All'origine del rapporto degli uomini con il sacro vi è l'assoluta dipendenza rispetto a ciò che determina la loro esistenza, l'integrale alterità del fondamento primordiale, raccontato dai miti, rispetto al mondo terreno. Scrive Marcel Gauchet (Il disincanto del mondo, Einaudi, Torino, 1992) sulla concezione degli uomini di quella credenza originaria: “Ciò che è non dipende da noi, per nulla. La nostra maniera di vivere, le nostre regole, i nostri costumi, ciò che sappiamo, lo dobbiamo ad altri, sono cose che hanno definito o instaurato esseri di natura diversa dalla nostra, gli Antenati, gli eroi, gli Déi. Noi non facciamo altro che seguirli, imitarli o ripetere ciò che ci hanno insegnato”. Tutto ciò che governa la vita individuale e sociale, dai piccoli gesti alle grandi imprese, deriva da un passato fondatore, che è continuamente riattivato dai riti e affermato nella sua originaria alterità dal complesso dei miti e dei simboli. Questo schema si ritrova in tutte le società arcaiche, alle più diverse latitudini, senza alcuna eccezione, nonostante la grande frammentazione dei gruppi umani e delle culture.
La profonda separazione rispetto al tempo primordiale, in cui tutte le cose sono state instaurate, fa sì che nessuno può pretendere di parlare in nome del sacro, di invocare rapporti privilegiati con il divino, per decretare la propria superiorità morale, politica o religiosa. Esistono differenze di status o di prestigio, ma la dipendenza radicale dal principio agisce in modo da evitare, almeno inizialmente, l'instaurarsi di un potere che possa decretare la propria legge o imporre la propria forza coercitiva. Nasce in questo modo un'organizzazione in cui il tutto prevale sulla parte, un modello, basato sull'anteriorità e superiorità del principio d'ordine collettivo sulla volontà degli individui, che si contrappone a quello individualistico e competitivo dei tempi moderni. Dal modello disegnato dal pensiero mitico non nascono necessariamente società pacifiche, perché c'è spazio per la guerra, c'è la possibilità di uccidere ed essere uccisi, ma non è data la possibilità di ricusare ciò che lega ai propri simili, di mettere in discussione il principio stesso della coesistenza.
Lo spostamento alle origini e ad Altri delle cause e dei fondamenti comporta inoltre un caratteristico atteggiamento verso la natura. Se l'attuale dipende in ogni caso dall'originale, anche il mondo dell'uomo s'inscrive in un ordine naturale dato, che non è possibile mettere in discussione. L'antagonismo insito nei rapporti dell'uomo con la natura è così vanificato dall'idea di una comunione cosmologica e biologica, di una solidarietà mistica, con tutte le cose: i cicli del cielo, gli animali, gli alberi, le acque, i monti, ecc.. Con questo non voglio affermare l'ingenua idea di un uomo "naturale", pacifico ed ecologico, preesistente al "progresso" economico e tecnologico: il cosiddetto "primitivo" (il buon selvaggio di Rousseau o l’abitante di una remota e felice Età dell’oro) non può essere innalzato ad astrazione ideologica per sottolineare i difetti della società del tempo in cui lo si pensa; la "spontaneità" non sempre è sinonimo di mitezza o di comunione con l'ambiente.
L'homo religiosus delle società arcaiche, così come l'uomo di tutte quelle premoderne, tende a vivere il più possibile nel sacro. Nella mentalità tradizionale il sacro permea la vita dell'uomo, al punto che ogni atto materiale è vissuto come espressione visibile e terrena di qualcosa la cui essenza reale si colloca su un piano diverso, invisibile e spirituale. La separazione effettuata nel mondo contemporaneo tra sacro e profano, tra spirito e materia, non ha senso in un mondo nel quale uomini e dèi vivono in stretto contatto, in cui è sempre possibile un collegamento tra questo e l’Altro Mondo. Non è casuale che nell'antico lessico comune indoeuropeo non esistono termini per designare la religione, come sottolinea Émile Benveniste (Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. Volume secondo: potere, diritto, religione, Einaudi, Torino, 1976): "Non si può concepire chiaramente e quindi denominare la religione se non dal momento in cui essa è delimitata, in cui essa ha un campo distinto, in cui si può sapere ciò che le appartiene e ciò che le è estraneo". Solo quando la religione cesserà di impregnare ogni aspetto della vita nascerà un termine, diverso in ogni lingua, per designarla. Il fatto che in una lingua antica esista il termine per definire la religione indica che essa non è più quella originaria. Ciò accade per il latino religio, che, dal punto di vista etimologico, è un tentativo di raccogliere ordinatamente (re-ligere), ciò che riguarda il culto, di cingere l'area del sacro perché esso non invada il mondo degli uomini.
