Non ricordo esattamente il giorno in cui entrò a far parte del personale della scuola, ma di sicuro sono più di vent'anni. Ho in mente le voci delle bidelle che s’inseguivano lungo i corridoi deserti del pomeriggio e il loro richiamo: “ Nicola… Nicola, dai vieni!”. Davanti ai miei occhi scorre la fugace immagine di un’esigua processione zoccolante: in testa il carrello delle pulizie spinto dalle ausiliarie e dietro, molto indietro, un ragazzo piccolino e rotondetto che camminava guardandosi attorno…
A quei tempi gli insegnanti non si trattenevano a scuola dopo le ore di lezione; così era difficile conoscere chi, come Nicola, iniziava la sua attività proprio quando noi docenti scappavamo a casa felici come allievi. Quando capitava che mi dovessi fermare anche di pomeriggio, lo vedevo passare sempre muto e silenzioso. Spesso faceva capolino con la testa nell'aula in cui mi trovavo e mi fissava immobile, ma non appena facevo mostra di vederlo subito si ritirava, scomparendo chissà dove.
Dovetti aspettare ancora qualche anno per fare la sua diretta conoscenza.
“Nichi, per favore, svuotami il cestino…”. Sentii Silvana che lo chiamava ancora, ottenendo solo dei borbottii come risposta.
“Ma c’è ancora qualcuno nell'aula?”
“Sììì… Macaloni!”
Fu così che seppi di avere un nuovo cognome e non ci fu verso di far imparare a Nicola quello originale. Dopo molti tentativi infruttuosi e solo dopo aver guadagnato la sua completa fiducia, trovò più comodo chiamarmi per nome. Scoprii comunque di non essere l’unica tra i colleghi ad aver subito questa piccola rivoluzione nei dati anagrafici: c’erano i vari Pichini, Manano, Iva e tanti altri che non ricordo più.
Venni a sapere che Nicola era l’ultimo figlio di una coppia d’anziani. Nonostante le cure e le attenzioni che gli dedicavano, credo che i familiari lo avessero sempre trattato come un diverso, difficile da gestire. L’immagine di quell'adulto-bambino, fatto sedere accanto alla radio ad ascoltare i rosari di Radio Maria, m’intristiva e m’indignava… Per fortuna c’era anche un fratello, evidentemente più laico e godereccio, che ogni mercoledì lo portava con sé in una piccola emittente televisiva locale a ballare il liscio. Non mi aveva rallegrato molto il pensiero di Nicola che volteggiava in mezzo a coppie stagionate da vecchia balera; ma quando mi dissero che lui amava ballare e vidi i suoi occhi a mandorla brillare di gioia al ricordo di quei mercoledì danzanti, mi sentii più tranquilla.
Ha fatto molta strada insieme a noi questo ragazzo di quarant'anni dal cuore eternamente fanciullo, tanto che a scuola è ormai considerato un’istituzione. E’ solare, allegro e così diverso dalla persona timida e chiusa dei primi tempi, quella che aveva paura di disegnare con i pastelli colorati e usava sempre la matita nera…
“Cololare!” annuncia adesso, entrando in sala professori, carico di album per bambini da riempire di colori e una manciata di vecchi pennarelli. Mi domando spesso dove siano finite le scatole di matite colorate che gli ho portato o i pennarelli nuovi regalati da un collega. Credo che non lo scoprirò mai, perché quando glielo chiedo, scoppia a ridere come se mi prendesse in giro.
Oltre a colorare, ci sono altre due cose che fanno felice Nicola, Babbo Natale e l’oratorio feriale. Bisogna stare attenti a non pronunciare queste due parole magiche anche in periodi non canonici, altrimenti tutti giorni cominciano le sue domande insistenti.
“Anna e… Papo Tale?” chiede, non appena m’incontra, anche se siamo a ottobre.
“ E’ presto, Nichi! Dopo… dopo!”
Solo ai primi di dicembre, è consentito rompere l’incantesimo e, al suono di Papo Tale, si spalanca un mondo meraviglioso, fatto di renne, di Babbi Natale indaffarati, di pacchi e di doni. Non so da dove venga questa sua passione per i regali di Natale, perché non credo che in famiglia ne abbia mai ricevuti tanti; forse è l’idea in sé del regalo ad affascinarlo, così come l’attesa per qualcosa di fantastico che deve arrivare.
