not dragged Diana from her car, 
And driven the Hamadryad from the wood 
To seek a shelter in some happier star? 
Hast thou not torn the Naiad from her flood, 

The Elfin from the green grass, and from me 
The summer dream beneath the tamarind tree? 

Scienza, tu sei la vera figlia del Tempo antico, 
tu che muti ogni cosa con gli occhi penetranti! 
Perché devasti, dunque, il cuore del poeta, 
avvoltoio dalle ali tristemente monotone? 

Come potrebbe amarti, come crederti saggia, 
tu che mai lo lasciasti libero di vagare 
in cerca di tesori per i cieli gemmati, 
benché si alzasse in volo con ali temerarie? 

Non hai sbalzato forse Diana dal suo carro? 
Non hai cacciato via dal bosco l’Amadriade, 
che andò a cercar riparo su una stella più lieta? 
Non hai strappato tu la Naiade ai suoi flutti, 

e l’Elfo all'erba verde, e a me il sogno estivo, 
a me disteso all'ombra del fresco tamarindo?



Lo scetticismo del reticente è talvolta espresso in testi amaramente beffardi o parodistici. Tuttavia, come distinguere la parodia dal modello, a volte essendo esso a lei così vicino? L'effetto parodico può essere voluto e controllato o involontario, quando si tratta di imitazioni fallite o di ampollosità didattica, talmente incompetente al punto da passare per ironia. Che dire ad esempio di Nouvelle arithmétique, appliquée à la marine et au commerce, mise en vers di Pierre Léon Chavignaud (1841), un libretto di un centinaio di pagine che ebbe più di dieci edizioni nell'arco di tre lustri (l’ultima, di Hachette è del 2018)? 

Quatre opérations, distinctes et faciles, 
Fixent le jugement des commerçants utiles. 
L’Addition d’abord se grave en leur esprit : 
Ils sont heureux de voir augmenter leur crédit. 
De la Soustraction la douce et sure chance, 
Des mains de la justice en fixe la balance. 
Multiplication, d’un pas noble et certain, 
Tu viens les enrichir d’un précieux butin. 
Division, tu fais que le sociétaire, 
Obtient, grâce à ton art, son avoir salutaire. 

L’intento didattico è chiaro, e forse fu raggiunto (tra l’altro le rime facilitano l’apprendimento a memoria), ma scambiare questa operazione per poesia scientifica è un oltraggio per entrambe le culture. L’autore, che fece carriera anche come scrittore di romanzi popolari, forte del successo ottenuto, mise poi in versi una grammatica francese, che fu però meno fortunata. 

Se la parodia è definita dall'opposizione tra il soggetto e lo stile, traendo dal divario tra il registro nobile e quello volgare la sua essenza comica, la poesia scientifica nella sua vena meno profonda è un genere che talvolta dà una forma alta ad argomenti forse inappropriati, ciò che accentua frequenti incidenti di percorso. Critica o comica, la parodia non è l'unica deviazione dal trattamento della scienza da parte della poesia. L'effetto di scarto appare anche nella produzione di "conoscenza eterodossa" da parte di studiosi e poeti incapaci o insani, di contestatori, mistici o visionari con una predilezione per le scienze che toccano l'ignoto e nutrono il mistero (tutti etichettabili come i “folli letterari” di Queneau). Sono queste produzioni eterodosse che ispireranno verso la fine del secolo la perfida e geniale satira ‘patafisica di Jarry.



La nazione in cui la poesia scientifica raggiunse i livelli più alti fu senza dubbio la Gran Bretagna vittoriana, dove molti famosi uomini di scienza praticavano le ricerche specialistiche e la scrittura di poesie e di esposizioni popolari delle loro teorie scientifiche. Le loro carriere eclettiche furono rese possibili dai confini aperti tra le discipline: non c'erano rigide barriere educative o linguistiche, come sarebbe avvenuto nel XX secolo, tra la ricerca scientifica e la comunicazione scientifica, o tra scienza e letteratura. 

La maggior parte degli scrittori britannici di scienza dell’epoca citava regolarmente versi e brani di poesie, proprie o di autori famosi, nel corso delle loro spiegazioni di esperimenti scientifici e teorie. Gli usi della citazione poetica nella scienza vittoriana sono numerosi, vari e spesso difficili da definire: gli autori usano la lingua della poesia a volte come prova a sostegno di particolari teorie scientifiche, e talvolta come una sorta di ornamentazione retorica della loro prosa. Alcune citazioni sono utilizzate per riassumere il ragionamento induttivo caratteristico della scienza, che passa dall'osservazione di un particolare fenomeno naturale a una più ampia conclusione sul significato di quel fenomeno; e alcuni sono impiegati per andare oltre il metodo scientifico, per suggerire gli effetti emotivi o spirituali di un fatto scientifico. Molti matematici e fisici erano loro stessi poeti dilettanti, ma il loro diletto si fondava su solide basi culturali (e persino su una vera e propria erudizione) e si manifestò con opere di buon livello, sia su temi scientifici, sia su temi meno direttamente legati o non collegabili con il campo della loro ricerca. Era tra loro condiviso il pensiero che la ricerca richiede un alto grado di immaginazione, affine all'istinto del poeta: è questo spirito creativo che accomuna scienza e poesia nella figura dello scienziato-poeta vittoriano, di cui ci occuperemo prossimamente.