Sin dall'antichità l'etimologia della parola religione è stata oggetto di dispute, che proseguono ancora oggi. Cicerone (La natura degli déi, II, 28.72) la fa derivare da relîgere ("riprendere con una nuova scelta, ritornare su un'operazione anteriore, riunire" gli atti religiosi per eseguirli scrupolosamente), perciò religiosus sarebbe chi è "scrupoloso nel culto", chi coscienziosamente si avvicina ai riti, alle cose pertinenti gli déi. Negli autori latini (L. Accio, Plauto, Tito Livio), infatti, relîgio designa lo scrupolo religioso, dunque una disposizione soggettiva, e non un sentimento che porta ad un'azione, che incita a praticare un culto. Anche se il significato di "religione" è nel frattempo cambiato, l'etimologia fornita da Cicerone sembra quella più convincente.
Il cristiano Lattanzio (Istituzioni divine) sostiene invece che il termine deriva da religare ("legare strettamente, attaccare"), dimenticando che difficilmente un verbo della prima coniugazione può dare l'astratto religio (caso mai avrebbe dato religatio): "Il termine religio è stato tratto dal legame della pietà, perché Dio si è legato [religaverit] l'uomo e lo ha vincolato attraverso la pietà". Sant'Agostino (La città di Dio) inizialmente sembra sposare l'etimologia di Cicerone: "Avendo perso Dio perché negligenti [negligentes], ritrovandolo [religentes] siamo tratti a lui". In seguito (Ritrattazioni), egli sposa l'etimologia di Lattanzio, che diventerà quella ufficiale del cattolicesimo. Secondo la Catholic Enciclopedia (vol. XII, voce Religion), "la religione (…) implica il concetto dell'essere legati a Dio", trattandosi di "(…) una relazione personale, quella del suddito e creatura, l'uomo, con il suo Signore e Creatore, Dio". Così, con un po' di mistificazione, la religione, fenomeno originale, sempre ravvisabile per quanto si risalga all'indietro nel tempo e fenomeno universale, al quale non è sfuggita alcuna società, è fatta diventare un'invenzione del cristianesimo. Il concetto cristiano di religio è ricalcato sull'idea che l'uomo si fa della sua relazione con Dio, idea del tutto diversa dall'antica religio romana, e che prepara l'accezione moderna.
Come afferma Umberto Galimberti in Orme del sacro (Feltrinelli, Milano, 2000), la religione, recingendo l'area del sacro, ne garantisce contemporaneamente la separazione e il contatto, che restano sempre regolati da pratiche rituali, capaci di evitare l'irrompere del chaos sovrumano nel cosmos umano e insieme di garantire un contatto tra i due mondi. Rito, magia e sacrificio servono ad assicurare il legame tra l'uomo e le potenze superiori che abitano la sfera del sacro, impedendo che la loro tremenda potenza possa essergli nociva. Queste pratiche esistevano già prima di invocare qualsiasi divinità: infatti "Dio nella religione è arrivato in ritardo".
Considerata dal lato della sua funzione, la religione si è sempre manifestata come fenomeno sociale, in cui si sono dall'inizio imposti un'idea di spossessamento, di negazione da parte dell'uomo della sua capacità di trasformare l'organizzazione del mondo in cui vive, e un pensiero di prevalenza dell'ordine determinato dal fondamento primordiale contro ciò che può essere determinato dall'azione umana, nei rapporti sociali o nei confronti dell'ambiente. In poche parole: l'Altro come fonte e l'immutabile come principio regolatore. Queste scelte hanno disinnescato tutti gli elementi d'instabilità o di tensione dinamica all'interno dei gruppi sociali, favorendo la loro sostanziale coesione e l'inviolabilità delle norme.
L'insieme di atteggiamenti e il sistema di pensiero dell'homo religiosus sono talmente coerenti e radicati che hanno potuto percorrere i millenni quasi fino ad oggi, nonostante la scomparsa del tipo di società che a loro interamente si rifaceva, nonostante gli sconvolgimenti politici, i cambiamenti delle condizioni materiali, le trasformazioni culturali e spirituali. Senza dubbio qualcosa di quell'idea tradizionale della dipendenza sacrale e della permanenza consuetudinaria è sopravvissuto nelle società contadine europee almeno fino agli inizi del '900, in mezzo a un mondo che poco o nulla conservava delle sue radici.