“Sìììììì… Papo Tale!!!” è il ritornello degli ultimi giorni di scuola, prima delle vacanze natalizie. Mi guarda in faccia, in cerca di una conferma che cattura all'istante: gli occhi gli s’illuminano e comincia a battere un pugno sopra l’altro seguendo il ritmo del suo cuore emozionato. Non credo di averlo mai visto così felice, nemmeno quando scarta i suoi pacchetti o quando, tutto imbacuccato, fa ritorno a casa col sacchetto dei doni in una mano e il panettone nell'altra.
Con l’arrivo della primavera, forse complice il primo caldo, cominciano le domande via via più insistenti sull'oratorio feriale.
“Ferale? E… ferale, Anna?” mi chiede speranzoso, guardando l’enorme struttura della parrocchia che si spalanca al di là dei cancelli della scuola.
“E’ ancora presto, Nichi!” Gli mostro i grandi tigli privi di foglie e i maglioni che ancora indossiamo: non è ancora giunto il momento dell’oratorio estivo, la fine di giugno è ancora lontana. Nicola si tira su la cinghia dei pantaloni, fino a farli diventare un modello ascellare, e si stiracchia le maniche della felpa, allungandole a dismisura: è un modo per mostrare che non gradisce, ma sa che dovrà aspettare ancora…
Finiscono le scuole e finalmente arriva l’ultima settimana di giugno. Tutto è pronto all'oratorio: i grandi tendoni bianchi che raccoglieranno nell'ombra protettiva i bambini durante i giochi e il pranzo; le signore che allestiscono la cucina e le attrezzature per i momenti di svago. Nicola non domanda più, il feriale è una certezza.
Arriva poi un giorno che sembra come tanti altri: nella scuola vuota sono pochi i colleghi rimasti, qualche saluto, qualche risata… Nel silenzio dell’edificio si sentono solo rumori dei banchi spostati per le pulizie e l’odore forte dei detergenti. Manca qualcuno, però.
“Non c’è Nicolino?” chiedo a Silvana.
“E’ al feriale…” e subito, a conferma delle sue parole, dal cortile giunge una voce al megafono che chiama a raccolta tutti i bambini. Si sente vociare, ridere, i primi calci al pallone contro le cancellate e musica, tanta musica. Penso a Nicola e lo immagino correre felice in mezzo ai compagni di una lunga estate, fatta di giochi e di allegria.
“Anna!!! An-na… An-na… An-na! Anna-Anna-Anna!” E’ Nichi, in mezzo ad un gruppo di bambini che guarda incuriosito attraverso le sbarre del cancello. E’ sudato, accaldato per la corsa e si sbraccia per salutarmi. Un attimo ed è già scappato…
Difficilmente tornerà a farsi vedere. Forse, guardando bene, in mezzo a tanti ragazzini riuscirò a scorgerne uno con i calzoni corti, uguale a tutti gli altri se non fosse perché indossa la maglietta che solo gli animatori dell’oratorio portano. Perché anche al feriale Nicola è diventato un’istituzione e lui ne va fiero.
Bellissimo!! Complimenti Anna!! Ogni parola di questo scritto traadisce la tua sensibilità e la tua delicatezza. Grazie!
RispondiEliminaMaria Intagliata
...é quando nella vita incrociamo queste persone che ci accorgiamo di quanto, a volte, sia bello stare al mondo. Sono un po' come una folata di aria fresca durante una torrida estate, grazie Anna per avercelo fatto conoscere, una bella persona, come te:))
RispondiEliminaGrazie! Era qualcosa che sentivo di dover scrivere già da tempo, un ringraziamento per tutta la gioia e l'amore che questo grande amico ha sempre saputo donare a tutti. :))
RispondiEliminaAnna
Una lettura che fa bene alla mente e al cuore. Complimenti!
RispondiEliminaAnna,
RispondiEliminami viene da dirti, che cara sei! Sì, il racconto è una conferma della tua grande sensibilità. Bravissima.
g
Godibilissimo, davvero, hai catturato l'anima di questo bambino adulto. Ps. il mio cognome lo diceva giusto, comunque! ;-)Pier
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