
Sopra la conchiglia fossile – nel mio studio
Non è strano che uno dei pochi poeti scientifici italiani sia stato un prete? Oramai quasi dimenticato dalle antologie, citato di sbieco nelle storie della letteratura, il poeta vicentino Giacomo Zanella (1820-1888) fu sacerdote, patriota e professore di lettere e filosofia (un suo allievo fu Antonio Fogazzaro). Nel 1853 fu allontanato dall’insegnamento e dallo stipendio a causa della sua fede negli ideali nazionali, venendo riabilitato solo quattro anni più tardi. Quando, nel 1866, il Veneto fu annesso all’Italia, venne nominato docente di letteratura italiana all’Università di Padova, di cui divenne in seguito anche rettore.
La sua prima raccolta di versi di tendenza romantica vide la luce nel 1868 (Versi). La sua produzione poetica durò per circa vent’anni, fino alla morte, e fu originale rispetto al panorama letterario del suo tempo per la capacità di presentare in versi argomenti di carattere scientifico e il tentativo di conciliare religiosità cattolica, cultura positivista e problemi sociali (come il lavoro operaio e la povertà). Fu anche critico letterario e traduttore, soprattutto dei classici e dalle letterature anglosassoni. Zanella visse in un’epoca di trasformazioni politiche, letterarie e soprattutto scientifiche, che accolse con favore e inserì in una visione provvidenziale della storia.
Le scelte poetiche dello Zanella contribuirono a collocarlo, nell’ambiente culturale del suo tempo, in una posizione anomala. Egli, infatti, fu mal visto sia dal mondo culturale laico, per il suo rifiuto delle tesi materialistiche, sia da una parte delle autorità ecclesiastiche per il patriottismo, la scienza e l’interesse per la questione sociale.
La sua poesia più famosa è Sopra la conchiglia fossile - nel mio studio. Motivo d’ispirazione fu la vista di una conchiglia fossile, trovata in un luogo montano e adoperata come fermacarte. Il poeta, contemplando la conchiglia, medita sulle età più antiche della terra e sul destino dell’umanità, il cui futuro nasce dalle ceneri del passato attraverso un percorso che coinvolge l’intero universo.
Quest’ode, di cui sotto riporto un estratto, fu scritta di getto tra l’8 e l’11 marzo del 1864 e fu apprezzata anche da Alessandro Manzoni, il quale volle impararla a memoria, come testimonia lo stesso Zanella nella lettera, datata 30 aprile 1869, inviata al collega Pietro Mugna: "E' qui il marchese d’Adda di Milano, che volle conoscermi per dirmi che Manzoni aveva imparata a memoria la mia “Conchiglia” e che egli stesso lo aveva udito recitarla… "
Sul chiuso quaderno
di vati famosi,
dal musco materno
lontana riposi,
riposi marmorea
dell’onde già figlia,
ritorta conchiglia.
Occulta nel fondo
d'un antro marino,
del giovane mondo
vedesti il mattino;
vagavi co’ nautili,
co’ murici a schiera,
e l’uomo non era.
Per quanta vicenda
di lente stagioni,
arcana leggenda
d’immani tenzoni
impresse volubile
nel niveo tuo dorso
de’ secoli il corso!
(...)
Tu, prima che desta
a l’aure feconde,
Italia la testa
levasse da l’onde,
tu, suora de’ polipi,
de’ rosei coralli
pascevi le valli.
Riflesso nel seno
de' ceruli piani,
ardeva il baleno
di cento vulcani:
le dighe squarciavano
di pelaghi ignoti
rubesti tremoti.
(...)
Pur baldo di speme
l'uom, ultimo giunto,
le ceneri preme
d’un mondo defunto:
incalza di secoli
non anco maturi
i fulgidi augùri.
Su i tumuli il piede,
ne’ cieli lo sguardo,
a l’ombra procede
di santo stendardo;
per golfi reconditi,
per vergini lande
ardente si spande.
T’avanza, t’avanza,
divino straniero;
conosci la stanza
che i fati ti diêro:
se schiavi, se lagrime
ancora rinserra,
è giovin la terra.
Eccelsa, segreta
nel buio de gli anni,
Dio pose la mèta
de' nobili affanni:
con brando e con fiaccola
su l’erta fatale
ascendi, mortale!
(...)
Natura e scienza
Zanella scrisse altre poesie ispirate dalle conquiste della scienza e della tecnologia (Il taglio dell'istmo di Suez, L’evoluzione, il poemetto Milton e Galileo cui dedicherò un prossimo articolo, ecc.), cercando sempre di interpretarle alla luce delle sue idee religiose. Del suo pensiero a proposito del rapporto tra fede e scienza sono esemplari le quartine di Natura e scienza, cui più tardi l’autore cambiò il nome in Microscopio e telescopio:
Come ritrosa vergine t' involi,
Discortese natura, al guardo umano,
Che pel lento mutar di mille soli
Di cielo in terra t' ha cercata invano.
(…)
O che ti posi d'assetata foglia
Entro le celle e con materne dita
Alle provvide stille apra la soglia,
Che l’alba manda a rinverdir la vita;
O che nel chiuso calice de' fiori
Segua il cader della feconda polve ;
O che nutra, o che plasmi, o che colori,
Fiso quell’occhio dietro te si volve.
Innanzi ad esso, come tronco pino,
Giganteggia il capello; e come mare
Limpidissimo al fondo e cristallino,
Co' mille abitator la goccia appare.
Quante in que' flutti immagini di morte!
Quante fughe e vittorie! In fiera danza
Dell’universo affacciasi alle porte
Rude la vita e dolorando avanza.
Tutto muore e rinasce. Invan, natura,
Ne' mutabili aspetti a noi ti celi ;
Ti tradisce la larva, e non ti fura
Al nostro sguardo immensità di cieli.
(…)
Dal novissimo ciel la nebulosa
Scopre di soli tremola famiglia.
Quale fiammante del color di rosa,
Qual tinto nel pallor della giunchiglia.
Mille sfere nel rapido viaggio
Lasciossi addietro, e son mille anni e mille,
Che piove pel silente etere il raggio
Pur or giunto dell' uomo alle pupille.
(…)
Tante luci che fan? Che fanno i mondi
Che, come faro d' ignorati porti,
Ora scemano fiochi e moribondi,
Or con vividi incendi ardon risorti?
Donde e quando si mosse? A quali prode
Veleggia l’universo? Alme viventi
Albergano lassù? Liete di lode
All’eterno Valor sciolgon concenti?
Muore la lampa, e scuro un vel si abbassa
Sullo sguardo dell' uom, che sbigottito
Scorge per entro l’ombra Iddio che passa
Novi soli a librar nell’Infinito.