Non si può negare che la religione sia anche un fenomeno storico, perché è condizionata dalla cultura, dall'economia, dall'organizzazione sociale, dalle risorse tecnologiche: i simbolismi e i culti della Terra Madre, ad esempio, della fecondità agraria e umana, non si sarebbero sviluppati in un sistema religioso elaborato se non attraverso la scoperta dell'agricoltura. Ma, prima e dopo ogni conquista della civiltà, le società umane, fino alla moderna secolarizzazione, hanno continuato a vivere in un cosmo sacralizzato, che è quello dell'homo religiosus. L'atteggiamento religioso è stato per millenni una costante della società umana, al punto da essere considerato, accanto all'uso del linguaggio e degli utensili, una proprietà innata dell'uomo (Wittgenstein ha parlato dell'uomo come "animale cerimoniale"). Tuttavia, il religioso, ha rilevato Marcel Gauchet, "procede nella sua organizzazione (…) da un'istituzione e non dalla necessità, dalla scelta e non dalla costrizione (…). La religione è stata con ogni probabilità l'abito multimillenario d'una struttura antropologica più profonda la quale, pur dopo il disfacimento delle religioni, continua tuttavia a operare sotto altra veste". Sotto questo aspetto, afferma lo studioso francese, la religione, fenomeno storico, come ogni cosa nella storia, ha avuto un inizio ed è destinata ad avere una fine.
(continua in un prossimo articolo)
mi inQUIno a cotanta cultura e continuero' a seguirLA nelle prossime trattazioni sulla religione messer popinga :-)
RispondiEliminaSono perplesso di fronte all'affermazione che la religione sia destinata storicamente ad avere una fine. Una ventina di anni fa tutti davano Dio per spacciato, oggi assistiamo ad un crescendo inarrestabile di fondamentalismo da tyutte le parti, da Gerusalemme ai califfati alle chiese americane neocreazioniste , all'induismo più deteriore. Mi sembra una situazione sinusoidale destinata a durare.
RispondiEliminaJolek: sono onorato del tuo inquinamento. Sto riassumendo in qualche articolo ciò che doveva essere un saggio che poi ho deciso di non continuare perché non ero più d'accordo con me stesso. Ho tolto le parti per me controverse.
RispondiEliminaEnrico: penso che Gauchet ragioni per tempi lunghi. Comunque la religione è in ascesa come fenomeno sociale identitario (anche i crocefissi della Gelmini e della Lega), non come negazione da parte dell'uomo della sua capacità di trasformare l'organizzazione del mondo in cui vive. Anche nelle sue forme più virulente sta facendo i conti con la storia.
Un brano di questo bellissimo articolo mi ha fatto pensare alla dicotomia "naturale-contro natura", che certi religiosi hanno cavalcato a spron battuto quando si è posta la questione di estendere alcuni diritti civili anche agli omosessuali. Per tali religiosi l'eterosessualità "s'inscrive in un ordine naturale dato, che non è possibile mettere in discussione".
RispondiEliminaVoglio davvero vedere come va a finire. Per adesso noto la mancanza di Lui. Provvedo invocandolo almeno nei commenti: FSM vola per noi!!!11 RAmen.
RispondiEliminaChissà, credo che nei millenni la religione evolverà in forme differenti, sicuramente inconcepibili a noi tardo medievali. Azzarderei a dire che la più promettente e sana espressione di quella misteriosa "struttura antropologica profonda" che secondo Gauchet origina il cosiddetto impulso religioso vada cercata dalle parti della ricerca scientifica e matematica piuttosto che nelle solite vecchie, goffe e violente superstizioni (FSM escluso, ovvio, non c'è neanche bisogno di dirlo).
RispondiEliminaMi fa piacere che si ricordi il lavoro di Benveniste, avevo visto il riferimento a lui anche nell'articolo precedente sul sacro.
RispondiEliminaPer Enrico: in un'intervista il Dalai Lama diceva che il Buddismo sarebbe durato "solo" altri 2500 anni circa, così come da profezia del Buddha. Non ritrovo il pezzo, ma mi sembra di ricordare bene.
@Rob - allora siamo a posto
RispondiElimina@Profeta - escluderei anche SM, anche se i cultori magari non sono dello stesso parere.