Un cambiamento molto significativo nella concezione stessa di geometria avvenne con l’estensione di Bernhard Riemann della geometria differenziale gaussiana. Nella tesi per l’abilitazione all'insegnamento "Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria", presentata alla Facoltà di Filosofia di Göttingen nel 1854 e pubblicata postuma nel 1867, Bernhard Riemann (1826-1866) presentò alcune idee radicalmente innovative, con lo scopo di fornire un quadro unitario dello studio degli ambienti geometrici, dopo la scoperta delle geometrie non euclidee e utilizzando i nuovi strumenti più astratti sviluppati nel frattempo dalle varie branche della matematica. Era infatti “rimasto del tutto inesplorato il concetto generale di grandezza molteplicemente estesa, sotto cui rientrano anche le grandezze spaziali”. Egli intendeva “costruire il concetto di grandezza molteplicemente estesa a partire dal concetto generale di grandezza” e mostrare che tale concetto “era suscettibile di diverse relazioni metriche”, di cui lo spazio formava solo un caso speciale di grandezza di dimensione 3 tra tutte quelle concepibili. “I concetti di grandezza - affermava - sono possibili solo quando siamo in presenza di un concetto generale, suscettibile di diverse determinazioni. A seconda che ci sia un passaggio continuo da una determinazione a un’altra oppure no, esse formano una varietà continua o discreta.”
Riemann utilizzò per il concetto di grandezza molteplicemente estesa il termine tedesco Mannigfaltigkeit, da cui proviene il corrispondente termine inglese manifold e che noi traduciamo con varietà. Concetto polimorfo, la sua definizione dipende dall'ambiente in cui si opera, dalla natura degli elementi che lo costituiscono e dalle proprietà che si vogliono studiare. A seconda che si usino gli strumenti della sola topologia o anche quelli del calcolo differenziale e dell’analisi complessa, si parla rispettivamente di varietà topologiche, di varietà differenziabili, di varietà complesse (o analitiche), ecc.
Riemann estese a n dimensioni i metodi impiegati da Gauss (1828) nel suo studio sulla geometria intrinseca di superfici curve incorporate nello spazio euclideo (chiamate "intrinseche" perché descrivono le proprietà metriche che le superfici mostrano di per se stesse, indipendentemente dal modo in cui esse giacciono nello spazio). Il concetto di varietà generalizza quelli di curva e superficie della geometria analitica: intuitivamente, una varietà è uno spazio a più dimensioni che localmente, intorno a ogni suo punto, presenta una struttura simile a quella dello spazio euclideo, ma che globalmente può essere "curvo" ed assumere le forme più svariate.
In termini generali, un sottoinsieme X⊂Rn è una varietà di dimensione m (con m ≤ n) se, nell'intorno dei suoi punti, esso assomiglia ad un aperto di Rm. Le varietà localmente simili alla retta R si chiamano curve, mentre quelle localmente simili al piano R2 si chiamano superfici. Se una varietà X è localmente simile a Rn, allora si definisce X una varietà di dimensione n.
Riemann notò che le proprietà misurabili di una varietà discreta, di cui è facile trovare esempi in natura, possono essere facilmente determinate contando. Ma le varietà continue, che ricorrono con grande frequenza in matematica, non ammettono questo approccio. In particolare, le proprietà misurabili dello spazio fisico, che sono l’oggetto della geometria, fino ad allora erano state verificate con successo in accordo con la geometria euclidea: la distanza tra due punti nello spazio può essere accertata con un'asta, o un nastro, o con mezzi ottici, e il risultato dipende essenzialmente dal comportamento fisico degli strumenti utilizzati. Tuttavia, "i concetti empirici su cui si basano le determinazioni metriche dello spazio - i concetti di un corpo rigido e di un raggio di luce - perdono la loro validità nell'infinitamente piccolo; è quindi molto probabile che le relazioni metriche dello spazio nell'infinitamente piccolo non siano in accordo con le assunzioni della geometria, e infatti dovremmo accettarlo non appena i fenomeni potranno essere così spiegati in un modo più semplice”. Si trattava di una considerazione a suo modo profetica.
Lo schema di base di Riemann ambiva a una generalità molto più ampia, ma, a suo giudizio, doveva essere sufficiente per il momento caratterizzare la geometria delle varietà continue in modo tale che fosse perfettamente in accordo con la geometria euclidea su un piccolo intorno di ciascun punto. Ad esempio, localmente la superficie terrestre somiglia ad un piano, e per questo è una varietà di dimensione 2. Tuttavia tale somiglianza non conserva la distanza tra i punti, in quanto la sfera ha una curvatura diversa. La curvatura incide sulla somma degli angoli interni di un triangolo: nel piano tale somma è sempre 180°, mentre su una sfera è sempre maggiore. La superficie della Terra non è descrivibile interamente su un foglio (nel senso che non è omeomorfa ad un aperto di R2), però è possibile descriverla "a pezzi" tramite un certo numero di carte geografiche. Ogni mappa di un atlante terrestre è costituita da intorni di punti della superficie omeomorfi al piano, Le mappe non formano una tassellatura perfetta e si sovrappongono parzialmente l’una con l’altra, tuttavia è possibile orientarsi grazie alle coordinate geografiche dei punti. Analogamente, una varietà può essere descritta da una serie di funzioni continue (carte) che nel loro insieme costituiscono un atlante. Partendo da una lista di spazi considerati “semplici”, per ogni punto della varietà si considera un intorno omeomorfo a uno spazio semplice, che costituisce una carta. Nell'intersezione tra intorni, le carte si possono comporre generando funzioni tra spazi semplici dette funzioni di transizione. Queste ultime devono essere compatibili, cioè devono essere come minimo omeomorfismi, ma spesso si richiede che siano differenziabili.
Notando come su una stessa varietà si possono definire in modi diversi le distanze tra due punti (dipende dalla scelta della funzione), Riemann concludeva che “c’è tuttavia una differenza essenziale tra rapporti metrici e di estensione”, che diventava fondamentale quando “si estendono le costruzioni dello spazio allo smisuratamente grande”. In tal caso “bisogna fare distinzione tra l’illimitato e l’infinito: il primo appartiene ai rapporti di estensione, il secondo ai rapporti metrici”. Con questa preziosa osservazione si affacciava la possibilità, sfuggita ai geometri prima di lui, di una geometria ellittica, che è la geometria della superficie di una sfera, in cui viene meno non solo il postulato delle parallele, ma anche quello dell’infinità della retta. Una retta in questa geometria corrisponde sempre e comunque a uno dei cerchi massimi della sfera: nella geometria ellittica di Riemann quindi non esistono parallele, in quanto ogni coppia di rette converge in punti antipodali. Quando la curvatura dello spazio assume un valore positivo, per quanto piccolo, lo spazio “sarebbe necessariamente finito”.
Non vi era alcun bisogno che una geometria riemanniana n-dimensionale dovesse essere ottenuta da una mappa di un sottoinsieme n-dimensionale di un qualche spazio euclideo. Ciò significava che si può fare geometria senza riferimento a quella euclidea: la geometria euclidea non veniva più epistemologicamente prima di qualsiasi studio di altre geometrie. Le idee su come la geometria teoretica di qualsiasi tipo si relazionasse con lo spazio intorno a noi erano diventate molto più sofisticate. La verità della geometria non era più da dare per scontata, ma era diventata in qualche misura empirica, e anche le idee filosofiche sull'intelligibilità della geometria si erano approfondite. Esistevano migliori sistemi formali e assiomatici. Il regno di Euclide era teoricamente finito.
Proprio oggi su Twitter insieme con Peppe Liberti si citava Riemann...
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